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La questione dell’irrazionale, dell’inconscio e della scrittura

Impromptu (1981) di Amelia Rosselli

4. La questione dell’irrazionale, dell’inconscio e della scrittura

Amelia Rosselli, attraverso un’abile tecnica associativa fondata su repentini ed ironici slittamenti semantici, manifesta al lettore ciò che d’irrazionale ed enigmatico è contenuto in ogni atto linguistico. Non soltanto la poetessa cerca di contenere metricamente il flusso verbale perché intravede i pericoli di una poesia che si dissolve nel caos e nell’insignificanza, ma nutre una profonda fiducia nelle risorse sonore e semantiche della lingua, nella fascinazione che le associazioni linguistiche possono produrre. “Il fatto è che lei, se appena intravede o intrasente uno spiraglio, una potenzialità di significazione, vi si insinua d’istinto, la sua ansia di significazione è implacabile.”123 Sono parole di Giovanni Giudici che descrivono con grande precisione la scrittura rosselliana, il suo prodursi e svolgersi come continua ricerca di senso, come lavoro sulla lingua e sulle sue risorse espressive.

Impromptu seduce il lettore per il suo ammaliante scorrere di suoni e parole. Anche se la comprensione si rivela difficile in un primo momento, il testo, in particolare nella registrazione recentemente ripubblicata di una lettura dell’autrice, riesce a produrre un effetto quasi ipnotico. Lo ha già detto benissimo Antonella Anedda nel 1993 introducendo una ristampa del poemetto:

“Capire davvero gli scritti di Amelia Rosselli significa forse proporsi di superare il magistero della sua

poesia: la sua musica, quel ritmo compatto, incrociato che anche visivamente i suoi versi possiedono, quel sapiente rintoccare di testa di un dolore tanto più sorvegliato in quanto imprevedibile. Significa credo forzare la soglia di affascinato ipnotismo che la sua lettura provoca per capire quali siano i suoi territori, accettare la regola di uno scavo senza distrazioni di vertigine.”124

Impromptu si configura come una sorprendente e densissima orchestrazione d’immagini. Nel 1988, intervistando Amelia Rosselli, Isabella Vincentini qualifica la sua poesia come visionaria. La reazione della poetessa è molto interessante. Afferma:

“Il termine visione non vuol dire niente perché io ho studiato un po’ di psicologia, anzi ho pensato da giovane che non si potesse essere scrittori senza fare un’analisi per sbarazzarsi dei problemi troppo personalistici e non immetterli negli scritti per un pubblico che dei propri personalistici problemi non ha voglia di interessarsi. Si può parlare in termini psicoanalitici. Non si parla di visioni. Si parla di inconscio, preconscio. Una metafora è un’immagine. Si possono avere immagini davanti agli occhi mentre si scrive, o anche non mentre si scrive, ma sorgono dall’inconscio. Questa visionarietà è semplicemente di tutti. La questione è di sbloccare il rapporto tra conscio e inconscio troppo rigido in una società inevitabilmente nevrotica come diceva Freud. Il compito dello psicologo è di permettere un passaggio dall’inconscio al conscio non soltanto verbale, per immagini spesso infatti sogniamo. Preferibilmente scrivo a macchina. Scrivo con una certa intensità o con una certa velocità. Da due righe posso arrivare alla terza solo per un’immagine incomprensibile che mi si forma davanti agli occhi. Ma questa non è visionarietà. Posso usare l’immagine se lo voglio. Posso fermarmi a cercare di capire cos’è”.125

Il fitto avvicendarsi di immagini che caratterizza la poesia rosselliana corrisponde al tentativo di registrare ed esporre un’idea “non statica come quella materializzatesi nella parola, ma piuttosto dinamica e in divenire”.126 Tuttavia, la poesia di Amelia Rosselli è anche un pensiero che si arresta, si osserva, riflette su se stesso. Se le idee e le parole si presentano all’improvviso e provengono da un luogo di cui non si sa nulla,127 sulla pagina esse acquistano forma, vengono bloccate ed analizzate dall’autrice. In questo senso la sua poesia è un oscillare continuo tra movimento e fissità. È una propagazione continuamente bloccata128 e perennemente riprodotta.

La velocità della scrittura permette alla poetessa di annotare sulla pagina i movimenti del pensiero. Malgrado ciò, la sua poetica non può essere meccanicamente sovrapposta alle pratiche surrealiste di scrittura automatica che spesso sono state evocate a suo proposito. In ambito surrealista, il ricorso programmato all’inconscio e alle sue possibilità immaginative acquista un valore essenzialmente positivo e

124 Antonella Anedda, introduzione a Amelia Rosselli, Impromptu, Mancosu, Roma 1993, p. 7.

125 Andrea Cortellessa, Con l’ascia dietro le spalle: dieci anni senza Amelia Rosselli, Radio 3 Suite, puntata dell' 11 febbraio 2006, ascoltabile sul sito: http://www.radio.rai.it/radio3/radio3_suite.

126 Amelia Rosselli, Spazi metrici, in Le poesie, cit. p. 338.

127 “Non è vero che scriviamo con l’inconscio: scriviamo molto coscientemente, ma con una spinta dell’inconscio di cui non sappiamo nulla.” in Amore Amore, I poeti e gli scrittori italiani contemporanei

raccontano il loro poeta più amato e ne presentano i versi a loro più cari, a cura di Francesca Pansa,

Newton Compton, Roma 1988, p. 145.

128 Florinda Fusco, Amelia Rosselli: la propagazione bloccata, in Giorgio Devoto, Emmanuela Tandello, Trasparenze, cit. p. 253.

liberatorio. Nel caso di Amelia Rosselli, l’inconscio è qualcosa che fa parte dell’esistenza e per questo se ne deve rendere conto in poesia. Tuttavia, esso non costituisce una pura forma di liberazione. Il tema della libertà è cruciale nella produzione poetica rosselliana proprio in quanto confrontato costantemente con la propria impossibilità. La scrittura non si fonda sulla semplice libertà creativa, ma deve accompagnarsi ad una ricerca scientifica di sistematicità. Rispetto ad alcune comuni semplificazioni che considerano la poesia come “espressione dell’irrazionale oppure del pensiero assolutamente conscio”129, Amelia Rosselli propone invece una propria personale concezione di poesia come “scienza e istinto insieme”.130

Le influenze degli studi musicali sono, a questo proposito, molto forti. Paolo Cairoli ha già spiegato altrove quali sono i numerosi punti di convergenza tra le teorie metriche rosselliane ed il serialismo musicale dell’avanguardia postweberniana.131 La questione sarà pertanto affrontata da un altro punto di vista, a mio avviso altrettanto pertinente. Si è già detto come nel tentativo di dire la realtà, la poetessa cerchi di esprimere anche il suo movimento, il suo divenire. Ciò che colpisce è questo divenire esista per Rosselli sempre in relazione ad un limite, un argine che si trova alla fine del verso e contro il quale l’energia creativa si trova a sbattere.132 Per parlare della realtà, la poetessa non può che esprimere l’irrazionale accanto e dentro il razionale, il divenire accanto e dentro un sistema di confini.

Non è un caso se Nelson Moe, citando in inglese un’espressione impiegata da Pier Paolo Pasolini, avesse intitolato il proprio saggio su Amelia Rosselli “At the margins of the dominion”.133 I margini, cui fanno riferimento prima Pasolini, poi Moe, sono i confini che delimitano ciò che è sotto il controllo della ragione borghese e ciò che non lo è. Da queste frontiere parte la voce poetica rosselliana radicandosi lì dove gli spazi 129 Ambrogio Dolce, Amelia Rosselli: poesia non necessariamente ascientifica (intervista), in “Idea”, gennaio-febbraio, 1988, p.42.

130 Elio Pecora, Un incontro con Amelia Rosselli, cit. p. 151.

131 Paolo Cairoli, Spazio metrico e serialismo musicale. L’azione dell’avanguardia postweberniana

sulle concezioni poetiche di Amelia Rosselli in Amelia Rosselli “Trasparenze”, cit. pp. 289-300.

132 Riferendosi a Variazioni belliche ed al suo progetto metrico, la poetessa afferma in un’intervista: “In quella serie di poesie era tanto forte la dinamicità che sbatteva (si può vedere un senso metaforico) contro un certo lato del cubo immaginario. Si considerava una ragione razionale di geometrie spaziali; lo sbattere di una parola provoca l’enjambement.” (Giovanni Salviati, Nel linguaggio dinamico della realtà,

conversazione con Amelia Rosselli, cit.).

133 Nelson Moe, At the margins of dominion: the poetry of Amelia Rosselli, cit. Nella sua nota critica, Pasolini affermava “Il Mito dell’Irrazionalità (mettiamoci le maiuscole), ha con le poesie della Rosselli, negli anni Sessanta, il suo prodotto migliore: lussureggiante oasi fiorita con la stupefacente e casuale violenza del dato di fatto, ai margini del dominio” (Pier Paolo Pasolini, Notizia su Amelia Rosselli, in “Il Menabò”, giugno 1963).

chiusi ed asfittici del razionale si oppongono ad un’allegra confusione piena di promesse, lì dove ad un perturbante senso d’infinito si contrappone il bisogno di perimetri saldi e sicuri. In questi territori di confine il desiderio di libertà e la necessità del limite battono l’uno contro l’altro, rivelano la salvezza e la morte che entrambi contemporaneamente rappresentano.

Il problema del confine, della distinzione tra ciò che rientra nello spazio della poesia e ciò che invece ne resta escluso è qualcosa che ha a che fare con il potere. Impromptu sviluppa in modo radicale la questione del valore del linguaggio poetico. Offre un esame lucidissimo dei meccanismi di potere ed esclusione che lo caratterizzano. Da questo punto di vista i versi che chiudono il poemetto illustrano alla perfezione l’insieme di contraddizioni in cui la poesia di Amelia Rosselli resta attanagliata.

E se paesani

zoppicanti sono questi versi è perché siamo pronti per un’altra storia di cui sappiamo benissimo faremo al dunque a meno, perso l’istinto per l’istantanea rima perché il ritmo t’aveva al dunque già occhieggiata da prima. (IMP, p. 655)

L’impasse è registrata con tragica ironia. I versi zoppicanti sono quelli anomali, devianti ed irregolari rispetto ai canoni metrici della tradizione. Il fatto che la poetessa li definisca “paesani” (dal francese paysan: contadino) non può non ricordare le sue sperimentazioni basate sull’imitazione di un parlare analfabeta e sull’impiego di quella che lei stessa chiamò la “grammatica dei poveri”.134 Come noto, tali ricerche sono state influenzate da Rocco Scotellaro,135 dal suo interesse per la lingua dei contadini della Lucania e per la poeticità dei loro suoni errati.136 I versi zoppicanti e paesani di Impromptu sono quindi quei versi che grazie alla loro irregolarità possono esprimere una realtà autenticamente popolare, davvero universale e collettiva. In questo senso

134 Amelia Rosselli, Variazioni belliche, in Le poesie, cit. p. 179.

135 La poetessa ha dichiarato durante un’intervista: “Contadini del Sud è stata la mia Bibbia, per un mare di tempo… proprio linguisticamente, per gli esperimenti che faceva Scotellaro, col linguaggio dell’analfabeta che trascrive”. (Plinio Perilli, Intervista con l’autrice, in Amelia Rosselli, Variazioni

belliche, Piazzola, Roma 1995, p. 214).

136 “il suono errato ha una sua rilevanza linguistica e poetica”, sono parole dello stesso Rocco Scotellaro (Rocco Scotellaro, L’uva puttanella, Contadini del Sud [1954] Laterza, Roma-Bari 2000, p. 283).

l’andamento ritmico zoppicante preannuncia l’avvento di “un’altra storia”.

La rima, in quanto indicatore di fine verso, struttura il componimento contribuendo alla fondazione della forma chiusa tradizionale. Graficamente la rima delimita lo spazio del verso e della poesia. Il ritmo, inteso come successione di accenti, indica invece il movimento interno al verso, il fluire dei suoni e delle loro cadenze. Per comprendere meglio il senso dell’opposizione rima e ritmo che Amelia Rosselli istituisce nei versi finali di Impromptu, è forse utile ritornare rapidamente al saggio giovanile Spazi metrici. Qui l’autrice affermava: “la mia regolarità, quando esistente, era contrastata da un formicolio di ritmi traducibili non in piedi o in misure lunghe o corte, ma in durate microscopiche appena appena annotabili, volendo a matita su carta grafica millesimale”.137

Se la rima può essere considerata come il simbolo della regolarità della versificazione, il ritmo è invece quel formicolio, quel brulichio interno al verso che si oppone alla regolarità della rima e ne sgretola i perimetri. Il discorso subisce una torsione improvvisa. Se la libertà ritmica dei versi zoppicanti rappresenta la promessa di un’altra storia che supera le costrizioni metriche e più in generale ogni forma di costrizione e violenza, paradossalmente, la fedeltà al ritmo della vita e alle sue vibrazioni continua ad essere comunicata tramite l’uso della rima: “perso il ritmo per un’istantanea rima / perché il ritmo t’aveva al dunque / già occhieggiata da prima”. Il ragionamento si ripiega su se stesso e si chiude in modo circolare. L’ironia non risolve l’aporia, ma la riproduce. La poesia come una libellula si dibatte dentro una campana di vetro.