Loris Buczkowsky
Circa un anno fa, Lee Ja-cocca, il braccio destro di Henry Ford II, richiesto di u n parere sui sorprendenti risultati del-l'industria dell'auto giapponese, affermò testualmente «... prima o poi i giapponesi ci mange-ranno vivi... ».
A questa affermazione fa eco quella del Presidente della Fiat che, in occasione dell'ul-timo Salone dell'automobile di Torino, ha precisato di consi-derare « molto pericolosa la con-correnza giapponese ». L'avvo-cato Giovanni Agnelli, sottoli-neando il fatto che dal 1962 ad oggi l'industria nipponica ha a u m e n t a t o la produzione di venti volte (da 263 mila a quasi 6 milioni di veicoli) af-fermava «... penso che il mer-cato dell'Estremo Oriente sarà praticamente proprietà dei giap-ponesi... ».
È certo sorprendente rile-vare che un Paese come il Giap-pone il quale non v a n t a antiche tradizioni nel settore automo-bilistico, ha realizzato in breve volgere di anni cosi lusinghieri risultati da raggiungere il se-condo posto nel mondo dopo gli Stati Uniti d'America.
Per rendersi conto dei passi da gigante compiuti dall'indu-stria giapponese dell'auto ba-sterà ricordare che nel 1957 non vi era una vera e propria industria locale, in q u a n t o si compivano appena i primi passi verso l'industrializzazione del settore, e t u t t a v i a già 6 anni dopo, e cioè nel 1963, il milione di autoveicoli era raggiunto, ed anzi la progressione si a n d a v a accentuando sempre più t a n t o da raggiungere due milioni di unità nel 1966, q u a t t r o milioni nel 1968 e 5.810.000 nel 1971.
Dall'esame di queste cifre emerge che la produzione nip-ponica si è praticamente rad-doppiata ogni 2-3 anni nel-l'ultimo decennio e tale ritmo sbalorditivo non trova ovvia-mente riscontro nelle pur avan-zate economie occidentali, le quali si trovano ora costrette a fronteggiare una concorrenza che sta diventando, di anno in anno, più temibile ed aggres-siva.
Basta considerare che l'in-dustria tedesca è retrocessa dal secondo al terzo posto nel cam-po mondiale ad opera dei giap-ponesi, che hanno inflitto al-l'industria germanica un distac-co che appare indistac-colmabile.
Esaminiamo le cifre risul-tanti alla fine del 1971, limi-t a limi-t a m e n limi-t e ai primi limi-tre colossi mondiali, e ne risulterà un qua-dro eloquente: PAESI TOTALE PRODUZIONE AUTOVEICOLI D Ì CUI AUTOVETTURE USA 1 0 . 6 7 1 . 6 5 4 8 . 5 8 3 . 6 5 3 Giappone 5 . 8 1 0 . 7 7 4 3 . 7 1 7 . 8 5 8 Germania 3 . 9 8 2 . 7 2 2 3 . 6 9 6 . 7 7 9
Analizzando tali dati balza evidente l'importanza che i veicoli pesanti occupano nel-la produzione del Giappone, benché la percentuale relativa sia a t t u a l m e n t e in fase di fles-sione.
L ' e s p a n s i o n e d e l l ' i n d u s t r i a automobilistica di tale Paese si inquadra, d'altra parte, nel
prò-cesso di progressivo « boom » che lia caratterizzato in questo ultimo decennio tutti i settori dell'economia giapponese, dalle fibre sintetiche all'acciaio, dalle materie plastiche agli autocarri, dai televisori alle radioline a transistor.
Xel periodo 1960-1970 il red-dito medio prò capite è aumen-tato annualmente in una mi-sura pari al 10%, vale a dire due volte quella degli Stati Uniti d'America e delle nazioni europee più sviluppate.
Il reddito medio per persona, che nel 1960 rappresentava il 33% di quello della Germania Federale, nel 1969 era salito al 60% ed attualmente è pari a quello medio della Comunità economica europea e dovrebbe presumibilmente aumentare an-cora nel prossimo decennio.
E opportuno anche ricor-dare che il elima di assoluta stabilità politica del Paese negli ultimi venticinque anni (nei quali un solo partito si è im-posto sulla scena politica giap-ponese) ha indubbiamente eser-citato un peso non indifferente e costituito la necessaria pre-messa alla vertiginosa evolu-zione dell'economia.
Presupposti economico-socia-li alla base di un'afferma-zione.
E una comune credenza quel-la di attribuire l'alto grado di competitività dell'industria del « Paese del Sol Levante » al basso costo della mano d'opera. Ciò tuttavia non è esatto o al-meno non lo è nella misura in cui comunemente si crede. Me-diamente un operaio dell'indu-stria automobilistica giappo-nese fruisce di un salario pari all'i nei rea al 25%-30% di quel-lo di un operaio americano ed uguale al 50%-60% del lavo-ratore europeo. Tuttavia un osarne limitato allo stipendio base indurrebbe a false conclu-sioni, in quanto l'operaio giap-ponese gode di numerosi altri
T o k y o - La v i a b i l i t à nella Piazza del Palazzo I m p e r i a l e .
benefici i quali, sommati allo stipendio consentono al lavo-ratore nipponico di godere di una situazione economica al-l'incirca pari a quella del lavo-ratore europeo.
Si può dire che tutte le indu-strie del settore offrono ai pro-pri dipendenti un alloggio fa-cendo pagare canoni d'affitto molto bassi (sulle 10-15 mila lire al mese) ed altresì la dispo-nibilità di ristoranti e mense aziendali, dove si può consu-mare un pasto pagando cifre assolutamente irrisorie, con-sente al lavoratore notevoli ri-sparmi.
Altri benefici sono le cure me-diche gratuite, la possibilità di effettuare acquisti in speciali empori interni gestiti dalle mag-giori case automobilistiche che praticano notevoli sconti, non-ché il disporre, per le vacanze, di alberghi di proprietà delle stesse a condizioni particolar-mente vantaggiose.
Ovviamente tutti questi be-nefici accessori che vengono of-ferti al lavoratore in forma quasi gratuita incidono sul costo del lavoro che in ultima analisi non si discosta molto da quello dell'operaio europeo. Ma allora,
quali sono le ragioni dell'alto grado di competitività giappo-nese ? Esse vanno innanzi t u t t o ricercate nella diversa menta-lità, che è poi la mentalità orientale, in virtù della quale il dipendente di una industria tende ad idealizzare la propria società e quasi ad identificarsi in essa fino al punto che ogni progresso realizzato dalla pro-pria Casa automobilistica viene accolto con vero entusiasmo ed è motivo di orgoglio per tutti i dipendenti.
In questa identificazione del singolo lavoratore con l'indu-stria da cui dipende riaffiorano le tipiche virtù giapponesi, cioè senso di disciplina, forte nazio-nalismo e fedeltà, tanto è vero che non sarebbe concepibile che il dipendente di una qualsivo-glia ditta si licenziasse per es-sere assunto da un'altra azien-da. Ed è in questa cosi diversa mentalità che si può spiegare l'assenza pressoché assoluta di quel fenomeno tipico delle eco-nomie occidentali, vale a dire « l'assenteismo ». Sconosciuti so-no pure gli scioperi e per citare il caso più recente, bisogna tor-nare indietro all'epoca della guerra in Corea.
La linea d i m o n t a g g i o del m o d e l l o Mazda R X - 2 p r o d o t t o dalla T o y o K o g y o C o . col m o t o r e r o t a t i v o W a n k e l .
Non essendovi interruzioni di lavoro dovute a contese sinda-cali o assenteismo, ne consegue che gli impianti possono essere utilizzati al meglio della loro capacità produttiva e i pro-grammi di produzione rispetta-ti, con il perseguimento di una produttività alta e costante ot-tenuta con un elevato grado di automazione che consente al-tresì di diminuire la percentuale di personale impiegato.
Infatti, la Toyota con 54 mila dipendenti produce oltre 2 mi-lioni di autovetture l'anno ad una media di circa 60 vetture per lavoratore, mentre per le più progredite Case europee la media si aggira sulle 10-15 unità.
La Toyota e la Nissan, che sono le più importanti Case automobilistiche del Giappone (rispettivamente 54.000 e 79.000 dipendenti), hanno complessiva-mente meno personale della Peugeot o Citroen la cui pro-duzione è all'incirca la metà, e lo stesso può dirsi per il co-losso britannico, la British Ley-land Motor Corporation, che occupa 194.000 dipendenti.
Tecnologia d'a vaìig ua rd ia, dominio dei mezzi di tra-sporto e politica dei prezzi.
Se l'assenza di scioperi ed assenteismo consente il rag-giungimento degli obiettivi pre-fìssati, questi sono anzitutto resi possibili dall'elevato livello tecnologico delle fabbriche giap-ponesi. Benché a t u t t a prima possa, sembrare un assurdo, l'es-sere arrivati ultimi in ordine di tempo quali produttori di au-tomobili, ha favorito le Case giapponesi che hanno costruito fabbriche moderne ed efficien-tissime sulla base dei più at-tuali modelli americani, ai quali si sono ispirate. Il più vecchio degli stabilimenti della Toyota, la prima industria giapponese, fu costruito nel 1959 e quello della Nissan nel 1960.
La localizzazione delle fab-briche lungo le coste è un altro elemento che concorre alla di-minuzione dei costi (in quanto consente risparmi nelle spese di trasporto), senza contare che le Case giapponesi godono di un'altra posizione di vantag-gio, potendo rifornirsi di ma-terie prime come l'acciaio e di
semilavorati vari a condizioni molto più vantaggiose dei con-correnti d'oltremare.
La spinta decisiva all'espor-tazione è però dovuta alla intel-ligente « politica dei trasporti » adottata dalle maggiori ditte automobilistiche giapponesi.
La difficile posizione geogra-fica del Giappone e l'imperativo di evitare i notevoli danni cau-sati alle vetture durante il tra-sporto impose alle principali so-cietà nipponiche l'adozione di una diversa politica.
Le maggiori Case dispongono infatti di navi appositamente costruite e adibite esclusiva-mente al trasporto di autoveico-li. Tale sistema si è rivelato uti-lissimo, in quanto consente di trasportare un numero elevato di autovetture (fino a 4000) ot-tenendo nel contempo una ri-duzione sensibile nei costi.
La Toyota, prima della co-struzione di tali speciali navi (ne possiede 10) aveva il 40% delle vetture danneggiate du-rante il trasporto, mentre ora tale percentuale oscilla attorno al 5%, e tale vantaggio è ovvia-mente gradito dal concessio-nario straniero che riceve cosi le vetture nelle migliori condi-zioni e con un minimo di lavoro da effettuare prima di disporre la consegna al cliente.
Con tali mezzi di trasporto le vetture giapponesi raggiun-gono l'Europa in 11-12 giorni e gli stessi possono essere uti-lizzati per il ritorno con carichi pesanti, ma sovente ritornano vuoti per guadagnare tempo.
Recenti statistiche hanno al-tresì messo a fuoco la massima efficienza di tali speciali navi. Risulta infatti che una vettura nipponica spedita a Los Ange-les costa, in termini di tra-sporto, meno di una vettura americana inviata da Detroit. L'effettiva proprietà di tali navi consente poi alle Case nip-poniche di non risentire dei dan-ni derivanti da eventuali scio-peri delle imprese di trasporto.
Come si è visto, l'industria dell'auto ha trovato in Giap-pone il terreno ideale per svi-lupparsi ottenendo dalla com-binazione di molteplici fattori favorevoli il necessario slancio per decollare ed imporre sul mercato mondiale delle vetture tecnicamente alla pari con quel-le della concorrenza.
Soprattutto l'elemento « prez-zo » è quello che si è rivelato determinante per fronteggiare le già affermate case europee, fattore questo che, fino a che in Giappone permarrà l'attuale fase di distensione pressoché assoluta nei rapporti di lavoro, rappresenta un'arma di note-vole portata a vantaggio del-l'industria nipponica.
La penetrazione sui mercati europei.
Pur essendo i principali obiet-tivi dei giapponesi il Sud-Est asiatico, gli USA e l'Australia, ciononostante i progressi com-piuti sui mercati europei negli ultimi anni sono stati notevoli, benché l'avanzata nipponica sia stata per ora contrastata con barriere doganali che sono tut-ta\ ia destinate a diminuire.
Partendo dal presupposto di « sfondare » in Europa verso quei Paesi che non hanno una industria automobilistica na-zionale ed il cui fondo stradale non è troppo dissimile dal pro-prio, le industrie automobili-stiche giapponesi hanno con-centrato i loro sforzi partico-larmente verso Finlandia-Gre-cia- Norvègia e Portogallo, come pure verso l'Olanda e la Sviz-zera.
Vediamo ad esempio il caso della Svizzera nella quale le
vetture asiatiche hanno più che raddoppiato le vendite nel solo giro di un anno, ottenendo una penetrazione sul mercato elve-tico pari al 17% contro il 30% della Germania e il 19% della Francia.
Vediamo ora cosa succede in altri Paesi. In Finlandia la « Cherry Datsun » viene, fra le vetture più vendute, dopo la Fiat 124, il Maggiolino della Volkswagen, e prima della Ford Escort che occupa il primo posto in Gran Bretagna.
Nel Regno Unito, dove un anno fa erano quasi scono-sciute, le vetture asiatiche han-no già sorpassato ditte come Opel, Citroen, Volvo, e la Dat-sun occupa già il 4° posto fra le Case importatrici, dietro Re-nault, Fiat e Volkswagen.
Non è detto comunque che il frenetico « abbordaggio » dei giapponesi ai mercati europei continui con la stessa progres-sione di questi anni, né la poli-tica avventurosa delle Case nip-poniche è esente da perplessità che riguardano soprattutto l'at-tività di assistenza nella quale altre industrie europee, quali ad esempio la Fiat, vantano un'organizzazione collaudata da anni di esperienza e di assoluto livello mondiale.
Un dato abbastanza atten-dibile, concernente le vetture che saranno esportate nel 1 972 in Europa dalle quattro più importanti società giapponesi, Toyota, Datsun (Nissan), Hon-da e Toyo Kogyo Co. che fab-brica le vetture Mazda, si ag-gira intorno alle 260 mila vet-ture, il che non è proprio tra-scurabile se si considera che la penetrazione in alcuni Paesi quali Francia, Germania e Italia
è resa vana a seguito dell'im-posizione di contingenti molto ridotti.
Diversi sintomi, conseguenti in parte alle ripercussioni do-vute alla forte rivalutazione dello yen ed alle incertezze sus-seguitesi dopo la « nuova poli-tica » di Nixon nei confronti della Cina, lasciano intravedere un rallentamento nella produ-zione automobilistica nipponica.
Gli stessi portavoce delle più importanti Case giapponesi so-no concordi nel valutare l'at-tuale fase di « decelerazione » alla quale, dopo vertiginosi pro-gressi del 20 %-30 % annui, ulte-riori incrementi di pari am-piezza ben diffìcilmente segui-ranno negli anni futuri.
Considerando i primi otto mesi del 1972 la produzione è aumentata in percentuale del-l'8,3% rispetto allo stesso pe-riodo del 1971.
Tale incremento conferma le previsioni fatte dagli esponenti industriali giapponesi circa l'at-tuale congiuntura nipponica, la (juale tuttavia non deve affret-tatamente considerarsi quale segno negativo di una economia che è tuttora in fase evolutiva benché non raggiunga i prece-denti eccezionali livelli.
La diminuita domanda in-terna può risultare anzi perico-losa per l'industria occidentale in quanto può tradursi in maggiori impulsi all'esportazio-ne, ed il momento in cui non sussisteranno le attuali barriere doganali a difesa della produ-zione comunitaria, la minaccia giapponese non rientrerà più nella sfera delle eventualità, ma diventerà un fatto concreto.
Le Mostre del Palazzo del Valentino