Antonio Trincheri
La regolazione naturale dell'economia è di-ventata più difficile perché l'organismo econo-mico sociale si comporta nell'epoca attuale come un corpo grosso e rigido che o sta fermo o si muove piuttosto malamente; in termini meno figurativi diciamo che nella vita econo-mica odierna non si riesce ad avere elasticità di costi, di q u a n t i t à di prodotti e di consumi adeguata ad un soddisfacente equilibrio ge-nerale.
La regolazione volontaristica dell'economia (cui si fa sovente pateticamente appello) esige una capacità di autolimitazione da parte di t u t t e le componenti sociali, che non si sa ancora sino a che p u n t o sia realizzabile e cosi si resta prevalentemente nel regno dell'utopia.
La regolazione dall'alto dell'economia (che non esclude consultazione e partecipazione) e cioè il governo dell'economia richiede sufficiente potere, stabilità politica e tecniche adeguate d'intervento.
Negli ultimi anni il grosso problema della vita economica non a b b a n d o n a t a al suo destino, ma regolata in vista del benessere, dell'occupa-zione e dell'equa distribudell'occupa-zione del reddito è diventato più assillante e richiede scelte e deci-sioni impegnative.
In sede teorica la constatazione che la vita economica reale è piuttosto lontana dal mo-dello del mercato perfetto e stenta a raggiungere un soddisfacente equilibrio automatico, induce a non respingere e talora sino a sollecitare una guida anche robusta dell'economia.
Nonostante le erudite elaborazioni scienti-fiche e dottrinali, la politica economica dinanzi alle nuove situazioni che si manifestano nella vita dei popoli, presenta caratteri prevalente-mente empirici. Persino in Olanda, paese in cui la programmazione ha raggiunto il massimo di perfezione razionale, l'inflazione si è manife-stata non meno fortemente che in altri paesi ed è s t a t a fronteggiata con un accordo di sta-bilizzazione sottoscritto dalle componenti so-ciali. In definitiva più che le teorie e i mezzi contano i risultati e s o p r a t t u t t o la possibilità che le società u m a n e riescano a determinare positivamente il loro destino.
Inflazione indori labile.
Il fenomeno inflazionistico sta diventando grave in quanto aumenta d'intensità, si diffonde nei vari paesi e diventa pressoché permanente. Infatti per i paesi occidentali negli anni '60 l'inflazione è stata soltanto serpeggiante e cioè limitata ad un aumento medio annuo dei prezzi al consumo del 3 % ; negli anni '70 la percentuale d'aumento si aggira sul 6 % con tendenza ad ulteriori aumenti.
Il f a t t o che l'inflazione è proseguita in anni di recessione (1970-72) dimostra che il sistema economico ha difficoltà a trovare una posizione di equilibrio stabile; lo studio delle cause di questo nuovo fenomeno è ancora in corso; come prima fondamentale ipotesi si ritiene che una causa sia il prevalente potere sul mercato esercitato dalle grandi imprese e dalle organiz-zazioni sindacali; forse ancor più determinante è la mentalità inflazionistica acquisita dagli operatori e dai consumatori.
Infine sono le conseguenze dell'inflazione che preoccupano in via d'urgenza. Oltre ai motivi tradizionali che fanno condannare l'inflazione (danno dei creditori, difficoltà di vita per i percettori di reddito fisso, scoraggiamento del risparmio, minori esportazioni, spinte specula-tive) sono stati constatati altri motivi che indu-cono a rifuggire dall'inflazione. I n f a t t i con l'in-flazione riescono a produrre e a vendere anche le imprese male organizzate e quindi si ha tino spreco di risorse; inoltre si accentuano le flut-tuazioni economiche; è sotto questi importanti aspetti che l'inflazione risulta antitetica allo sviluppo economico e alla durevole occupazione.
Ihio dei mezzi fondamentali per combattere l'inflazione è quello dei rendimenti produttivi crescenti. Però vi è ostilità verso i rendimenti produttivi crescenti a causa dei sacrifici che richiedono (in lavoro ed in investimenti) e so-p r a t t u t t o so-perché si so-pensa, erroneamente, che giovino soltanto ai profitti. Non si pensa che i rendimenti produttivi crescenti consentono di aumentare l'offerta e di contenere i prezzi senza ricorrere a restrizioni monetario-creditizie o ad altre misure ancor più radicali come i blocchi
dei prezzi e dei salari. Se invece si preferisce uno sviluppo economico più rallentato, con lievi aumenti di produzione, occorre contenere (spontaneamente o meno) l'aumento dei con-sumi. In ogni caso è sempre necessario un paral-lelismo tra produttività e distribuzione dei red-diti monetari; se questo parallelismo n a s e e
spontaneo o volontaristico 11011 occorrono pro-fondi interventi nella vita economica. Purtroppo i mezzi per frenare l'inflazione cui si è ricorso sino agli anni '70 non si sono dimostrati suffi-cienti.
Ora risultano di particolare interesse sul tema in esame le recenti vicende dell'economia americana.
Vicende statunitensi.
L'economia americana, che è la più ricca del mondo, ha tentato nel 1970-71 (primo se-mestre) con il competente concorso di econo-misti di fama mondiale (Samuelson, Heller, Me Cracken) di uscire nello stesso tempo sia dalla recessione che dall'inflazione ma invano; infatti nello stesso periodo la ripresa si è mani-festata inferiore alle previsioni mentre è conti-nuato l'aumento dei prezzi e si è aggravato il deficit della bilancia dei pagamenti; per di più è rimasta alta la disoccupazione.
L'inflazione dunque non evita la disoccupa-zione. Ricordiamo che l'Inghilterra nel 1970 e l'Italia nel 1971 hanno avuto l'inflazione e nello stesso tempo l'aumento della disoccu-p a t o n e .
Finalmente si è capito che il male più grave e difficile da curare è sempre l'inflazione e che il ricorso a misure monetarie, creditizie e fiscali, pur essendo ancora necessario (in misura meno drastica ma più tempestiva) risulta non più sufficiente a regolare l'andamento economico. Si è fatta strada l'idea (non senza contrasti però) dell'insufficienza dei mezzi tradizionali per fermare l'inflazione, ma soprattutto si è scartato il fatalismo, che in certi momenti sembrava prevalere, dell'inevitabilità dell'infla-zione. Si giunse cosi a prospettare e pure ad attuare negli Stati Uniti un estremo rimedio: quello del veto del governo agli aumenti dei prezzi e dei salari che possono essere fonte d'in-flazione.
Nel culmine dell'ultima crisi economica degli Stati Uniti (luglio 1971) George Meany, presi-dente della confederazione dei sindacati ame-ricani, proponeva il controllo dei prezzi e dei salari come unico mezzo per stabilizzare la situazione. Nel mese successivo Nixon, pur essendo in linea di principio contrario a misure cosi drastiche decideva, tra l'altro, il blocco dei prezzi e dei redditi. D'altra parte già nel
rap-porto annuale 1971 della Banca dei regolamenti internazionali si auspicava « un energico uso degli ampi poteri di cui possono disporre le autorità governative per amministrare l'eco-nomia ».
L'approvazione di Galbraith.
Ci troviamo indubbiamente di fronte ad un nuovo atteggiamento ben diverso da quello del passato; mentre sino a qualche anno fa ogni forte intervento governativo era temuto perché considerato dannoso, oggi si auspica una pre-senza risolutiva della mano pubblica. Le misure straordinarie di Nixon decise il 15 agosto 1971 sono state dettate più dalla estrema necessità di fronteggiare in qualche modo la situazione che non da convinzioni dottrinarie; però queste ultime sono state espresse vigorosamente da John Kenneth Galbraith: «la parte più impor-tante del " pacchetto " del presidente Nixon è naturalmente il blocco dei salari e dei prezzi. Se questo provvedimento proseguirà il suo iter lino alle sue logiche conseguenze, è destinato a determinare un notevole mutamento politico interno. Ciò mi consente forse di inserire a questo punto una mia opinione personale. È da molto che sostengo che gli Stati Uniti possono infrangere il ciclo dell'aspettativa inflazionistica - cioè la tendenza ad agire nell'egoistica pro-spettiva di un aumento inflazionistico — me-diante un provvedimento del genere » (« Il Mondo», 5 settembre 1971).
Oltre agli Stati Uniti, ha ricorso al blocco dei prezzi e dei salari la Norvegia. In certi paesi (come la Svezia, la Danimarca, l'Irlanda) al blocco vero e proprio è stata preferita una misura sostanzialmente simile e cioè la vigilanza severa sulle variazioni dei prezzi e dei redditi.
Indubbiamente la stabilità dei prezzi costi-tuisce una profonda aspirazione dell'opinione pubblica troppo a lungo delusa. È per questo motivo che il blocco dei prezzi e le misure analoghe sono stati accolti favorevolmente dalle grandi masse dei consumatori.
Effetti e conseguenze.
E certo che i paesi i quali hanno esperimen-tato l'azione diretta stabilizzatrice sono riusciti nel loro intento in misura superiore al prevedi-bile. Secondo un diagramma elaborato dalla First National City Bank di New York si e avuto negli Stati Uniti un leggero conteni-mento dei salari e un dimezzaconteni-mento nella pres-sione dei prezzi.
La stessa fonte cosi commenta il fenomeno: « Studi econometrici effettuati indicano che il congelamento di tre mesi dei prezzi, imposto il 15 agosto 1971, è la sola misura di controllo
che abbia avuto un effetto importante sull'infla-zione. Al termine del periodo di congelamento, il livello dei prezzi era notevolmente più basso in quanto sarebbe stato altrimenti. Da allora i prezzi sono saliti con un ritmo uguale, o forse un poco inferiore, a quello che avrebbe avuto se i controlli non ci fossero stati. Perciò i controlli
I SAGGI D E L L ' I N F L A Z I O N E PRECIPITANO (percentuale)
15 agosto
1 9 6 8 1 9 6 9 1 9 7 0 1971 1 9 7 2
della fase seconda, pur non avendo fatto pro-gredire gran che, hanno permesso che quasi niente del terreno conquistato durante il pe-riodo di congelamento andasse perduto. L'ana-lisi suggerisce inoltre che l'espansione reale è stata probabilmente più rapida proprio a causa del contenimento dei prezzi ».
Le conseguenze vantaggiose del blocco dei prezzi e dei salari sono rimarchevoli. Anzi tutto le imprese non potendo scaricare sui prezzi
gli aumenti dei costi vengono indotte ad uno sforzo di produttività, accompagnato da una sicurezza di calcoli preventivi per gli investi-menti e le inijorvazioni, mentre le organizza-zioni sindacali non hanno più tra le loro moti-vazioni quella del rincaro del costo della vita. Inoltre viene comprovata con i fatti la volontà di reazione dinanzi all'inflazione e quindi si contrasta la psicosi rialzista.
Se i prezzi sono fermi o quasi è possibile espandere la spesa pubblica (come effettiva-mente è avvenuto negli Stati Uniti) raggiun-gendo il risultato di un aumento di investi-menti sociali capaci di sostenere la domanda globale. Negli Stati Uniti durante il 1972 il prodotto lordo è cresciuto del 6% e il tasso d'inflazione è stato ridotto al 3%.
Il maggiore inconveniente del blocco pro-tratto nel tempo potrebbe essere quello di un rallentamento degli investimenti; però questo inconveniente sarebbe ovviabile con opportuni aggiustamenti dei prezzi nei settori troppo sacrificati. In genere il blocco rigido ha breve durata (da tre a sei mesi) e praticamente per il tempo necessario all'organizzazione di ragione-voli controlli capaci di impedire aumenti ingiu-stificati.
Dopo il successo statunitense anche l'Inghil-terra si avvia sulla stessa strada dell'azione stabilizzatrice diretta.
Non si è ancora in grado di generalizzare a tutti i paesi la validità delle nuove esperienze. È certo che i risultati positivi sono dovuti:
1) alla favorevole accoglienza da parte degli ambienti economici e dell'opinione pub-blica;
2) all'efficienza della pubblica amministra -zione che a t t u a scrupolosamente gli interventi predisposti dal governo. Le due indicate condi-zioni sono da considerare indispensabili in qual-siasi sistema economico. Certamente i risultati non dipendono soltanto dagli strumenti scelti ma da condizioni metaeconomiche (principal-mente psicologiche e politiche) molto diverse da un paese all'altro.