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L’interazione tra modelli di personalizzazione e tratti della personalità del cliente

4 La valutazione dei modelli d

4.2 L’interazione tra modelli di personalizzazione e tratti della personalità del cliente

Oltre a valutare l’interazione tra i modelli di personalizzazione, con particolare riferimento all’intimization, e leve del marketing mix, con specifico riguardo alla marca, appare opportuno valutare quali tratti individuali possano moderare le valutazioni dei consumatori di offerte customizzate. Le ricerche presentate in questo capitolo si focalizzano sulle interazioni tra intimization e tratti della personalità umana che studi precedenti hanno legato a comportamenti e atteggiamenti di consumo particolarmente rilevanti rispetto alle politiche di personalizzazione: la dimensione della need for uniqueness legata alle scelte creative di anticonformismo (Tian, Bearden e Hunter, 2001) e la propensione alla fantasia (Merckelbach, Horselenberg e Muris, 2001).

4.2.1 Le scelte creative di anticonformismo

Come espresso in precedenza, attraverso l’intimization, i consumatori arricchiscono il consumo e il possesso di oggetti al fine di soddisfare obiettivi di ordine superiore. Infatti, l’integrazione del prodotto con i propri segni e simboli è strettamente legata al desiderio dei consumatori di definire la loro identità individuale ed esprimere il sé attraverso il possesso e il consumo (Belk, 1988; Ahuvia, 2005).

L’identità personale è spesso definita in termini di unicità. Gli individui, infatti, sono motivati a stabilire e a mantenere un’identità personale che sia unica e distinta da quella degli altri. Secondo la teoria dell’unicità (Snyder e Fromkin, 1980), gli individui cercano di evitare la spiacevole sensazione di essere molto simili agli altri o molto dissimili, sforzandosi di mantenere un moderato livello di distintività. Poiché gli oggetti di consumo sono spesso considerati estensione del sé (Belk, 1988), gli individui possono soddisfare il loro bisogno di unicità acquistando e consumando in pubblico prodotti unici. Esistono, tuttavia, delle differenze individuali nell’intensità con cui i consumatori manifestano come obiettivo da soddisfare il desiderio di acquistare e possedere oggetti di consumo che pochi altri individui possiedono (Lynn e Harris, 1997).

Coerentemente con questa teoria, è possibile sostenere come il principale obiettivo che induce i consumatori ad apprezzare l’intimization sia la need for uniqueness (Snyder, 1992). Precedenti studi di consumer behavior, infatti, hanno suggerito che il bisogno di unicità può determinare il desiderio di acquistare prodotti personalizzati (Lynn e Harris, 1997). In particolare, la preferenza per i prodotti personalizzati si manifesta in condizioni di elevata need for uniqueness. È possibile, quindi, attendersi che gli individui caratterizzati da un’alta need for uniqueness mostrino un desiderio più stabile di “contrastare” sé stessi dagli altri rispetto agli individui il cui bisogno di unicità si manifesta con un’intensità più bassa, e che quindi i primi siano più inclini ad attuare pratiche di intimization rispetto ai secondi.

Tian, Bearden e Hunter (2001) hanno recentemente proposto che la need for uniqueness (o counterconformity motivation - Nail, 1986) è spesso manifestata attraverso le pratiche di consumo. Gli autori hanno sviluppato una scala di misurazione che identifica tre dimensioni del bisogno di unicità dei consumatori: scelte creative di anticonformismo (creative choice counterconformity), scelte impopolari di anticonformismo (unpopular choice counterconformity) e scelte per evitare la similarità (avoidance of similarity). Le tre dimensioni identificate da Tian Bearden e Hunter (2001) riflettono tre tipi di risposte anticonformiste impiegate dai consumatori per affermare la loro unicità. In primo luogo, i consumatori possono fare una scelta creativa che sia considerata socialmente accettabile, ma allo stesso tempo rifletta uno stile personale, e sia quindi originale, nuova e speciale rispetto ai comportamenti attivati dagli altri. In secondo luogo, i consumatori possono operare una scelta impopolare che si discosti dalle norme del gruppo di riferimento, rischiando anche disapprovazione sociale. In terzo luogo, i consumatori possono evitare similarità con la maggioranza delle persone effettuando una scelta minoritaria che sia considerata accettabile, ma che segnali la propria distanza dai prodotti diventati di uso comune.

La valutazione dei modelli di personalizzazione da parte dei consumatori 111

Nel presente lavoro, si fa riferimento alla prima dimensione, ossia quella riguardante le scelte creative di anticonformismo. Tale dimensione appare essere fortemente collegata con l’intimization in quanto quest’ultima si caratterizza per l’esistenza di un elevato livello di creatività durante il processo di integrazione dei prodotti con segni e simboli personali. Infatti, l’intimization è contraddistinta, rispetto agli altri modelli di personalizzazione descritti, da un investimento in creatività da parte del cliente, che manipola il prodotto oltre la varietà predefinita dall’impresa.

Sulla base di queste considerazioni, è possibile ipotizzare che gli individui caratterizzati da un’elevata creative choice counterconformity preferiscano maggiormente i prodotti “intimizzati” rispetto a coloro che mostrano una bassa creative choice counterconformity. Da ciò deriva l’ipotesi di un’interazione positiva tra creative choice counterconformity e intimization nella valutazione dei prodotti. Formalmente:

H2: La creative choice counterconformity e l’intimization interagiscono

positivamente nel determinare la valutazione dei prodotti

4.2.2 La propensione alla fantasia

La propensione alla fantasia (fantasy proneness) è un tratto della personalità umana associato al coinvolgimento immaginativo (Hilgard, 1965) e all’assorbimento (Tellegen e Atkinson, 1974). La fantasy proneness è stata definita da Wilson e Barber (1983) come “l’abilità dei soggetti di immaginare un tema e un relativo scenario che ha alcune caratteristiche di un sogno e altre di un film” (p. 341). I soggetti “fantasiosi” tendono a fantasticare quando sono occupati in operazioni non impegnative e a vivere fantasie al limite dell’allucinazione. Alcuni studi hanno associato la propensione a fantasticare a una serie di comportamenti e tratti di personalità quali la capacità di immaginazione vivida, il maggiore coinvolgimento nella lettura, la recitazione e le arti drammatiche (Lynn e Rhue, 1986). Da un punto di vista evolutivo, le determinanti della propensione a fantasticare sono state individuate nell’incoraggiamento a fantasticare da parte di qualche adulto “rilevante” e nella tendenza a rifugiarsi nelle proprie fantastie per sopperire a problemi psicologici causati da abusi fisici e/o sessuali (Rhue e Lynn, 1987a). Tali correlazioni sono state verificate in una serie di indagini empiriche (Greenwald e Harder, 1997; McNally et al., 2000). La propensione a fantasticare è risultata correlata anche alla vividezza dell’immaginazione e alla suscettibilità all’ipnosi (Lynn e Rhue 1986).

In definitiva, sembra che la propensione a fantasticare sia una forma benigna di disordine dissociativo (Wolfradt e Engelmann, 1999), caratterizzata da una tendenza a sognare a occhi aperti, ma non in forme patologiche. Merckelbach, Horselenberg e Muris (2001) hanno concluso che la propensione a fantasticare e i fenomeni dissociativi condividono una qualche variabilità, ma che il processo che determina tale correlazione non è ancora chiaro.

La propensione a fantasticare è stata inizialmente misurata nella forma di “assorbimento” attraverso la Tellegen Absorption Scale (TAS). Successivamente,

Wilson e Barber (1983) hanno proposto l’Inventory of Childhood Memories (ICMI), costituita da 103 item binari, poi ridotti a 52. Merckelbach, Horselenberg e Muris (2001) hanno poi suggerito che l’ICMI mira a misurare la propensione a fantasticare nei bambini e che sarebbero state necessarie misure più generali della propensione alla fantasia. Gli autori hanno proposto e testato il Creative Experience Questionnaire (CEQ), una scala formata da 25 item binari, che, secondo i ricercatori, ha mostrato buone performance in termini di affidabilità e validità.

È interessante notare che nella letteratura di consumer behavior la fantasia e la propensione a fantasticare hanno ricevuto limitata attenzione. Nonostante lo studio pionieristico di Hirschman e Holbrook (1982) sul consumo esperienziale segnalasse l’immaginazione fantastica come un ambito rilevante del concetto, pochi studi hanno analizzato la relazione tra fantasia e comportamenti esplorativi volti alla ricerca di sensazioni. Tra le eccezioni, McDaniel, Lee e Lim (2001) hanno analizzato le relazioni tra fantasia e ricerca di sensazioni, ricerca del cambiamento e bisogno di cognizione, verificando la significatività di tali legami come funzione del genere.

Sebbene il suo ruolo nel comportamento del consumatore non sia stato adeguatamente esplorato, la propensione alla fantasia rappresenta un tratto della personalità connesso alla creatività degli individui nelle connotazioni più pure. Alcuni studi (Hirschman, 1980; Goldenberg, Lehmann e Mazursky, 2001) suggeriscono che la creatività rappresenterebbe una forma di fantasia applicata a specifici task.

Con riferimento ai modelli di personalizzazione presentati, è possibile ipotizzare che i soggetti più “fantasiosi” preferiscano essere impegnati in processi di intimization, che offrono l’opportunità di dare sfogo alla loro fantasia oltre i vincoli imposti dalla varietà proposta dall’impresa e di manipolare il prodotto inserendo testi e immagini. In tal senso, è possibile ipotizzare che gli individui caratterizzati da un’elevata propensione alla fantasia preferiscano maggiormente i prodotti “intimizzati” rispetto a coloro che mostrano una bassa propensione alla fantasia. In questa direzione, viene proposta l’ipotesi di un’interazione positiva tra propensione alla fantasia e intimization nella valutazione dei prodotti. Formalmente:

H3: La propensione alla fantasia e l’intimization interagiscono positivamente nel

determinare la valutazione dei prodotti

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