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Gli orizzonti e le sfide per l’innovazione nei processi di personalizzazione

direzioni per la ricerca futura

5.2 Gli orizzonti e le sfide per l’innovazione nei processi di personalizzazione

I modelli di personalizzazione dell’offerta, con particolare riferimento a quelli che prevedono il coinvolgimento del cliente nelle fasi di sviluppo del prodotto, costituiscono un campo di sperimentazione ideale per l’innovazione collaborativa (Prandelli e Verona, 2006a). L’utilizzo di strumenti digitali in grado di rendere il cliente partecipe dello sviluppo del prodotto presenta, infatti, opportunità non solo legate alla realizzazione di una value proposition altamente customizzata e coinvolgente, ma anche riguardanti una serie di potenziali idee e prototipi da sottoporre a ulteriori test finalizzati al lancio su larga scala.

In tal senso, i modelli partecipativi di personalizzazione permettono di potenziare le fasi del processo di sviluppo dei nuovi prodotti che l’avvento delle ICT ha reso più efficaci ed efficienti. Prandelli, Verona e Raccagni (2006) hanno chiarito come gli strumenti digitali permettano di arricchire le fasi di sviluppo dell’innovazione, dalla generazione delle nuove idee (ad esempio, tramite servizi on line di contatto con l’impresa o le classiche suggestion box), alla selezione di quelle più promettenti e al test del concetto di nuovo prodotto (ad esempio, tramite concept test virtuali), fino al disegno e al lancio dell’innovazione. In particolare, la fase di product design può ottenere stimoli importanti dalle realizzazioni virtuali definite dai clienti attraverso i tool di personalizzazione dinamici come quelli utilizzati da Fiat 500, Nikeid e Converse. I progetti disegnati dal singolo cliente, infatti, possono essere valutati formalmente – attraverso panel di esperti e di potenziali clienti di massa – per verificarne l’adozione come variante “ufficiale” della linea di prodotto per il mainstream. In tal modo, è possibile realizzare le direzioni della strategia duale (Valdani, 2000) per mezzo di modelli di personalizzazione collaborativa.

La ricezione di stimoli sui prodotti è connessa ai modelli di personalizzazione in cui il cliente può gestire la varietà attraverso strumenti di interazione dinamici. La customerization e la co-creation, quindi, rappresentano gli approcci che possono potenzialmente offrire le maggiori opportunità in questa direzione alle imprese orientate alla personalizzazione dell’offerta.

Dal punto di vista della gestione dell’innovazione, è utile ribadire che i risultati degli studi presentati nel capitolo 4 segnalano come i soggetti più creativi e fantasiosi tendano a preferire l’intimization quale modello di personalizzazione. Le interazioni tra intimization e i tratti legati alle scelte creative di anticonformismo e alla propensione alla fantasia segnalano, infatti, una connessione rilevante tra la creatività

degli individui (Hirschman, 1980; Cillo, 2004) e questo modello di personalizzazione. Nelle pratiche di intimization, il cliente sembra investito di un ruolo “creativamente attivo”, dal momento che gli viene richiesto un apporto al processo di personalizzazione non solo in termini di coinvolgimento emotivo e partecipativo, ma anche di idee e creatività manifestate con la manipolazione dei prodotti personalizzati fino all’integrazione di segni e simboli strettamente individuali. Esistono, quindi, significative relazioni tra intimization e gestione dell’innovazione guidata dal cliente (Thomke e von Hippel, 2002; Prandelli e Verona, 2006a).

I clienti creativi sono molto spesso diversi, per caratteristiche, motivazioni e competenze, dai cosiddetti lead user (von Hippel, 1986), che hanno da sempre rappresentato la categoria di consumatori più interessanti per la gestione dell’innovazione. In effetti, secondo Berthon et al. (2007), i clienti creativi differiscono dai lead user rispetto ad almeno quattro aspetti:

- i clienti creativi lavorano con qualsiasi tipo di prodotto, non solo con quelli nuovi o avanzati tecnologicamente; spesso, i clienti creativi utilizzano, ri- adattano, ri-pensano prodotti vintage (si pensi alle manipolazioni effettuate da clienti creativi su vecchi modelli di auto e moto) o non accessoriati per avere libertà di esprimere la loro fantasia al di fuori degli schemi imposti dalle imprese;

- i clienti creativi non mirano a soddisfare bisogni che diventeranno successivamente generali – come succede per i lead user nella prospettiva della curva di Rogers (Rogers, 1962; von Hippel, 1986); diversamente, i clienti creativi possono interessarsi a prodotti finalizzati a soddisfare bisogni idiosincratici o di nicchia (si pensi alla realizzazione di software per soddisfare specifici bisogni del “creativo” o per ottenere riconoscimento sociale nella comunità di riferimento);

- i clienti creativi non ottengono necessariamente benefici diretti dalle loro innovazioni, sebbene possano giovarsi di capitale simbolico (Bourdieu, 1986) nella forma di reputazione, ringraziamenti, riconoscimenti sociali;

- i clienti creativi manipolano i prodotti in modo autonomo e non controllato, mentre le imprese tendono a coinvolgere i lead user in processi di sviluppo dell’innovazione formalizzati.

La flessibilità comunicativa generata dalle ICT ha comportato un aumento dei fenomeni di creatività applicata da parte dei clienti. In particolare, la diffusione dei saperi tramite gli strumenti digitali, la malleabilità dei software, la connettività e un generale shift culturale verso l’alto permettono a gruppi di clienti creativi di sviluppare e sperimentare nuove idee con finalità non necessariamente funzionali al soddisfacimento di bisogni connessi al prodotto, quanto per il perseguimento di fini reputazionali e sociali.

Berthon et al. (2007) citano alcuni casi emblematici delle diverse prospettive adottate dalle imprese rispetto alle manipolazioni proposte dai clienti creativi. In merito, gli autori propongono una tipologia di orientamenti che mira a descrivere le alternative strategiche per le imprese che si confrontano con clienti, a volte, “pericolosamente” creativi. La tipologia di Berthon et al. (2007) considera le

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dimensioni dell’atteggiamento (positivo vs. negativo) e dell’orientamento operativo (attivo vs. passivo) dell’impresa verso i clienti creativi (figura 5.6). Le imprese che assumono un atteggiamento positivo e un orientamento attivo abilitano i clienti creativi alla realizzazione di nuovi prodotti e facilitano i loro sforzi. La BBC ha scoperto che alcuni clienti creativi sono stati capaci di appropriarsi e utilizzare alcuni contenuti dal suo sito. Piuttosto che attivare comportamenti restrittivi, l’emittente britannica ha facilitato la fruizione di tali contenuti tramite software e tool dedicati, offrendo un nuovo servizio ai clienti più creativi. Un simile approccio è stato seguito dalla Valve, una software house che, alle prese con alcuni hacker volti a “decifrare” il gioco “Half-Life”, ha deciso di rilasciare il codice dello stesso, dando vita a “Counter-strike”, uno dei più grandi successi tra i giochi on line.

Atteggiamento verso i clienti creativi

Negativo Positivo

Attivo (FedEx, Sony) Resistere (BBC, Valve) Abilitare Orientamento

operativo verso i clienti

creativi

Passivo (PSP, Gameboy) Scoraggiare (Toyota, Skype) Incoraggiare

Figura 5.6 La tipologia di Berthon et al. (2007) sugli approcci verso i clienti creativi

Le imprese che assumono un atteggiamento positivo e un orientamento passivo incoraggiano i clienti creativi alla realizzazione di nuovi prodotti, evitando di creare ostacoli, ma non offrendo supporto. Le grandi case automobilistiche, come Toyota, hanno spesso accolto con favore le modifiche sperimentate da clienti creativi, interpretandole come occasioni per migliorare la reputazione e il valore della marca, ma non hanno mai attivato processi di supporto a tali pratiche. Skype, il popolare software di comunicazione on line, ha recentemente mostrato interesse per l’uso sincronizzato del suo prodotto a fini di broadcasting radiofonico (Biever, 2005), ma non ha promosso un tale utilizzo innovativo in alcun modo.

Le imprese che assumono un atteggiamento negativo e un orientamento attivo resistono alle azioni dei clienti creativi, tramite azioni legali e comportamenti ostruzionistici. FedEx ha citato il computer developer Josè Avila nel momento in cui

quest’ultimo ha inserito sul sito www.fedexfurniture.com immagini del suo arredamento creativo composto da scatole dell’impresa. Sony ha citato in giudizio alcuni clienti che hanno modificato il software di AiboPet, un cane robot capace di compiere una serie di azioni basilari, la cui varietà era stata ampliata dall’intervento creativo di alcuni acquirenti.

Infine, le imprese che assumono un atteggiamento negativo e un orientamento passivo scoraggiano le azioni dei clienti creativi, anche se, di fatto, tollerano manipolazioni dei propri prodotti. Le imprese produttrici di consolle per video-giochi, come Sony PSP e Nintendo Gameboy, subiscono passivamente gli interventi sui software applicati da clienti creativi, presentando comunicati stampa che manifestano contrarietà a tali pratiche, ma che non generano ostacoli alla manipolazione creativa dei prodotti.

Berthon et al. (2007) suggeriscono che la scelta sull’approccio da seguire dipende dalle fasi di consapevolezza e analisi del fenomeno che, in molti business, soprattutto quelli a elevato contenuto digitale, sono in forte crescita. È evidente che la risposta dell’impresa deve considerare le implicazioni per il revenue model, ma anche per la reputazione e le risorse fiduciarie, che potrebbero essere seriamente intaccate da soluzioni eccessivamente eterodosse e visibili. È interessante notare che alcune imprese hanno ottenuto dal fenomeno in atto indicazioni preziose per l’innovazione di prodotto e di marketing. In tal senso, i casi di BBC e Valve, oltre alle opportunità da esplorare sullo Skype-casting, sono emblematici delle implicazioni relative alla collaborative innovation.

Le considerazioni mosse con riferimento ai clienti creativi sembrano particolarmente legate al modello dell’intimization. Come detto, nell’applicazione di questo approccio, i clienti manipolano il prodotto con i propri segni e simboli e, in molti casi, possono generare idee e contenuti innovativi. Rispetto a quanto detto nel paragrafo precedente, è possibile riscontrare casi di imprese che facilitano e stimolano le pratiche di intimization in quanto core benefit proposto ai clienti (e.g., eshirt.it); altre, invece, scoraggiano e limitano il potenziale di intimization per evitare competizione con i propri loghi (e.g., Nike, Converse). Emergono, poi, alcuni casi interessanti di iniziative volte a indirizzare le pratiche di intimization dei clienti creativi verso applicazioni commerciali.

Zandegù Editore ha lanciato recentemente un’iniziativa di intimization finalizzata al successivo sfruttamento commerciale della creatività dei clienti. Il romanzo “Testa di pietra” di Matteo De Simone è stato edito, nella prima edizione, con una copertina completamente bianca, lasciando il compito al lettore di disegnare la sua cover personalizzata. In particolare, i lettori più creativi sono stati invitati a inviare le loro copertine, realizzate sulla base dell’interpretazione personale del romanzo, alla casa editrice, che avrebbe pubblicato la seconda edizione del libro utilizzando le dieci copertine più interessanti. Il concorso, scaduto nel gennaio 2008, ha previsto la comunicazione dei vincitori sul sito di Zandegù; queste copertine saranno utilizzate per le successive edizioni del romanzo.

Anche imprese molto popolari cooptano i clienti creativi per ottenere indicazioni per l’innovazione. Pepsi ha creato il sito designourpepsi.com (figura 5.7) per coinvolgere i clienti più creativi nel disegno delle nuove lattine di Pepsi tramite un

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concorso a premi dedicato. In pratica, si chiede ai clienti di disegnare la loro personale interpretazione della lattina, ottenendo stimoli per l’innovazione e capitale relazionale derivanti dalla partecipazione all’operazione di soggetti particolarmente rilevanti per le future opzioni strategiche di sviluppo. Un simile approccio è seguito da Volvo, che ha lanciato nel 2003 il Volvo concept lab, un ritrovo virtuale in cui i clienti creativi possono interagire con i designer della casa automobilistica svedese per modificare e creare nuovi modelli.

L’emittente televisiva Italia 1 ha, di fatto, applicato la strategia abilitante segnalata da Berthon et al. (2007), proponendo ai clienti di filmare il proprio spot da 3 secondi utilizzando il noto pay-off dell’azienda in una situazione personale particolarmente divertente.

Figura 5.7 L’innovazione collaborativa di Pepsi

Il concorso, “6 come 6”, ha riscosso un grande successo pur non predisponendo premi, a conferma dell’assunzione citata in precedenza secondo cui i clienti creativi tendono a ricercare soddisfazione in termini di reputazione e di benefici sociali, piuttosto che di ricompense monetarie. L’impresa ha ottenuto dall’applicazione di questa pratica una lunga serie di mini-spot da utilizzare liberamente, oltre a una serie di benefici in termini di immagine.

Recentemente, Honda ha lanciato un concorso legato al nuovo spot pubblicitario per il modello SH. In questo caso, è prevista la pubblicazione dei migliori spot sul sito dedicato, oltre che un premio in tema per il vincitore assoluto (una moto Honda SH300i con bauletto). I clienti sono stati invitati a girare un filmato da 20 secondi in cui risalti l’uso del modello SH in città.

Alla luce degli esempi riportati, è possibile trarre alcune conclusioni. Appare evidente che la personalizzazione collaborativa possa offrire spunti per l’innovazione

di prodotto e di design se replicabili e non completamente idiosincratici rispetto al singolo cliente. Dalle pratiche di integrazione del prodotto con segni e simboli indissolubilmente legati al vissuto del cliente è possibile ottenere indicazioni per l’innovazione legate al processo di personalizzazione o a categorie di elementi differenzianti. Si pensi alla t-shirt integrata con l’immagine del proprio bambino. Quello specifico segno non può essere perfettamente replicato su prodotti da destinare al mercato di massa, ma può essere proposto come tipo di personalizzazione, inserendo nella comunicazione delle opportunità di intimization “l’integrazione del prodotto con immagini dei tuoi cari”.

Un simbolo, un contenuto o un segno creato dal cliente con “materiale” proprio può diventare innovazione di prodotto o design nel senso pieno del termine se è possibile replicare quel contenuto ed estenderne l’adozione al mercato di massa. Si pensi alla creazione di un logo da inserire sulla propria t-shirt che mostri potenzialità di astrazione simbolica tali da poter essere esteso a intere linee di prodotti.

In sintesi, mentre la customerization e la co-creation possono offrire spunti per l’innovazione finalizzati alla realizzazione di esemplari di prodotto, entro la varietà prefigurata dall’impresa, da proporre al mercato di massa (e.g., caso Nikeid), l’intimization può essere utilmente applicata per ottenere indicazioni creative su leve di prodotto (e.g., caso Zandegù) e di comunicazione (e.g., caso Honda SH) completamente nuove. Appare evidente che quest’ultimo caso cela opportunità legate allo sviluppo della reputation e al potenziamento dell’immagine dell’impresa, ma anche una serie di potenziali rischi legati alla commistione tra i segni distintivi dell’impresa (e.g., brand, logo) e i simboli dei clienti.

5.3 L’evoluzione delle teorie sulla differenziazione: il post-

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