GEORGE DENNIS: DIPLOMATICO, VIAGGIATORE, ARCHEOLOGO
I. 3. Introduzione ai viaggi in Etruria di George Dennis: l’“effetto domino” che porta alla riscoperta degli Etrusch
Quando, nella primavera del 1842, George Dennis decise di iniziare il suo primo tour nell’Etruria, furono due gli avvenimenti importanti che lo portarono – secondo una sorta di “effetto domino” – a interessarsi agli antichi abitanti di quei luoghi.
Il primo fu l’allestimento a Londra, nel 1837, da parte dei fratelli Campanari di Tuscania, della prima grande mostra sugli Etruschi, che entusiasmò e affascinò la società inglese amante del collezionismo antiquario. Il secondo fu, due anni più tardi, il successo dell’opera Tour to the Sepulchres of Etruria in 1839 di Elizabeth Caroline Hamilton Gray, la quale, stimolata dalla mostra stessa dei Campanari, aveva deciso di effettuare un tour dell’Etruria194. Soprattutto la pubblicazione
del libro della Gray, contenente – secondo Dennis – indicazioni e notizie sbagliate e incomplete, o scarsamente dettagliate e scientificamente poco puntuali, faranno nascere nel futuro console lo stimolo per iniziare quell’avventura che gli consentirà di “mettere a tacere le chiacchiere della signora e colmare i vuoti lasciati da quest’ultima”.
Le vicende della famiglia Campanari di Tuscania erano state importantissime per generare un forte impulso alla nascente archeologia. La storia di questa famiglia di scavatori e mercanti d’arte ruota, principalmente, attorno a due generazioni e quattro personaggi: Vincenzo Campanari e i suoi tre figli, Carlo, Secondiano e Domenico.
Vincenzo (1772 - 1840) fu “archeologo” e poeta, di famiglia benestante e dedita da sempre all’agricoltura e all’allevamento. A prendersi cura di lui dopo la scomparsa dei genitori era stata una zia materna che lo aveva avviato, sotto la guida del professor Francesco Mori, agli studi presso il Seminario di Viterbo.
Vincenzo rivelò fin da subito la sua indole geniale: oltre agli studi letterari, approfondì la conoscenza della matematica, della fisica e della teologia. Lasciato il seminario, tornò a vivere a Tuscania, dove cominciò a interessarsi alla storia dell’arte e soprattutto alle antichità. A ventidue anni iniziò a prendere parte attiva nella vita amministrativa locale fin quando, qualche anno dopo, con il formarsi della Prima Repubblica Romana, preferì farsi da parte. Proprio in questo periodo sposò Matilde Persiani, figlia del marchese Giovanfrancesco, amministratore della nobile famiglia dei marchesi Consalvi.
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Qualche anno dopo, sotto il restaurato Governo Pontificio riprese, insieme al suocero, la partecipazione alla vita amministrativa di Tuscania, esercitando anche l’ufficio di segretario comunale fino all’avvento dell’Impero napoleonico (1809-1814). Nel 1812 perse la moglie Matilde, dalla quale aveva avuto sei figli, solo tre dei quali sopravvissero: Carlo (1800 - 1871), Secondiano (1805 - 1855) e Domenico (1808 - 1876), che condivideranno con lui l’interesse e la passione per l’etruscologia e gli scavi archeologici.
A partire dal 1824 Vincenzo Campanari e i suoi figli cominciarono a occuparsi costantemente di attività di scavi nella Tuscia ed ebbero l’idea di realizzare a Roma un Museo specializzato in reperti etruschi.
Negli anni del primo Ottocento i reperti etruschi erano ancora scarsi e apprezzati soltanto da pochi intenditori. Fu Campanari a insistere per intraprendere intense campagne di scavo che porteranno alla luce moltissimo materiale che anni dopo confluirà nel Museo Etrusco Gregoriano (inaugurato il 2 febbraio 1837), nel quale l’idea del museo specialistico di Campanari troverà concretezza.
La prima campagna fu quella del 1829, alla ricerca della antica città di Vulci, nell’odierno territorio del comune di Montalto di Castro, riguardo alla conduzione della quale abbiamo una non lusinghiera testimonianza da parte dello stesso Dennis:
Alla bocca del pozzo in cui gli operai lavoravano, stava il “capo” o guardiano: il fucile al fianco stava a indicare agli uomini di fare attenzione a non rompere e a non rubare gli oggetti. Li trovammo che stavano aprendo una tomba. Il tetto, come di frequente di tufo leggero e friabile, era caduto e la tomba era piena di terra, e gli oggetti che conteneva dovevano essere estratti fuori con fatica, uno alla volta. Questo è generalmente un procedimento che richiede grande cura e attenzione e di queste lì se ne usavano poche, quando, dai primi oggetti portati alla luce, si vedeva che non c’era da aspettarsi nulla di grande valore: hoc miserae plebi stabat sepulcrum. […] il nostro stupore fu pari solo all’indignazione quando vedemmo gli operai fracassarli sul terreno appena li tiravano fuori, e frantumarli sotto i piedi come cose di nessunissimo valore. Invano scongiurai di salvarne qualcuno dalla distruzione; poiché quegli oggetti, anche se invendibili, erano spesso curiosi ed eleganti di forma e avevano valore come reliquie del tempo antico; ma no, era tutta “roba di sciocchezza”: il “capo” era inesorabile; i suoi ordini erano di distruggere immediatamente tutto ciò che non aveva valore pecuniario, e non poteva permettermi di portare via una di queste reliquie che tanto disprezzava. È deplorevole che gli scavi debbano essere condotti con tale disposizione d’animo; con il solo scopo del guadagno, senza riguardo per il progresso della scienza195.
Dagli scavi emerse un’ingente quantità di oggetti in oro e in bronzo e capolavori di ceramica attica. A questo proposito è interessante la descrizione fatta da Carlo Campanari (Diario di Roma
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dell’11 ottobre 1834, p. 4) circa il rinvenimento del famoso vaso di Exekias trovato nella camera centrale di una tomba già depredata in precedenza da altri scavatori e sulle modalità del suo recupero:
il sepolcro, in cui il vaso fu rinvenuto, era come gli altri scavato nel tufo, ed alla profondità di circa 15 palmi. Vi si discendeva col mezzo di una strada parimente incavata nello stesso tufo larga circa palmi 4, che metteva ad un vestibolo quadrilatero, nella cui faccia di fronte alla strada esistevano tre porte, che davano adito a tre distinte camerette sepolcrali. Le porte eran chiuse secondo il solito con una grande pietra che ne impediva l’ingresso; ma queste pietre erano state spezzate in un angolo; ciò che diede chiaramente a conoscere che quel sepolcro ancora, siccome tutti gli altri, era stato già frugato e spogliato dagli antichi ricercatori. Le camere, che non differivano dalla forma e nella grandezza dalle solite di quel sepolcro, furono trovate prive affatto di oggetti, e soltanto vicino alla porta della camera di mezzo rovesciato il gran vaso, che forse volevasi di là estrarre, ma che fu poscia abbandonato nel luogo stesso da quei ricercatori per non darsi gran fatto pena in quell’operazione: perciocché sarebbe stato mestiere d’ingrandire maggiormente il foro della gran pietra, che chiudeva l’adito della grotta, e di farlo ascendere da una profondità di 15 palmi avevano quegli espillatori de’ sepolcri, che ricercarne gli ori e gli oggetti preziosi, siccome facili ad esportarsi, e di pronto e sicuro guadagno, così per quanto bello paresse anche a coloro quel vaso, cui si provarono di toglier via, la difficoltà che v’era di mezzo a poterlo fare con sicurezza e sollecitudine li decise a lasciarlo.
Vincenzo Campanari mantenne il diritto di scavo a Vulci, di cui si sentiva lo scopritore, fino al 1837, facendo altre interessanti e importanti scoperte: tra le tante quella che sarà nominata la tomba Campanari, una delle poche tombe dipinte del luogo.
Dopo essere stato in società con altri archeologi, i Candelori e il Fossati, tre anni prima Campanari aveva fondato insieme ai figli, al fine di dare legalità alla propria attività di scavo, la Società Campanari-Governo Pontificio che fruttò notevoli risultati sia per la famiglia sia per il governo.
Gli scavi condotti dalla nuova società erano iniziati nel dicembre 1834. I lavori
erano diretti in prima persona da Vincenzo Campanari, mentre la Commissione Consultiva di Antichità e Belle Arti aveva la facoltà di intervenire con indicazioni e suggerimenti, per tutelare gli interessi delle due parti e per guidare le operazioni erano presenti sul posto Domenico Campanari ed Artidoro Buontromboni; quest’ultimo nominato direttamente dal Pontefice come supervisore di parte. […] La divisione del materiale archeologico non avvenne alla fine di ogni campagna di scavo, ma in diversi momenti. […] Un comportamento anomalo, rispetto alla bozza del contratto che prevedeva la spartizione del materiale al termine dei tre anni di scavo, da mettere probabilmente in rapporto con la affrettata apertura del Museo Gregoriano Etrusco196.
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Nel frattempo il figlio Domenico aveva aperto nella capitale inglese una bottega d’arte, che aveva contribuito ad accrescere la notorietà dei Campanari in Inghilterra e nel mondo, mentre, sempre più o meno negli stessi anni il fratello Secondiano aveva pubblicato a Roma i resoconti degli scavi nei periodici più prestigiosi delle Accademie romane.
La mostra di Londra fu allestita nel quartiere di Pall Mall, e inaugurata nel gennaio 1837. Il poeta Samuel Rogers la definì come l’evento più interessante per l’archeologia e la filologia mai visto in città dai tempi di quella egizia organizzata da Belzoni197 nella Egyptian Hall di Piccadilly tra
il 1821 e il 1822.
La documentazione esistente, composta dagli articoli di giornale che Domenico aveva raccolto e poi spedito in Italia alla famiglia e che oggi si trovano nel Fondo Campanari, è testimonianza del successo della mostra, frutto anche dell’organizzazione, del tutto innovativa per l’epoca: vennero ricostruite camere sepolcrali con il loro apparato architettonico e decorativo per accogliere gli oggetti di corredo (che erano messi in vendita) permettendo al visitatore di entrare in contatto diretto con un popolo che fino ad allora non era stato mai conosciuto a fondo e con
un materiale di grande ricchezza e, certamente sconosciuto al pubblico inglese. Vennero meticolosamente e sapientemente ricostruite 11 tombe […] con i sarcofagi, vasi, armi e suppellettili collocati con estrema cura al loro posto. […] Il successo di pubblico e di critica, non facilmente prevedibile per la novità che si esponeva, fu, al contrario, estremamente lusinghiero. Numerosi furono i visitatori e varie pubblicazioni periodiche e quotidiani, tra i quali il prestigioso Times, […] dedicarono lunghi e positivi commenti all’iniziativa dei Campanari. Il successo fu praticamente sancito quando, a chiusura della mostra, il Trustees del British Museum decise l’acquisto della maggior parte del materiale della mostra degli antiquari di Toscanella, che andò a costituire il nucleo originario della collezione etrusca dello stesso museo198.
197 Giovanni Battista Belzoni (1778 - 1823), esploratore e avventuriero, personalità singolare, fu tra i primi esploratori
dell’Egitto e delle sue antichità. Attraverso le sue ricerche numerose e importanti opere d’arte dell’antico Egitto andarono a riempire collezioni e musei d’Europa, facendo conoscere al grande pubblico il fascino dell’antica civiltà. Nel 1815, durante un soggiorno nell’isola di Malta venne a sapere che il viceré d’Egitto, Mohammed Ali, era alla ricerca di nuove soluzioni idrauliche per risolvere problemi legati all’irrigazione. Si decise così a partire per il paese africano per mettere a disposizione le sue conoscenze nel settore. Fu l’inizio di una nuova vita. Nel 1819 Belzoni fece ritorno in Inghilterra, avendo procurato al British Museum importanti monumenti egizi, grazie ai quali la modesta collezione egizia era diventata molto importante. Altri cimeli vennero dati a Cambridge, a Bruxelles, a Padova. La relazione dei suoi viaggi fu scritta in inglese in quegli stessi anni, corredata da un bellissimo volume di tavole (Narrative of the Operations and Recent Discoveries within the Pyramids, Temples, Tombs and Excavations in Egypt
and Nubia, 1820). Il racconto ebbe un notevole successo, così come la mostra – allestita nella Egyptian Hall di
Piccadilly – dei calchi grafici tratti dalla tomba di Sethi I. Ai primi del 1823 Belzoni partì nuovamente per l’Africa per conto dell’Associazione africana con sede a Londra. Nel dicembre dello stesso anno, mentre si trovava nel Benin morì, colpito da malattia.
198 Biblioteca etrusca, Fonti letterarie e figurative tra XVIII e XIX secolo nella biblioteca dell’istituto nazionale di archeologia e storia dell’arte, Roma, Accademia dei Lincei Villa della Farnesina, 5 dicembre 1985 - 5 gennaio 1986, p.
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A ulteriore dimostrazione dell’importanza di questo evento, pare che si possa annoverare anche un sonetto199 composto proprio per l’occasione da William Wordsworth:
On Roman Antiquities
How profitless the relies that we cull Troubling the last holds of ambitious Rome Unless they chasten fancies that presume Too high, and idle agitations cull.
Of the worlds flatteries, if the brain be full To have no seat for thought, were better doom Like you old helmet or the eyeless skull Of him who gloried in it’s nodding plume.
Heaven out of sigh, our wishes what are the Or fond regrest, tenacious in their group The sages theory, the poets’ly?
Here fibulae, without a robe to claps Obsolete lamps whose light no time recalls Urns without ashs, tearless lacrimals.
Dopo la chiusura della mostra Carlo e Domenico restarono a Londra per occuparsi della vendita dei materiali.
Nel gennaio del 1839 i Campanari scoprirono nei pressi di Tuscania la tomba dei Vipinana, ricca di ventisette sarcofagi in nenfro con molte iscrizioni e svariate suppellettili. È da questa scoperta che nacque il famoso Giardino Campanari, che George Dennis ebbe modo di visitare e del quale lascerà una descrizione:
A quel tempo Toscanella era interessante come residenza dei fratelli Campanari, i cui nomi sono conosciuti in tutta Europa, dovunque sia penetrato l’amore per l’antichità etrusca. I due fratelli che ho conosciuto non ci sono più, ma io ricordo con rispetto e gratitudine le molte ore piacevoli e proficue passate in loro compagnia e colgo l’occasione per rivolgere un commosso tributo alla loro memoria. […] Oltre la loro compagnia che rendeva in quel periodo Toscanella una località di grande interesse per l’antiquario, questi signori possedevano molte cose ricche e rare da offrire alle attenzioni del viaggiatore: il prodotto dei loro scavi. La loro casa era un museo di antichità etrusche. Nel vestibolo vi erano parecchi sarcofagi di pietra con figure reclinate sui coperchi e alle pareti erano incastonati diversi bassorilievi di terracotta. Il giardino è un luogo singolarissimo. Sembrava di essere
199 Il sonetto con firma autografa, si trova insieme ad altri due (uno a firma Vincenzo Campanari e l’altro Iacopo
Vittorelli) in un foglio facente parte del purtroppo esiguo Fondo Campanari conservato nella Biblioteca comunale di Tuscania. Secondo Manuela Cascianelli sarebbe stato composto in occasione della mostra di Pall Mall (Cfr. M. Cascianelli, F. Ricci (a cura di), Quaderni II, Il fondo Campanari nella biblioteca di Tuscania, Roma, Edizioni Quasar di Severino Tognon, 2004).
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trasportati in qualche scena di un racconto arabo fantastico, dove tutti i personaggi erano trasformati in pietra, o se ne stavano lì incantati, aspettando il tocco della bacchetta di un mago che li richiamasse alla vita attiva. […] Nel muro del giardino c’era un ingresso di aspetto etrusco, circondato da modanature, e sormontato da una cornice che mostrava la formula ECASUTHINESL in caratteri etruschi: il tutto proveniente da una tomba vera. La porta si apriva in quello che sembrava un sepolcro etrusco, ma in realtà si trattava di una grotta costruita in modo da imitare la tomba accennata, e completata con gli stessi oggetti e sarcofagi, sistemati pressappoco nello stesso modo in cui furono scoperti200.
Anche il mistero della lingua non mancò di affascinare i Campanari, che come testimoniano i diversi fogli sparsi nei fascicoli del Fondo familiare, in più di un’occasione si cimentarono nella trascrizione di alcune epigrafi, talvolta tentandone loro stessi una traduzione oppure chiedendo l’altrui aiuto, come rilevabile dai vari appunti e dalla corrispondenza intercorsa con studiosi coevi.
Prima di Dennis, tra i visitatori del Giardino, ospiti di Carlo, c’era stata la signora Elizabeth Hamilton Gray, giornalista inglese, la cui opera Tour of the Sepulchres of Etruria in 1839 rappresenta – come già accennato – il secondo fattore di quell’effetto domino che stimolerà l’interesse di Dennis per l’Etruria:
Tour to the Sepulchres of Etruria in 1839 (3 edizioni, 1840-43). Quest’opera, vivace ma
semplicistica, non solo ebbe un grande successo di pubblico, ma indusse George Dennis a scrivere (come correttivo alle simpatiche chiacchiere di Mrs Gray) il suo libro sulla civiltà etrusca, che sarebbe diventato il più importante studio sull’argomento pubblicato in inglese nel XIX secolo201.
Stimolata a sua volta dalla mostra di Pall Mall, Elizabeth Hamilton Gray si era recata in Italia insieme al marito all’inizio del 1838.
Giunti a Roma i coniugi Gray avevano frequentato diverse lezioni presso l’Instituto di Corrispondenza Archeologica (riportate in un piccolo taccuino dove il reverendo Hamilton Gray prendeva appunti, che è tuttora conservato alla National Library of Scotland come parte di Acc. 8100, 154), dove avevano conosciuto e stretto amicizia con il neoeletto Segretario generale August Kestner, ministro Hannover alla corte di Roma e con alcuni dei più importanti esponenti tedeschi del mondo archeologico, tra cui il barone von Bunsen, l’egittologo Carl Richard Lepsius, Emil Braun e Wilhelm e Heinrich Abeken.
Al suo ritorno in Inghilterra la signora Hamilton Gray si mise a scrivere un resoconto del tour: Tour to the Sepulchres of Etruria in 1839, che venne pubblicato nel 1841. Le descrizioni delle collezioni e dei siti visitati si rivelarono vivaci e molto istruttive, alternandosi anche con
200 G. Dennis, Città e necropoli, Vol. I, pp. 592-593. 201
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informazioni e commenti su questioni storiche e sui tipi di manufatti etruschi, e il volume venne recensito in modo favorevole202.
L’unica voce fuori dal coro sarà quella di George Dennis che, nel 1844, per il numero di novembre del Dublin University Magazine, scriverà una recensione molto pungente, nella quale, dopo avere ironicamente ringraziato la donna per essere stata la prima a “rompere con l’aratro un terreno incolto e permettere a mani più abili di coltivarlo cavandone un raccolto d’oro”203
, ne criticherà apertamente l’opera per l’incompletezza e la mancanza di alcune descrizioni e per il fatto di essere insoddisfacente anche come guida204.
Queste stesse critiche saranno riportate tra le righe della Prefazione, che tra l’altro conserverà immutata anche nelle edizioni successive, a The Cities and Cemeteries of Etruria:
Pochi inglesi, eminenti per classe sociale o per ricchezza di cultura, sono stati virtualmente al corrente di questo argomento; e fino alla comparsa del lavoro della signora Hamilton Gray sui Sepolcri d’Etruria la gran massa del pubblico era in uno stato di profonda ignoranza o indifferenza. Questa signora merita ogni lode per avere portato per prima l’Etruria a conoscenza dei suoi conterranei, e per avere, in grazia del suo stile e capacità della sua fantasia, reso un argomento così proverbialmente arido e ostico come è lo studio delle Antichità, non solo accessibile ma fortemente attraente. Il suo lavoro, comunque, è lungi dall’essere soddisfacente, come dichiareranno tutti coloro che l’hanno adoperato come guida; infatti vi sono molte località di grande interesse che non sono state descritte, e in alcune di quelle descritte mancano monumenti di grande importanza che sono stati scoperti in epoche successive. È per supplire a tali manchevolezze che io presento questi volumi al pubblico. Io spero di accrescere e inoltre di soddisfare l’interesse e la curiosità che la signora ha stimolato nei confronti del misterioso popolo a cui l’Italia deve la sua prima civiltà205
.
Unitamente all’interesse suscitato dalla mostra londinese dei Campanari, fu dunque la fallacità dell’opera della Gray a spingere Dennis a recarsi in Etruria per occuparsi dei resti della sua antica civiltà.
Dopo essersi ben preparato – da perfetto grand-tourist – su Livio e altri autori classici, nell’aprile del 1842, il gentiluomo partì dalla sua dimora inglese, grazie anche al permesso speciale ottenuto dall’Excise Office. Giunto in Italia, a Roma istituì un sodalizio con il disegnatore e pittore
202 Cfr. The Edinburgh Review 73, no. 147, Aprile 1841, pp 121-151; cfr. The London Quarterly 68, 1841, pp. 202-212;
cfr. Monthly Review 1, 1841, pp. 59-67.
203 Cfr. E. C. Hamilton Gray, History of Etruria, Part I, London, J. Hatchard and Son, 187, Piccadilly, 1843-1844, p. 2. 204 Cfr. G. Dennis, Mrs. Hamilton Gray’s Works on Etruria, in The Dublin University Magazine, Vol. XXIV, no.
CXLIII, novembre 1844, pp. 527-543.
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Samuel J. Ainsley206, che si rivelerà fruttuoso per The Cities and Cemeteries of Etruria. Infatti la
prima edizione dell’opera del 1848 sarà arricchita da disegni e incisioni di quest’ultimo. La proficua collaborazione cesserà a causa di un probabile litigio207
– tanto che le altre edizioni recheranno per lo più immagini di pugno di Dennis e fotografie – anche se il compilatore