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Uno sguardo all’Italia: patria degli Etruschi, delle antichità, del collezionismo e dell’arte

ABILI MERCANTI E CICERONI NEL CUORE DELL’ETRURIA

II. 1. Uno sguardo all’Italia: patria degli Etruschi, delle antichità, del collezionismo e dell’arte

Nel corso del XVIII secolo i riferimenti al mondo etrusco riscontrabili nei libri di viaggio e nelle relazioni dei viaggiatori stranieri in Italia sono molto pochi; si riscontrano solo delle scarse annotazioni che si limitano a indicare l’origine etrusca delle località.

Tranne poche eccezioni, si ha come l’impressione che gli Etruschi, o meglio i loro siti, non rientrassero inizialmente negli itinerari dei grand-tourists.

Le poche eccezioni riscontrabili – prima che comparissero sulla scena quei ciceroni inglesi che convogliarono i viaggiatori tra le antichità d’Italia – sono quelle di tre viaggiatori francesi: Labat, Barthélemy e Lalande.

Il parigino Jean Baptiste Labat (1663 - 1738), avventuroso padre domenicano, nel 1705 e nel 1707, dopo essere rientrato dalle sue missioni nelle Antille, effettuò due viaggi in Italia, di cui troviamo la descrizione nel suo Voyages en Espagne et en Italie, pubblicato in Francia nel 1730. In quest’opera, dedicata quasi completamente all’Italia, descrive in modo piacevole usi e costumi del Bel Paese, soffermandosi, a conferma dell’abitudine dei viaggiatori francesi, a esprimere giudizi sull’assetto politico e istituzionale dei vari stati della penisola.

L’aspetto più interessante dell’esperienza di Labat in Italia, in questo caso, è sicuramente l’incontro con il mondo etrusco: un incontro fortunoso, ma che ha prodotto – vista l’attenzione di questo viaggiatore a registrare nel dettaglio tutto ciò che guardava con meraviglia – quella che può considerarsi la prima vera descrizione delle tombe etrusche di Corneto.

Era l’aprile del 1711, Labat racconta che durante una lunga sosta a Civitavecchia aveva avuto modo di fare conoscenza con il vescovo della città, insieme al quale ebbe l’occasione di fare una escursione nella vicina Corneto.

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Un mercoledì un maestoso benché piccolo corteo, composto da due carrozze a sei cavalli e da tre o quattro cavalieri al seguito di Sua Eminenza il Cardinale Imperiali, giunse a Tarquinia; su una delle due carrozze viaggiava padre Labat. Il viaggio fu breve e questo consentì al gruppo di fare, nel pomeriggio, una passeggiata a cavallo nei dintorni della cittadina. Durante il cammino il domenicano iniziò a percepire qualcosa di nuovo, di affascinante ma indefinito allo stesso tempo, qualcosa che andava oltre l’aspetto medievale, ferrigno e turrito, della bella Corneto, che da secoli destava lo supore dei viaggiatori. Quasi per caso Labat si imbatté nelle grotte dipinte: quelle tombe che erano state scoperte casualmente durante lavori di scavo e che ancora non suscitavano un vero e proprio interesse. Nel Voyage ci lascia di questa escursione un’ampia descrizione, fornendo indicazioni sulla estensione delle tombe, sulle tracce di decorazioni ancora visibili e sugli oggetti in esse ritrovati: pugnali e spade corrosi dalla ruggine e un gran numero di vasi. Labat, sottilmente, non manca di osservare l’assenza di oggetti d’oro e d’argento nelle tombe di Tarquinia; testimonianza questa del fatto che, se non avevano attirato l’attenzione dei viaggiatori, questi siti erano stati sicuramente visitati da predatori nelle epoche precedenti.

Dall’esperienza narrata da questo viaggiatore si può dire che nasce la grande avventura archeologica e letteraria della città di Tarquinia; ma non solo, infatti di lì a qualche anno avrebbe avuto inizio quell’eco internazionale che avrebbe attirato l’attenzione di molti viaggiatori verso il suggestivo mondo degli Etruschi.

Cinquanta anni dopo, negli anni 1755 e 1756, soggiornava in Italia l’archeologo e numismatico Jean Jacques Barthélemy (1716 - 1795), incaricato dal Cabìnet des Medailles di Parigi – di cui era il Conservatore – di acquistare medaglie e monete. Interessato alle collezioni etrusche e alla biblioteca della città, Barthélemy non mancò di visitare Cortona, già famosa in quegli anni per la sua Accademia Etrusca (costituita nel 1727), per il Museo e le varie collezioni che vi si potevano ammirare.

Prova del già avanzato mercato antiquario è proprio questo singolare viaggio in Italia, che aveva lo scopo esclusivo di fare acquisti importanti, raccogliendo oggetti da portare in Francia al rientro. Barthélemy acquistò, oltre alle monete per le quali era stato inviato, molte altre antichità, portando con sé libri, un gran numero di disegni dei monumenti, trascrizioni di epigrafi e taccuini di appunti. Nel 1802 venne pubblicato Voyage en Italie, dove confluirono tutte le lettere che Barthélemy aveva scritto al Conte di Caylus119 per relazionarlo del viaggio.

119 Anne Claude Philippe de Tubières (1692 - 1765), meglio noto come Conte di Caylus; è stato un pittore, antiquario e

archeologo francese, personaggio rilevante sia in Francia che in Europa negli anni dal 1714 al 1765. Lasciata la carriera militare si dedicò interamente alle lettere e alle arti, in particolare alla raccolta di oggetti antichi; passione, questa, che lo portò in giro per il mondo. Tra le tante località, nel 1714 visitò anche l’Italia e dalla sua esperienza nacque un Voyage

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Qualche anno dopo di lui, tra il 1765 e il 1766, venne in Italia l’astronomo ed erudito Joseph Jérôme de Lalande (1732 - 1807), che pubblicherà nel 1768 il suo Voyage en Italie, una vera e propria guida di viaggio, con la quale l’autore si era prefissato lo scopo di fornire ai viaggiatori francesi un itinerario italiano completo, indicando anche le minime informazioni: i prezzi dei teatri, gli alberghi più confortevoli, gli usi e i costumi, le strade meno accidentate, piccole curiosità, descrizioni di monumenti, proposte di deviazioni dalle vie pricipali per raggiungere località interessanti per storia e arte. Ma la cosa più interessante da notare è che, grazie alla diffusione in tutta Europa dell’opera di Lalande, il mondo etrusco – già parte del panorama antiquario e artistico italiano – cominciò a suscitare nei viaggiatori la curiosità di visitare, oltre alle località e antichità più note, anche le testimonianze più remote e meno conosciute di questa antica civiltà.

L’elevato numero di turisti e l’alto interesse che questi dimostravano verso le antichità fece sì che nel Settecento nascessero numerose botteghe antiquarie, che offrivano il materiale proveniente dagli scavi, attività consentita a chiunque possedesse i mezzi per farlo, iniziando così quelle razzie perpetrate per oltre un secolo sottraendo reperti utili a quella che sarà la futura scienza archeologica.

In queste botteghe era possibile trovare di tutto, raccolte rare e sorprendenti, e ogni sorta di rarità offerta ai visitatori di passaggio, principalmente inglesi e russi.

Non pochi, tra pittori, scultori, architetti mancati, stabilitisi a Roma, nascondendosi dietro alla propria attività artistica riusciranno a introdursi con notevole abilità nelle attività di scavo e nel commercio antiquario, inventandosi un lavoro e creandosi considerevoli fortune. Tra questi artisti inglesi si possono ricordare: Ignazio Hughford (1703 - 1778), pittore di soggetti storici che formò la sua educazione artistica a Firenze; Gavin Hamilton (1723 - 1798), pittore scozzese di non scarsi meriti e grande esperto di marmi di scavo, che in campo archeologico promosse una serie di scavi a Villa Adriana e sull’Appia; inoltre James Byres e Thomas Jenkins.

A proposito di quest’ultimo, e del commercio di vere e false antichità, Legrand lo descrive come collezionista e mercante d’arte talmente abile

che con un solo frammento antico, un piede, una parte di un torso, ecc., riuscisse a far rifare una statua tutta intera, salvo a rompergli poi un braccio, per darla meglio ad intendere a qualche fanatico amatore120.

d’Italie – 1714-1715, la cui prima edizione risale al 1914 (Voyage d’Italie, 1714-1715. Première édition du code autographe annotée et précédée d’un essai sur le comte de Caylus par Amilda A. Pons, Paris, Fischbacher, 1914). 120 A. Busiri Vici, Un pittore inglese del Settecento a Roma. Thomas Jenkins fra l’arte e l’Antiquariato, in L’Urbe,

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