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Le ipotesi speciali di responsabilità amministrativa nella legislazione d’urgenza e nelle disposizioni delle leggi finanziarie.

PARTECIPAZIONE PUBBLICA

7. Gli interventi normativi in materia di responsabilità amministrativa fra discipline generali e legislazione d’urgenza.

7.1 Le ipotesi speciali di responsabilità amministrativa nella legislazione d’urgenza e nelle disposizioni delle leggi finanziarie.

I maggiori profili di criticità tuttavia non si collegano ai suddetti interventi normativi, considerato che questi, nonostante le perplessità generate, si inserivano pur sempre nell’ambito di testi normativi di portata generale.

A partire dalla Legge Finanziaria per il 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296), si è sviluppato un trend normativo che ha visto le società pubbliche destinatarie di una serie di disposizioni che, disciplinando praticamente ogni aspetto della vita sociale, hanno interferito anche sullo specifico regime della responsabilità.

Molti di questi interventi normativi si caratterizzano per l’introduzione di specifiche ipotesi di responsabilità amministrativa che si collegano all’inosservanza delle disposizioni dettate in ordine al mancato rispetto di speciali condizioni di retribuzione del personale, in tema di consulenze, ovvero pertinenti al procedimento di nomina degli amministratori.

Si tratta di ipotesi in cui la qualificazione del danno in termini di

danno erariale viene direttamente operata dalla norma

indipendentemente dalla natura giuridica del soggetto su cui il danno stesso ricade.

Fra queste norme, un particolare rilievo ha assunto il comma 593 dell’art. 1, della legge 27 dicembre 2006, n. 296188 che, per la prima volta,

188 La norma stabiliva quanto segue: «Fermo restando quanto previsto al comma 466,

ha introdotto nell’ordinamento una specifica ipotesi di responsabilità amministrativa connessa alla violazione di norme impositive di particolari obblighi.

Il comma 44 dell’art. 3, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Legge Finanziaria per il 2008)189, che si sostituisce al comma 593 dell’art.

Stato, la retribuzione dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, dei consulenti, dei membri di commissioni e di collegi e dei titolari di qualsivoglia incarico corrisposto dallo Stato, da enti pubblici o da società a prevalente partecipazione pubblica non quotate in borsa, non può superare quella del primo presidente della Corte di cassazione. Nessun atto comportante spesa ai sensi del precedente periodo può ricevere attuazione, se non sia stato previamente reso noto, con l'indicazione nominativa dei destinatari e dell'ammontare del compenso, attraverso la pubblicazione sul sito web dell'amministrazione o del soggetto interessato, nonché comunicato al Governo e al Parlamento. In caso di violazione, l'amministratore che abbia disposto il pagamento e il destinatario del medesimo sono tenuti al rimborso in solido, a titolo di danno erariale, di una somma pari a dieci volte l'ammontare eccedente la cifra consentita». Si tratta, ovviamente, di una norma che ambisce a finalità di contenimento della spesa pubblica che vengono tutelate in modo rigoroso, in quanto in caso di violazione l’amministratore che abbia eseguito il pagamento e il destinatario dello stesso dovranno rispondere in solido, a titolo di danno erariale, di una somma pari a dieci volte l’eccedenza del compenso consentito. Non si chiarisce se le sanzioni potranno trovare applicazione anche in caso di violazioni attinenti alla sola trasparenza degli incarichi conferiti: il comma in parola parla genericamente di «violazioni», e quindi sembrerebbe ricomprendere anche una tale ipotesi, ma la necessità di commisurare l’ammontare della somma da corrispondere all’eccedenza del compenso consentito sembra deporre per la soluzione opposta.

189 La norma stabilisce quanto segue: «Il trattamento economico onnicomprensivo di

chiunque riceva a carico delle pubbliche finanze emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, agenzie, enti pubblici anche economici, enti di ricerca, università, società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica, nonché le loro controllate, ovvero sia titolare di incarichi o mandati di qualsiasi natura nel territorio metropolitano, non può superare quello del primo presidente della Corte di cassazione. Il limite si applica anche ai magistrati ordinari, amministrativi e contabili, ai presidenti e componenti di collegi e organi di governo e di controllo di società non quotate, ai dirigenti. Il limite non si applica alle attività di natura professionale e ai contratti d’opera, che non possono in alcun caso essere stipulati con chi ad altro titolo percepisce emolumenti o retribuzioni ai sensi dei precedenti periodi, aventi ad oggetto una prestazione artistica o professionale che consenta di competere sul mercato in condizioni di effettiva

1, della Legge Finanziaria per il 2007, ne riproduce gran parte dei precetti, ma non risolve le principali questioni ermeneutiche che avevano caratterizzato il precedente intervento normativo.

La norma introduce un tetto massimo al compenso per i titolari di un qualsivoglia incarico conferito (tra l’altro) dalle società a prevalente partecipazione pubblica non quotate in borsa, parametrando le relative retribuzioni al compenso spettante al primo presidente della Corte di Cassazione. Si tratta di una disposizione che sembra porsi come

concorrenza. Nessun atto comportante spesa ai sensi dei precedenti periodi può ricevere attuazione, se non sia stato previamente reso noto, con l’indicazione nominativa dei destinatari e dell’ammontare del compenso, attraverso la pubblicazione sul sito web dell’amministrazione o del soggetto interessato, nonché comunicato al Governo e al Parlamento. In caso di violazione, l’amministratore che abbia disposto il pagamento e il destinatario del medesimo sono tenuti al rimborso, a titolo di danno erariale, di una somma pari a dieci volte l’ammontare eccedente la cifra consentita. Le disposizioni di cui al primo e al secondo periodo del presente comma non possono essere derogate se non per motivate esigenze di carattere eccezionale e per un periodo di tempo non superiore a tre anni, fermo restando quanto disposto dal periodo precedente. Le amministrazioni, gli enti e le società di cui al primo e secondo periodo del presente comma per i quali il limite trova applicazione sono tenuti alla preventiva comunicazione dei relativi atti alla Corte dei conti. Per le amministrazioni dello Stato possono essere autorizzate deroghe con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, nel limite massimo di 25 unità, corrispondenti alle posizioni di più elevato livello di responsabilità. Coloro che sono legati da un rapporto di lavoro con organismi pubblici anche economici ovvero con società a partecipazione pubblica o loro partecipate, collegate e controllate, e che sono al tempo stesso componenti degli organi di governo o di controllo dell’organismo o società con cui e` instaurato un rapporto di lavoro, sono collocati di diritto in aspettativa senza assegni e con sospensione della loro iscrizione ai competenti istituti di previdenza e di assistenza. Ai fini dell’applicazione del presente comma sono computate in modo cumulativo le somme comunque erogate all’interessato a carico del medesimo o di più organismi, anche nel caso di pluralità di incarichi da uno stesso organismo conferiti nel corso dell’anno. Alla Banca d’Italia e alle altre autorità indipendenti il presente comma si applica limitatamente alle previsioni di pubblicità` e trasparenza per le retribuzioni e gli emolumenti comunque superiori al limite di cui al primo periodo del presente comma».

norma di chiusura di un articolato sistema di definizione dei compensi e che per tale ragione ha un ambito di applicazione molto ampio.

Il comma 44 fa espresso riferimento a retribuzioni elargite dalle società a partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria che siano «a carico delle pubbliche finanze».

Si tratta di una specificazione dal significato sicuramente oscuro. Se per le società a totale partecipazione pubblica, un criterio di carattere sostanziale potrebbe anche consentire che gli emolumenti da queste corrisposte incidano indirettamente su aspetti della finanza pubblica, lo stesso non può dirsi per le società che vantino una pur minoritaria partecipazione dei terzi.

Nel caso delle società miste, gli emolumenti corrisposti non potranno mai intendersi a carico delle pubbliche finanze, in quanto ogni società è dotata di una propria personalità giuridica e di un’autonomia patrimoniale che costituisce l’elemento caratterizzante del modello organizzativo prescelto.

Sia gli amministratori che sono espressione del socio pubblico che quelli che sono espressione del socio privato verranno retribuiti con il patrimonio della società che non si confonde con quello dei soci. Dopo il conferimento di capitale iniziale, la società gode di un’autonomia patrimoniale perfetta, sicché tanto i versamenti operati dal socio pubblico quanto quelli del privato perdono le caratteristiche della propria derivazione e si vengono a confondere nell’ambito di un unico patrimonio che fa capo ad un organismo dotato di un’autonoma personalità giuridica e di propri organi decisionali capaci di esprimere interessi e volontà distinte da quelle dei soci.

In altri termini, al fine dell’estensione del concetto di pubbliche finanze la presenza di capitale privato ostacola il ricorso alle tecniche di superamento della personalità giuridica che potrebbero invocarsi solo nel caso di una partecipazione pubblica totalitaria.

Perplessità ulteriori si collegano alle conseguenze che derivano dall’inosservanza della norma. Analogamente a quanto disposto nel citato comma 593 della Legge Finanziaria per il 2007, si stabilisce che «l’amministratore che abbia disposto il pagamento e il destinatario del medesimo sono tenuti al rimborso, a titolo di danno erariale, di una somma pari a dieci volte l'ammontare eccedente la cifra consentita».

Già in via legislativa si procede ad una specifica qualificazione del danno in termini di danno erariale, ma alla violazione della norma non sembra ricollegarsi una vera e propria forma di responsabilità amministrativa, atteso che la quantificazione della somma dovuta dai trasgressori viene svincolata dai normali criteri di quantificazione del danno, ed assume un valore prettamente sanzionatorio.

In tali ipotesi, per mezzo di una sorta di presunzione assoluta di sussistenza di un danno qualificabile come «danno erariale», si dovrebbe prescindere da ogni accertamento sulla sussistenza dei parametri per l’individuazione della giurisdizione della Corte dei conti ed il pubblico ministero contabile verrebbe ad assumere la titolarità di un’azione dal carattere sanzionatorio.

Tali considerazioni portano a criticare l’improprietà terminologica utilizzata del legislatore che, con riferimento ad una sanzione che decuplica l’ammontare del danno, parla espressamente di «rimborso». L’unica soluzione plausibile sarebbe quella di ritenere che

la somma così determinata sia comprensiva dei danni all’immagine che verrebbero in tal modo quantificati secondo dei parametri di determinazione certa.

Analoghe perplessità si collegano alla disposizione dell’art. 3, comma 56, della legge 24 dicembre 2007, n. 244. Questa norma, infatti, stabilisce che «è nullo il contratto di assicurazione con il quale un ente pubblico assicuri propri amministratori per i rischi derivanti dall’espletamento dei compiti istituzionali connessi con la carica e riguardanti la responsabilità per danni cagionati allo Stato o ad enti pubblici e la responsabilità contabile. I contratti di assicurazione in corso alla data di entrata in vigore della presente legge cessano di avere efficacia alla data del 30 giugno 2008. In caso di violazione della presente disposizione, l’amministratore che pone in essere o che proroga il contratto di assicurazione e il beneficiario della copertura assicurativa sono tenuti al rimborso, a titolo di danno erariale, di una somma pari a dieci volte l’ammontare dei premi complessivamente stabiliti nel contratto medesimo».

Sebbene la norma faccia riferimento ai soli enti pubblici, senza alcuna distinzione in relazione al carattere economico o meno dell’attività, la sua estensione analogica in capo alle società è stata prefigurata rapidamente. Ed infatti, la disposizione è stata introdotta in un contesto storico in cui, nonostante le aporie di alcune soluzioni giurisprudenziali, la responsabilità amministrativa con riferimento alle strutture societarie aveva raggiunto la sua massima espansione. Pertanto, il riferimento operato ai soli contratti stipulati da entità riconducibili alla figura dell’«ente pubblico» è stato ritenuto

comprensivo degli enti pubblici strutturati in forma societaria190. Fra le

maggiori problematiche che si connettono all’espressa qualificazione che riceve il danno in termini di danno erariale, una di queste attiene all’assenza di un criterio di quantificazione del danno che viene stabilito in misura fissa e assolutamente sproporzionata rispetto alle sofferenze economiche effettivamente patite dall’amministrazione. In questo caso, tuttavia, la presunzione circa il fatto che il danno così calcolato sia comprensivo anche del danno all’immagine appare più difficilmente giustificabile. Infatti, la stipula del contratto assicurativo, lungi dal produrre di per sé un danno, potrebbe garantire alla pubblica amministrazione un sicuro ristoro delle proprie pretese economiche.

Tuttavia, anche queste evoluzioni normative hanno avuto un’incidenza limitata sull’assetto complessivo delle forme di responsabilità degli amministratori e dei dipendenti di società a partecipazione pubblica.

Il più profondo cambiamento normativo, infatti, si registra in connessione alla manovra finanziaria che si è posta a cavallo fra il 2007 e il 2008.

Probabilmente animato dalle medesime preoccupazioni sollevate dalla dottrina, il legislatore si è infatti premurato di circoscrivere l’ambito di applicazione della responsabilità amministrativa, con un

190 Occorre comunque rilevare che la nullità opera solo con riferimento ai contratti di

assicurazione predisposti in favore degli amministratori. Pertanto, se si dovesse prediligere un’interpretazione letterale non si potrebbe invocare un’analoga sanzione nel caso di assicurazioni predisposte per i dirigenti o i semplici dipendenti.

intervento per molti versi radicale191, ove maggiori erano apparsi i

profili di frizione con l’ordinamento comunitario192.

191 Sul punto, v. M.A. SANDULLI, L’art. 16 bis del decreto mille proroghe sulla responsabilità

degli amministratori e dipendenti delle spa pubbliche. Restrizione o ampliamento della giurisdizione della Corte dei conti? (Ovvero l’effetto perverso delle norme last minute), disponibile sul sito www.federalismi.it. Significativa l’ormai celebre espressione con cui l’Autrice definisce un tale normativa come un intervento «a gamba tesa». Come rileva la stessa Autrice, si tratta di una disciplina strettamente connessa all’intervento del Procuratore generale presso la Corte dei conti che, ribadendo la severa osservanza dei rispettivi obblighi di denuncia, aveva allarmato non poco gli amministratori e i dipendenti pubblici. Sul punto, v. la Circolare del Procuratore Generale della Corte dei conti del 2 agosto 2007, disponibile sul sito www.corteconti.it. Nella medesima direzione appaiono le considerazioni di E.F. SCHLITZER, Il regime giuridico della responsabilità degli amministratori e dipendenti delle s.p.a. a partecipazione pubblica e l’art. 16 bis del c.d. mille proroghe (d.l. 31/12/ 2007 n. 248 convertito in legge 28/02/2008 n. 31), cit., il quale, rifacendosi alle considerazioni dell’Autrice da ultimo citata, afferma che «la norma, nella sua rozza stringatezza, ha una effetto dirompente sul quadro normativo di riferimento della materia nel quale irrompe con la delicatezza di un elefante in un negozio di cristallerie».

192 Si è infatti già visto che la commistione di queste due forme di responsabilità genera

inoltre un assetto che presenta notevoli problemi in relazione ai diversi presupposti su cui si fondano. La responsabilità civile infatti si basa sulla c.d. business judgement rule, che implica una valutazione di razionalità ex ante, mentre, all’opposto, la responsabilità amministrativa presuppone un sistema di valutazione che si esplica necessariamente ex post. Così, il Paper di ASTRID, La responsabilità amministrativa degli amministratori delle società a partecipazione pubblica, cit., p. 17. La previsione di un regime di responsabilità aggiuntivo finisce quindi per tradursi nell’imposizione di oneri organizzativi aggiuntivi legati ad un procedimento di controllo funzionale al rispetto dell’obbligo di denuncia al procuratore contabile. Gli altri profili di contrasto si collegano ad una possibile alterazione del rapporto con gli eventuali soci privati, in quanto, si è sostenuto che il socio pubblico sarebbe destinatario di un canale privilegiato per l’attivazione dei meccanismi risarcitori di cui non possono disporre gli altri soci. Si tratta di elementi che possono generare evidenti conflitti con la libertà di circolazione dei capitali (art. 56 Trattato CE) e con il diritto di stabilimento (art. 43 Trattato CE). Tuttavia, la giurisprudenza che ha affrontato materie affini ha riscontrato che i profili di incompatibilità con l’ordinamento comunitario finiscono per ridursi ad una possibile restrizione della libertà di circolazione dei capitali, che costituisce una precondizione per l’esplicarsi della libertà di cui all’art. 43 del Trattato CE. In questi casi, conformemente alla copiosa giurisprudenza maturata con riferimento alla problematiche poste dalla golden share, gli azionisti pubblici godono di uno strumento che va al di là dei loro investimenti e che finisce per ridurre l’influenza del socio privato in ragione dell’effetto deterrente connesso all’obbligatorietà dell’azione del p.m. contabile.

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