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L’irrilevanza della distinzione tra ratio decidendi e obiter dicta nell’individuazione del “precedente” della Corte di giustizia

IL VALORE DEL “PRECEDENTE” NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA

2. Un “precedente” de facto vincolante

2.2. L’irrilevanza della distinzione tra ratio decidendi e obiter dicta nell’individuazione del “precedente” della Corte di giustizia

La prima conseguenza di una mancanza di una elaborazione e sistematizzazione compiuta del precedente giurisprudenziale comporta il venir meno di quella che è considerata, assieme alla bindingness, la caratteristica principe della dottrina dello stare decisis, ossia la distinzione tra ratio decidendi e obiter dicta94.

La distinzione ratio decidendi / obiter dicta guarda all’individuazione di ciò a cui si attribuisce efficacia di precedente, di quella parte della decisione o del principio ad essa sotteso a cui si attribuisce la capacità di influenzare la decisione della successiva controversia, quella che Taruffo definisce dimensione oggettiva del precedente95. Si tratta di identificare quella che viene solitamente indicata come ratio decidendi, quella parte essenziale della decisione e che enuclea la regola di diritto avente efficacia per la risoluzione di casi successivi. Se, da un lato, la dicotomia ratio decidendi / obiter dictum non risulta particolarmente informativa negli ordinamenti in cui il precedente ha, per definizione, efficacia solo persuasiva, dall’altro lato, anche negli ordinamenti di common law la nozione resta ambigua e diverse sono le questioni che si pongono in merito (quale parte della decisione è una ratio decidendi? a chi spetta l’individuazione e la delimitazione della ratio, al giudice estensore della decisione o al giudice che per primo

94 Sul punto, cfr. A.ARNULL, Interpretation and Precedent in English and Community Law, op. cit., spec. p. 120, il quale afferma che «[a] corollary of the absence of a doctrine of binding precedent in Community law is the distinction between the ratio decidendi of a judgment of the Court and its obiter dicta loses much of its significance. […] in principle everything that is said in a judgment of the Court of Justice expresses the Court’s opinion and is therefore capable of having the same persuasive force»; v. altresì, T. TRIDIMAS, Precedent and the Court of justice. A Jurisprudence of Doubt?, op. cit., spec. 313.

si trova ad applicare quel precedente?96 etc.)97. Al contempo, «di regola si attribuisce all’obiter dictum una funzione meramente persuasiva: non si esclude tuttavia che esso possa avere un’efficacia particolarmente intensa e non distinguibile in realtà da quella della ratio decidendi»98.

Data l’elevata difficoltà definitoria della ratio decidendi e della sua portata, diverse sono state le classificazioni elaborate sia dalla dottrina anglosassone che dai teorici del diritto con un approccio, quello di questi ultimi, che guarda piuttosto alla diversa gradazione e al diverso atteggiarsi della ratio di un precedente in un dato ordinamento, a prescindere dall’appartenenza ad una o all’altra tradizione giuridica. Rupert Cross, rispetto all’autorità del precedente giudiziale nell’ambito anglosassone, definisce la ratio decidendi di un caso come «any rule of law expressly or impliedly treated by a judge as a necessary step in reaching his conclusion, having regard to the line of reasoning adopted by him»99; Neil Mac Cormick parte dalla definizione di Cross per inserirvi anche la

96 V., inter alia, N.DUXBURY,The Nature and Authority of Precedent, op. cit., spec. p. 91, il quale

afferma che «[…] the concept of the ratio decidendi has to be taken seriously because the ratio decidendi triggers stare decisis: it is the binding part of a previous case. Before a court decides whether to follow a precedent it wants to know what the precedent establishes». Al contempo, come rilevato da Moccia, «la regola dell’osservanza dei precedenti incontra sul piano operativo, una serie di qualificazioni e specificazioni, che pure si prestano a fungere da possibili vie di fuga, lasciate in gran parte alla abilità e discrezionalità dei giudici, così chiamati a un lavoro di interpretazione dei precedenti e del loro contenuto», v. L.MOCCIA, Il sistema di giustizia inglese: profili storici e organizzativi, Rimini, 1984 spec. p. 485, il quale citando Allen afferma «secondo un’efficace immagine, il vincolo del precedente, quale sussiste principalmente nei rapporti tra giudici superiori e inferiori, non significa che una corte di rango superiore “impone” (con le proprie decisioni) dei ceppi all’operato della corte inferiore, ma solo che “depone” tali ceppi nelle mani stesse del giudice che è tenuto a farne uso: spetta, infatti, a quest’ultimo valutare (autonomamente) se e in qual misura il precedente si applica al caso in decisione».

97 Come provocatoriamente affermato da T.M.BENDITT,The Rule of Precedent, op. cit., spec. p. 103,

«[…] the uncertainty about the ratio decidendi of a case raises the question of how a rule can even exist if there is uncertainty as to what it is». Sulle difficoltà nell’individuazione della distinzione tra ratio decidendi e obiter dictum da parte dei giuristi di common law cfr., altresì, N.DUXBURY,The Nature and Authority of Precedent, op. cit., spec. p. 69 ss. Lo stesso A. indica quelle che sono da considerarsi le buone ragioni per

voler determinare che cosa sia una ratio decidendi: (i) la prima è che la ratio indica a coloro che studiano il diritto l’aspetto da ritenere nella lettura dei casi; (ii) la distinzione tra ratio e obiter si configura, inoltre, come un’importante strategia di gestione delle informazioni e, aspetto maggiormente rilevante, (iii) «if, within the common law tradition, the distinction between ratio decidendi and obiter dicta was not recognized, judges would be able to create a more or less unlimited amount of new law and courts would be overwhelmed by precedent; everything within previous decision – and not necessarily just the decision on materially identical facts – would be potentially relevant to the case in hand» (ibidem, spec. p. 90). Con riferimento allo sviluppo della distinzione tra ratio e obiter nella tradizione anglosassone, v. G.MARSHALL,

What is Binding in a Precedent, in (eds.) D.NEIL MCCORMICK ET AL.,Interpreting Precedents, Oxford,

1997, p. 503 ss., spec. p. 507-508. L’autore nel ricostruire l’elaborazione della ratio decidendi in Inghilterra precisa che «it was only when the former theory of binding precedent developed with the structural change of the hierarchy and organization of the courts in the later nineteenth century that the elaboration of theories about the character of the ratio decidendi began».

98 V. M.TARUFFO, Dimensioni del precedente giudiziario, op. cit., spec. p. 421.

funzione giustificatoria e la tipologia di ragionamento giuridico adottata dal giudice, giungendo alla seguente definizione: «[t]he ratio decidendi is the ruling expressly or impliedly given by a judge which is sufficient to settle a point of law put in issue by the parties’ arguments in a case, being a point on which a ruling was necessary to his justification (or one of his alternative justification) of the decision in the case»100. Marshall, partendo dall’assunto che la ratio decidendi è un regola di diritto la cui relazione con i fatti del caso pendente deve essere stabilita dal giudice, ritiene che tre possano esserne le definizioni: (i) «a rule of law or a ruling in the light of material facts that a prior court explicitly declares or believes itself to be laying down or following»; (ii) «a ruling in the light of material facts that a prior court (when the decision is analysed) is, as a matter of fact, laying down or following»; (iii) «a ruling in the light of material facts that a prior court ought properly (in view of the existing law, facts and precedent) to be laying down or following»101. Un’ulteriore classificazione delle possibili definizioni di ratio decidendi a seconda del tipo di oggetto considerato e a seconda del grado di specificazione dell’oggetto designato è stata effettuata da Chiassoni102, in esito alla quale

100 N.MAC CORMICK, Legal Reasoning and Legal Theory, Oxford, 1994, spec. p. 215. L’A. precisa che «on this view, by no means all cases – even ‘leading’ cases – have a single ratio decidendi».

101 G.MARSHALL,What is Binding in a Precedent, op. cit., spec. p. 506, Inoltre, se si guarda alla sola

prospettiva del giudice successivo vi sono poi altre tre possibili definizioni di ratio decidendi: (i) «a ruling that a subsequent court or courts say that an earlier court believed itself to be laying down in the light of material facts»; (ii) «a ruling that a subsequent court or courts say that an earlier court was laying down or following in the light of material facts»; (iii) «a ruling that a later court or courts ought (on a proper analysis by legal scholars) to have said that an earlier court was lying down or following in the light of material facts».

102 P.CHIASSONI,Il precedente giudiziale: tre esercizi di disincanto, in P.COMANDUCCI,R.GUASTINI

(a cura di) Analisi e diritto 2004. Ricerche di giurisprudenza analitica, Torino, 2005, p. 75 ss., spec. p. 80 – 84. Sotto il profilo dell’oggetto designato, l’A. rileva l’esistenza di tre concezioni di ratio decidendi: (i) una concezione “normativistica astratta” che con l’espressione ratio decidendi designa la norma giuridica generale «desumibile dalla sentenza complessivamente considerata, sulla base della quale è stato deciso un caso»; (ii) una concezione “normativistica concreta” che con ratio decidendi designa la norma giuridica generale contestualizzata «i.e., la norma usata da un giudice per giustificare la decisione di un caso, considerata non già in sé e per sé, ma unitamente agli argomenti che la sorreggono e alla descrizione del

fatto al quale è stata applicata»; e (iii) una concezione argomentativa che con ratio decidendi si riferisce in

termini generici «a qualunque elemento essenziale (sine qua non) dell’argomentazione svolta dal giudice per motivare la decisione di un caso». Mentre sotto il profilo del grado di specificazione dell’oggetto designato, l’A. riporta un inventario (che non ritiene esaustivo) dei diversi significati attribuiti alla ratio: «1) l’elemento della motivazione che costituisce la premessa necessaria, ovvero il passaggio logico

necessario, per la decisione di un caso; 2) il principio di diritto che nella sentenza è sufficiente a decidere

il caso concreto; 3) l’argomentazione necessaria o sufficiente per definire un giudizio; 4) la norma (“regola”, “principio”) che costituisce, alternativamente: la condizione necessaria e sufficiente, oppure la

condizione non necessaria ma sufficiente, o ancora una condizione necessaria ma non sufficiente, di una

determinata decisione; 5) la norma per i fatti rilevanti della causa che, […] il giudice ha di fatto stabilito

e/o seguito, al di là di ciò che costui possa aver affermato, o creduto di fare; 6) la norma per i fatti rilevanti

della causa che il giudice ha pronunziato il precedente-sentenza dichiara espressamente, o (presumibilmente) ritiene, di avere stabilito e/o seguito; 7) la norma espressamente o implicitamente

egli ha elaborato le seguenti (ri)definizioni operative di ratio decidendi: dal punto di vista oggettivo, «è una ratio decidendi se, ma solo se, alla luce della struttura logica della giustificazione della sentenza, […], non possa essere espunta dalla motivazione in diritto di una decisione, senza privare la decisione della norma giuridica – o quanto meno: di una delle regole giuridiche, tra loro alternative e concorrenti – su cui si fonda» e, dal punto di vista soggettivo, «è una ratio decidendi se, ma solo se, secondo l’opinione ascrivibile al giudice che ha pronunziato la sentenza […], non possa essere espunta dalla motivazione in diritto di una decisione, senza privare la decisione della norma giuridica – o quantomeno: di una delle regole giuridiche, tra loro alternative e concorrenti – su cui si fonda». Mentre, di contro, un insieme di enunciati giudiziali è un obiter dictum «se, nella prospettiva di un qualche metodo d’analisi della sentenza (soggettivo o oggettivo), possa essere espunto dalla motivazione in diritto di una decisione, senza privare la decisione stessa: (i) vuoi della norma giuridica su cui essa si fonda; (ii) vuoi di un qualche argomento essenziale per sostenere che la norma giuridica applicata al caso sia l’unica norma a esso correttamente applicabile, a preferenza di altre regole prima facie concorrenti».

Si deve rilevare, innanzitutto, che al di fuori della common law anglosassone, in realtà la questione in ordine a quale parte della decisione sia vincolante per il giudice successivo, non ha la medesima rilevanza. La prassi delle corti mostra che, laddove non vi è un sistema del precedente, i giudici, nell’utilizzare una decisione precedente quale elemento del ragionamento, non effettuano una distinzione tra quella parte della sentenza che enuclea il principio di diritto o la regola di diritto e la restante parte della decisione; tutta la decisione viene ritenuta passibile di utilizzo da parte del giudice successivo, specie se l’uso della medesima è volto a rafforzare, ad abundatiam, un passaggio del ragionamento. Come affermato dall’avvocato generale Roemer, in risposta alla Alta autorità che aveva posto a sostegno della propria difesa in merito al potere di emettere delle raccomandazioni rifacendosi a due decisioni precedenti della Corte di giustizia

trattata dal giudice come necessaria per decidere un caso; 8) la norma per i fatti rilevanti della causa che […] il giudice che ha pronunziato il precedente-sentenza avrebbe dovuto stabilire e/o seguire, per decidere

correttamente la controversia; 9) la norma per i fatti rilevanti della causa che, secondo l’opinione di un

giudice successivo, il giudice che ha pronunziato il precedente-sentenza ha ritenuto di aver stabilito; 10) la

norma per i fatti rilevanti della causa che, secondo l’opinione di un giudice successivo, il giudice che ha

pronunziato il precedente-sentenza ha di fatto stabilito e/o seguito; 11) la norma per i fatti rilevanti della causa che, secondo l’opinione dei giuristi, un giudice successivo avrebbe dovuto considerare come stabilita e/o seguita da un giudice precedente».

citandone non il loro dispositivo bensì un paragrafo della motivazione di tali decisioni, dapprima si chiede se la citazione sia pertinente ai fini del caso di specie e, in seguito, conclude «il nous semble que c’est d’une importance secondaire de rechercher dans les arrêts là où cessent les motifs déterminants et là où se trouvent éventuellement les mentions indiquées en passant. En tout cas, toutes les opinions énoncées dans le texte de l’arrêt sont l’expression de la volonté de la Cour»103.

Lo stesso principio viene ripreso anche dall’avvocato generale La Pergola nel caso Sürül, con riferimento alla possibilità per la Corte di fornire un’interpretazione nuova di una questione pregiudiziale rispetto alla quale essa aveva già avuto modo di pronunciarsi. In particolare, l’avvocato generale, pronunciandosi sull’interpretazione della sentenza Taflan-Met104 e sulla valutazione in ordine alla sua applicabilità anche al caso di specie, sottolinea che proprio l’assenza di una dottrina dello stare decisis permette alla Corte di «risolvere diversamente una questione pregiudiziale oggetto di precedente decisione, se un tale risultato è giustificato dai nuovi elementi di valutazione ad essa sottoposti nel procedimento successivo»105. Questo ultimo caveat, tuttavia, mostra che la libertà della Corte nel fornire nuove interpretazioni deve comunque essere circoscritta e giustificata dalle circostanze di specie.

Ciononostante, non mancano nella giurisprudenza della Corte taluni tentativi di individuazione e di delimitazione del concetto di ratio decidendi della decisione106. Nel caso ASSIDER avente a oggetto l’interpretazione della sentenza 2/54, la Corte precisa quelle che sono le parti di una decisione precedente che possono fare l’oggetto di

103 Conclusioni dell’avvocato generale Karl Roemer, rese in data 7 giugno 1962, cause riunite 9/61 e 11/61, Regno dei Paesi Bassi contro l’Alta autorità della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, ECLI:EU:C:1962:20. Si nota, peraltro, che sebbene l’espressione “obiter dicta” non venga utilizzata nella versione francese, così si è espresso l’avvocato generale nella versione tedesca, versione originale delle presenti conclusioni «Im übrigen scheint es mir von sekundärer Bedeutung zu sein, wo in den Urteilen die tragenden Entscheidungsgründe aufhören und etwaige obiter dicta beginnen. In jedem Falle sind alle Äußerungen im Urteilstext vom Willen des Gerichtshofes getragen». L’espressione è stata mantenuta anche nella versione inglese «The question where, in judgements, the decisive grounds of judgment end and any

obiter dicta begin seems to me in any case to be of secondary importance. In each case everything that is

said in the text of the judgment expresses the will of the Court», mentre non figura nelle altre versioni linguistiche.

104 Corte giust., sent. 10 settembre 1996, causa C-277/94, Taflan-Met, ECLI:EU:C:1996:315.

105 Conclusioni dell’avvocato generale La Pergola, presentate il 12 febbraio 1998, causa C-292/96,

Sürül, cit.

106 V. A.ARNULL, Interpretation and Precedent in English and Community Law, op. cit., spec. p. 121, il quale afferma che «occasionally, however, the Court seeks to distinguish a case on which a party has sought to rely. In order to perform this exercise, the Court has to establish what the previous case, properly construed, in fact decided. This process is analogous to that of identifying the ratio of a judgment given by a common law court».

un’interpretazione affermando che «[d]e toute évidence, ce ne peuvent être que celles qui expriment le jugement de la Cour sur le litige qui lui est soumis: le dispositif et, parmi les motifs, ceux qui conditionnent celui-ci et qui à ce titre, sont essentiels; ce sont ainsi les parties du texte de l’arrêt qui en constituent le contenu jugé. Par contre, la Cour n’a pas à interpréter les textes qui, accessoirement, complètent ou expliquent ces motifs essentiels»107. La Corte delimita dunque l’ambito del suo intervento interpretativo escludendo quei motivi che sono accessori ai motivi essenziali e, per tale via, sembra attribuire un diverso rilievo ai motivi di una decisione. Le parti della sentenza che ne enucleano la statuizione in diritto sono dunque il suo dispositivo e i motivi essenziali a sostegno del medesimo, ossia il dispositivo è indissociabile e non può essere interpretato indipendentemente dalla relativa motivazione. Tale prospettiva viene confermata anche da Puissochet il quale rigetta una assimilazione tra ratio decidendi e obiter dictum, «l’autorité des arrêts de la Cour n’est, sur le plan du droit, pas absolue dans tous les motifs qu’ils contiennent, en particulier pour ceux qui ne sont pas, comme il peut advenir, le soutien nécessaire du dispositif»108.

Lo stesso punto di vista emerge, inoltre, nelle conclusioni al caso Manzoni, intervenute a vent’anni di distanza dalla sentenza ASSIDER. L’avvocato generale Warner, infatti, dopo aver affermato che tutte le giurisdizioni comunitarie, ad eccezione della Corte di giustizia, sono vincolate alla ratio decidendi della sentenza della Corte, precisa che «[n]ous parlons du ratio decidendi d’un tel arrêt plutôt que de son dispositif parce qu’il y a lieu de tenir compte des cas auxquels la décision énoncée dans le dispositif s’applique à première vue mais qui, en réalité, peuvent être distingués du cas dans lequel cette décision a été rendue»109. L’avvocato generale mediante tale pronuncia afferma la sussistenza della dottrina dello stare decisis, o meglio, la ritiene sussistente rispetto alle pronunce pregiudiziali che vincolerebbero dunque il giudice nazionale alla ratio

107 Corte giust., sent. 28 giugno 1955, causa 5/55, ASSIDER, ECLI:EU:C:1955:8.

108J.-P.,PUISSOCHET,Des traitès et des juges: la fonction de la jurisprudence dans l'elaboration du droit communautaire, in (sous la direction de)C.N.KAKOURIS,Problèmes d’interpretation à la memoire,

Athenes, Bruxelles, 2004, p. 303 ss., spec. p. 318; nonchè cfr. L. COUTRON, Style des arrêts de la Cour de

justice et normativité de la jurisprudence communautaire, op. cit., spec. p. 648 il quale ritiene che la

distinzione tra ratio e obiter sia da ricollegarsi alla volontà della Corte di persuadere della bontà delle proprie decisioni.

109 Conclusioni dell’avvocato generale Jean-Pierre Warner, rese in data 20 settembre 1977, causa 112/76, Manzoni c. FNROM, cit.

decidendi – individuata come precisato supra – di una pronuncia110. Un ulteriore esempio di delimitazione della ratio decidendi si rinviene nelle conclusioni dell’avvocato generale Kokott con riferimento al principio dell’autorità della cosa giudicata. Nel caso Commissione c. Lussemburgo, procedura di infrazione avente ad oggetto l’errata trasposizione della direttiva 91/676/CEE111, fattispecie sulla quale la Corte aveva già avuto modo di pronunciarsi nel 2001112, l’avvocato generale precisa che il principio dell’autorità di cosa giudicata di una sentenza «s’oppose donc à un nouveau recours dans la mesure où il existe un risque que la Cour contredise les constatations en fait et en droit de l’arrêt antérieur. Il faut, à cet égard, tenir compte non seulement du dispositif, mais aussi des motifs de l’arrêt qui en constituent le soutien et qui en sont donc indissociables»113.

Si può affermare che è giurisprudenza consolidata114 la statuizione che individua il cuore della motivazione, o se si vuole, la sua ratio decidendi nel dispositivo e nei motivi essenziali che sono ad esso indissolubilmente legati. Tuttavia, ciò che appare lineare alla luce delle affermazioni citate si scontra però con i risultati dell’analisi su quei motivi non