esolidarietàche mettefrai Latini egl’italiani;
edegli veramente pe’suoistudj, perlesue sco-perte, pc’suoiscritti n’èl’anelloimmortale.
Il Boccaccio, nato aParigi,in
mezzo
a quella vena di spirito,digaiezza e diamore,era pre-destinalodal luogo dellasuanascita a scrivereilDccamerone.Egli fu
sempre
indelizie coi Fran-cesichevi riconosconouno
deiloro,senzache noi vi troviamo nulla checi facciadubitare che non sia nostro. Il Boccaccioanzi appartienea tutta l’umanità,perchèla esprimene’suoi carat-terieterni;enonsolo nelle passioni gravi eliete,ma
talora eziandio negli anelili allacoltura, ed al progresso morale. Parlando di quell’epoca, oltre gli avanzamenti delle lettere, il Rathéry descrive quelli dell’erudizione, delcommercio,
dellanavigazione, dell’economiapolitica,e notacome
lestesse nostrecronache erano più mature di giudizjedi stile chequelle di Francia. La cronacadel Villani, egli dice,non èpiù il rac-contoingenuoe pittorescodiJoinville ediFrois*sari; ha il fare preciso (lalotichefermej e la scienza positivad’un
uomo
che hatrattatoi pub-blicinegozj primadi narrarli.L’autoretrasvolailnostro quattrocento, secolo di pionieridellaerudizione grecaelatina, gene-rosi pionieri che dimenticaronolagloriache pote-vano acquistar nelle letterepatrie per apparec-chiare una nuova messe displendida gloriaall’
I-Vino Compagni ***
'
v
XXXII PREFAZIONE
tali.*»,c di universale coltura all’Europa. Egli descrivelostatod’Italiaavanzatissimo nella col-tura e imperfettissimonell’organizzazione poli-ticae militare.Mentre a Parigi il
numero
dei libristampali alcominciare del secolo decimo-sestonon òchedi751,in Italiaèdi 4987; cioè 2,835a Venezia,925 aRoma,
C29a Milano,500
a Firenze,298aBologna; senzaparlare di‘cinquanta altrecittàdove pureaquel
tempo
erano stamperie.Ilsecondocapitolotrattadelleguerredei Fran-cesi in Italia,parladi CarloViliediLuigi XII,
•emostra le meraviglie de’Francesi ai prodipj dell’incivilimento edell’arteitaliana,nonostante lenuove pretesediun grande sviluppo dell’arte indigena;del qualestupore fanno eziandio
testi-monianza
alcuni bollettini in caratteri gotici ,veri giornali di queltempo, dicuisi traevano copie a
mano,
e clicsimandavano
ai personaggi più notevolic agli scabinidelle città.L’autore nota idannivenutiper le guerreagli studj ita-liani, eivantaggi che n’ebberoiFrancesi conqui-statidai vinti.Ilibri impressiaVenezia,aRoma, n
Milano,aFirenze, dal1491alI5C0,sono4,158, dal 1501al 1510, 723.Ma
la Francia, iniziala allacolturaitaliana da Carlo Ville da Luigi XII, vi fu tuttala e battezzatada Francesco I. Alle cotoro corti valeva il detto del Machiavelli:«degl’italiani
non
habuon tempo
in corte, senon
chinon
hapiù che perderee naviga per/ Dgle
PREFAZIONE XXXIII perdalo. » Alla corto di Francesco I lelettere e |cariiitaliane furono onorale
come
nelle mi-gliori corti nostrane.Fu sempre
un poco vera però la sentenza del Machiavelli: «Sono
inimici del parlareromano
c dellafama loro.»La primafasedell’influenza italianaè postaal regnodi FrancescoI,a cuiòconsacrato il capi-tolo terzo.Francesco Iful’idolode’noslri poeti edartefici.I primi anniincuila vittoria arrise al suo genio,cquelli stessi incui ellatradì il
suovalore, s’illustranod’unvivoe sincero
amore
agli sludj.
E
noi vediamoi nostriscrittori lo-daresomrnamento,ma
concerta riverenzamista di timore,il granCarloV
;quantoaFrancescoI, lodano,con spontaneità, con effusione, quasi amicoecompagno
;mon
am?j,dicevaeglialCellini.Nè
egliamò
solamente gl’illustri Italiani suoi coetanei,ma
eziandioinostri antichi.Egli rifece ilsepolcro aLaura, elaonorò d’un suoepitaf- . fio; delBoccacciofu tantoinnamoratoe tantoillodò,chelasuasorella Margheritadissech’egli avrebbe dovutorisuscitarne. SoloDanteglicadde di grazia quando, leggendogli l’Alamanni quel passocheparla di
Ugo
Capeto,non appena udìil verso
Figlino!fuid’un beccajodiParigi, gli ruppe la letturadicendo:
Que
jc riattende plus parler de ce ridiculeauteur!La seconda fase dell’influenza italianacoincide quasi,secondo il Rathéry,con laseconda metà
v-..
*\ DigitizedbyGoogle
xxxiv prefazione
delsecolo decimosesto. Quest’influenza conferì alla reazione della scuola erudita di Ronsarde Dubellay, contro la letteratura facile di Marote dellasuascuola,avvenuta versoil 1549,data del manifesto di Dubellay; signoreggiò la morale pubblica e privata dalla reggenza di Caterina de’Mediciinpoi,cioò dal1560; finalmente invase le
mode
ela lingua dal 1565 al 1579, epocain .cuiArrigo Stefanola combattèco’suoiopuscoli.Non
potendo abbreviarFautoregiàsistringalo,andremo
notando alcun luogo.E
quantoaquello eh’ei narradi Ronsard, iiquale nonmeno
che Dubellay raccomandava lo studio delle lettere italiane,ci sovviene una stravaganza del Castel-vetro, ilquale invitava dalcanto suoilCaro a studiareRonsard. Nel suolibrocontrolacanzone Veniteall’ombra
de’beigiglid’oro,cheil Rathéry chiama per erroreun
sonetto, egli dice cosi:«
Ma
non ha giàcommesso
peccato simile a questo oaniuno altrodisentimento odi parole ripresedame
infine a qui nella canzone del caroPietro diRonzardodiYandonne, buon
poeta francese, celebrando questamedesima
casa Ya-lesia, ed altribaroni di quelregno, per questamedesima
viadi paragonargli edi anliporgli a’discendenti di Saturno, in
uno
de’suoi inni,ilquale ioscriverò qui appresso insualingua, ac-ciocché coloro che sene intendono,riconoscano chiaramentequandoèvero quelloche dico,
non
lasciandodi contrapporrea ciascunverso latra-1*11EL'AZIONE
XXXV
slazionc italiana,nonin verso,ma
in prosa per conservarepiù ilsentimento-. »Or
questo inno dei Ronsard cominciacosì:Maisquoi?oujemetrompc,ou pourIcsseurs je crois Quelupiterafai!partageaveemonrois.
Il n’apourluisans plus retenuque«Icsnucs.
Descométes, des ventsetdes gréslesmenues, Desnciges,des frimatz,etdes pluyesdel’air, Etjene scay quel bruitentourné d’uncsclair.
Etd'un boulet defeuqu'onappello tonnerre.
Maispoursoindtreprincca retenula terre,ccc.
Dopo
averparlatodell'eloquenza delCardinal di Lorenaclte ilcuorco’suoibeimotti tiraper l’o-recchia e del contestabile diMontmorency
che sirompe
il cervello nell’attendere agli altari del regno, e ira l’altre cose à fuire réponseaux
pacquets qu’on envoieauroij, paragonalaregina aGiunone, edice così:- >
AuUtde Jupileretsans plusaconsceu Qu’unMars,etqu’unVulcan,l’unqui est toutbosseu, Uoiteuxetdehanché.etl’autretout colóre.
Lui veultleplussouventfaireguerre àson pére.
Maisceux quetonépouseaconsceuza foison Detoipourl’ornementdetanoblemaison Sonibeauxdroitsetbiensnézetqui désjeunecnfance Soniaprisàterendreune humbleobéissance.
A
tanto condusse l’accecamento dell’irail tra-duttore ccommentatore
della poeticadi Aristo-tile.La canzone delCaro ètroppo artificiosa c fredda, ela sola criticadelCastelvetrochevalgaDigitizedbyGoogle
prefazioni:
xxxvt
ò l’ultima, cioè che largomentodellacanzone è nulla. Ma, quanto <r lingua, astile, a imagini, elleparagonetralasquisitezza delCaroela bar-barie del
Ronsard?
Al Ronsard veramente nonmancò
lostudio,ma
l’intuitodella lingua, o peggio laguastò parlando,come
fudello,greco e latino infrancese.Al capitoloquartoònotaloquellochelapoesia epica italianadeveallaFrancia,materianota,
ma
ben riassunta.Incomincia da’rapsodi che canta-vanoinItalia legestadiCarlomagno,c che un editto del popolodi Bolognadel1288 escludeva, utcantoresfrancigenartim inplateisad contundimi murari nonpossint;econtinua tino ai predeces-sori delFAriosto, cheful’Omero
di quelciclo.Alciclo
meno
trattatodai nostridella Tavola rotonda tolse 1*Alamanni ilsuo Giron cortese.Le
Crociateebbero illoroimmortale cantore in Torquato, che, secondoilsignor Ralhòry,tolse,come
letradizioni allaanticaFrancia, cosi qual-che colorealla novella. Del pari egli crede che Rinaldo, Armida,ele vaghe che la seguivano, sianoreminiscenzediCondé, dellaprincipessa diDamas,
e dell’escadronvolani de lareine,cose vèdutedalTassonelsuo poco avventurosoviaggio inFrancia. Parla poi di quellochei Francesi devono agl’italiani, nellalirica, nellapastorale, nelladrammatica. Pel burlescomostra Rabelais imitatore in molliluoghidiTeofdo Folengo, o Merlin Coccajo. QuantoallapretesachelaFranciaDigitizedbyGoogle
PREFAZIONE XXXVII Irovasso unaforma piùargutac più lina nella
commedia,
questanon
sipuò menar buona
dachi ha lettola Mandragola.Ilcapitoloquintosiriferisce aU’inlluenzadell’Ita-Hasulla morale pubblicae privala,ed al machia-vellismo.Visi
odono
con unacerta curiosità iclamori controla nostranazione,costrettaa di-fendersi dallecalunniecon un manifesto, ove si mostrava l’onesta industriadei più,e
come
le malearti deipochi fossero più una complicità coiFrancesi che straziavano il proprio paese, chenon
un abuso proprio eforestiero. Eziandio l’originedei convenevoliedelle formedi osse-quiosiapponeva
agl’italiani;quando
lavile adu-lazionspagnuola dessa fuchemise veramentela signoria finoinbordello, egl’Italiani comunica-vanoalpiù un’infezione aliena. Quanto peròalla formula vostra creatura, tanto biasimata, essanon
esprimeva veramenteservitù,ma
una rela-zione,spesso onorevolissima, dell’uomo crealo, allevaloall’armi, agli sludj,ai nobili ullìcj ri-spettoal dotto, al valoroso,al possente educa-toreo patrono.Inquestocapitolo, dovesi paria
dell’italiani-smo,
sonocuriosi esempj delfrancese ilalianalo, che supera tuttoquello chevedemmo
dell’ita-liano infrancesalosullo scorcio del secolo deci-mollavo, eziandioneiprimordj dell’occupazione francese. Bellosiòchel’italianoinvadevaco’suoi terminianchequell’arte,doveiFrancesipreten-DigitizedbyGoogle
XXXVIII PREFAZIONE
devanoprevalere,laguerra. Essi scambiavanoi
lorvecchi termini diguerra c di fortificazioni conquellidegl’Italiani, non perchèfossero mi-gliori,dice ilPasquier,maisparcequelesgens de cepayslà scavent
mieux
débiter leurs denrces que nous autres Francati.È
forza confessare cheleparlisonoben scambiateoggidì!Contro l’i-talianismosilevòquel dottissimoArrigoStefano co’suoi Dialoguesdu nouveaulangage francati ita-lianizè,enell’ardore dell’attacco nonsicontentò di rimetterein onoreil francese,come
idioma conformeal greco (Traité dela conformiledu
francati avec legrec), edidichiararloeccellente tra glieccellenti (Précellencedelalangue fran-catie,1579),ma
sfatòlanostra lingua ela disse (son parole del Davanzali) c'lungaelanguidac quasi cornacchia d’Esopo vestita delle penne franzesì.»EccoilpassoacuialludeilDavanzali, c che il suo ultimo valente editore, Enrico Dindi, dovea citare: tQue
si j’espéraisestre advouépar ceux dema
nation,jeferois volon-tiersce marchéavec cesmessers d’Italie, qu’ils nous rendissenttousIcsmolsqu’ils ontànous etnous scmblablementeussionsàleurrestituertout ceque nous lenonsd’eux.OrsiIellerestilulion sefaisait,jamais lacorneilled’Ésopene receut un sigrandscorno,que recevraitlalangue ita-henne,estantdésemplumée
de nos plumes, de-squelles elle sefait maintcnantsihragarde.Et nefaudraitcraindreque le parcilnousadvint;PREFAZIONE XXXIX carpour chaquo
pipme
nouvellequo nolre lan-guerendrailà l’italienne, elleenirouverait qua-Iredcssiennes,pourveuqu’ellevoulut prendrela palience etla peine de les cherclicr.» Il
sommo
ellenista nonsiricordava ilfondocomune
delledue lingue,e non volevavedere la preva-lente forza che danno ad unalinguai grandi scrittori,non surliancora in Francia. Migliori intendimenti ebbe,ma
impariingegno, quel Le-maire des Belges,maestrodi Clemente Marol,il quale perorò in un libro
La
concorde des deuxlangages.Ma
Arrigo Stefano merita lode, non che perdono:a*suoi insultidobbiamo
il Ta-cito delDavanzali.Veniamo
alla terzafasedell’influenza italiana.« L’invasone oltramontana,
onde vedemmo
gli effettial secolo decimoseslo, dice il Rathéry, rallentati in letteratura da Arrigo Stefano, in politicadalregno diEnrico IV,ripreseun
certo abbrivo al principio del secolo deoimosettimo*La guerradellasuccessionediMantova, 1627-1631, la reggenza di Maria de’Medici, eil ministero diMazzarino,sonoisoli eventistorici che
ran-nodano
la Franciaall’Italiain questo periodo;ma
le relazioni sociali eletterarie non cessano d’esserefrequentitra i due paesi.Per sventura la patria delTasso e di Raffaello era divenuta quelladelMarini e di Pietroda Cortona.Non
poteva più essere specchio ed esempio,e noi l’imitavamo ancora per anticocostume.» Ep*DigitizedbyGoogle
XL
' PREFAZIONEpure ilMarioi,dicuicantò Milton scrivendo al Manso, ch’ebbe la ventura di stringerla
mano
deidue grandi epici,l’italiano el'inglese:
MoxtibidulciloquumnoninsciaMusa Marinum Tradidit,iiletuuindicisegaudetalumnum
Dum
cani!AssyriusDivumprolixosamores Mollisetausonias stupefecltcarmincNymplias;quelMarini,ilcui
minor
poema,La
strage degl’ In-nocenti,tradottoin tedesco da BartolomeoBrokes
(1734)nonfusenz’efficaciarispettoalgranpoema
di Klopstock.
Inquesto capitolo settimoparla ilnostro au-tore del
Menagio
e delCappellano (Chapelain) editore dèli'Adone,inquanto vipremise una pre-fazione, edegli autoridelsecolo di L»igiXIY.
Ilsecolo delgran re,
come
lochiamavanoiFrancesi, eraapparecchialodal passalo, csi di-lungano tanto dal vero quelli che sostengono
non
avere cheraccolto il seminato ccresciuto prima daaltri, quanto coloro chegli attribui-sconotuttalagloriadegli scrittorifioriti nel pe-riodoche dalui si denomina.Ma
ilpassatocome
ilpresentedelsecoloaureodelle lettere francesi è lutto informatodegliesempjitaliani
come
sp'a-gnuoli.Se èvero che per Bacine, per Boileau, per Fcnelonsi ribattezzaspecialmentenell’ anti-chità, perCorncille si attienespecialmente alla Spagna, per MolièreallaSpagna
e all’Italia,per La Foniaine all’Italia.La Fontaine leggeva piùDigitizedbyGoogle
PREFAZIONE
XU
i nostriscrittori che quelli dellasua nazione.
Quanto alMenagio, esso
non
ò daspregiare.Egidio Menagio,l’autore delle Amenitàdel di-rittocivile, ancora pregiate, delle originidella lingua italiana,cdiquelle della lingua francese, siastatopure un pedante,sia statopureilYadius diMolière,eraperò un pedante culloe gentile; uno scita,sesi vuole,
ma come
Anacarsi,acui la bella Cleobulina,secondo latradizione di Plu-tarco, faceva vezzi e spartiva i capelli.Il Olia*pelainavràfallo uneallivo
poema,
ed oggi vi trovan delbuono; ma
era un valenteerudito.Orail
Menagio
e ilCappellanofolleggiavano della nostra letteratura,facevan giudice l’accademia della Crusca delleloro conlroversié intorno a quel verso delPetrarca:Forse, o che spero,ilmiolardarleduole;
vinceva ilMenagio, che,senon erro, leggevao ettespero!;
ma ambedue
eran fattiaccademici.Ed
essinon'eran soli. *Quella gentile maestra dellostile epistolare,madama
diSevigné, era, ancoragiovanella,fattagiudicedalMenagio
dellamaggiore
ominor
bellezza dei madrigalidelTasso e delGuarini, o davamodestamente
ilsuo giu-diziosul pensiero in unalettera pubblicata dal Cousin, scusandosi pelresto d’esseretinoeco• lièrequi n'entendait rien àla beautédes vers ita-liens.La bellissimadamigelladellaYcrniaamava
e leggevaVAminta
, il PastovFido,il Petrarca.DigitizedbyGoogle
XLU
VRIiFAZtONEAllorasistudiava Filaliano,
ma
per gustarei mi-gliori nostripoeti,e non per la musica,come
fanno ancora le signoredicerte cittàd’Italia! „E
la stessa prosa,di cuiprima Descartes, poi Pascal eBossuet, diedero sinobili saggi e capo-lavori,chelaFrancia6considerata il paesedella bellaprosa, nonsiavvantaggiò degli esempj ita-liani?Lo
stile breve,reciso nacque tranoi. La-sciamostare cheal periodolatino delBoccaccioavemmo
tosto1’antidoto delMachiavello,latino diformeedi nessi,ma
non digiro; lasciamo starechenellostessosecolodecimosesloavemmo
moltiscrittidi stile recisp, elostesso Galateo delCasa tanto calunnialo,
meno
il primo intri-caloparagrafo, èin quello stile;ma
versolafiuc del secolodecimosesloealprincipio del decimoset-limo ilmassimo
Galileo, eda lontanoilMascardi, l’Aleandri,ilTassonietantialtri,nonsviluppa-rondo
stileitaliano dalsuoinvogliociceroniano?E
poi ilDati, il Redi,gli amici delMenagio
e delCappellano,nonloleserosempre
piùspedilo e disinvolto? Della bella e speditaprosaabbiamo
pure l’iniziativa. Basterebbe quelmirabile Da-vanzali, nelcuiTacilo,come
nelBoccaccio,sono tuttigli stili.Onde,se la frased’Amyot, come
dissePaolo Luigi Courier e provòin parte Au-gusto di Blignères, ètuttaitaliana,si può dire italiananel secondomodo
quella di Descartes, di Pascal e di queglialtrigloriosi.Come
abbiati!detto,nonò nostro intentono-DigitizedbyGoogle
PREFAZIONE XI.11I