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Non si può non parlare di Katrina, chi l’ha vissuta la raconta come una big

mess. Nei viaggi che facevo in auto con Sabrina lungo la strada che collega

l’isola a New Orleans mi soffermavo a guardare gli alberi mezzi morti che stavano ricrescendo pian piano dopo sette anni. Nel sud Louisiana e, in special modo a Grand Isle, la vegetazione cambia, il paesaggio muta principalmente a causa degli uragani. Gli abitanti dell’isola mi raccontano con gioia che Katrina ha persino donato una nuova spiaggia, visibile prima di attraversare il ponte che collega l'isola all'ultimo lembo di marsh. Le chiedo se lo Stato paga per i danni subiti dall'uragano e mi dice che alla gente che ha un Checking account vengono dati 1.000 dollari da parte dello Stato federale, per poter vivere durante l'evacuazione in quanto le banche vengono bloccate.

Mi racconta che nessuno era preparato ad un evento del genere e che molta gente, abituata a non evacuare, anche quella volta decise incoscientemente di non farlo; questo era dovuto al fatto che nemmeno il sindaco aveva un piano preciso da seguire in quento l’intensità dell’uragano prevista non era così allarmante. I problemi più grandi sorsero i giorni dopo l'uragano, quando la

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gente rimasta in città iniziò ad impazzire: alcune persone rifugiatisi nel Superdome persero completamente il controllo delle loro azioni

[…]"non lo so perché, voglio dire...sei lì come tutti gli altri per salvarti, sei vivo, devi solo cercare di sopravvivere perché devi commettere violenze?". "É come se ci fosse stata una guerra?". "Oh sì, sì se lo è stato! Gente armata che sparava, rubava...nei casi di emergenza succede, ma cosa te ne fai di un televisore LCD enorme sopra le tue spalle?". Follia. E la polizia era corrotta, anche la polizia sparava, a caso. Era un problema già esistente la corruzione nei confronti della polizia, con Katrina è stato un problema che è diventato visibile a tutti. Qui è come se l'acqua facesse emergere i sotterfugi, le cose fatte dietro l'angolo dove nessuno sembra non ti possa notare. Ma galleggiano, i problemi galleggiano sulla superficie negli stati d'emergenza. L'acqua esausta rigetta la sporcizia e la riporta a riva, te la restituisce come una sorta di contro-dono melmoso che ha perso tutto il suo valore, sempre se un vero valore ce l'aveva.24

Ciò che è successo con Katrina non è stato solo un disastro ma un profondo ripensamento dell’esistenza degli individui in quanto cittadini della Louisiana con una conseguente sfiducia verso le istituzioni e la comunità scientifica, rendendo visibile quello che prima si cercava di nascondere o si preferiva non vedere affatto. L’inaspettabile susseguirsi egli eventi ha costituito una fonte d’orgoglio per chi l’uragano l’ha superato, chi l’ha vissuto in prima persona ed è riuscito a sopravvivere. Accanto ad esso però si è sviluppata anche una consapevole vergogna di fronte al crollo dei floodwalls e alla perdita del controllo da parte delle istituzioni stesse generando il caos nella città.

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In ogni racconto Katrina c’era. Lei era sempre presente nelle conversazioni, anche le più banali. Non le potevo sfuggire nemmeno nei bar e nei negozi perché veniva commemorata anche nelle salse più piccanti e i cocktail più forti, come una sorta di prova di coraggio per esorcizzare il dramma e i dolori passati a causa sua. Ecco allora che la forza di Katrina diventa l’immagine di un feticcio che ironizza sul passato, da non intendersi nel senso marxista del termine, bensì focalizzandosi sul significato simbolico che viene ad assumere in relazione alla salsa piccante e alla bevanda alcolica: due prodotti originari della Louisiana che hanno subìto una trasformazione dopo l’evento del 2005 attraverso un’operazione di marketing. Dare un assaggio agli altri dell’uragano attraverso la commercializzazione di beni locali modificati, per dare prova agli altri di quello che si è vissuto, rimarcando nuovamente quest’incredibile prova di coraggio che si sono ritrovati ad affrontare.

Compass25 stava denunciando l’escalation criminale che si era verificata nel Superdome. «C’erano dei bambini, lì. Sono stati violentati dei bambini» disse in

lacrime. E il sindaco Nagin: «In pratica per tre giorni abbiamo avuto le scorte razionate, una lotta continua, la gente… Ecco perché secondo me si è ridotta a un livello quasi animale, perché mancavano le risorse. Erano in trappola. Non so se siete pronti a vedere ciò che vedrete. Lì c’è gente rimasta chiusa in quello stramaledetto Superdome per cinque giorni, a guardare cadaveri, delinquenti che ammazzavano e stupravano. È quella la tragedia. C’era gente che tentava di darci i figli piccoli perché non morissero. (Eggers, 2011: 167)

25 L’autore fa riferimento a Edwin P. Compass, egli fu a capo della polizia durante l’uragano

Katrina e venne accusato di corruzione e disorganizzazione nel gestire la situazione in città. Il 27 settembre del 2005 si dimise dal suo incarico senza dare alcuna spiegazione

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L’autore nel libro riporta i fatti accaduti durante l’arco di tempo durante il quale la città si è preparata all’arrivo dell’uragano e quando l’ha affrontato. In particolare in questa breve citazione fa riferimento ai fatti accaduti il 7 settembre del 2005, quando le persone rimaste in città si erano rifugiate all’interno del Superdome26, uno dei luoghi principali di raccolta per chi non ha

la possibilità di abbandonare New Orleans per qualche giorno o più.

Racconti, interviste, testimonianze, parlano di un caos smisurato che si generò lungo le strade e all’interno dello stadio. Un’anarchia fuori controllo che le stesse istituzioni non erano in grado di gestire, a causa del loro inadempimento e dell’imprevedibilità delle conseguenze. Più passavano i giorni e più la gente era fuori controllo, il cibo scarseggiava, non ci si poteva muovere perché l’acqua lo impediva. L’acqua soffocava i pensieri e le speranze di chi non ha potuto o non ha voluto andarsene.

Since the beginning of the city’s history, poor and workingclass black New Orleanians have been forced to live in ecologically and economically marginal land. In these areas, property values remained low, schools were segregated and then abandoned by the majority of white citizens, and job opportunities remained limited. In the last decades of the 20th century, Louisiana had the highest per capita incarceration rate in the nation and was continually listed among the states with the highest rankings in measurements of poverty, unemployment, crime, and diabetes. It

26 Ubicato nel Central Business District, il Mercedes-Benz Superdome è lo stadio di New Orleans

famoso per essere la “casa” degli Saints, una delle squadre di football americano più forti degli Stati Uniti.

59 also ranks among the lowest in literacy, insurance coverage, and public funding of the arts and education. The aftermath of Hurricane Katrina can be viewed as part of a much larger pattern of structural violence affecting lowerincome residents of the majority black city, a disaster of longue durée.(Breunlin and Regis, 2006: 746)

Ci sono due luoghi a NOLA27 che, secondo i locali, non si possono

frequentare: il Tremé Quarter e la zona adiacente alla stazione dei treni

Amtrack. Il motivo per cui non si poteva attraversare la North Rampart Street,

punto d’inizio del quartiereFaubourg Treme, è dovuto al fatto che storicamente

era il luogo in cui avveniva la compra vendita degli schiavi nella Congo Square, storicamente conosciuta come Place des Negres. Oggi conosciuto come il luogo dove si commemora l’artista Louis Armstrong, ha mantenuto il carattere di quartiere popolare dove vive la maggior parte degli afroamericani e dei creoli, che tutt’ora non sono ben visti dagli altri abitanti. Quello che mi sfuggiva era perché non si potesse andare in piena autonomia alla stazione dei treni, al di là delle possibili risposte scontate che mi davo, non riuscivo a trovare un nesso logico a tanto timore, finché non mi sono ritrovata a leggere dei libri e degli articoli proprio su Katrina. Era esattamente in quella zona che vennero edificati dei luoghi di reclusione temporanei. Vennero chiamati i detenuti del penitenziario i Angola28 per costruire delle prigioni provvisorie dove sarebbero

state messe dentro indistintamente tutte quelle persone che avrebbero

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Acronimo usato per riferirsi alla città di New Orleans.

28 Prigione di massima sicurezza che conta oltre cinquemila detenuti ed è annoverata tra le

peggiori degli Stati Uniti. La Louisiana prevede delle pene severe da scontare in carcere anche per reati minori, per questo motivo dagli anni Novanta sono state incrementate notevolmente ed oggi è lo Stato con il tasso d’incarcerazione più alto.

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commesso sia reati gravi che minori. All’interno di esse c’è finito anche Zeitoun, personaggio di un libro autobiografico che racconta la terribile esperienza di chi la casa non l’ha voluta lasciare, perché dopo anni e anni di lavoro per costruirsi una casa, un’attività e integrarsi con i vicini (in quanto di origini siriane), è difficile decidere di dover abbandonare tutto in mano al caso, aspettando che il tempo sistemi le cose. Durante l’allagamento della città trascorse il tempo nella sua canoa a portare il cibo avanzato che trovava nelle case vuote agli animali e alle persone in difficoltà, fino al momento in cui anch’egli è stato recluso per ragioni ancora oggi sconosciute.

Migliaia di reclusi dell’Orleans Parish Prison, per esempio, compresi quelli detenuti per reati minori come ubriachezza molesta e taccheggio, erano stati tenuti per tre giorni sul cavalcavia di Broad Street. Li si era visti alla televisione, un mare di uomini vestiti di arancione seduti su una carreggiata lercia, in mezzo a feci e spazzatura, circondati da guardie armate di fucili automatici.

Quando finalmente erano arrivati gli autobus, i prigionieri erano stati portati all’Elayn Hunt. Anziché sistemarli dentro il carcere, li avevano messi nello stadio del complesso, e lì erano rimasti per altri giorni, all’aperto, senza alcun riparo. Migliaia di detenuti, con condanne che andavano dall’omicidio allo stupro, alla guida in stato d’ebbrezza e ai furtarelli, buttati tutti insieme sul prato dello stadio.

Non c’erano gabinetti. I detenuti urinavano e defecavano dove potevano. Non c’erano cuscini, lenzuola, sacchi a pelo o abiti asciutti. Ciascuno aveva ricevuto una coperta. Il terreno su cui sorgeva il penitenziario era una palude bonificata, e di notte diventava estremamente umido. Gli uomini dormivano nel fango, senza nulla che li proteggesse dagli elementi, dagli insetti o dagli altri prigionieri. C’erano stati vari accoltellamenti. Risse per le coperte.

L’unica fonte d’acqua erano due piccoli tubi che spuntavano dal prato. Bisognava attendere il proprio turno, e poi bere dalle mani. Quanto al cibo, i secondini

61 portavano dei panini, li appallottolavano e li lanciavano nel campo da dietro il muro dello stadio. Mangiava chi riusciva a prenderne uno al volo. Mangiava chi era in grado di difendersi. Molti non mangiavano affatto. (Eggers, 2011: 232-233)

Secondo lo psicologo David Kipnis nel suo libro The Powerholders chiarisce come il potere possa corrompere psicologicamente e moralmente le persone. Infatti, se un individuo detiene molto potere nei confronti di altre persone, questo tende a considerarli come degli esseri inferiori privi di dignità, ponendo se stesso al di sopra dei comuni canoni morali. (Kipnis, 1976)

Siamo abituati a considerare le persone che ricoprono ruoli istituzionali come aventi il dovere di proteggerci e il diritto a tutelarlo anche attraverso atti punitivi conformi alle leggi dello Stato. Spesso, in casi d’emergenza, si verifica uno smarrimento che coinvolge anche la sfera individuale creando confusione sul ruolo sociale che ci si attende e quello che invece si attua, per questo motivo si verificano episodi di coercizione sociale, destabilizzando le persone sul concetto stesso di potere. Gli stupri, le violenze e poi la repressione estrema sono atteggiamenti scaturiti da una condizione di scarsità delle risorse e dalla mancanza di un riferimento istituzionale in grado di gestire l’imprevedibilità della situazione che si era creata. Come scrive l’autore James C. Scott «È dunque possibile che, in determinate condizioni, anche la pesante subordinazione non volontaria possa essere fatta apparire giusta e legittima» (Scott, 2006: 116).

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Le persone che evacuarono seguivano ansiosamente le notizie via radio e televisione, cercando di capire che cosa stesse succedendo nella loro città. Purtroppo le notizie diffuse dai giornalisti furono contraddittorie e fin da subito non godettero di credibilità, per loro il tempo d’attesa per ritornare a casa stava diventando psicologicamente insostenibile.

Like 80 percent of New Orleans residents, we evacuated the city before the hurricane and spent the next week huddled around televisions, squinting to identify the New Orleans neighborhoods that were being shown from aerial video footage taken from helicopters. Many of us hoped to see an image of our streets, homes, and neighborhoods. The complexity of the landscape became a surreal blur of motion and water. Early reports indicated that “Ward Nine” had taken the hardest hit. Later, the term was revised to the vernacular, “Ninth Ward29,” which then became a metaphor

for any flooded downtown neighborhood. On CNN, we saw images taken from the city’s Seventh and Eighth Wards, among other neighborhoods, and all were consistently referred to as the Ninth Ward. […] For displaced New Orleans residents desperately watching television and seeking information, the disaster of the hurricane and the flood was overtopped by the mediated disaster, as we watched and listened to our city being objectified and distorted by journalists, armed with Google Digital Earth, live satellite feeds, and little local knowledge about the people, places, and communities that make New Orleans home. (Breunlin and Regis, 2006)

Ci vollero settimane perché la situazione si stabilizzasse nella città. Dovettero aspettare che l’acqua se ne fosse andata per andare a vedere come si erano trasformate le loro homes. Ci volle ancora più tempo per iniziare a ricostruire le proprie vite all’interno della città. Molte persone, dopo

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l’evacuazione, decisero di non tornare e si trasferirono nella capitale Baton Rouge. Così oggi New Orleans porta ancora i segni di quella profonda devastazione che ha dovuto affrontare, inerme davanti alla pressione dell’acqua che si faceva spazio tra gli argini deboli.

«Quella sera c’era silenzio. Zeitoun non sentì vento, né voci, né sirene. Solo il suono di una città che come lui respirava, stanca dopo la lotta, felice che fosse finita.» (Eggers, 2011: 81)