1 IL CONFINE ORIENTALE ITALIANO DALL'UNITA' AL 939
1.11 L’AFFERMARSI DEL FASCISMO SUL CONFINE ORIENTALE D’ITALIA.
Nonostante il regime eccezionale vigente nella Venezia Giulia, nelle terre liberate ebbe una rapidissima diffusione il nuovo movimento politico sorto a Milano in piazza San Sepolcro nel marzo 1919: il primo fascio si costituì infatti a Trieste già in aprile, per iniziativa di volontari irredenti, repubblicani, liberal- nazionali radicalizzati ed ex combattenti125.
Nel luglio del 1919 avvenne a Trieste una clamorosa reazione antisocialista: le aggressioni avevano avuto origine da una gita di bambini organizzata dal partito socialista nei dintorni della città. Tali gite, in cui i piccoli
123Con l'Articolo I, si ridisegnarono i confini nella parte orientale; Trieste, Gorizia e Gradisca,
l'Istria e alcuni distretti della Carniola (Postumia, Villa del Nevoso, Idria, Vipacco, Sturie) furono annesse all'Italia. Con l'Articolo II, Zara fu assegnata all'Italia. L'Articolo III stabilì come sarebbero state spartite le isole del Quarnaro: Cherso, Lussino, Pelagosa e Lagosta furono assegnate all'Italia, mentre le altre isole, precedentemente proprietà dell'Impero Austro-Ungarico, andarono al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Con l'Articolo IV, nacque ufficialmente lo Stato libero di Fiume. Lo stato doveva avere per territorio un cosiddetto "Corpus separatum", "delimitato dai confini della città e del distretto di Fiume", ed un tratto di territorio già istriano. L'Articolo V stabilì il metodo con cui sarebbero stati tracciati i confini; in caso di divergenze sarebbe stato chiesto l'ausilio del Presidente della Confederazione Elvetica. Con gli Articoli VI e VIII furono organizzati degli incontri durante i quali si sarebbe discusso sui temi dell'economia e della cultura, al fine di mantenere saldi i rapporti tra i due Regni. Gli accordi economici furono successivamente approvati e firmati a Roma il 23 ottobre 1922. Nell'Articolo VII fu elencata una serie di risoluzioni a problematiche relative alla cittadinanza che sarebbero sorte in seguito al passaggio dei territori serbi all'Italia. L'Articolo IX esplicò la modalità con cui era stato redatto il trattato, che si chiudeva con le firme dei sei Plenipotenziari.
124I.J. Lederer, La Jugoslavia dalla Conferenza della pace al Trattato di Rapallo 1919-1920, cit. p.
319.
125C. Silvestri, Dalla redenzione al fascismo. Trieste 1918-1922, Del Bianco, Udine 1959, pp. 30
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sfilavano lentamente per le strade del centro cittadino cantando canzoni “sovversive” e provocando notevoli impedimenti al traffico, servivano come dimostrazione di forza del movimento operaio. Il 3 agosto 1919 avvenne un diverbio tra uno dei sorveglianti dei piccoli gitanti e un carabiniere: scoppiarono dei tafferugli, seguiti dall'iniziativa del blocco nazionale e della forza pubblica, in seguito al quale buona parte del direttivo socialista venne tratta in arresto. Il 4 agosto il partito socialista rispose con uno sciopero generale.
Nei territori di nuova acquisizione aveva avuto luogo, nella situazione eccezionale ed incerta del dopoguerra, una radicalizzazione delle diversi componenti dello scenario politico giuliano: gli ex combattenti, i volontari, gli arditi si erano costituiti in un blocco nazionale, propenso all'azione diretta violenta, in chiave antisocialista e antislava. Anche i repubblicani si andavano spostando su posizioni più radicali, talora vicine al nuovo movimento fascista. Una profonda crisi aveva colpito invece l'elemento liberal nazionale, tradizionalmente maggioritario nelle città italiane della Venezia Giulia. Minoritarie e deboli risultavano anche le nuove correnti del socialismo riformista, in cui era confluito l'elemento liberal-nazionale prima della guerra. La Democrazia Sociale, che aveva avuto un peso rilevante nel raggruppare intorno a sé l'interventismo giuliano democratico, tenne tra il 12 e il 13 aprile 1919 il suo ultimo congresso prima di sciogliersi, lacerata dallo spostamento a destra dei repubblicani e dal sostegno alle posizioni bolsceviche da parte dei socialisti. L’inconsistenza delle forze italiane tradizionali, liberal-democratiche o riformiste, indusse i comandi dell'esercito e la stessa autorità civile ad appoggiarsi ai settori dal nazionalismo che parevano allora prevalenti nel campo italiano126.
I fasci costituitisi a Trieste nell'aprile del 1919, dopo poche settimane dalla riunione di piazza San Sepolcro a Milano, annoveravano tra i primi aderenti uomini che sarebbero in seguito divenuti figure di spicco dell'antifascismo, come Pietro Jacchia (che morirà nella guerra civile spagnola dalla parte repubblicana) ed Ercole Miani (comandante dei volontari giuliani della libertà e a capo dell'insurrezione di Trieste). Al primo si deve il Manifesto programmatico del fascio trentino, pubblicato sulla «Nazione» del 3 aprile 1919, in cui si trovano oltre ad enunciazioni nazionaliste, antibolsceviche ed imperialiste, suggestioni
126M. Cattaruzza. Socialismo adriatico: La socialdemocrazia di lingua italiana nei territori costieri della Monarchia asburgica; 1888–1915, Piero Lacaita, Manduria 1998, pp. 181-182.
61 produttivistiche e pansidacaliste. Il nazionalismo conservatore era invece rappresentato dalla sezione dell'Associazione nazionale italiana fondata quasi contemporaneamente al primo fascio.
Il partito socialista passò quasi completamente su posizioni bolsceviche; la parte slovena, contraria al passaggio dei territori occupati all'Italia, confluiva nel movimento operaio, accentuandone l'ambiguità nazionale: Edmondo Puecher, socialista storico, che aveva preso decisamente posizione per il passaggio all'Italia del Litorale, venne emarginato dalla vita interna del partito dopo aver subito un vero e proprio processo, segnale della profonda trasformazione del socialismo triestino. In una relazione del 26 luglio 1919 dal distretto di Pola si denunciava che «gli jugoslavi del distretto hanno aderito quasi tutti al partito socialista ufficiale, che accoglie nel suo grembo tutti malcontenti del nuovo regime», mentre in una relazione del 13 luglio si metteva in evidenza come:
«Le propaganda jugoslava si confonde con quella bolscevica, divulgata dal partito socialista. Gli elementi slavo-croati non trovando campo più adatto, per la divulgazione delle loro idee, si associano alle istituzioni del partito socialista, il quale non facendo estrazione di alcuno, purché di sentimenti antitaliani, accetta in grembo, individui di ogni nazionalità.»127
In questa situazione di instabilità e incertezza, sia Petitti che Mosconi si servirono delle squadre nazionali in termini strumentali, come di un elemento di indubbia affidabilità. Il cosiddetto «fascismo di confine» ebbe caratteri in parte diversi dal fascismo che si andava definendo nel Nord del paese: qui l'elemento nazionale fece da collante per una cooperazione tra elementi repubblicani, democratici, nazionalisti ed ex combattenti confluiti in cerca di avventura alla frontiera orientale; qui il nazionalismo svolse un ruolo preminente, anche a spese dei caratteri più peculiari del fenomeno fascista, quali il mito dell' «uomo nuovo», il mito di uno Stato totalitario o il primato della politica128.
La base operaia e i simpatizzanti socialisti seguirono i loro rappresentanti nel processo di radicalizzazione, portando Pola a divenire una delle città italiane a più alta conflittualità operaia; il 1 maggio 1920 si ebbero quattro morti a Pola, dove permaneva il comando militare della marina, per mano della forza pubblica.
L'azione più clamorosa attribuibile al primo fascismo fu l'incendio a Trieste del Balkan, il 13 luglio del 1920, seguito da altri incidenti a Spalato, città
127M. Cattaruzza, L'Italia e il confine orientale, cit., p. 139.
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non inclusa nei compensi italiani previsti dal patto di Londra. L'ammiraglio Millo, appoggiato dal capo di Stato maggiore della marina, l'ammiraglio Thaon de Revel, aveva fatto stazionare l'incrociatore Puglia nel porto di Spalato, ritenendo in questo modo di poter rafforzare la posizione negoziale dell'Italia a Parigi.
La presenza dell'incrociatore venne accolta con nervosismo dalla maggioranza croata di Spalato e determinò una situazione di tensione tra l'equipaggio italiano e la componente nazionalista croata della popolazione, che crebbe in seguito al manifesto appoggio di Millo e degli alti comandi della marina all'impresa di Fiume, sfociata nell'illegale occupazione di Traù, sotto il controllo delle truppe americane. In questo contesto di forte insofferenza, la sera dell'11 luglio 1920 il capitano serbo Lovrić tenne a Spalato un acceso comizio in chiave antitaliana: gli incidenti ebbero origine dal gesto di due ragazzi che innalzarono nei pressi del Puglia una bandiera jugoslava; due sottoufficiali italiani la sequestrarono e la portarono a bordo dell'incrociatore. In seguito a ciò vi fu un assalto contro il locale frequentato dalla borghesia Spalato-italiana con distruzione delle insegne, dove tre ufficiali del Puglia vennero aggrediti dalla folla e feriti. Ci fu quindi un'ulteriore spedizione del Puglia sulla terraferma, nel tentativo di riportare a bordo gli ufficiali coinvolti negli scontri ma, mentre erano in corso le trattative tra il capo della polizia di Spalato e il capitano Tommaso Gulli, una bomba esplose nel porto vicino alla sede della Jadranska Banka. Sui fatti che seguirono non vi è accordo tra gli storici, ma vi fu comunque un dilagare di violenza, durante i quali il capitano Gulli venne ucciso, due altri membri dell'equipaggio feriti gravemente, uno dei quali morì poco dopo. Sulla riva la bomba aveva causato diversi feriti e un morto. Si trattò di uno di quegli incidenti dalle dinamiche oscure, frequenti nelle zone contese del primo dopoguerra. È importante notare che il governo italiano aveva perso allora ogni controllo sulla situazione dalmata, e secondo il comandante Andrews l'ammiraglio Resio, con cui egli ebbe un incontro dopo gli incidenti, era privo di istruzioni, sia da parte del governo che da parte di Millo, allora manifestatamente dalla parte degli ammutinati di Fiume129.
129Questo importante episodio viene quasi completamente trascurato dalla ricerca storica. Ne fa
una ricostruzione Claudio Silvestri in Documenti americani sui “Fatti di Spalato” del luglio 1920, in “Movimento di liberazione in Italia”, 94,1, gennaio-marzo 1969. L'autore pubblica qui alcuni documenti di pugno del comandante delle forze navali statunitensi nel Mediterraneo orientale, Philip Andrews, senza rivelarne l'origine. Divergendo dalla versione di Claudio Silvestri, Carlo Schiffrer nell’articolo Fascisti e militari nell’incendio del Balkan, in “Trieste”, 10, maggio-giugno 1963 afferma che il morto e feriti sulla riva furono provocati dal fuoco partito dalla lancia dei
63 Gli incidenti di Spalato vennero resi noti a Trieste il 13 luglio: le forze nazionaliste convocarono allora un'assemblea pubblica in piazza Unità in città a cui parteciparono circa 2000 persone; mentre l'avvocato fascista Francesco Giunta incitava la folla a vendicare il sangue di Gulli; tra la folla che assisteva al comizio vennero pugnalati due giovani in circostanze mai chiarite, di cui uno morì sul colpo.
Si gridò quindi alla provocazione slava, in quanto il morto era ritenuto fascista. I più esagitati tra quelli che avevano assistito al comizio si diressero verso la sede della rappresentanza serba, dove la bandiera jugoslava venne strappata via dal balcone e calpestata dalla folla. Di questi una cinquantina si diressero poi verso il Balkan, in cui avevano sede dei più importanti associazioni politiche e culturali slovene, ceche, croate e serbe, oltre a diversi studi di professionisti slavi e abitazioni private. Dal balcone dell'edificio venne gettata una bomba sulla folla ferendo in modo grave un tenente. Dei testimoni affermarono che alla bomba era seguita una fitta sparatoria sui manifestanti, in seguito al quale i manifestanti e la forza pubblica avevano dato fuoco all'edificio. La realtà dei fatti non è mai stata appurata, e del resto non si trovano prove certe né della sparatoria, né dell'esistenza di un arsenale esplosivo che avrebbe potuto trovarsi dentro l'edificio. La vicenda presenta diversi lati oscuri e la maggior parte degli storici propende per l'ipotesi della provocazione premeditata: quello che è certo è che le devastazioni videro all'opera inedite forme di cooperazione tra militari e fascisti e segnarono una cesura nell'ascesa del fascismo al confine orientale; i fasci erano divenuti l'elemento propulsivo della reazione violenta antislava e antisocialista, a cui si unirono i militari, i carabinieri e le stesse autorità civili130.
La giornata del 13 luglio 1920 vide altre devastazioni di proprietà slave, tutte avvenute alla presenza della forza pubblica che non ritenne opportuno intervenire in alcun modo; da allora non solo si moltiplicarono le azioni violente
marinai italiani. Il capitano Gulli e il marinaio sarebbero caduti sotto il fuoco di risposta dei gendarmi jugoslavi.
130Poco fondata la ricostruzione di Apollonio, che nel libro Dagli Asburgo a Mussolini, secondo il
quale il tenente sarebbe morto in circostanze dubbie poco dopo il trasporto dall'ospedale civile all'ospedale militare, dopo essere sopravvissuto una settimana ed essere ormai apparentemente fuori pericolo. Altrettanto poco fondata e la versione riportata da Carlo Schiffrer nel libro Fascisti
e militari nell’incendio del Balkan, secondo il quale le bombe e il materiale incendiario sarebbero
stati portati all'interno dell'edificio quella mattina stessa da una squadra di fascisti. Anche il lancio della bomba che uccise il tenente Casciana sarebbe stato opera dei fascisti questa versione si baserebbe su una testimonianza orale di seconda mano, prodotta nel 1943 da fascisti che si trovavano in carcere in seguito alle devastazioni di negozi ebrei.
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contro i socialisti e gli slavi, ma le stesse autorità civili risultavano il più delle volte subordinate all'iniziativa fascista. Un ruolo centrale nella riorganizzazione del fascismo tristestino ebbe l'avvocato toscano Francesco Giunta e la devastazione del Balkan assunse un carattere altamente simbolico per ambedue gli schieramenti nazionali: per gli italiani si trattava della distruzione di un minaccioso centro di congiure slave nel cuore della città, per gli slavi era la data di inizio del martirologio durante il periodo fascista.
L'opinione pubblica italiana accettò l'interpretazione ufficiale dei fatti e nei mesi successivi le azioni intimidatorie, compiute con l'appoggio dell'elemento militare, si moltiplicarono e crebbero di intensità, tanto che persino il commissario Mosconi si lamentava con il comando militare della partecipazione di ufficiali e soldati dell'esercito in divisa alle imprese fasciste. Le violenze raggiunsero il culmine nel corso delle elezioni politiche del maggio 1921, che erano state accompagnate da pesanti intimidazioni nei confronti dell'elettorato sloveno e croato. In Istria l'illegalità dilagava in maniera preoccupante, manifestandosi in aggressioni contro gli elettori slavi, cui veniva impedito di esercitare i loro diritti, attraverso pestaggi e assalti ai seggi. I fascisti erano qui aiutati dai funzionari dello Stato e dalle forze di polizia che in diversi casi non riconobbero la validità dei documenti di identità o addirittura arrivarono a porre degli elettori temporaneamente in stato di custodia. Dalle urne emersero a Trieste tre esponenti fascisti e il comunista Bombacci, mentre in Istria vennero eletti cinque candidati del blocco italiano e uno slavo; nell’Isontino, dove il fascismo non aveva avuto così ampia diffusione, uscirono dalle urne le candidature di quattro sloveni e del comunista Tuntar: rispetto al resto d'Italia, la Venezia Giulia faceva riscontrare accanto al Piemonte i più promettenti successi elettorali per i comunisti131.
Il ricorso sistematico alla violenza politica si riscontrava anche da parte delle componenti più radicali della sinistra, in cui venivano a confluire, accanto agli elementi nazionalisti sloveni croati, soprattutto in Istria, anche istanze di ribellismo contadino. Oltre a diverse imboscate in cui persero la vita molti squadristi l'ala radicale mise in atto l'incendio del cantiere S. Marco a Trieste il 1 marzo 1921, mentre nello stesso mese veniva proclamata la Repubblica sovietica di Albona da parte dei minatori occupati nelle miniere di carbone dell’Arsa,
131E. Apih, Italia, Fascismo e antifascismo nella Venezia Giulia (1918-1943) ,Laterza, Bari 1966,
65 nell'Istria meridionale. E’ in quest'episodio, presto represso grazie all'intervento dell'esercito, che i motivi politici di stampo sovietico convergevano con il ribellismo nazionale dell'elemento croato. Il mese successivo scoppiò la rivolta di Prostina guidata dallo studente croato Ante Ciliga, a cui presero parte circa 300 croati armati e istruiti secondo le regole di guerra: questi riuscirono in un primo tempo a respingere le truppe, causando un morto e cinque feriti e innescando la rappresaglia delle squadre fasciste che incendiarono alcuni villaggi.
1.12 IL FASCISMO DI CONFINE.
Il 3 marzo 1922 nello Stato Libero di Fiume, costituitosi in seguito al Trattato di Rapallo, ebbe luogo un colpo di Stato fascista: riproponendo la prassi messa in atto da D'Annunzio in occasione del referendum per il compromesso, i fascisti, preso atto del netto prevalere degli autonomisti nelle elezioni per la Costituente del neonato stato fiumano, distrussero quasi tutta la documentazione relativa alle operazioni elettorali. Dopo alcuni giorni caratterizzati dal disordine, i fascisti con la collaborazione di Francesco Giunta, assunsero temporaneamente il potere a Fiume; vennero convalidati tuttavia i risultati favorevoli agli autonomisti e Riccardo Zanella venne eletto presidente della Costituente. Il 3 marzo 1922, allora, i fascisti attuarono un concentramento in città: il palazzo del governo divenne il bersaglio dei cannoni di un mas della marina italiana ancorato in porto, e i carabinieri assecondarono il golpe. Il palazzo del governatore non venne difeso dal 26° battaglione di fanteria che anzi fu d'aiuto ai fascisti; Zanella fu costretto a cedere il posto a un Comitato di difesa nazionale, cui subentrò presto un Consiglio nazionale.
Il golpe fu portato a termine grazie all’accondiscendenza delle autorità italiane e Zanella fu costretto a un esilio che durò per tutta la vita. Nel golpe di Fiume i fascisti furono per la prima volta in grado di assumere direttamente il potere politico, suffragati dall'appoggio dell'autorità e dei militari132.
Mentre nelle città continuavano le lotte tra le diverse fazioni di fascisti e legionari, l’Italia e la Jugoslavia ribadirono nel patto del 23 ottobre 1922 l'indipendenza di Fiume: dopo la marcia su Roma sarebbero cresciute le pressioni italiane su Belgrado per l'annessione della città, a cui si giungerà con il Trattato di
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Roma del 27 gennaio 1924, quando Roma e Belgrado stabiliranno ufficialmente l'annessione di Fiume, mentre Sussak, il centro croato contiguo, passerà alla Jugoslavia.
Anche sul confine settentrionale il fascismo assumeva un carattere precocemente golpista: nei territori del sud Tirolo, annessi in base al trattato di Saint Germain del 10 settembre 1919, l'elemento tedesco manteneva ancora il potere nelle proprie mani: erano infatti stati eletti Consigli comunali tedeschi, si celebravano le festività tedesche, le scuole erano di lingua tedesca e l'italiano non era stato introdotto neanche nei rapporti con l'autorità. Di fronte a questo stato di cose, i fascisti posero un ultimatum al consiglio comunale di Merano, con la minaccia che se non fossero state accolte le loro richieste, avrebbero messo in atto una marcia da Verona con 800 uomini. Le richieste dei fascisti risultavano relativamente moderate: queste rivendicavano l'uso dell'italiano nei rapporti con le autorità, la messa a disposizione di una chiesa di Merano per i fedeli italiani e l'osservanza delle festività italiane.
Le richieste vennero accolte dal Consiglio comunale e questo indusse i fascisti a mettere in atto meccanismi analoghi nei confronti del consiglio comunale di Bolzano, a cui indirizzarono un memorandum in dieci punti, in cui venivano richieste le dimissioni del sindaco e del consigliere sudtirolese, il bilinguismo negli atti pubblici, corsi obbligatori di italiano per i funzionari della pubblica amministrazione, la messa a disposizione di una scuola per gli alunni italiani e infine una chiesa per i fedeli italiani. Francesco Giunta, che aveva già legato il suo nome ai fatti di Fiume, e a Trieste era un noto capo squadrista, ricevette da Mussolini l'ordine di mettere in piedi un'azione a Bolzano: il 1º ottobre Giunta alla testa dei suoi squadristi occupò la scuola “Imperatrice Elisabetta” che venne ribattezzata solennemente “Regina Elena”, mentre le squadre fasciste si concentravano a Bolzano da tutto il Nord, ammainavano la bandiera austriaca e esponevano il ritratto del re, costringendo il sindaco ad arrendersi allo stato di fatto. Fiume e Bolzano varranno come prove generali per quella tecnica di pressione sul potere politico che fu la Marcia su Roma.133
Nei mesi antecedenti la Marcia su Roma la posizione del fascismo nella Venezia Giulia risultava inespugnabile, tanto che lo stesso re Vittorio Emanuele
67 III ammise durante una sua visita a Trieste come il fascismo dominasse ormai indiscutibilmente queste terre.
Lo storico Elio Apih sostiene che nella Venezia Giulia la marcia su Roma venne a sanzionare una situazione già chiaramente definita, in cui di fatto lo squadrismo fascista era stato uno deglii strumenti principali per l'omologazione dei nuovi territori alla struttura centralistica dello stato italiano, nonché per la