1 IL CONFINE ORIENTALE ITALIANO DALL'UNITA' AL 939
1.5 LA PRIMA GUERRA MONDIALE
Lo scoppio della prima guerra mondiale viene convenzionalmente associato all'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando per mano dello studente serbo Gavrilo Princip il 28 giugno 1914, ma le origini della guerra risiedettero in realtà nel complesso delle relazioni fra le potenze europee tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, e soprattutto nelle politiche di colonizzazione promosse dalle varie nazioni; l'assassinio dell'erede al trono fu probabilmente la scintilla ulteriore e fece scoppiare la polveriera.
L'Italia rimase in un primo tempo estranea al conflitto, facendo valere il carattere difensivo della Triplice Alleanza, che prevedeva una sua partecipazione a fianco dell'Austria o dalla Germania solamente in caso di attacco da parte di altre potenze europee, mentre negli altri casi, gli alleati nella triplice alleanza erano tenuti solo «ad una benevola neutralità»52.
Lo scoppio della guerra portò alcuni settori della vita politica culturale italiana ad accelerare il radicalizzarsi delle tendenze e processi che avevano già iniziato a manifestarsi negli anni immediatamente precedenti la guerra: l'Italia non poteva rimanere estranea rispetto ai potenti rivolgimenti ideali e culturali che stavano agitando l'Europa e che culminavano nell'adesione entusiastica alla grande avventura bellica.
L'adesione al conflitto si presentò in Italia, almeno inizialmente, come un'adesione alla guerra in sé, alla guerra per la guerra, percepita come antidoto alla minaccia della temuta decadenza per una società che sembrava avviata sulla via di un pacifico e “svirilizzante” riformismo53.
Si riaffermava prepotentemente la convinzione che il conflitto avrebbe finalmente indotto la tanto desiderata rigenerazione della comunità nazionale, determinando la fusione delle diverse componenti al di là delle differenze di ceto. Per le potenze che entrarono in guerra nei primissimi giorni dell'agosto del 1914 questi argomenti si innestavano su concreti e precisi obiettivi di difesa nazionale,
52L'articolo 4 della Triplice alleanza disponeva che “ Nel caso che una grande potenza non
firmataria del presente trattato minacciasse la sicurezza degli Stati di una delle altre parti contraenti e la parte minacciata si vedesse perciò costretta a farle la guerra, le due altre si obbligano ad osservare, verso il loro alleato, una benevola neutralità. Ciascuna si riserva, in questo caso, la facoltà di prendere parte alla guerra, se essa lo giudica conveniente, per far causa comune col suo alleato.
53M. Cattaruzza, L'Italia e il confine orientale, cit., p.72. Sullo stesso argomento vedi anche M.
Isnenghi,G. Rochat, La grande guerra 1914-1918, Il Mulino, 2008 e A. Gibelli, La grande guerra
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di mantenimento dello status di grande potenza, o addirittura, come nel caso della Serbia della monarchia asburgica, della propria esistenza come entità statuale.
La situazione dell'Italia allo scoppio della prima guerra mondiale si presentava diversa: su di essa non incombeva una minaccia immediata di aggressione, né il conflitto in atto rischiava di declassarne lo status di potenza; la neutralità italiana veniva considerata infatti come il male minore dagli imperi centrali.
Tra i propagandisti più attivi per l’intervento italiano contro l’Impero austro-ungarico merita di essere ricordato Cesare Battisti, profugo da Trento, che tenne numerosi comizi nelle maggiori città italiane e pubblicò articoli interventisti su giornali e riviste54.
Anche i socialisti, nella loro neutralità assoluta, non nascondevano la nota antiaustriaca ed antigermanica e la simpatia nei confronti dell'Inghilterra soprattutto della Francia, mostrando quanto fosse improponibile un intervento in appoggio agli alleati della Triplice. Gli stessi nazionalisti riconsiderarono rapidamente le proprie simpatie verso la Triplice e si misero a sostenere un intervento a fianco alle forze dell'Intesa, e tra loro assunse un ruolo di primo piano il nazionalista istro-triestino Ruggero Timeus. Questi, nella primavera del 1914, nel suo pamphlet Trieste aveva collegato la prospettiva della difesa nazionale con l’obiettivo dell'espansione italiana nei Balcani, in una logica imperiale. Dopo aver analizzato le diverse manifestazioni dell'avanzata a Trieste, dalla penetrazione economica all'occupazione dei gangli dell'amministrazione pubblica, all'espansione della struttura scolastica slovena, Timeus concludeva ipotizzando il ruolo che Trieste avrebbe potuto giocare per l'Italia: «tutto l’Italia può acquistare altrove, ma la chiave della sua espansione verso i Balcani e il levante può averla solo a Trieste. […] Noi gettiamo in faccia tutti il nostro sogno d'un Impero. Vogliamo conquistare: che c'importa delle giustizie nazionali o delle convenienze internazionali o morali55».
Gli obiettivi territoriali dell'irredentismo venivano così posti al servizio di una futura politica di potenza, di cui la penetrazione economica avrebbe costituito
54Durante una delle sue conferenze aveva affermato che: «Domina nei paesi italiani irredenti non
la giustizia ma la polizia, non lo spirito di civiltà ma esclusivamente il militarismo, la dittatura militarista. Ogni manifestazione che abbia carattere di cultura, di italianità è impedita. L’uomo politico, se non è un servitore del governo, non può esprimere le proprie opinioni. I magistrati e le autorità civili non hanno alcuna indipendenza; devono ciecamente ubbidire all'autorità militare.» C. Battisti, Scritti politici e sociali, a cura di R. Monteleone, La Nuova Italia, Firenze 1966, p.495.
33 un requisito essenziale. Analoghe posizioni si trovano anche in Mario Alberti, che ipotizzava per il porto di Trieste un ruolo di primo piano quale centro di diffusione delle merci italiane nell'Europa centro-orientale e nel Levante56, e in Attilio
Tamaro, attivissimo pubblicista a favore dell'intervento e successivamente diplomatico fascista. Tamaro, nella sua monumentale Storia di Trieste, avanzava la concezione di un confine orientale quale “porta aperta verso Est”: non compimento degli ideali di unificazione nazionale, ma piattaforma per una espansione imperialistica nell'ottica di una politica di potenza57.
Alla vigilia dello scoppio della guerra in Italia circa 40.000 profughi dal Trentino, dal Litorale e dalla Dalmazia, si erano organizzati in una fitta rete associativa, dotata di proprie istituzioni previdenziali e di propri organi di stampa. Lo scoppio della guerra trasformò il fuoriuscitismo in fenomeno di massa, e nel corso della crisi di luglio molti degli esponenti politici austro italiani si trasferirono in Italia; nel corso della guerra il numero complessivo dei fuorusciti crebbe sino a raggiungere la soglia degli 86.00058. Alla fine del 1914 sorgevano
associazioni interventiste con chiare rivendicazioni territoriali, nei confronti della Dalmazia, di Fiume: la Pro Dalmazia italiana, e la Pro Fiume e Quarnaro. Accanto a questi si schieravano per l’entrata in guerra gli esponenti dell'interventismo democratico, come Gaetano Salvemini e Leonida Bissolati, fautori di un programma di autodeterminazione nazionale per tutti popoli della monarchia asburgica e di affratellamento tra l'Italia e gli slavi del sud in una riproposizione della concezione mazziniana di un'Europa delle nazioni59. La loro
parola d'ordine era che la guerra europea in corso avrebbe dovuto essere l'ultima guerra da combattersi per eliminare definitivamente dall'Europa il militarismo e l'imperialismo. Queste posizioni venivano condivise solo da una minoranza dei fuorusciti giuliani, la maggioranza dei quali invece presentava posizioni antislave, maturate nel corso dell'esperienza della lotta nazionale nella Giulia. Mentre nazionalisti, irridenti e liberali di destra rivendicavano all'Italia buona parte della costa dell'Adriatico orientale secondo la logica della politica di potenza,
56M. Alberti, La fortuna economica di Trieste e i suoi fattori, Guida commerciale Pozzetto e C.,
Trieste 1913 in G. Sapelli, Trieste italiana. Mito e destino economico, Franco Angeli Editore, Milano 1990, pp. 17 ss.
57A. Tamaro, Storia di Trieste (1924), 2 voll.. Edizioni Lint, Trieste 1976, vol. I, pp. 385 ss. 58R. Monteleone, La politica dei fuorusciti irredenti nella Guerra mondiale, Del Bianco, Udine
1972, p. 18
59 A. Frangioni, Salvemini e la grande guerra. Interventismo democratico, wilsonismo, politica delle nazionalità, Rubettino 2011
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interventisti democratici, socialisti nazionali e sindacalisti propendevano per un confine etnico, che inglobasse buona parte dell’ Istria, escludendo però il distretto croato di Volosca nell'Istria meridionale; la Dalmazia, ad eccezione di alcune piazzeforti marittime sulle isole, sarebbe spettata al nuovo Stato jugoslavo60. Nel
periodo antecedente alle trattative finali per la stipula del patto di Londra ebbero un peso importante le considerazioni relative alla sicurezza dei confini: in un memoriale intitolato I confini naturali d'Italia61, Mayer in risposta al quesito
propostogli da Sonnino su cosa pensasse della possibilità che Trieste diventasse città libera, giustificava la richiesta del confine dal Monte Nevoso al Monte Maggiore in Istria con le esigenze di difesa rispetto al pericolo di aggressioni straniere. Il memoriale evidenziava l'opportunità di annettere anche Fiume e le isole del Quarnaro, mentre l'annessione di una parte della costa dalmata veniva sostenuta solo nel caso che alla fine del conflitto l'Austria fosse rimasta padrona dell'Adriatico orientale.
Nel frattempo si era costituito a Londra il 30 aprile 1915 il Comitato jugoslavo, rappresentante della prospettiva di unificazione degli slavi del sud, a guida serba, sotto l'impressione delle concessioni che l'Intesa era in procinto di fare all'Italia62. Esponenti politici croati e sloveni si riunirono clandestinamente a
Trieste tra il marzo e l’aprile 1915, e autorizzarono Ante Trumbić ad organizzare un Comitato per l'indipendenza delle terre jugoslave e contro qualsiasi cessione di parti di tali territori all'Italia63.
Allo scoppio della guerra il Parlamento italiano era caratterizzato da una solida maggioranza giolittiana, favorevole ad una politica neutralista. Neutrale era pure il partito socialista italiano, che disponeva di una quarantina di deputati. In seguito alle dimissioni di Giolitti nel marzo 1914 era stato nominato primo ministro Antonio Salandra, che seguì la linea di neutralità adottata dal suo predecessore, dietro cui però si celava il dubbio sull'opportunità o meno di scendere in guerra, condizionato a sua volta dalle mutevoli valutazioni sull'andamento delle operazioni belliche. I successi militari dell'Austria in Serbia
60Queste tesi vengono esposte anche nel pamphlet di Salvemini e Maranelli, la questione
dell'Adriatico, scritto nel 1916 ma pubblicato solamente due anni più tardi. I due autori auspicano la possibilità di una coesistenza fruttuosa tra slavi e italiani lungo le sponde dell'Adriatico, sopravvalutando probabilmente le propensioni filoserbe di croati e sloveni.
61L. Riccardi, Francesco Salata tra storia, politica e diplomazia, Del Bianco Editore, Udine 2001,
p. 133.
62Concessioni ipotetiche, dato che il Patto di Londra era segreto.
35 indussero il governo a richiamarsi al paragrafo 7 del trattato della Triplice Alleanza, secondo il quale acquisizioni da parte dell'Austria nei Balcani avrebbero dovuto portare a corrispondenti compensi per l'alleato italiano. Inizialmente, il governo avrebbe inteso accontentarsi del confine etnico fino al Quarnaro, in modo da comprendere Trieste e l’Istria; per Fiume, Zara ed altre città dalmate si chiedevano garanzie di tutela per l'elemento italiano. Iniziarono quindi le inconcludenti trattative tra l'Austria e l'Italia per determinare i compensi: le rivendicazioni italiane venivano supportate dalla Germania, consapevole del pericolo di una partecipazione dell'Italia a fianco dell'Intesa. L'Austria si mostrò a lungo irremovibile rispetto a qualsiasi cessione territoriale, in quanto si temeva che il soddisfacimento delle aspirazioni nazionali dell'Italia avrebbe indotto nella monarchia una reazione a catena che ne avrebbe provocato la dissoluzione64.
Intanto, il governo valutava anche la partecipazione del paese al conflitto a fianco dell'Intesa: le prime trattative vennero disposte in gran segreto per iniziativa dei ministri degli esteri russo ed inglese già ai primi mesi di agosto; l'intesa poteva fare all'Italia concessioni territoriali ben più consistenti di quelle che era in grado di promettere un paese che si trovava a dover cedere parte del proprio territorio. A Londra i compensi per l'Italia vennero a comprendere il Sudtirolo fino al Brennero, Trieste, le contee di Gorizia e Gradisca65, l’Istria fino
al Quarnaro e buona parte della Dalmazia. Fiume avrebbe dovuto costituire lo sbocco al mare di uno Stato croato e veniva quindi esclusa dal pacchetto delle concessioni. Le obiezioni russe determinarono un prolungarsi delle trattative sino all'aprile del 1915, e quando finalmente si raggiunse l'accordo relativo all'assetto della Dalmazia66, lo zar Nicola non mancò di sottolineare che le concessioni fatte
all'Italia erano “considerevolissime e su parecchi punti in contraddizione colle aspirazioni dei popoli slavi”.
Le richieste italiane relative alla Dalmazia miravano ad indebolire la posizione austriaca nell'Adriatico ed a ripristinare l'egemonia marittima che era
64G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, Feltrinelli, Milano 1978, Vol. VIII, pp. 102 ss. 65
L. Salvatorelli , Neutralismo e interventismo, in Atti del XLI Congresso di storia del risorgimento italiano, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Roma, 1963.
66Il ministro degli esteri russo Sazonov, telegrafò a Londra l'accettazione del seguente accordo
relativo all'assetto della Dalmazia: “1) Il territorio tra Zara e Capo Planca (non neutralizzato) sarà dato all'Italia. 2)Il territorio tra Capo Planca e Cattaro, incluso Sabbioncello e le isole Brazza, dovrà essere neutralizzato (eccetto la costa citata al n.4) ed andrà alla Serbia. 3) Il gruppo Curzola come Lissa ec. ( non neutralizzato) andrà all’Italia. 4) La costa tra Sabioncello e Castelnuovo non sarà neutralizzata.
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stata propria della Serenissima, e lo stesso Sonnino era consapevole che rivendicazioni così ampie di territori austriaci avrebbero finito per minacciare l'esistenza stessa della Stato asburgico e ponevano le premesse per un conflitto esplosivo tra l'Italia e uno nuovo Stato jugoslavo. Elio Apih, in una riflessione ancora attualissima relativa a quel periodo scrisse in proposito che:
« Era così inevitabile l'urto delle due parti, al quale incitavano concordi profughi e nazionalisti italiani e jugoslavi con programmi di affermazione politica e territoriale su questioni incancrenite da decenni, dove era, per forza di cose, pressoché impossibile una soluzione che accontentasse tutti.»67
Verso la metà dell'aprile del 1915 Sidney Sonnino aveva formulato le richieste italiane in questi termini: il Sudtirolo con Bolzano compresa, Gradisca e Gorizia, Trieste Stato indipendente, le isole Curzolari ed il mantenimento di Valona.
Il 16 aprile il governo austro-ungarico replicò con la concessione del Trentino fino a Salorno e con un avanzamento del confine all’Isonzo a guerra finita. A questo punto, è lecito pensare che Sonnino fosse arrivato alla conclusione dell’inutilità del continuare le trattative con Vienna. Il 26 aprile, pertanto, si giunse alla stipula del Patto di Londra.68
L'azione del governo all'insaputa del Parlamento era in aperta violazione dell'art. 5 dello Statuto Albertino e andava contro la consolidata prassi parlamentare che si era affermata fin dai tempi di Cavour. Seguirono le dimissioni di Salandra che furono accompagnate nel paese da un'ondata di manifestazioni interventiste, passate alla storia come «le radiose giornate di maggio»; la riconferma dell'incarico a Salandra da parte del re fu favorita invece dalle dimostrazioni di piazza, a cui parteciparono diverse decine di migliaia di persone69. Gabriele D'Annunzio ebbe a Roma un ruolo di primo piano nell’
entusiasmare le folle, e a Milano svolsero un ruolo analogo Benito Mussolini ed il sindacalista Corridoni. Di fronte a queste grandi manifestazioni di piazza i sostenitori della politica di Giolitti, anche se numerosi, si limitarono a fargli pervenire telegrammi di sostegno e biglietti da visita, come segno di fiducia della sua linea politica70.
67E. Apih, L’"Unità” ed il problema adriatico (1911-1929), in “Annali Triestini”, a cura
dell’Università di Trieste, vol. XX, Trieste 1950, p.10
68Eric J. Hobsbawm, "Il secolo breve", BUR, Milano, 2007, pp. 43-48.
69A. Salandra, L’intervento [1915]. Ricordi e pensieri, Mondadori, Milano 1930, pp. 260 ss. 70G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, cit., p. 109.
37 Per evitare la crisi istituzionale, considerando anche la posizione favorevole alla guerra del Re Vittorio Emanuele III, la Camera approvò, col voto contrario dei soli socialisti, la concessione dei pieni poteri al governo, che la sera del 23 maggio dichiarava guerra all'Impero Austro-Ungarico. Tuttavia, l'esistenza stessa del trattato non fu comunicata, e questo rimase segreto fino alla sua pubblicazione da parte del governo bolscevico71.
All'interno del partito socialista era avvenuto il clamoroso voltafaccia di Benito Mussolini, che aveva optato per un graduale avvicinamento all'interventismo con la formula «Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva e operante». In seguito alla pubblicazione di un manifesto della direzione del partito riunitasi a Bologna il 19 ottobre, in cui veniva ribadita la neutralità di principio del Partito Socialista Italiano, Mussolini dava le dimissioni da direttore dell’ «Avanti!».
Dal 15 novembre, grazie al finanziamento iniziale di Filippo Naldie, pare, di un gruppo di industriali di orientamento interventista, Mussolini faceva uscire il proprio giornale, «Il popolo d'Italia». Il 29 novembre la direzione del partito socialista votava la sua espulsione72.
Nel 1916 si costituì a Roma il Comitato centrale di propaganda per l'Adriatico italiano, di cui facevano parte sotto la presidenza di Giovanni Di Cesarò, personalità come Armando Hodnig, Roberto Ghiglianovich, Attilio Tamaro, Giorgio Pitacco ed Alessandro Dudan. La funzione principale del comitato fu di curare la produzione e diffusione di propaganda in lingua straniera, soprattutto per contrapporsi alla corrispondente, attivissima, propaganda jugoslava a Londra. A Parigi i fuoriusciti si organizzarono nell’Italia irredenta, che contava circa un centinaio di membri73.
Nonostante le differenze e i conflitti che si manifestavano all'interno dei vari comitati dei fuorusciti, questi riuscirono comunque ad instaurare dei rapporti relativamente organici con il governo: già nel luglio del 1915 Salvatore Barzilai
71Il trattato di Londra fu stipulato nella capitale britannica il 26 aprile 1915 e firmato dal marchese
Guglielmo Imperiali, ambasciatore a Londra in rappresentanza del governo italiano, Sir Edward Grey per il Regno Unito Jules Cambon per la Francia e dal conte Alexander Benckendorff per l'Impero russo. Il trattato fu firmato in tutta segretezza per incarico del governo senza che il Parlamento, in maggioranza neutralista, ne fosse informato, e tale rimase finché i bolscevichi, giunti al potere in Russia dopo la Rivoluzione d'Ottobre, lo pubblicarono sul quotidiano Izvestija insieme ad altri documenti diplomatici segreti allo scopo di denunciare le trame della politica estera zarista.
72R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Einaudi, Torino 1965, pp. 218 ss. 73R. Monteleone, La politica dei fuorusciti irredenti nella guerra mondiale, cit., p. 91.
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era stato nominato Ministro senza portafoglio per le terre liberate e tra novembre e dicembre del 1916 gli adriatici mettevano in piedi cinque commissioni, che avrebbero dovuto fornire pareri al governo su temi cruciali quali la politica scolastica e quella nei confronti degli altri gruppi etnici, le richieste da porre alla futura Conferenza di pace il confronto tra legislazione italiana e legislazione austriaca. L'articolazione di queste commissioni testimonia da un lato la volontà dei fuoriusciti adriatici di proporsi al governo italiano come nuova classe dirigente per i territori adriatici irridenti, dall'altra il profondo particolarismo dell'ottica in cui essi muovevano, che non mostrava alcuna comprensione per le esigenze complessive del conflitto e non era neppure in grado di coordinare la propria azione con quella di fuoriusciti trentini74.
La maggioranza degli irredenti adriatici andava spostandosi su posizioni oltranziste, in una fatale incomprensione dei reali rapporti di forza internazionali che andavano delineandosi durante il conflitto: un ruolo di primo piano giocò la vecchia associazione irredentista Trento e Trieste. Nei giorni 25, 26 e 27 marzo 1917, infatti questa tenne a Roma un congresso straordinario, a cui davano la loro adesione il re, il capo supremo delle forze armate generale Cadorna, numerosi esponenti del governo e un congruo numero di deputati e senatori. Oltre alle diverse sezioni della Trento e Trieste vi presero parte anche i comitati della Dante Alighieri e le sezioni della Lega navale. L'arco politico rappresentato andava dai liberali ai repubblicani, democratici e socialisti riformisti; anche la presenza massonica risultava notevole. Tra le adesioni individuali più rilevanti si ricordano quelle di Gabriele D'Annunzio, Leonida Bissolati e Salvatore Barzilai. La manifestazione doveva dimostrare innanzitutto la compattezza nazionale nell'ora del pericolo e ribadire il programma massimo delle annessioni: accanto al Trentino, a Trieste, il Goriziano e l’Istria, anche fino a Bolzano, nonché l'intera Dalmazia. Amedeo Massari, presidente generale della Trento e Trieste, riassumeva in questi termini le rivendicazioni dell'associazione nei confronti della Dalmazia:
«Il dominio dell'Adriatico non è possibile senza il dominio delle coste dell'altra sponda: questo lo hanno dichiarato e lo hanno consacrato con l'opera loro i romani e i veneziani; quindi tutta la Dalmazia deve essere nostra, tutte le altre sponde dell'Adriatico devono far parte dell'Italia! Era la espansione della nostra