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ORGANIZZAZIONE DEL FRONTE ANTIFASCISTA JUGOSLAVO

2 IL SECONDO CONFLITTO MONDIALE E IL DRAMMA DEL CONFINE

2.2 ORGANIZZAZIONE DEL FRONTE ANTIFASCISTA JUGOSLAVO

L'occupazione italiana della Jugoslavia si accompagnò ad un sanguinoso esplodere degli antichi odi di razza e di religione, specie fra serbi e croati; il passaggio di gran parte dei quadri amministrativi e delle forze di gendarmeria e polizia al servizio degli invasori poterono dare, per un breve momento, ai governi di Roma e Berlino l'illusione che, attuando in maniera articolata il vecchio principio del «divide et impera» in un paese che vi si prestava quanto nessun altro, il dominio su di esso sarebbe stato assicurato.

Nel frattempo però da numerose borgate e villaggi la gente fuggiva sui monti e nei boschi per sottrarsi alle violenze degli occupanti; nei centri operai, minerari e portuali la classe operaia anelava alla lotta, mentre in tutto il paese si diffondeva e si intensificava l'aspettativa di un movimento armato insurrezionale. Esisteva qui un'avanguardia che, per il suo passato, per le sue esperienze, per le sue posizioni politiche era la sola in grado di iniziare, organizzare e dirigere la Resistenza: il Partito comunista di Jugoslavia. Tutte le altre formazioni politiche infatti avevano colluso con l'oligarchia serba nella sua politica antipopolare e di tradimento nazionale o erano state ridotte all'impotenza, mentre singole personalità e correnti democratiche già prima della guerra avevano accettato, nel Fronte popolare che si era venuto costituendo di fatto, la guida dei comunisti.

Il Partito comunista di Jugoslavia era sorto nel 1919, tra i primi in Europa, e si era in breve acquistato l'egemonia non solo sull'esigua classe operaia, ma anche presso larghi strati di contadini poveri, di intellettuali, della gioventù universitaria. Durante il periodo delle “epurazioni” staliniane il P.C.J. rischiò di venire liquidato: il Comintern condannò qualcuno dei suoi più alti dirigenti per “deviazionismo”, tradimento e revisionismo, fino a orientarsi per lo scioglimento del comitato centrale e quindi del Partito. A questa opzione si oppose decisamente

87 Walter questo allora il nome di battaglia di Tito il quale sosteneva che lo scioglimento avrebbe causato gran danno alla lotta dei lavoratori jugoslavi e che non era lecito abbandonare in questo modo gli eroici militanti che per tanti anni avevano affrontato ogni rischio e sacrificio. La sua tesi infine prevalse, ed al partito jugoslavo fu risparmiata la sorte che invece in quel periodo toccò al Partito Comunista Polacco: Tito tornò in Jugoslavia a prendere con un nuovo Comitato Centrale la direzione dell’organizzazione clandestina. Sul finire del 1937 si verificò una generale ripresa dell'attività dei comunisti jugoslavi, che operarono instancabilmente nelle file dei sindacati e delle altre organizzazioni legali, orientando sempre maggiormente gran parte delle masse popolari in senso antifascista. Alla vigilia della guerra si giunse alla formazione di un vasto fronte popolare in cui, animatori clandestini, i comunisti organizzarono la maggioranza dei sindacati, numerose associazioni politiche studentesche, femminili e di intellettuali, circoli sportivi, gruppi e personalità varie, tra cui la più autorevole era Ivan Ribar, già presidente della Costituente nel 1920 e ora leader dell'ala progressista del Partito democratico183. Questo vasto Fronte antifascista, con la

sua avanguardia comunista, scatenò le manifestazioni popolari contro l’adesione jugoslava all’Asse che raggiunsero il loro culmine il 27 marzo 1941 e determinarono la caduta del governo Cvetković-Maček.

In poche settimane molti nuovi membri affluirono nelle fila del Partito Comunista Jugoslavo, e il 27 aprile a Lubiana venne costituito il «Fronte antimperialista» con la partecipazione accanto ai comunisti, dei cristiano-sociali, della corrente progressista del «Sokol» e di appartenenti ad altre formazioni politiche184. Come già era avvenuto in Slovenia, nelle settimane che seguirono

analoghi fronti e comitati di liberazione andarono formandosi in Serbia, Montenegro e nelle altre regioni jugoslave.

Occorre rilevare la notevole diversità nella formazione e nella strutturazione tra la resistenza jugoslava e quelle italiana: mentre in Italia sin dal periodo badogliano andarono ricostituendosi i principali partiti tradizionali, tutti su posizioni antifasciste e antitedesche, ed andarono poi a formare insieme ovunque i CLN su base paritetica, in Jugoslavia i partiti tradizionali furono in gran

183M. Pacor, Confine orientale. Questione nazionale e Resistenza nel Friuli Venezia Giulia,

Feltrinelli, Milano 1964, p. 157.

184Ivi, p. 185. Vedi anche la voce “Jugoslavia” in AA.VV., Enciclopedia della sinistra europea nel XX secolo, Editori Riuniti University Press, Roma 2000.

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parte travolti dal crollo del vecchio regime: non esistevano praticamente più come formazioni politiche organizzate e i loro esponenti o avevano seguito nell'esilio la corte e il governo, o si erano messi al servizio dell'occupante o avevano deciso di ritirarsi dalla vita politica.

Oltre a coloro che avevano scelto la strada del collaborazionismo e quelli che invece avevano scelto la strada della resistenza, c'erano in Serbia dei gruppi di sbandati che si erano dati alla macchia al comando di ufficiali monarchici, i cetnici di Mihajlović, che spinti dall'odio anticomunista finiranno col contrapporsi più ai partigiani che ai tedeschi e quindi a diventare ausiliari di questi ultimi.

Non vi furono quindi coalizioni di partiti, ma un unico movimento con un comune programma di liberazione e di rinnovamento, nel quale i comunisti avevano l'egemonia, essendone i promotori, gli organizzatori, e i combattenti più pronti a ogni rischio e sacrificio ed avendo fatto proprie le aspirazioni e le rivendicazioni delle più larghe masse operaie e contadine, dell'intellettualità e della piccola e media borghesia.

Nella primavera del 1941 un vasto movimento insurrezionale e di liberazione andava maturando in Jugoslavia, in mezzo a popolazioni decisamente insofferenti del giogo nazifascista: il loro obiettivo non si limitava alla liberazione dalla dominazione straniera, ma anche dalla soggezione alle vecchie classi dirigenti, dallo sfruttamento e dalle condizioni di miseria e arretratezza in cui erano state tenute fino ad allora. Tra la primavera e l'estate del 1941 vennero attaccati presidi tedeschi, italiani e reparti di collaborazionisti in ogni parte del paese, a cominciare dall'Erzegovina, dalla Serbia, dal Montenegro per dilagare poi in Slovenia, in Croazia e in Macedonia. Il 27 luglio i partigiani occupavano in Bosnia la città di Drvar, distruggendone il presidio e facendone in pochi mesi uno dei principali centri del movimento di liberazione, assieme alla città di Užice in Serbia, dove esisteva una fabbrica di armi leggere e munizioni che cadendo intatta in mano ai partigiani ne armò la resistenza185.

Poco tempo dopo il fuoco dell'insurrezione popolare sarebbe divampato in tutto il paese: per scatenare la lotta i comunisti jugoslavi non avevano atteso l'aggressione nazista all'Unione Sovietica, ma l'avevano iniziata senza esitazioni, autonomamente, quando era ancora in vigore il patto tedesco-sovietico: quando

185M. Pacor, Confine orientale. Questione nazionale e Resistenza nel Friuli Venezia Giulia,cit., p.

89 Hitler attaccò l’URSS i comunisti jugoslavi ricevettero un ulteriore incentivo ad intensificare la lotta. Il 27 giugno venne istituito a Belgrado l’Alto comando dei distaccamenti partigiani della Jugoslavia, comandata da Tito, che conterà già nell’agosto 64 distaccamenti, 9 battaglioni autonomi, 12 compagnie autonome, dislocati in tutto il paese, con oltre 60 mila tra combattenti, attivisti e collaboratori del movimento.

Nello stesso tempo, in tutte le città, le borgate e i villaggi, si andarono costituendo i Comitati di liberazione nazionali, facenti capo a una specie di CLN centrale, lo Jedinstiveni narodno-oslobodilački Front (J.N.O.F), ossia Fronte popolare unitario di liberazione. A partire dai primi mesi nelle zone liberate dai partigiani vennero riorganizzate la vita civile e la burocrazia statale e locale ad opera dei Comitati popolari di liberazione, mentre le formazioni partigiane, i Comitati di liberazione e gli organi del nuovo potere popolare andavano rapidamente aumentando di numero ed efficienza, senza che i tentativi tedeschi di minarne la solidità avessero esiti positivi.

Verso la fine del 1942 l’Esercito di liberazione nazionale poteva ormai contare su 110 mila combattenti, organizzati in un Korpus, otto divisioni, 32 brigate e numerosi battaglioni autonomi e distaccamenti: oltre alle vaste zone liberate in Serbia e Montenegro, altre zone libere minori esistevano in Croazia e in Slovenia, per un totale di circa 50 mila chilometri quadrati. La rete dei Comitati di liberazione copriva ormai tutto il paese e, nelle zone libere e semilibere, esercitavano le funzioni del potere popolare. I delegati eletti in tutte le regioni della Jugoslavia si riunirono il 26 e il 27 novembre 1942 a Bihać, nel territorio liberato della Bosnia-Erzegovina, e vi costituirono l’organo centrale rappresentativo del movimento di liberazione: il Consiglio antifascista di liberazione nazionale della Jugoslavia (AVNOJ). Il suo comitato esecutivo fu presieduto dal dottor Ivan Ribar, che sarebbe diventato dopo la guerra presidente del Presidio dell’Assemblea nazionale.

L’AVNOJ e il suo Comitato esecutivo dettero un nuovo impulso all’organizzazione della vita civile nelle zone liberate e semilibere, all’attività dei Comitati di liberazione, al convogliamento di tutte le energie popolari nello sforzo di guerra186. Le azioni partigiane andarono intensificandosi di mese in mese: un

186M. Pacor, Confine orientale. Questione nazionale e Resistenza nel Friuli Venezia Giulia,cit., p.

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treno fu fatto deragliare nel novembre 1941 sulla importante linea Trieste-Fiume, mentre il 3 febbraio 1942 venne preso d’assalto un bunker presso la ferrovia Trieste-Aidussina.

In Istria la guerriglia si sviluppò con qualche ritardo e con un ritmo meno rapido, ma tuttavia già nel 1942 erano stati fatti deragliare dei treni e liquidate delle spie, con azioni che si fecero più frequenti nel 1943 in particolare sulla linea Trieste-Fiume. La vittoria sovietica a Stalingrado e lo sbarco degli alleati in Sicilia suscitarono un nuovo entusiasmo per la lotta, rendendo sempre più intenso l’afflusso dei giovani sloveni e croati nelle zone controllate dai partigiani per partecipare alla guerriglia.

2.3 LA SITUAZIONE SUL CONFINE ORIENTALE