1 IL CONFINE ORIENTALE ITALIANO DALL'UNITA' AL 939
1.14 I RAPPORTI ITALO-JUGOSLAVI DAL PATTO DI ROMA ALLO SCOPPIO
GUERRA MONDIALE.
Il Patto di Roma stipulato nel 1924 segnò un momento di distensione nei rapporti tra Italia e Jugoslavia, che faceva presagire quasi un'influenza italiana nell'area dell'Europa danubiana paragonabile a quella esercitata dalla Francia con la Piccola Intesa. Il duce sembrò confermare tali aspettative nel suo rapporto sulle trattative alla Camera, in cui indicava l'area danubiana come la sola possibilità di penetrazione pacifica dell'Italia, e valutava il patto di Roma come premessa di una tale politica e della stabilizzazione dello Stato jugoslavo157.
Fiume divenne capoluogo della nuova provincia del Carnaro, che includeva i distretti di Volosca e di Abbazia, tolti all’Istria. L'assetto assunto dal confine orientale si sarebbe mantenuto fino all'attacco contro la Jugoslavia nell'aprile del 1941. La ripartizione dello Stato libero di Fiume tra Italia e Jugoslavia avrebbe dovuto collocarsi in un trattato di amicizia tra due paesi, in cui sarebbero state normate tutte le questioni rimaste in sospeso, regolamentato ed incentivato il traffico ed i commerci, la pesca e il movimento delle persone.
155M.Cattaruzza, L'Italia e il confine orientale, cit., p. 193.
156E.Apih, Fascismo e antifascismo nella Venezia Giulia, cit. pp. 340-349. 157E.Apih, Fascismo e antifascismo nella Venezia Giulia, cit. p. 345
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Infine a livello politico i due contraenti avrebbero assicurato la reciproca neutralità in caso di conflitti con coinvolgimento reciproco, oltre all'aiuto e al sostegno in caso di incursioni e minacce provenienti dall'esterno; erano state previste anche consultazioni in caso di complicazioni internazionali. Il trattato di amicizia e collaborazione cordiale tra il Regno d'Italia e il Regno dei serbi, dei croati e degli sloveni avrebbe cosi posto i rapporti tra i due paesi su nuove basi, disinnescando le provocazioni nell'area di confine, motivo di nervosismo e irritazione per la parte italiana158.
Una volta reso noto, il trattato dette origine a vivaci manifestazioni antitaliane nelle principali città della Jugoslavia e non venne ratificato da Belgrado: l'accordo per Fiume non produsse quindi quella normalizzazione dei rapporti bilaterali che era stata auspicata. Nel 1925 vennero stipulate le Convenzioni di Nettuno, che integravano il patto di amicizia e collaborazione, regolando le questioni in sospeso e garantendo la tutela dei sudditi jugoslavi residenti a Fiume. Il parlamento jugoslavo non ratificò neppure questi accordi, e il partito contadino croato, allora al governo, promosse nuovamente violente manifestazioni antitaliane a cui si accompagnava una vivace campagna di stampa contro gli accordi. Gli accordi di Nettuno vennero poi approvati nel 1928, ma a causa delle tensioni e della gravissima crisi dello Stato jugoslavo non vennero riprese le trattative per la ratifica al parlamento jugoslavo del trattato di amicizia nella sua interezza159.
Nel 1928 la Jugoslavia si orientò nella sua politica estera decisamente verso la Francia, e tra il 1931 e il 1936 l'Italia attuava invece l'avvicinamento all'Austria, della cui indipendenza si faceva garante contro le mire tedesche, appoggiando al tempo stesso un moderato revisionismo da parte dell'Ungheria160.
I rapporti tra Italia e Jugoslavia peggiorarono e l'Italia dal 1932 appoggiò concretamente il separatismo croato, permettendo al capo ustascia Ante Pavelić di risiedere nel paese assieme a formazioni armate di volontari. Nel 1934 gli ustascia saranno protagonisti a Marsiglia di un sanguinoso attentato, in cui perderà la vita
158R. Moscati, Gli esordi della politica estera fascista in AA.VV. La politica estera italiana dal
1914 al 1943, Eri, Torino 1963, pp. 77-91.
159A. Apollonio, Venezia Giulia e fascismo 1922-1935. Una società post-asburgica negli anni di consolidamento della dittatura mussoliniana, cit., p.192
160R. Grispo, Il patto a quattro- La questione austriaca- Il Fronte di Stresa in AA.VV. La politica
77 il re Alessandro di Jugoslavia assieme al ministro degli esteri francese Louis Barthou161.
Le ripercussioni dell'attentato non tardarono a ricadere su tutto il sistema di copertura e sui sostegni che gli ustascia avevano in Italia. In ogni caso, più che di uno stravolgimento degli assetti interni e degli incarichi, ovvero una nuova definizione delle competenze, il regime scelse una strada «morbida»: si cercò di far sparire nel minor tempo possibile le tracce più compromettenti avviando in parallelo un regime di controllo progressivamente più rigido verso la base del movimento in Italia che, tuttavia, non eliminò del tutto le possibili smagliature e le concessioni ai vertici; lo scopo era quello di attuare solo un parziale, anche se significativo, restringimento degli spazi di manovra; una tattica che permetteva di non chiudere nel medio e nel lungo periodo la possibilità di utilizzare nuovamente gli ustascia specie tenendo conto dell'evoluzione della situazione internazionale162.
Lo svuotamento dei trattati di Versailles e di Locarno, messo in atto da Hitler tra il 1933 e il 1935, portò ad un avvicinamento tra l'Italia e le potenze occidentali favorevoli al mantenimento dello status quo (Fronte di Stresa). Nel 1936 aveva luogo un temporaneo avvicinamento dell'Italia alla Jugoslavia, con la rinuncia alle ambizioni italiane di egemonia nello spazio balcanico, mentre l'Ungheria si affidava al ben più efficace revisionismo tedesco.
L'avvicinamento alla Germania a partire dal 1936 avrebbe messo in discussione il possesso italiano della Venezia Giulia, dato che il porto di Trieste era un vecchio obiettivo dei gruppi pangermanisti. Le forze dell'Italia erano insufficienti ad assumere l'eredità asburgica nell'area, e anche Mussolini sembrava nutrire una certa preoccupazione per la rimessa in discussione degli equilibri centroeuropei da parte della Germania nazista e per le sorti di Trieste, come si evince da questo suo discorso alla città: «[…] nel marzo del 1938, si compie un evento fatale [L’Anschluss], che si delineava già dal 1878 [duplice alleanza tra Germania e Impero asburgico, stipulate nel 1879], come voi ben sapete. Milioni di uomini lo hanno voluto, nessuno si è opposto. Trieste si trova di fronte ad una nuova situazione, ma Trieste è pronta ad affrontarla e superarla; […] la geografia
161E. Collotti, N. Labanca, T. Sala, Fascismo e politica di potenza. Politica estera 1922-1939, La
Nuova Italia, Milano 2000, p. 235
162P. Iuso, Il fascismo e gli ustascia, 1929-1941. Il separatismo croato in Italia, Cangemi Editore,
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non è un'opinione e si vendica a lungo andare di coloro che tale la stimano. Trieste conta sulle sue forze, Trieste non può voltare, non volta, non volterà mai le spalle al suo mare». Il duce concludeva il suo discorso ribadendo la vicinanza della capitale a Trieste: «non abbiate qualche volta l'impressione che Roma, perché distante, sia lontana. No, Roma è qui. E’ qui sul vostro colle e sul vostro mare; è qui, nei secoli che furono e in quelli che saranno, qui, con le sue leggi, con le sue armi e col suo re».163
Il 25 luglio 1937 si concluse il patto Ciano-Stojadinović, giunto al termine di un lungo percorso di riavvicinamento italo jugoslavo che, di fatto, rappresentava un patto di non aggressione e di consultazione fra Stati, ma racchiudeva al suo interno una scelta di orientamento rivolta verso l'Asse anche al fine di porre la Jugoslavia in un sistema di sicurezza non più basato sulle vecchie alleanze (Francia e Inghilterra) o su sistemi collettivi (Società delle Nazioni), bensì su una serie di accordi bilaterali con i paesi confinanti, Germania compresa, laddove si fosse verificato l’Anschluss. Gli ustascia rimasero ovviamente coinvolti: con quell'intesa venne fatto divieto per tutti separatisti ospitati in Italia di avere rapporti con l'estero; venne inoltre stabilito l'isolamento dei capi e il confino per i singoli gregari, ma anche la possibilità, circa un anno più tardi, del rimpatrio per tutti coloro che non si erano macchiati di reati gravi. Lo stesso avrebbe dovuto fare Belgrado nei confronti delle organizzazioni slave che operavano nelle zone del confine giuliano164.
La coscrizione in occasione della guerra di Abissinia fece riscontrare nuove ribellioni tra gli sloveni: si registrarono manifestazioni di protesta contro l'invio in Africa e ben 1000 giovani si sottrassero alla mobilitazione rifugiandosi in Jugoslavia165. Allo stesso tempo si rafforzava l'alleanza tra nazionalisti slavi e
comunisti, dopo che il Comintern aveva approvato il diritto di autodeterminazione anche al di fuori di una prospettiva rivoluzionaria. Nel febbraio del 1939 Stojadinović fu costretto alle dimissioni ed ebbe fine il periodo di cordialità tra Italia e Jugoslavia: Ciano riprese la classica politica del doppio binario, incoraggiando da una parte i fermenti separatisti croati e tentando, dall'altra, di convincere la Jugoslavia a firmare un patto di non aggressione. Vista la gravità
163B. Mussolini, Discorso di Trieste, in E. Susmel e D. Susmel (a cura di). Opera omnia di Benito Mussolini, vol.29: Dal viaggio in Germania all’intervento dell’Italia nella Seconda guerra mondiale, La Fenice, Firenze 1959, pp. 144-147.
164P. Iuso, Il fascismo e gli ustascia, 1929-1941.Il separatismo croato in Italia, cit., p. 113. 165M. Kacin Wohinz,.J. Pirjevec, Storia degli sloveni in Italia (1866-1998),cit., p. 63.
79 della situazione internazionale la Jugoslavia non volle però deflettere da una politica di assoluta neutralità, che sembrava garantirla maggiormente nei riguardi delle contemporanee fortissime pressioni tedesche166.
Dal punto di vista della politica estera fascista, il confine orientale giocò un ruolo marginale almeno fino al 1939, e fu solo in seguito all'aprile del 1941 che l'Italia di Mussolini rimise in discussione l'assetto confinario in una logica di spartizione dei Balcani con il potente alleato tedesco. Dai primi anni trenta, infatti, l'espansionismo fascista si era rivolto più realisticamente verso l'Africa, sulla scia del mito dell'Impero di Roma.
La partecipazione dell’Italia al fianco della Germania nazista nella seconda guerra mondiale avrebbe temporaneamente riportato all’ordine del giorno l’opzione dell’espansionismo territoriale nei Balcani, e la Venezia Giulia, seppur per un breve periodo, sembrò effettivamente destinata ad essere la «porta orientale» aperta sui territori degli slavi del sud, della Grecia e dell’Albania.
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