1 IL CONFINE ORIENTALE ITALIANO DALL'UNITA' AL 939
1.8 LE TRATTATIVE DI PACE
A Versailles l'Italia non incontrò ostacoli a fare avanzare il proprio confine settentrionale fino al Brennero, inglobando un territorio compattamente tedesco, abitato da 200.000 persone. Per quello che riguarda il confine orientale a Parigi venne contestato il diritto dell'Italia alla Dalmazia e alla parte orientale dell'Istria, abitata quasi esclusivamente da croati, soprattutto da parte del presidente americano Wilson, che non era legato al patto di Londra. L’Inquiry, un pool di esperti che fungevano da consiglieri per la politica americana a Parigi, in una relazione del 21 gennaio 1919 prendeva posizione per la creazione di uno Stato jugoslavo sufficientemente forte da riuscire a difendersi dalle rivendicazioni territoriali dei vicini. All'Italia avrebbero dovuto essere attribuite, secondo questo parere, “quelle parti del retroterra slavo nell'Istria e la valle dell’Isonzo ritenute essenziali alla vitalità economica dei centri urbani italiani. Agli jugoslavi dovranno essere assegnate la costa orientale dell'Istria, tutta la costa dalmata e l'arcipelago rivendicato dall'Italia, oltre a Fiume”. Secondo una valutazione degli esperti, questa linea avrebbe portato all'annessione di 370.000 jugoslavi da parte dell'Italia e avrebbe lasciato 75.000 italiani in Jugoslavia. Posizioni analoghe, favorevoli ad una linea di confine che considerasse maggiormente l'appartenenza etnica e in subordine considerazioni economiche e strategiche, venivano allora sostenute anche dagli esperti inglesi e filojugoslavi: questi punti di vista erano sostenuti in primo luogo tenendo presente l'equilibrio europeo e l'esigenza di arginare un'eventuale ripresa dell'espansionismo tedesco92.
Le posizioni di Wilson e dell'Intesa coincidevano abbastanza con quelle di Gaetano Salvemini, che aveva caldeggiato fin dallo scoppio del conflitto la dissoluzione dell'Austria: egli, diversamente da quei politici che tenevano ancora fermo al patto di Londra, era in grado di porre in termini più realistici il problema dei rapporti con il nuovo Stato jugoslavo e di ipotizzare un ragionevole scenario di buon vicinato tra le due sponde dell'Adriatico. Dal canto suo, la delegazione jugoslava presentava a Parigi un memorandum in cui si richiedevano non solo tutta la Dalmazia e tutta l'Istria, ma anche Trieste e Gorizia. Durante la guerra erano circolate carte geografiche di parte jugoslava, nelle quali il futuro Stato
92I.J. Lederer, La Jugoslavia dalla Conferenza della pace al Trattato di Rapallo 1919-1920, cit.,
47 degli slavi del sud avrebbe dovuto estendersi fino ad Udine compresa, quindi oltre i confini italiani stabiliti nel 186693.
Alla questione della Dalmazia si sommava la questione relativa alla città di Fiume: l'ex porto dell'Ungheria aveva chiesto già alla fine delle ostilità attraverso il proprio Consiglio Nazionale Italiano l'annessione all'Italia, non tanto per spirito irredentista, quanto per la paura di cadere tra le braccia del proprio nemico storico, la Croazia94. Sonnino e Orlando rivendicavano quindi oltre al soddisfacimento
delle condizioni del Patto di Londra, anche la città di Fiume, in base al principio di autodeterminazione. L'aggiunta della richiesta di Fiume indebolì la posizione italiana, che avrebbe avuto maggiori possibilità se si fosse limitata a chiedere l'entrata in vigore degli accordi.
Nonostante i disegni di destabilizzazione della Jugoslavia, e ai tentativi i indebolimento delle forze separatiste in Croazia e Montenegro messi in atto da Badoglio, vice di Armando Diaz come capo di Stato maggiore, il tempo giocò a sfavore di Orlando e Sonnino, in quanto contribuiva a consolidare la realtà statuale del contraente jugoslavo. Il 7 febbraio 1919 gli Stati Uniti riconoscevano il Regno dei serbi dei croati e degli sloveni, le cui frontiere definitive sarebbero state decise alla Conferenza della pace, conformemente ai desideri delle popolazioni interessate. Gli italiani fecero circolare alla conferenza una memoria dovuta in larga misura alla penna del triestino Salvatore Barzilai, in cui si formulavano richieste che andavano al di là delle acquisizioni previste dal patto di Londra e includevano Fiume e Spalato. I nazionalisti rialzavano ulteriormente il tiro e suscitavano nel paese una campagna a favore di “tutta la Dalmazia più Fiume”, e le loro richieste vennero accompagnate per tutto il mese di dicembre da manifestazioni organizzate in tutte le principali città d'Italia, culminanti nella giornata dalmata, proclamata a Roma il 30 dicembre e celebrata in molte altre località95.
Il 15 gennaio D'Annunzio pubblicava sul «Corriere della Sera» la Lettera ai dalmati, in cui si scagliava contro gli alleati e contro la nascente Jugoslavia, definiva «pace romana» l'accoglimento integrale delle richieste dell'Italia ed
93G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, cit., p. 250
94Tale richiesta era stata formulata al 30 ottobre 1918 dal Consiglio Nazionale di Fiume in forma di
proclama, con cui la città veniva dichiarata unita all'Italia “ in forza di quel diritto, per cui tutti popoli sono sorti a indipendenza nazionale e libertà.” Tale risoluzione veniva posta “ sotto la protezione dell'America, madre di libertà e della democrazia universale.”
95R. Vivarelli, Storia delle origini del fascismo: l'Italia dalla grande guerra alla marcia su Roma,
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enunciava: «abbiamo combattuto per la più grande Italia. Vogliamo l'Italia più grande. Dico che abbiamo preparato lo spazio mistico per la sua apparizione ideale. L'attendiamo alfin quale noi l’annunziammo96».
Il mancato soddisfacimento delle richieste italiane a Parigi non era dovuto tanto al fatto che tali richieste scontravano con il principio di nazionalità, quanto al fatto che esse erano ora rivolte ad un imprevisto nuovo Stato vincitore: nei confronti della Germania dell'Ungheria non c'erano state remore a cedere territori abitati da milioni di appartenenti a questa nazionalità agli Stati successori, contro l'espressa volontà delle popolazioni. Occorre tener anche presente che lo stato di caos sul territorio della Russia sovietica presentava alla Francia l'interessante prospettiva di sostituirsi alla tradizionale protezione russa nell'area balcanica: rispetto a questa ipotesi la presenza italiana in Dalmazia avrebbe naturalmente rappresentato un ostacolo97.
Data l'intransigenza del presidente americano Wilson nei confronti delle richieste italiane e la sua proposta di far coincidere la linea del nuovo confine il più possibile con la linea di demarcazione etnica tra italiani e slavi (la cosiddetta linea Wilson, lungo il fiume Arsa e le falde del Monte Maggiore), Orlando e Sonnino abbandonarono per protesta la conferenza di Parigi il 24 aprile del 1919. Questo gesto dimostrativo non ebbe l'effetto sperato e già il 7 maggio la delegazione italiana tornò al tavolo delle trattative, dopo che Francia e l’Inghilterra avevano minacciato di considerare definitivamente decaduto il Patto di Londra; ma l'assenza dei rappresentanti italiani era stata in ogni caso abbastanza lunga perché il paese venisse penalizzato rispetto alle riparazioni da richiedere alla Germania.
L’abbandono della Conferenza di Pace da parte di Orlando e Sonnino suscitò nel paese un'ondata di consensi che vide anche l'interventismo democratico schierarsi dalla parte del governo: Gaetano Salvemini in un articolo su «L’Unità» avrebbe chiesto polemicamente al presidente americano Wilson perché avesse voluto imporre solo all'Italia criteri di giustizia assoluti, mentre in molti altri casi era prevalsa la logica dei vincitori nei confronti degli Stati vinti, come ad esempio nella spartizione delle colonie tedesche e dei territori ottomani tra Francia e Inghilterra. Il rientro a Parigi dei due rappresentanti italiani, senza
96G. D’Annunzio, La penultima ventura. Scritti e discorsi fiumani, a cura di R. De Felice,
Mondadori, Milano 1974, pp. 5-20.
49 che da parte dei rappresentanti di Stati Uniti, Inghilterra e Francia fossero state fatte delle concessioni, fu vissuto dal paese come una disfatta, un'umiliazione che richiamava l'immagine di un'Italia vinta malgrado la vittoria che le era stata rubata dagli alleati.
La città di Fiume intanto ribadiva la propria volontà di appartenere all'Italia, e la mattina del 26 aprile tutta la città era imbandierata con i colori italiani; sotto la presidenza di Antonio Grossich si riuniva il Consiglio Nazionale che deliberava di rimettere i poteri statali al rappresentante del governo italiano perché li assumesse in nome del re. Accompagnati da una folla urlante tutti i rappresentanti del Consiglio Nazionale si recarono alla residenza del generale Grazioli per comunicargli la deliberazione98.
Il 7 giugno Wilson rendeva pubblico un nuovo memorandum sul confine italo-jugoslavo, anticipando che le condizioni erano state concordate tra gli alleati: tra le altre cose vi si prevedeva la costituzione di uno Stato libero, che comprendesse la città di Fiume. Questo Stato avrebbe inglobato anche tutta la parte orientale della penisola istriana e quindi sarebbe venuto meno, per l'Italia, il confine strategico, del Monte Nevoso a Fianona previsto dal patto di Londra. Il confine dell'Italia sarebbe stato spostato lungo la linea Wilson e cercava di seguire il più possibile una suddivisione di tipo etnico. Dopo cinque anni dalla costituzione dello Stato libero si sarebbe dovuto svolgere un plebiscito per decidere l'attribuzione alla Jugoslavia, all'Italia o la permanenza dello status quo. Le isole attribuite ad ambedue i paesi sarebbero state smilitarizzate, Zara sarebbe dovuta diventare città libera, con rappresentanza italiana nelle relazioni estere. Alla Jugoslavia sarebbe toccato l'importante triangolo ferroviario di Assling, al confine con l'Austria e l'Italia.
Il 19 giugno il governo Orlando-Sonnino rassegnava le dimissioni, e alla guida del governo subentrava Francesco Saverio Nitti, con Tittoni agli Esteri. Il 28 giugno 1919, in seguito alla stipula del trattato di Versailles, con la Germania il presente Wilson rientrava negli Stati Uniti, provocando lo sgomento della delegazione jugoslava. Le trattative ripresero quindi in un contesto fortemente trasformato, dopo l'uscita di scena del protettore principale delle richieste
98R. Vivarelli, Storia delle origini del fascismo: l'Italia dalla grande guerra alla marcia su Roma,
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jugoslave, ma anche del politico italiano che più ostinatamente aveva tenuto fede al Patto di Londra99.
Appena insediato agli Esteri Tittoni era partito per Parigi dove il 30 giugno gli era stato consegnato il “Memorandum Balfour”, che conteneva durissime prese di posizione nei confronti dell'Italia, a cui si ingiungeva di ritirarsi dall'Asia minore mentre s'impugnava la validità del Patto di Londra in quanto l'Italia aveva tardato di un anno l'entrata in guerra contro la Germania. Il 13 agosto Tittoni discuteva con Clemenceau, Stephen Pichon, Arthur James Balfour e Franck Polk le proposte italiane per la soluzione della questione adriatica. Esse prevedevano la trasformazione di Fiume in Stato libero con il retroterra e l'isola di Veglia sotto la protezione della Società delle Nazioni, Zara all'Italia e il resto della Dalmazia alla Jugoslavia, la linea ferroviaria Vienna-Trieste fuori dal territorio jugoslavo mediante lieve modifica della linea Wilson, la neutralizzazione dell’ Istria orientale con le isole di Cherso e Lussino, il mandato italiano sull’Albania entro i confini del 1913100.
Si trattava di notevoli concessioni rispetto alla rigidità con cui Sonnino aveva difeso il Patto di Londra. Il 22 agosto, il delegato americano propose ulteriori modifiche, presentandole come l'ultima parola degli americani: vi si ribadiva la validità della linea Wilson, con la neutralizzazione dell'Istria orientale, Fiume assieme alle isole di Cherso e Veglia, sarebbe dovuta diventare Stato libero sotto la protezione della società delle nazioni. Una sorte analoga avrebbe dovuto avere la città di Zara, mentre l'Italia avrebbe ottenuto Albona: Lissa e il gruppo di isole di Pelagosa avrebbero potuto essere attribuite all'Italia in seguito a plebiscito con esito favorevole. Il 29 agosto con il memorandum “Clemenceau-Balfour”, questa linea diveniva leggermente più favorevole all'Italia, a cui veniva di nuovo promessa Zara e inoltre le isole di Lussino, Lissa, Lagosta e Ugliano.
Wilson però rimise in discussione tali concessioni a cui seguì il 3 settembre una proposta di ampia smilitarizzazione della costa dalmata e dell'ipotetico Stato libero di Fiume da parte dei capi di stato maggiore dell'esercito e della marina, generale Diaz e ammiraglio Mortola. Il 10 settembre Tittoni comunicava a Nitti che gli jugoslavi sarebbero stati disposti a garantire la smilitarizzazione della costa, ma non ad accettare il divieto di tenervi navi da
99P. Alatri, Nitti, D'Annunzio e la questione adriatica, Feltrinelli, Milano 1959, pp. 55-56
100I.J. Lederer, La Jugoslavia dalla Conferenza della pace al Trattato di Rapallo 1919-1920, cit.,
51 guerra: in effetti, l'Adriatico orientale era l'unica cosa di cui disponesse lo stato jugoslavo, per cui tale clausola avrebbe implicato una rinuncia a tenere un arsenale da guerra. Nel mese di ottobre Nitti chiese lo statuto speciale per Fiume, la concessione di una striscia di terra all'Italia lungo il litorale che garantisse la continuità territoriale tra la città libera e l'Italia e la cessione dell'isola di Lagosta101.
L'andamento delle trattative di Parigi e le proposte elaborate risentivano del clima politico postbellico, in cui grandi speranze venivano riposte nella capacità di mediazione e di pacificazione internazionale della Società delle Nazioni: per i territori contesi dal punto di vista nazionale si ricorreva con eccessiva frequenza alla soluzione dello Stato Libero, da porre sotto la protezione della Società delle Nazioni, ritenendo che una tale soluzione avrebbe ridotto le tensioni. In realtà queste soluzioni si rivelarono nel tempo focolai di repentini revisionismi e contribuirono alla destabilizzazione dell'equilibrio postbellico102.