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L’OCCUPAZIONE ITALIANA IN SLOVENIA E DALMAZIA

2 IL SECONDO CONFLITTO MONDIALE E IL DRAMMA DEL CONFINE

2.1 L’OCCUPAZIONE ITALIANA IN SLOVENIA E DALMAZIA

Il 10 giugno del 1940 l’Italia entrò in guerra contro la Francia, praticamente già sconfitta dalla Germania, nonostante inizialmente Mussolini avesse dichiarato la non belligeranza, riconoscendo l’assoluta impreparazione militare nazionale. Il duce infatti pensava di entrare in guerra qualche anno più tardi, verso il 1943, quando gli introiti che si attendeva dalla grande esposizione in allestimento a Roma (nella zona oggi detta dell’EUR) avessero riassestato le esauste finanze nazionali167. Il maggiore studioso del fascismo, Renzo De Felice,

l'ha vista come una decisione improvvisa, che Mussolini, nelle continue oscillazioni cui il suo carattere era sottoposto in quei mesi, avrebbe anche potuto benissimo non prendere. Ma, come ha osservato lo storico inglese Denis Mack Smith, la goccia che fece traboccare il vaso fu il successo della guerra lampo tedesca contro la Francia. Quel successo indusse Mussolini a entrare in guerra per spartire con l'alleato il bottino della vittoria ormai certa168.

La guerra fu per l'Italia un seguito di insuccessi, ai quali nella prima fase del conflitto pose rimedio la Germania, accorrendo in aiuto dell'alleato ma facendo di Mussolini un vero e proprio vassallo. Nell'ottobre del 1940 l'Italia attaccò la Grecia ma non riuscì a sconfiggerla, finché non provvide la Germania nell'aprile del 1941. Il terribile inverno sul fronte greco, che i soldati dovettero affrontare malamente calzati con scarpe di cartone, fece maturare in Dino Grandi la convinzione che il regime di Mussolini era ormai praticamente finito. Anche sul fronte fra la Libia e l'Egitto era fallita un'offensiva italiana condotta contro gli inglesi nel settembre-ottobre del 1940. E anche qui intervennero i tedeschi che, insieme agli italiani, ottennero svariati successi fra il marzo e l’aprile del 1941 e l'agosto del 1942. Ma nel successivo ottobre-novembre l'esercito italo-tedesco in Africa subì a El Alamein una sconfitta che fu decisiva per le sorti della guerra nel

167G. Carocci, Storia dell’Italia moderna. Dal 1861 ai giorni nostri, Tascabili Economici Newton,

Roma 1995, p.55.

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Mediterraneo. Verso la fine di novembre i tedeschi subirono a Stalingrado una sconfitta altrettanto decisiva per le sorti della guerra in Russia. L'avanzata sovietica travolse anche un corpo di spedizione italiano che Mussolini aveva voluto inviare sul fronte russo e che perse la metà dei suoi effettivi fra morti e prigionieri, circa 110.000 uomini. Contemporaneamente gli alleati anglo- americani intensificarono i bombardamenti di distruzione sulle città italiane con lo scopo di sconvolgere strade e ferrovie e di fiaccare il morale della popolazione. I terribili bombardamenti provocarono danni, disagi ingenti e soprattutto la morte: negli anni compresi tra il 1940 e il 1943 furono circa 70.000, uomini, donne, bambini. Meno di un anno dopo le battaglie di El Alamein e di Stalingrado, nel luglio del 1943, gli anglo-americani sbarcarono in Sicilia e iniziarono la guerra sul territorio italiano. La guerra durò quasi due anni, con lutti e danni non meno ingenti di quelli causati dai bombardamenti aerei sulle città169.

In questa politica fallimentare del fascismo si inserì il piano di aggressione alla Jugoslavia, che maturò rapidamente in seguito all'ingresso nel Patto tripartito, seguito, nella notte tra il 26 e il 27 marzo del 1941, da una rivolta di ufficiali serbi che deponevano il reggente Pavle e dichiaravano la maggiore età dell'erede al trono Petar Karadjordjević170.

Per questo motivo la Jugoslavia venne aggredita il 6 aprile 1941 dalle truppe tedesche che già il 13 aprile occupavano Belgrado. L'Italia, l'Ungheria e la Bulgaria si annettevano a loro volta parti del paese: il 17 aprile l'alto comando jugoslavo era costretto a firmare la resa incondizionata. All'Italia vennero attribuite la Slovenia meridionale con la capitale Lubiana, la costa dalmata nella sua quasi totale completezza, il Montenegro ed il Kosovo.

Venne inoltre costituito lo Stato croato ustascia, la Nezavisna Država Hrvaska, che formalmente risultava gravitante nell'orbita italiana, ma che nella realtà dei fatti sin dall'inizio si presentava come un feudo germanico.

Lo stesso Mussolini arrivò a chiedersi se anche l'Italia non si fosse ridotta a «nazione vassalla» della Germania, in una situazione in cui l'alternativa era o lo status di satellite o quello di colonia all'interno del «nuovo ordine europeo»:

169G. Carocci, Storia dell’Italia moderna. Dal 1861 ai giorni nostri, cit., p.56.

170S. Bianchini, S. Privitera, 6 aprile 1941. L’attacco italiano alla Jugoslavia, Marzorati, Settimo

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«In Germania esistono due dischi, Hitler li incide. Gli altri li suonano. Il primo disco era quello dell'Italia, alleata fedele, su di un piano di parità[…] poi è venuto il secondo disco, quello dopo le vittorie […] gli Stati associati saranno province confederate[…]. Bisogna accettare questo stato di cose perché ogni tentativo di reazione ci farebbe declassare dalla condizione di provincia confederata a quello ben peggiori di colonia. Anche se domani chiedessero Trieste nello spazio vitale germanico, bisognerebbe piegare la testa»171.

L’Italia costituì le provincie di Lubiana, di Spalato e di Cattaro annesse al Regno, mentre le province di Fiume e Zara andavano incontro ad importanti ampliamenti territoriali; vi vennero infine accorpati il distretto della Kupa, Sussak, Buccari e Segna172.

Mentre il Montenegro veniva temporaneamente retto da un commissario civile, una parte del Kosovo e una parte della Macedonia vennero annessi all'Albania, occupata già nell'aprile del 1939. I “dalmatomani” di Salvemini attraverso queste ultime annessioni avevano esaurito e superato le aspirazioni massime del nazionalismo più radicale, formulate nel corso della prima guerra mondiale e nei mesi immediatamente successivi alla fine del conflitto173. Resta da

sottolineare che il contesto in cui queste aspirazioni trovarono soddisfazione non era dei più rassicuranti: il radicale cambiamento degli equilibri europei avveniva dietro impulso dell'iniziativa germanica, e la stessa occupazione di una parte della Slovenia, che neanche i nazionalisti più radicali avevano mai messo tra gli obiettivi, avveniva in buona misura per impedire la presenza dell'ingombrante alleato nei confini orientali174. Durante un colloquio tenuto con i più alti

rappresentanti dello Stato maggiore e con i comandanti dei corpi d'armata stanziati in Slovenia e Croazia il 31 luglio 1942, Mussolini enunciava retrospettivamente i motivi che avevano indotto l'Italia fascista ad occupare una parte della Slovenia:

«Dopo lo sfacelo della Jugoslavia, ci siamo trovati sulle braccia metà di una provincia e, bisogna aggiungere, la metà più povera. I germanici ci hanno comunicato un confine: noi non potevamo che prenderne atto. Aprile 1941»175.

171G. Ciano, Diario, a cura di R.De Felice, Rizzoli, Milano 1980, p.580.

172G. Rochat, Le guerre italiane 1935-1943. Dall'impero d'Etiopia alla disfatta, Einaudi , Torino

2008, p.43 ss.

173S. Bianchini, S. Privitera, 6 aprile 1941. L’attacco italiano alla Jugoslavia, cit., p. 53.

174E. Collotti, T. Sala, Le potenze dell’asse e la Jugoslavia. Saggi e documenti 1941- 1943,Feltrinelli, Milano 1974, p. 21.

175B. Mussolini, Rapporto a Gorizia a un gruppo di alti comandanti, in Susmel e Susmel, Opera Omnia di Benito Mussolini, cit., vol. 31: Dal discorso al direttorio nazionale del Pnf del 3 gennaio 1942 alla liberazione di Mussolini, La Fenice, Firenze 1969, p.96.

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Già alla vigilia della sconfitta della Francia Mussolini aveva manifestato il timore che Hitler, nel caso in cui fosse proseguita la non belligeranza italiana, intendesse sottrargli Trieste176: voci analoghe erano circolate in Italia sin dalla

stipula del Patto d'acciaio, dando origine ad allarmati malumori da parte italiana. Secondo la valutazione di Renzo De Felice, la riconversione di Mussolini su obiettivi dell'Europa balcanica era dovuta quindi in primo luogo al radicale revisionismo praticato dall'alleato germanico, che induceva quindi anche da parte dell'Italia la necessità di marcare le proprie posizioni sullo scacchiere dell'Europa sudorientale177.

Quando nel giugno del 1940 l'Italia entrò in guerra a fianco della Germania nazista, fregiandosi dello status di grande potenza, in realtà non si differenziava molto dagli altri partner del Reich, che sulla scia dell'impressione provocata dalle vittorie tedesche si erano affrettati ad aderire al patto tripartito: l'Ungheria, la Romania e la Bulgaria.

La conquista della Dalmazia portò all'emergere delle stesse divergenze che già avevano caratterizzato gli schieramenti alla fine della prima guerra mondiale: mentre la Marina era favorevole a un programma massimo, l'Esercito avrebbe voluto limitarsi ad annettere alcune isole di importanza strategica, preoccupato per la scarsa difendibilità della terraferma dalmata. Anche il re avversava l'annessione mentre il Ministero degli Esteri era fautore della tesi massima. Nell'opinione pubblica l'occupazione della Dalmazia venne accolta quasi con indifferenza, perchè maggiore era la preoccupazione per la disfatta sul fronte greco178.

Con il trattato del 18 maggio 1941, stipulato a Roma con lo Stato croato, l'annessione venne perfezionata: il trattato assegnava all'Italia le isole di Arbe, Veglia, Lissa, Curzola e Mèleda e sulla terraferma le zone all'altezza del Monte Vir a Spalato, fino ad un massimo di 40 km dalla costa e attorno alla baia di Cattaro179. La provincia veniva retta come governatorato con a capo Giuseppe

Bastianini. La minoranza italiana che risiedeva in Dalmazia, che preventivamente era stata fatta sgomberare per paura di rappresaglie da parte delle forze armate jugoslave in occasione delle brevi operazioni belliche, potè rientrare ad occupazione avvenuta in forma pubblica e organizzata. Anche una parte di

176R. De Felice, Mussolini il duce, cit.,p.806.

177R. De Felice, Mussolini l’alleato, cit., Vol. I, p.382.

178B. Mantelli, L’Italia fascista potenza occupante: lo scacchiere balcanico, in “Qualestoria”,

Trieste 1, 2002, p.133.

85 fuoriusciti dell'immediato dopoguerra rientrava nella provincia sulla scia dell'esercito italiano per una permanenza che si prospettava di lunga durata e che invece era destinata a durare meno di due anni180.

Bastianini procedette con una politica di italianizzazione forzata della nuova provincia: l'italiano fu reso lingua obbligatoria per i funzionari e gli insegnanti, anche se il croato fu tollerato per le comunicazioni all'interno dell'amministrazione civile. Come già nella Venezia Giulia e nel Sudtirolo, vennero italianizzati i nomi geografici, delle vie e delle piazze, sciolte le associazioni politiche non fasciste ed esposte al pericolo dello scioglimento anche le associazioni culturali, ricreative e sportive. Vennero inoltre istituite borse di studio per dalmati che volessero continuare gli studi in Italia: è interessante notare che di queste borse di studio 52 andarono ad italiani dalmati e 211 a croati e serbi. Anche il clero venne posto sotto la giurisdizione dell'episcopato di Zara: i sacramenti dovevano essere impartiti esclusivamente nella lingua italiana e le funzioni dovevano concludersi con una benedizione al re d’'Italia 181 . Il

governatore usò la mano pesante nei confronti dell'elemento serbo e croato, considerato poco leale: numerosi funzionari abbandonarono il paese di loro spontanea volontà in seguito all'occupazione; circa 4000 persone vennero espulse o imprigionati. Ai professionisti slavi venne impedito di esercitare e circa 700 sospetti vennero internati in Italia.

Un effetto provvidenziale ebbe l'annessione italiana della Dalmazia sia per gli ebrei del luogo, sia per coloro che vi avevano trovato rifugio dallo Stato croato, in cui imperversavano le deportazioni nei campi della morte ed i massacri in loco nei campi di concentramento costruiti per serbi ed ebrei da parte dei collaborazionisti ustascia. L'esercito italiano mise in atto una serie di rinvii e pretesti per non consegnare gli ebrei della Dalmazia all'alleato germanico: una parte degli ebrei stranieri rifugiatisi nella zona di occupazione italiana, circa 4000, vennero concentrati nel campo di Arbe al fine di proteggerli dalla deportazione e quindi da morte certa182. In seguito all'8 settembre 1943 circa 300 di essi vennero

catturati dai tedeschi, ma la maggioranza riuscì comunque a fuggire a sopravvivere. L'atteggiamento dell'esercito italiano verso la popolazione civile

180E. Bettiza, Esilio, Mondadori, Milano 1996, p.287. 181M.Cantaruzza, L'Italia e il confine orientale, cit., p. 213.

182M. Shelah, Un debito di gratitudine. Storia dei rapporti tra l’esercito italiano e gli Ebrei in Dalmazia (1941-1943), Stato Maggiore dell’Esercito- Ufficio storico, Roma 1991, pp. 151-158.

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ebraica, manifestato in Dalmazia, in Grecia, in Francia e in Nord Africa, rappresenta una delle pagine migliori nella storia militare italiana della seconda guerra mondiale: l'Italia fu il solo satellite del terzo Reich che rifiutò di consegnare ai tedeschi i propri cittadini ebrei residenti in altri paesi e che estese la propria protezione agli ebrei non cittadini italiani che si trovavano sui territori da essi occupati.

2.2 ORGANIZZAZIONE DEL FRONTE