2 IL SECONDO CONFLITTO MONDIALE E IL DRAMMA DEL CONFINE
2.3 LA SITUAZIONE SUL CONFINE ORIENTALE ALLA VIGILIA DELL’
La crescente iniziativa dei partigiani dell'esercito di liberazione nazionale guidato da Tito e la sanguinosa guerra nazionale e civile delle diverse fazioni politiche attive in Jugoslavia, impegnate in una lotta senza quartiere al fianco o contro le forze di occupazione al fine di garantirsi una posizione di forza favorevole alla fine del conflitto, costrinsero Mussolini a dichiarare la Dalmazia, assieme al Montenegro, alla Slovenia e ai territori croati e bosniaci occupati, “zona di operazioniˮ187
In Dalmazia queste misure determinarono in primo luogo una selvaggia competizione per il potere tra il governatore Giuseppe Bastianini ed il generale Quirino Armellini, comandante del XVIII Corpo d’armata che si concluse a favore del primo. L'occupazione della Slovenia ebbe implicazioni cariche di conseguenze sulle sorti dei territori di confine: nella provincia di Lubiana il fascismo perseguì in un primo tempo una politica di moderazione nei confronti della popolazione civile.
Questa politica si differenziava notevolmente dalla prassi di germanizzazione violenta messa in atto dai tedeschi nella Slovenia settentrionale, in seguito alla quale circa 21.000 sloveni provenienti dalla zona di occupazione germanica si erano rifugiati nella zona italiana. Questi fatti suscitarono notevoli malumori da parte degli occupanti tedeschi della parte settentrionale della
91 Slovenia, che dal canto loro andavano attuando un programma complessivo di germanizzazione delle aree adiacenti al confine austriaco attraverso deportazioni di massa della popolazione slovena. L'Italia venne accusata in tale frangente di aver favorito il formarsi a Lubiana del centro dell'irredentismo sloveno188.
Lo stesso Mussolini in un primo tempo non intendeva procedere all’italianizzazione forzata della provincia: «Inizialmente le cose parvero procedere nel modo migliore. La popolazione considera il minore dei mali il fatto di essere sotto la bandiera italiana. Fu dato alla provincia uno statuto, poiché non consideriamo territorio nazionale quanto è oltre il crinale delle Alpi, salvo casi di carattere eccezionale»189.
Il 3 maggio 1941 la provincia di Lubiana venne annessa ufficialmente e vi venne insediato come alto commissario l'ex federale di Trieste ed ex legionario fiumano Emilio Grazioli; il 26 maggio 1941 un decreto di Mussolini istituì una Consulta slovena che avrebbe dovuto coadiuvare l'opera dell'alto commissario190.
Giuseppe Bottai riporta nel suo diario ciò che Mussolini avrebbe affermato al Consiglio dei ministri del 7 giugno 1941: «Domani riceverò la Consulta della nuova provincia. Dirò loro che non ho da chiedere che questo agli sloveni: che restino sloveni al cento per cento»191. In Slovenia il fascismo si appoggiava ad un
ampio fronte collaborazionista, animato in primo luogo dal vescovo di Lubiana Gregorij Rožman. Il collaborazionismo sloveno era radicato nella cultura politica sviluppatasi nel paese tra le due guerre mondiali: la forza politica egemone era il Partito popolare sloveno (Slovenska Ljudska Stranka) capeggiato da mons. Anton Korošec192. Il partito esprimeva i valori della civiltà contadina tardo-asburgica,
fondata sulla fede cattolica e sul tradizionalismo patriarcale; esso aderiva alla prospettiva del corporativismo elaborata dai cristiano-sociali austriaci e giunse quindi simpatizzare anche con la versione fascista dello stesso193.
188T. Ferenc, La provincia “italiana” di Lubiana. Documenti 1941-1942, Istituto friulano per la
storia del Movimento di liberazione, Udine 1994, p.45.
189B. Mussolini, Rapporto a Gorizia a un gruppo di alti comandanti, cit., p.96 190Ivi, p.97 ss.
191G. Bottai, Diario 1935- 1944, ( a cura di) G.B. Guerri, Rizzoli, Milano 1982, p. 271.
192Korošec era stato tra gli uomini politici più influenti della Jugoslavia tra le due guerre mondiali,
rivestendo pure responsabilità di primo ministro nel 1928. Era stato tra i fautori dell’adesione jugoslava al Patto tripartito, favorevole anche ai protocolli di Vienna che esaudivano aspirazioni revisioniste dell'Ungheria. In Slovenia aveva introdotto leggi che limitavano rigorosamente l'iscrizione degli ebrei all'Università, e aveva tentato, in qualità di ministro dell'istruzione, di farle adottare in tutta la Jugoslavia, estendendole anche all'esercito.
193M. Cuzzi, L’occupazione italiana della Slovenia (1941-1943), Stato maggiore dell’esercito-
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Il collaborazionismo del partito popolare era motivato in primo luogo dall'acceso anticomunismo. L'orientamento a favore delle forze dell'Asse era considerato una scelta tattica per impedire il rafforzarsi delle forze partigiane dell’Osvobodilna fronta (Of). Dal punto di vista nazionale i popolari erano favorevoli alla prospettiva di una “grande Slovenia” collocata con ampie prerogative di autonomia all'interno di una compagine statale più ampia. Tra i collaborazionisti si trovano anche numerose formazioni appartenenti a diversi gruppi nazionalisti di estrazione laica, oltre a formazioni chiaramente fasciste. Parecchi esponenti dell'organizzazione terroristica filoserba Orjuna avevano abbracciato, a titolo individuale, gli ideali delle forze dell'asse, così come il gruppo della Straža v Viharju, fondato dal gesuita e professore di teologia Lambert Ehrlich194, il più filoitaliano fra tutti il collaborazionisti.
Con una circolare del 3 marzo 1942 il generale Mario Roatta, comandante supremo delle forze armate Slovenia-Dalmazia, istituiva la milizia volontaria anticomunista (Mvac), che avrebbe raggiunto in poco tempo la forza di 4000 effettivi. Alla milizia, totalmente alla dipendenza dei comandi italiani, vennero sempre affidati compiti ausiliari, relativi alla difesa di presìdi ed alla ricognizione del territorio195.
Le forze di occupazione italiane tentarono di estendere alla nuova provincia le organizzazioni di massa del fascismo: vennero istituiti centri di assistenza, fasci di combattimento, fasci femminili, sezioni della Gil, sezioni di massaie rurali, associazioni per operaie e lavoranti a domicilio, associazioni per bambini e giovani delle diverse classi di età, nonché strutture di carattere dopolavoristico. L'iscrizione ai fasci di combattimento e l'ingresso tra i giovani fascisti e le giovani italiane era riservata ai cittadini italiani e quindi in misura maggiore a quegli elementi che si erano trasferiti nella nuova provincia a seguito della guerra. Nonostante le associazioni di massa del fascismo non avessero avuto una adesione “totalitaria” da parte della popolazione slovena, esse non furono neanche un insuccesso: il dopolavoro contava un massimo di 6.285 iscritti, le associazioni femminili ne annoveravano 2.024, i Balilla e le Piccole italiane
194Lambert Ehrlich cadde vittima di un attentato partigiano il 26 maggio 1942 in una strada di
Lubiana.
195La Mvac, inquadrata nell’XI Corpo d’armata era composta di 5.153 militi, dotati di 17
93 5.226, ed infine la Gioventù italiana del littorio 5.026196. Nonostante si trattasse di
una adesione di carattere minoritario questa non era certamente insignificante, soprattutto tenendo conto della pressione contro le iscrizioni messa in atto dal Fronte di liberazione nazionale, in quanto l'adesione veniva equiparata al collaborazionismo, con tutte le implicazioni del caso. Le adesioni alle organizzazioni fasciste subirono una flessione importante nel 1943 a causa della progressiva perdita di controllo del territorio da parte dell'occupante e all'andamento del conflitto197.
Già nel luglio 1941 il generale Mario Robotti, comandante dell'XI Corpo d'armata, riscontrava un atteggiamento ostile alle forze di occupazione da parte della popolazione civile della provincia. Il 4 settembre questi si preoccupava della «situazione eccezionale creatasi in questa provincia [..] che non ha riscontro in alcun’altra provincia del Regno». Una situazione caratterizzata da nuclei armati «che agiscono con audacia, ferocia e disprezzo della vita; sabotaggi a linee ferroviarie, telefoniche e telegrafiche; aggressione contro militari e agenti di P.S.; sputi contro ufficiali sentinelle; intensa propaganda sovversiva»198. A questo stato
di cose seguivano le prime uccisioni di soldati e ufficiali italiani caduti in imboscate partigiane mentre erano di pattuglia: l'8 settembre Mario Robotti sottolineava come l'esercito italiano di stanza in Slovenia fosse in zona di guerra e non intento a pattugliare i nuovi confini in una provincia pacificata, come erroneamente si era ritenuto sino a pochi mesi prima. Nelle Direttive contro gli attacchi dei ribelli egli concludeva:
«Di troppo sangue nostro è già stata bagnata questa nostra zona d'occupazione e, purtroppo, non in combattimento aperto e franco, ma in imboscate da parte dei delinquenti che certo non oserebbero assalirci. Si adoperi quindi in ogni momento i metodi di guerra, di giorno e di notte, per sostare e per avanzare, in ogni terreno, in ogni momento, il fucile sempre carico e pronto, la baionetta sempre innestata, la bomba a mano a portata dell'assassino che si può rivelare improvvisamente»199.
Anche altri ufficiali avevano notato il mutato atteggiamento della popolazione in seguito all'ingresso in guerra dell'Unione Sovietica e dell’odio nei confronti dell'Italia occupante e del fascismo: dilagavano intanto le notizie relative alle atrocità commesse sugli italiani caduti nelle mani dei partigiani, mentre aumentavano anche gli attentati contro collaborazionisti e informatori. Alla fine
196M. Cuzzi, L’occupazione italiana della Slovenia, op.cit. pp.69 ss.
197T. Ferenc, La provincia “italiana” di Lubiana. Documenti 1941-1942, cit., p.141. 198Ivi, pp. 169-170.
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del novembre del 1941 Robotti faceva un elenco delle aggressioni, uccisioni, attentati ai treni, omicidi di sloveni favorevoli agli italiani e interruzioni di linee telegrafiche, mentre il generale Renzo Montagnana in un promemoria del 22 dicembre 1941 descriveva una situazione in cui i partigiani esercitavano ampi poteri di «controgoverno» del territorio su cui l'autorità italiana aveva un controllo solo parziale: i partigiani erano infatti in grado di pubblicizzare le condanne a morte dei propri tribunali e di eseguirle, di far curare i propri feriti negli ospedali da medici e studenti di medicina, di attuare reclutamenti a mezzo di cartoline precetto, di raccogliere armi e viveri e di addestrare le reclute prima di impegnarle nelle operazioni200.
Il 19 gennaio 1942 Mussolini affidò, nelle province di Zara, Spalato, Cattaro, Lubiana e nei territori annessi alla provincia di Fiume, all'autorità militare la responsabilità per l'ordine pubblico, che in caso di necessità poteva agire anche scavalcando le massime autorità civili201. Nel loro insieme le misure di
repressione antipartigiana messe in atto mettono a nudo l'inadeguatezza sia dell'amministrazione militare che di quella civile per controllare il fenomeno della resistenza armata: il 23 febbraio 1942 venne attuato per la prima volta il blocco attorno a Lubiana, con il controllo a tappeto attraverso fitti posti di blocco di tutta la popolazione maschile tra i 20 e i 30 anni, che portò a più di 200 arresti. Le altre misure repressive riguardavano il sequestro di apparecchi radio, di veicoli e persino di sci e biciclette: si giunse così il 1° marzo 1942 alla nota circolare 3c emanata dal generale Roatta, che segnò un ulteriore inasprimento nella repressione della resistenza. Con questa si autorizzavano internamenti di massa, l'arresto di sospetti da utilizzare come ostaggi per eventuali rappresaglie e la distruzione di villaggi che fossero stati utilizzati come base d'appoggio dall’Of202.
In una relazione a Tito dalla primavera dello stesso anno il leader comunista sloveno Edvard Kardelj rilevava che accanto alle severe misure repressive si verificavano anche casi in cui i soldati, dopo aver bruciato un villaggio,
200T. Ferenc, La provincia “italiana” di Lubiana. Documenti 1941-1942, p. 276. 201Ivi, p.277.
202C. Di Sante, Italiani senza onore. I crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951),
95 distribuivano viveri alla popolazione e contribuivano a ricostruire le case distrutte dal fuoco203.
Uno degli episodi più sanguinosi si verificò nel maggio del 1942, quando 27 Granatieri di Sardegna persero la vita in un'imboscata partigiana: nella rappresaglia che ne seguì vennero fucilati 40 prigionieri politici. L'esercito italiano si rivelò inefficiente anche nella difesa degli elementi anticomunisti: nel suo diario don Brignoli riporta l'episodio in cui gli abitanti di un villaggio accolsero a braccia aperte granatieri e li supplicarono di lasciare il paese un presidio che proteggesse dai partigiani, senza che la richiesta venisse accolta. È sempre lo stesso don Brignoli a riferire ripetutamente nel suo diario la contrarietà dei soldati alla fucilazione degli ostaggi; in una nota del 5 agosto scrisse:«Io credo di non esagerare se dico che eravamo abbattuti al pari di molti morituri: i soldati non volevano più sparare; nessuno più fiatava; e in quel silenzio si udivano più strazianti i gemiti dei condannati»204.
Nel giugno del 1942 il comando dell’XI Corpo mise in atto una grande offensiva per riprendere il controllo parziale sul territorio della provincia di Lubiana e sferrare un attacco contro il movimento partigiano, mentre allo stesso tempo Mussolini dava segni di impazienza per l'ingente immobilizzo di truppe resosi necessario nei Balcani. Nelle successive riunioni vennero messe a punto misure che comprendevano la fucilazione di tutti gli uomini che fossero stati trovati nella zona dei combattimenti, di tutti coloro che non erano della zona e di contadini, lavoratori e uomini validi in genere trovati nella zona abbandonata dai partigiani. Tra luglio e agosto le perdite partigiane complessive ammontavano a 3.670 persone, di cui 1.053 morti in combattimento, 1.236 fucilati sul posto e 1.381 fatti prigionieri: queste misure tuttavia non impedivano alle unità partigiane di rafforzarsi, rendendo sempre più precario il controllo italiano sulla provincia205.
In una lettera del 3 dicembre del 1942 ad Emilio Grazioli, Robotti era costretto ad ammettere che la situazione militare era sensibilmente peggiorata, mentre i partigiani avevano avuto un forte afflusso nelle loro fila, e godevano di una
203R. Pupo Le annessioni italiane in Slovenia e Dalmazia 1941-1943. Questioni interpretative e problemi di ricerca, in Italia Contemporanea n. 243 del giugno 2006, Carocci, Roma- Milano
2006.
204P. Brignoli, Santa messa per i miei fucilati. Le spietate rappresaglie italiane contro i partigiani in Croazia dal diario di un cappellano, Longanesi, Milano 1973, p.122.
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migliore organizzazione che dava loro la possibilità di infliggere notevoli perdite alle forze di occupazione.
Nonostante le misure repressive messe in atto contro i partigiani, i loro familiari e i fiancheggiatori, non ci furono deportazioni generalizzate di popolazione slovena con il fine di snazionalizzare la provincia, nonostante alcuni storici, ritengano che si fosse pervenuti al riguardo ad una fase avanzata di progettazione. Mussolini si espresse occasionalmente di fronte al generale Cavallero a favore del trasferimento di popolazione a fini repressivi206, tuttavia,
come opportunamente rileva lo storico Raoul Pupo, ci furono anche affermazioni in senso contrario da parte dello stesso Mussolini207, quindi, come ribadito dallo
storico, lo stato attuale delle ricerche su quale avrebbe dovuto essere l’assetto della provincia di Lubiana secondo gli intendimenti delle autorità civili e militari fasciste non ammette valutazioni univoche.