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L’analisi rischio-rendimento secondo il CAPM

Nel documento Oltre i Confini (pagine 100-108)

Concluding remarks

5. Equity cost, fattori firm specific e volatilità nei giudizi degli analisti

5.1. L’analisi rischio-rendimento secondo il CAPM

Nella prospettiva finanziaria, la stima del valore di una data attività economica si fonda sull’analisi combinata di due variabili: le perfor-mance attese, generalmente espresse sotto forma di cash flow poten-ziali; il costo opportunità del capitale, quale tasso di attualizzazione dei cash flow prospettici, la cui dimensione dipende dai fattori tempo e rischio. Come è noto, sussiste una relazione inversa tra detti fattori e il valore economico delle decisioni d’investimento in quanto: gli operatori che finanziano una determinata iniziativa rinunciano per un certo periodo di tempo a capitale liquido; le risorse monetarie nel tempo perdono valore per effetto dell’inflazione; i flussi finanziari atte-si dalle attività economiche sono, generalmente, grandezze aleatorie.

In condizioni di certezza, quando cioè non vi è alea circa la stima delle performance attese dall’attività oggetto di valutazione, i finan-ziatori richiedono un rendimento privo di rischio la cui entità è commisurata ad un duplice danno: la momentanea rinuncia alla li-quidità, rinuncia che implica lo spostamento dei consumi attuali al futuro; la perdita di potere d’acquisto delle risorse allocate. In condi-zione d’incertezza la remuneracondi-zione minima attesa dai finanziatori include anche il fattore rischio: se i flussi attesi non si realizzeranno con certezza il rischio assunto dai finanziatori deve essere adeguata-mente compensato in termini di rendimento atteso dal capitale con-cesso (Renzi, 2005).

5. Equity cost, fattori firm specific e volatilità nei giudizi degli analisti 91

Emerge, allora, la centralità delle analisi rischio-rendimento nell’ambito di tutte quelle valutazioni finanziarie basate su processi di attualizzazione. Analisi che assumono un duplice significato, giacché il profilo rischio-rendimento dell’impresa, o di un singolo investimento industriale da essa effettuato, può essere letto sia nella prospettiva de-gli investitori/finanziatori (azionisti e creditori finanziari) che in un’ottica manageriale. Dal punto di vista degli investitori la combina-zione tra il rischio e il rendimento costituisce l’elemento chiave in meri-to all’obiettivo di ottimizzare i portafogli finanziari; nell’ottica manage-riale detta combinazione si qualifica come componente essenziale nei processi di pianificazione aziendale (Damodaran, 2013). Il rendimento minimo atteso dall’investitore, infatti, rappresenta il costo del capitale che l’impresa sostiene nel momento in cui acquisisce capitale sottofor-ma di debito, di rischio e/o mediante processi di autofinanziamento.

Il capitale di rischio e l’autofinanziamento determinano, tempo per tempo, la dimensione dell’equity disponibile per l’impresa, cui corrisponde un costo opportunità del capitale, ossia l’equity cost.

La stima di detto costo opportunità ha suscitato forte interesse nell’ambito di studi sia macroeconomici che manageriali. Ciò ha por-tato ad una vasta pubblicistica in materia di analisi rischio-rendimento secondo diverse prospettive. Tuttavia, malgrado si possa riscontrare eterogeneità circa l’approccio teorico alla stima rischio-rendimento, si è determinato nel tempo un dominio, sia accademico che operativo, di modelli di stampo neoclassico, quindi basati sulle ipotesi di efficienza ed equilibrio dei mercati. Al riguardo il modello rischio rendimento più noto ed utilizzato è il CAPM (Capital Asset Pricing Model) frutto del lavoro di diversi economisti (Fama, 1968; Lintner, 1965; Mossin, 1966; Sharpe, 1964) che, a partire dai primi an-ni 60’ del secolo scorso, sono giunti autonomamente alla medesima conclusione: in un mercato dei capitali caratterizzato da efficienza informa-tiva, l’investitore razionale tende a sfruttare al massimo i benefici della di-versificazione di portafoglio. Ne consegue che il rendimento atteso sia fun-zione del fattore tempo e di un premio connesso a quella parte di rischio non diversificabile2.

2 Il CAPM è emerge, quindi, come evoluzione della Portfolio Theory proposta da Markowitz nel 1952, il quale dimostra come dimostra come la diversificazione consenta l’ottimizzazione dei portafogli finanziari, ossia, l’individuazione della c.d. frontiera effi-ciente, quale insieme dei portafogli che più soddisfano la relazione rischio-rendimento: massimo rendimento per un dato rischio; minimo rischio per un dato rendimento.

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In particolare, il rischio totale di un titolo azionario può essere scomposto come: (1) o Sistematic Rischio Specifico Rischio Totale Rischio = +

Il rischio specifico si qualifica come eliminabile mediante processi di diversificazione basati sulla ricerca di covarianze basse tra rendi-menti dei titoli componenti il portafoglio, nonché sul frazionamento dello stesso in un elevato numero di asset. Il rischio sistematico, inve-ce, si considera come ineliminabile, giacché rappresenta quella quota di volatilità che residua a seguito di un pieno sfruttamento dei bene-fici connessi alla diversificazione di portafoglio. In altri termini, il schio sistematico rappresenta un limite alla relazione inversa tra ri-schio totale e diversificazione (figura 1).

Fig. 1. Rischio specifico e rischio sistematico

La forma della curva riportata in figura 1 evidenzia come l’aumento dei titoli componenti un certo portafoglio determina un effetto riduttivo sul rischio via via decrescente. Ciò deriva dalla cirstanza che, normalmente, i rendimenti dei singoli titoli tendono a co-variare in modo positivo rispetto alla dinamica del rendimento me-dio di portafoglio. Per cui se da un lato, un portafoglio molto frazio-nato determina, nella generalità dei casi, maggiore diversificazione del rischio rispetto ad un portafoglio poco frazionato, dall’altro, una parte del rischio totale non è diversificabile.

Nel contesto descritto, quindi, il premio per il rischio, quale deter-minate del rendimento minimo atteso, dipende esclusivamente dal li-vello di esposizione dell’asset oggetto di analisi al rischio sistematico:

5. Equity cost, fattori firm specific e volatilità nei giudizi degli analisti 93 (2) o sistematic rischio il per Premio rate free Risk atteso Rendimento rischio fattore del one Remunerazi tempo fattore del one Remunerazi      + =

In particolare, il rendimento atteso dal titolo azionario j-esimo, è calcolato (in base al CAPM) come:

(3) β Rf) -R~ ( Rf kej= + mj dove:

kej = rendimento atteso dal titolo j-esimo; Rf = risk free rate;

R~m = tasso di rendimento medio atteso dal portafoglio di mercato; βj = indice beta del titolo j-esimo.

La differenza tra i R~m e Rf esprime il market risk premium, ossia il premio medio di mercato; l’indice beta si qualifica come coefficiente di rischio sistematico, ossia misura dell’intensità con cui la volatilità del portafoglio di mercato si riflette sulla volatilità del singolo titolo; il prodotto tra il market risk premium e il beta j-esimo esprime il pre-mio per il rischio associato al titolo j-esimo.

In generale, dalla (3) emerge come la variabile chiave del CAPM sia l’indice beta. Tale indice esprime, infatti, la quota parte del rischio con-nesso al portafoglio di mercato assorbita dal singolo asset. In presenza di βj = 1, il profilo rischio-rendimento del titolo j-esimo corrisponde a quello del portafoglio di mercato3. Per βj < 1, si determina un’esposi-zione al rischio sistematico inferiore alla volatilità media del portafoglio di mercato; infine, nel caso di βj > 1, il titolo oggetto d’analisi presenta una volatilità amplificata rispetto a quella del portafoglio di mercato.

Il legame tra il rendimento azionario e il fattore beta può essere sche-matizzato attraverso la cosiddetta security market line (SLM) (figura 2).

3 Nel caso di specie, cioè, l’investimento nel titolo j-esimo equivale alla costituzione del portafoglio di mercato e, conseguentemente, implica l’assunzione del 100% del rischio sistematico.

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Fig. 2.

Fig. 2. Security market line

In presenza di massima efficienza del mercato i rendimenti di tutti i titoli si collocano lungo la SML. In tale contesto le decisioni di inve-stimento non implicano problemi di arbitraggio, ma scelte soggettive in relazione al trade-off rischio-rendimento desiderato. In sostanza, l’investitore si muove all’interno di tre alternative base: acquisto di titoli aggressivi (β >1); acquisto di titoli che replicano il portafoglio di mercato (β =1); acquisto di titoli difensivi (β <1).

Stante la relazione inversa tra rischio e valore, i titoli aggressivi costano meno di quelli difensivi, offrono maggiori margini di guada-gno potenziale e, al contempo, incorporano un livello di rischio supe-riore al rischio medio di mercato.

La condizione di efficienza massima del mercato viene meno al-lorquando, a causa di squilibri tra domanda e offerta, si determina disallineamento tra il rendimento di una o più attività e la SML.

In generale, i titoli collocati al di sotto della SML offrono un tasso di rendimento inferiore alla quota di rischio sistematico dagli stessi incorporata e, dunque, si configurano come attività sopravalutate. Di contro, nel caso di titoli collocati al di sopra della SML si rileva un prezzo sottovalutato rispetto al valore intrinseco delle azioni oggetto di stima. Indicando con kej e Sj rispettivamente il rendimento e il prezzo d’equilibrio del titolo j , e con kej’ e Pj i valori effettivi di mer-cato si ha:

5. Equity cost, fattori firm specific e volatilità nei giudizi degli analisti 95 . S P ke ke' ; S P ke ke' ; S P ke ke' β ) Rf R~ ( Rf ke j j j j j j j j j j j j j m j < → > = → = > → < ⋅ − + =

In sostanza, l’ottimale gestione di portafoglio prevede, che venga-no acquistati (o venga-non venduti) i titoli collocati al di sopra della SML. Ciò, infatti, minimizza il rischio e parallelamente massimizza le pos-sibilità di guadagno se si presume che i rendimenti di mercato tenda-no nel tempo a pareggiare i rendimenti d’equilibrio. Nell’ottica dell’investitore, quindi, la condizione di squilibrio temporaneo, va vista anche come opportunità di operare speculazioni al rialzo o al ribasso. Naturalmente, la strategia secondo cui vengono acquistati (o non venduti) e venduti (o non acquistati) i titoli che si posizionano rispettivamente al di sopra e al di sotto della SML è valida se il mercato tende verso l’efficienza e, quindi, consente extraprofitti da negoziazione allorquando i rendimenti effettivi tornano a pareggiare quelli d’equilibrio.

Il riequilibrio dei rendimenti è, nella logica del CAPM, assicurato dalla possibilità per gli investitori di effettuare operazioni di arbitrag-gio. Ad esempio, se rispetto a β =0,8 il rendimento effettivo (kA’= 0,07) del titolo A è sottodimensionato rispetto alla SML, l’investitore può ottenere il rendimento d’equilibrio (kA = 0,122) ricorrendo al “teorema dei fondi separati”, ossia investendo l’80% del capitale nel portafoglio di mercato e il restante 20% in un debito risk free. (figura 3).

Ipotizzando un comportamento analogo da parte di tutti gli inve-stitori interessati a β =0,8, consegue un calo della domanda di A con effetti riduttivi sul prezzo, fino a quando non sia ristabilito l’allineamento tra rendimento atteso e SML. Un esempio contrario at-tiene al titolo B. In questo caso si tratta di una attività particolarmente attrattiva, giacché incorpora un β =1 e un rendimento superiore a quello del portafoglio di mercato. In tali condizioni è facile immagina-re che il sottodimensionamento del pimmagina-rezzo di B venga rapidamente annullato in conseguenza di un forte aumento della domanda. Infine, con riferimento al titolo C, l’investitore interessato ad un β pari a 1,3 opera l’arbitraggio investendo nel portafoglio di mercato oltre il proprio capitale, cioè indebitandosi nella misura del 30%.

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Fig. 3. Security market line e arbitraggi tra investimenti rischiosi e debiti privi di ri-schio

5.1.1. Il calcolo del beta e il market model

Come sopra evidenziato, il beta rappresenta la quota parte del rischio sistematico assorbito da un singolo asset. Su piano statistico si ha:

(4) Var Cov β m m j, j= dove:

Covj,m = covarianza tra i rendimenti del titoli j-esimo e il rendi-mento del portafoglio di mercato;

Varm = varianza rendimento del portafoglio di mercato;

In generale, le due variabili che compongono il beta (Covj,m, Varm) possono essere dedotte sulla base di analisi prospettiche di tipo sto-castico, oppure facendo riferimento a serie storiche.

La versione originale del CAPM si fonda sull’esplicitazione stoca-stica di probabilità, ossia presuppone la possibilità di un’analisi pro-spettica, in base alla quale la correlazioni tra la dinamica attesa del rendimento j-esimo e quella del portafoglio m sia la risultante di aspettative omogenee in condizioni d’equilibrio.

Tuttavia, nella prassi operativa gli analisti finanziari tendono a considerare i rendimenti passati come proxy dei rendimenti futuri. In altri termini, il beta viene normalmente stimato come coefficiente di volatilità nell’ambito di rilevazioni.

5. Equity cost, fattori firm specific e volatilità nei giudizi degli analisti 97

La regressione, come è noto, mostra l’andamento di una variabile dipendente rispetto all’andamento di una variabile indipendente. Nell’ambito del CAPM la variabile dipendente è il rendimento del titolo oggetto di studio, quella indipendente il rendimento medio del paniere di titoli selezionato. In sostanza, la regressione tra i valori ri-levati di keJ e Rm si qualifica come retta di interpolazione, retta che rende minima la sommatoria delle deviazioni elevate al quadrato tra la stessa e i dati osservati. Seguendo tale impostazione la (3) può es-sere riconsiderata come segue:

(

m

)

j j j m j Rf R -Rf β Rf (1 β ) β R ke = + ⋅ = ⋅ − + ⋅ α = − ⋅(1 β ) Rf j m j j

β R

ke =α+ ⋅

dove: = m

R rendimento medio di mercato rilevato su base storica. La grandezza α indica l’intercetta della retta di regressione; men-tre, il α misura il coefficiente di regressione che determina la direzio-ne che assume la variabile dipendente al mutare di quella indipen-dente, nonché l’intensità della correlazione tra le due variabili. Nor-malmente, il dato viene corretto includendo nella base di calcolo l’errore casuale

ε

:

ε

α + ⋅ +

=

j m j

β R

ke

(5)

La (5) sta alla base del c.d. Market Model (Jensen M.C., 1972), quale strumento finalizzato a testare empiricamente la validità del CAPM4. Al riguardo, il CAPM presenta un’elevata capacità di approssimare il rendimento atteso al verificarsi della seguente condizione:

4 Per approfondimenti sul market model si rimanda a: Black F., Jensen M.C., Scholes M., 1972, “The Capital Asset Pricing Model: some empirical test”, in Jensen M.C., Studies in the theory of capital markets, Praeger, New York, 79-121. Per la classificazione dei diversi approcci alla stima del beta si rimanda a Chua Jess, Chang P. C., Wu Z., 2006, “The Full-Information Approach for Estimating Divisional Betas: Implementation Issues and Tests”, in Journal of Applied Finance, Spring-Summer 2006, vol. 16, n. 1, 53-61.

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ε

α=0; ke

j

j

⋅R

m

+

In sostanza, l’intercetta α è indipendente dal rendimento di mercato. Tale variabile, quindi, dipende da fattori di rischio specifici. In altri termini, α costituisce la parte di rischio diversificabile. Dunque, il presupposto base del CAPM - ossia lo sfruttamento massimo da parte dell’investitore dei benefici della diversificazione - richiede α = 0. In presenza, invece, di α > 0 il rendimento è funzione anche del rischio specifico.

L’utilizzo di equazioni di regressione implica margini di errore ri-guardo ai due parametri α e β Per stimare il grado di affidabilità del-la corredel-lazione tra variabile dipendente e variabile indipendente si utilizza il metodo dell’R2, mediante cui è possibile apprezzare il livel-lo di interpolazione. In particolare, l’R2 è calcolato come coefficiente di correlazione (cjm) elevato al quadrato:

2 jm

2

c

R =

In termini statistici, tale indicatore esprime la capacità della retta di regressione di interpolare i dati osservati; in termini finanziari, consente una valutazione della composizione del rischio, nelle sue due articolazioni di rischio specifico e di rischio sistematico. Infatti, al crescere dell’interpolazione della retta di regressione con i valori rile-vati aumenta l’incidenza del rischio non diversificabile rispetto al ri-schio complessivo (Damodaran, 2001).

Nel documento Oltre i Confini (pagine 100-108)