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La prima e la seconda Repubblica del Kosovo

2.2 Uno stato in embrione

2.2.2 L’apparato educativo parallelo

L’escalation di repressione attuata dal governo serbo garantiva privilegi ad una piccola porzione della popolazione dell’area, la cui popolazione serba e montenegrina si attestava al 9% del totale verso la metà del 199230. In questo contesto di segregazione e governo della minoranza, in cui i contatti tra le due comunità erano ridotti al minimo indispensabile e regnava il sospetto reciproco, si svilupparono le altre strutture parallele della prima Repubblica del Kosovo. Uno dei settori centrali su cui si era concentrata l’attività repressiva serba era stato quello dell’istruzione. Sebbene nell’ottobre 1992 si fossero tenute delle negoziazioni per concedere la riapertura delle scuole elementari e medie inferiori in albanese, questo non avvenne mai, né vennero mai riconosciuti i diplomi scolastici kosovari all’esterno della provincia.

La segregazione all’interno delle strutture educative era prevista dal 1989, e veniva attuata dividendo fisicamente gli alunni su piani diversi dello stesso edificio oppure organizzando dei turni per l’uso delle strutture. Per dare un’immagine concreta della situazione, riporto le parole di Rona Nishliu, una ragazza di Mitrovica che nel 2012 ha rappresentato l’Albania all’Eurovision Song Contest di Baku: “Quando andavo a scuola, a noi albanesi spettava il pomeriggio mentre ai serbi la mattina. Non avevamo nessun contatto con loro e non potevamo usare la palestra o i laboratori. Per noi rimanevano chiusi a chiave, quindi facevamo ginnastica all’aperto. Sì, avevamo vicini serbi. Persone a cui dicevamo ciao o buon pomeriggio, ma di amici serbi, nessuno. Entrambi i miei genitori lavoravano per

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le miniere di Trepça ma nel 1989 furono licenziati. In seguito mio padre mise su un negozietto mentre mia madre rimase in casa31”.

Dall’agosto 1990, come già ricordato, la Repubblica Federale Jugoslava uniformò i programmi scolastici su tutto il suo territorio, con l’intento malcelato di imporre l’educazione in serbo-croato nelle scuole del Kosovo. L’inizio dell’anno scolastico 1991-1992 vide l’estromissione degli alunni albanesi da ogni tipo di scuola in Kosovo. Un forte dispiegamento di polizia venne utilizzato per impedire l’accesso dei bambini alle strutture scolastiche, nonostante le proteste dei genitori. Essendo in conflitto con l’obbligo scolastico previsto dalla Costituzione jugoslava, tale provvedimento fu in seguito ufficialmente ritirato, tuttavia la segregazione permase, aggravata dalla mancanza di investimenti a favore degli studenti albanesi. Numerosi furono i licenziamenti di insegnanti o i provvedimenti volti a sospenderne gli stipendi. A questo punto gran parte del corpo docente decise di non protestare ma di continuare a lavorare clandestinamente, con scarse retribuzioni ottenute tramite donazioni volontarie della comunità albanese, all’interno di abitazioni private o locali appositamente adibiti. La prima scuola parallela si formò a Peja, e il suo direttore, una volta rintracciato dalla polizia, fu condannato a 30 giorni di carcere per incitamento alla disobbedienza civile32. Questo tuttavia non fermò l’espansione del fenomeno, che continuò con ancora maggiore cautela.

Negli anni 1992-1998, alcune scuole elementari e circa la totalità di quelle medie inferiori funzionarono con mezzi di fortuna, poco equipaggiamento, libri fatti pervenire dall’Albania tramite contrabbando o prodotti dagli stessi insegnanti in Kosovo. In alcuni casi i genitori riuscivano a riappropriarsi degli spazi all’interno delle scuole, in altri avvenivano scontri violenti con la polizia33. Le classi clandestine spesso dovevano essere organizzate in luoghi lontani dai centri abitati

31 Portraits, T. JUDAH, European Stability Initiative (consultato 30 aprile 2016)

Disponibile all’indirizzo: http://www.esiweb.org/index.php?lang=en&id=280&portrait_ID=8 32 H. CLARK, Civil Resistance in Kosovo, pag.96.

33 Gli scontri più violenti avvennero nell’ottobre 1992, quando gran parte della popolazione si ribellò alla polizia che impediva l’accesso degli scolari albanesi agli istituti scolastici. Si verificarono arresti, pestaggi e lancio di gas lacrimogeni.

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e di conseguenza molti albanesi, e specialmente le bambine, scelsero di abbandonare gli studi. Ciononostante, le cifre confermano il successo del sistema: nel 1998 si attestano 266413 alunni delle elementari, 58700 studenti delle superiori e 16000 studenti universitari34.

Verso la metà degli anni ’90 queste scuole subivano sempre più raramente l’intrusione delle forze dell’ordine, così come si riscontrò una diminuzione delle confische di equipaggiamento scolastico e del sequestro dei testi di contrabbando. Contemporaneamente però la qualità dell’educazione impartita vide un calo, dato che gli insegnanti di professione non riuscivano più a mantenersi tramite gli stipendi forniti dal sistema di tassazione volontaria del governo parallelo, e pertanto emigrarono all’estero, lasciando che insegnanti non qualificati prendessero il loro posto.

Infine, l’Università di Pristina fu l’ente accademico più colpito dalle riforme, tra le purghe etniche tra gli insegnanti e la stretta sulle ammissioni approvate nel biennio 1990-1991. Il nuovo rettore, il serbo Papović, la definiva “la fabbrica del male” e pertanto il suo programma era di estirpare ogni possibile traccia di nazionalismo albanese dai programmi così come dalle associazioni studentesche. La controparte clandestina dell’Università riaprì il 17 febbraio 1992, dislocata in circa 250 edifici privati, sotto la guida del corpo amministrativo parallelo, responsabile delle comunicazioni in codice su sedi e strutture trasmesse tramite Radio Zagabria35. Le difficoltà e i rischi connessi alla nuova situazione causarono numerose interruzioni degli studi, nonostante le autorità parallele si appellassero agli studenti per incoraggiarli ad essere lungimiranti nelle loro scelte.

In generale, l’esperienza dell’istruzione parallela si può definire riuscita, in quanto contribuì ad aiutare gli insegnanti licenziati, contrastare l’abbandono scolastico, creare aggregazione e allo stesso tempo sensibilizzare gli studenti sulla situazione del Kosovo. Le principali critiche sottolineano come le strutture parallele corressero il rischio di acuire i pregiudizi e i contrasti tra i due gruppi, tuttavia la

34 K. DREZOV, B. GOKAY, D. KOSTOVICOVA, Kosovo: Myths, Conflict and War, Keele 1999, pag.15. 35 H. CLARK, Civil Resistance in Kosovo, pag.101.

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segregazione era già stata implementata con i provvedimenti governativi, e le scuole parallele costituivano solo una reazione al regime etnico in atto.