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1.5 Dalle guerre balcaniche al Regno di Jugoslavia

1.5.3 Il Regno di Serbi, croati e sloveni

Durante la prima guerra mondiale il Kosovo vide in un primo momento l’occupazione da parte di truppe austro-ungariche e bulgare, che approfittarono delle difficoltà serbe nel gestire più fronti per conquistare numerosi distretti. Per contrastare la presenza serba, si autorizzò l’apertura di scuole in lingua albanese.

61 Tra l’altro posta al livello del manto stradale, appena visibile. Vi si legge: “Da questo punto il 28 giugno 1914 Gavrilo Princip assassinò l’erede al trono austro-ungarico Francesco Ferdinando e sua moglie Sofia.” 62 Monument to Gavrilo Princip unveiled in East Sarajevo, B92 news (consultato 30 marzo 2016). Disponibile all’indirizzo

http://www.b92.net/eng/news/region.php?yyyy=2014&mm=06&dd=27&nav_id=90812

63 Interessante il commento rilasciato da Milorad Dodik, presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, sulle accuse rivolte alla politica aggressiva dei serbi nei Balcani: “Non abbiamo mai attaccato nessuno, abbiamo soltanto difeso ciò che era nostro”.

Serbia Unveils Monument to Gavrilo Princip, Balkan Insight (consultato 30 marzo 2016)

Disponibile all’indirizzo http://www.balkaninsight.com/en/article/serbia-reveals-monument-to-gavrilo-princip

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Successivamente, nell’ottobre 1918, la situazione si ribaltò e l’esercito serbo riuscì a tornare in Kosovo, dove stabilì la legge marziale e mise in atto una violenta repressione dei movimenti pan-albanesi che nel frattempo avevano iniziato a radicarsi sul territorio, incentivati dal rinnovato entusiasmo verso un’ipotetica riunificazione con l’Albania (diventata indipendente nel 1912). Poiché la Serbia aveva perso durante il conflitto circa un quinto della sua popolazione, la concessione del Kosovo era stata considerata dalle potenze europee come un giusto risarcimento, e pertanto i movimenti furono ostacolati sul nascere.

I trattati del dopoguerra mostrarono apertamente l’intenzione di creare stati nazionali, minimizzando la presenza di molteplici comunità etniche all’interno dei confini stabiliti. L’esempio più lampante fu il regno scaturito dalla Dichiarazione di Corfù del luglio 1917, lo stato slavo detto Regno di serbi, croati e sloveni. Il carattere slavo era inteso in senso etnico, linguistico, religioso, tuttavia la presenza di minoranze al suo interno contraddiceva la paventata uniformità e l’artificialità dell’idea nazionale. De iure veniva riconosciuta la parità tra i tre nomi ‘tribali’, le tre bandiere e religioni principali, i due alfabeti, ma de facto l’unificazione rientrava nei progetti espansionistici della Serbia64. Il controllo sul regno era infatti accentrato a Belgrado, con la giustificazione che era stato il popolo serbo a trainare gli slavi meridionali verso l’indipendenza dalle potenze straniere e ad offrire credibilità al progetto politico di unificazione65. L’iniziale programma federale (auspicato da Croazia e Slovenia) non venne seguito, e sia croati che sloveni si trovarono costretti dalle circostanze66 ad accettare i termini di Belgrado, anche perché nessuna delle nazionalità slave incluse nel regno ebbe la possibilità di esprimersi sull’unificazione tramite referendum popolari. La

64 I. BANAC, National Question in Yugoslavia, Origin, History, Politics, Cornell University Press, Ithaca and London, 1984, pag.35.

65 Nel 1918 c’era stato infatti un primo tentativo di proclamare l’autonomia dall’Austria da parte di intellettuali bosniaci, croati, sloveni e della Voivodina, che tuttavia non aveva ottenuto riconoscimento politico. Con l’inclusione della Serbia si sperava di ricevere maggiore legittimità.

66 Ricordo che la Slovenia rischiava di essere divisa tra Austria ed Italia (a cui furono infatti cedute con il patto di Rapallo Trieste, parte dell’Istria, di Gorizia e della Carniola, oltre alla città di Zara e ad alcune isole dalmate, mentre la Dalmazia diventava parte del nuovo Regno). La Croazia invece mancava di una leadership forte.

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Costituzione del 1921 vide ampi poteri concessi al re, e comportò per il Kosovo la chiusura delle scuole in albanese e delle associazioni culturali filo-albanesi. Con le modifiche alla Costituzione introdotte nel 1929, si creò una sostanziale dittatura del re Alessandro, e il nome dello stato venne modificato in Jugoslavia, divisa ora in nove banovine, o regioni amministrative. Il territorio del Kosovo veniva amministrato da ben tre banovine, situazione che creò sempre più malcontento tra gli abitanti, dato che le regioni non rispettavano la composizione etnica delle aree interessate. Il governo centrale dovette affrontare una prima ondata di episodi di guerriglia causati dai ribelli delle colline kosovare, detti Kaçaks, i quali rubavano bestiame e disertavano la leva obbligatoria67.

Il passaggio dalla dominazione turca a quella slava fu traumatico soprattutto per la perdita dei privilegi connessi allo status di musulmani nell’impero ottomano, e per il programma di assimilazione forzata messo in atto dalle autorità jugoslave. In una prima fase infatti l’educazione scolastica venne fornita a livello pubblico solo in lingua serbo-croata, mentre successivamente si considerò più utile relegare i musulmani nelle scuole religiose, le cosiddette ‘scuole turche’, ritenendole di più bassa qualità. In realtà questa scelta comportò la formazione di un primo nucleo di resistenza e opposizione68, un risultato per certi versi simile a quello ottenuto in Sudafrica dalle scuole missionarie nelle riserve all’inizio della segregazione69. La ‘serbizzazione’ proseguì con una serie di provvedimenti volti a modificare la composizione etnica della zona. Il governo iniziò infatti una politica di agevolazione dell’immigrazione serba nelle aree kosovare, allettanti soprattutto a causa della loro posizione strategica, tale per cui se ne incoraggiava la colonizzazione attraverso la concessione di terre e privilegi fiscali.

Con un procedimento molto simile al Land Act del Sudafrica70, il Decreto del 24 settembre 1920 sulla colonizzazione delle regioni meridionali della Jugoslavia, e

67 A. CATONE, Lineamenti per una storia del Kosovo, pag.67.

68 D. KOSTOVICOVA, a cura di S. SCHWANDNER-SIEVERS and B. J. FISCHER “Shkolla Shqipe” and “Nationhood,” in Albanian Identities: Myth and History, Hurst, Londra 2002, p. 159.

69 J. PEIRES, Ruling by race: Nazi Germany and Apartheid South Africa, Cape Town, 2008, pag.35. 70 J. PEIRES, Ruling by race: Nazi Germany and Apartheid South Africa, pag.42.

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la Legge sulla colonizzazione delle regioni meridionali dell’11 giugno 1931 mascherarono da riforma agraria un progetto politico di colonizzazione funzionale alle esigenze governative. Nello stesso tempo, gli albanesi venivano incoraggiati ad emigrare, di solito verso territori turchi (con cui la Jugoslavia aveva stipulato un trattato di deportazione di albanesi, turchi e musulmani71) o in Albania, mentre molti scelsero di trasferirsi sulle montagne e arruolarsi come ribelli nelle file dei

Kaçaks. All’alba della seconda guerra mondiale, la piana del Kosovo si presentava quindi come un territorio in continuo mutamento a livello sociale e politico.

71 Il trattato, risalente al 1938, prevedeva la deportazione di circa due milioni di musulmani nelle aree dell’Anatolia e in territori confinanti con insediamenti curdi, ma in realtà non venne mai implementato a causa dell’assenza di fondi governativi.

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