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creazione e consolidamento delle ineguaglianze

3.4 La prima fase della segregazione (1910-1948)

3.4.1 Dall’Unione Sudafricana all’indipendenza

Il malcontento per l’ennesimo fallimento nell’emanciparsi dagli inglesi fu usato come leva dai nazionalisti afrikaner, primi tra tutti Louis Botha e Jan Smuts, per fare pressioni sul governo di Londra e richiedere la formazione di un’Unione Sudafricana, con un autogoverno e maggiore libertà. Il risultato delle elezioni del 1907 rivelò l’appoggio delle classi medio-basse inglesi alle richieste degli afrikaner, e fu usato come leva per ribaltare i termini della questione: con il South African Act le quattro colonie sudafricane (la Colonia del Capo, Natal, Transvaal e lo Stato libero di Orange) venivano unificate con il nome di Unione Sudafricana, autonoma all’interno del Commonwealth21.

Nel 1931, con l'approvazione dello Statuto di Westminster da parte del parlamento inglese, il Sudafrica ottenne piena indipendenza22. Questo evento segnava il raggiungimento di un traguardo storico per l’Afrikaner Broederbond, l’organizzazione segreta fondata nel 1918 i cui obiettivi erano l’affrancamento dagli inglesi mediante la proclamazione della Repubblica del Sudafrica, la protezione dello status sociale degli afrikaner e della lingua afrikaans. L’indipendenza dal controllo inglese sul Sudafrica, secondo i membri dell’organizzazione nazionalista, avrebbe permesso agli afrikaner di ottenere un più ampio controllo sulla gestione degli affari interni, data la superiorità numerica di questo gruppo rispetto a quello inglese.

21 D. SINGH, From Dutch South Africa to Republic of South Africa 1652-1994, pag.66. 22 D. POSEL, The making of apartheid, 1948-1961, Oxford 1991, pag.76.

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3.4.2 Verso la segregazione: le leggi discriminatorie

Se in un primo momento le differenze tra inglesi e afrikaner erano state considerate etniche, nel corso degli anni avevano gradualmente assunto anche il carattere di questioni di classe. La situazione all’inizio del Novecento era diventata sempre più tesa a causa del controllo esercitato dagli inglesi sui settori dell’impresa e delle posizioni manageriali, lasciando ai cosiddetti Poor Whites afrikaner posizioni lavorative solo nell’ambito dell’agricoltura, dove peraltro incontravano la concorrenza dei neri. Il governo era ovviamente maggiormente propenso a salvaguardare gli interessi degli afrikaner bianchi23, considerata la pressione politica da questi esercitata: nella prima metà del 1900 costituivano più del 55% degli elettori24. Dapprima si tentò la strada della conciliazione tra i due gruppi, poi si verificò un sensibile aumento dei benefici garantiti a livello legislativo agli afrikaner, tra i quali una legge che li avrebbe agevolati in caso di competitività con i neri e una che rendeva l’afrikaans lingua ufficiale al pari dell’inglese, dando nuovo slancio al nazionalismo boero. Venne risolta inoltre la spinosa questione della bandiera ufficiale dello stato, ricavata dall’unione della Union Jack con le bandiere delle repubbliche afrikaner. Gli aspri dibattiti su questioni di forma e di ‘gelosia’ tra le due parti fanno quasi pensare ad una “questione razziale bianca”, dato l’impegno profuso da entrambe le comunità nel rafforzare la diffusione in tutta l’Unione dei propri simboli etnici e nazionali. Il braccio di ferro tra vincitori si giocava a spese dei neri, per i quali la vita nelle riserve stava diventando invece una lotta per la sopravvivenza. In questo contesto i missionari cristiani avevano un profondo impatto sulla popolazione, diventando anzi spesso l’unica fonte di educazione per gli africani laddove veniva a mancare il servizio pubblico25. Gli africani apprendevano in questo modo un certo tipo di pensiero occidentale liberale, ed è in questo contesto che iniziarono

23 Risale ai primi decenni del XX secolo anche la proposta di James Hertzog, allora ministro dell’educazione, di rendere il nederlandese lingua d’insegnamento nelle scuole al pari dell’inglese.

24 L. THOMPSON, A history of South Africa, pag.155.

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a crearsi i primi sindacati e i gruppi di resistenza ai bianchi, di cui il più importante diventerà l’African National Congress26, fondato nel 1912.

Nei primi decenni del Novecento si assistette ad un’escalation di politiche discriminatorie, quelle che porteranno all’istituzione dell’apartheid come forma di governo nel 1948, sotto l’egida di influenti afrikaner quali Botha, Smuts e in particolare Hertzog, che nel 1924 assumerà la carica di primo ministro. La maggioranza dei neri africani viveva ormai in riserve dove praticava un’agricoltura di sussistenza, mentre il possesso di terre gli era riconosciuto a patto che acquistassero l’appezzamento da un bianco. Tale ‘privilegio’ non venne più concesso in seguito alla promulgazione del Native Land Act del 1913, con cui si proibiva agli africani l’acquisto di terre che appartenessero a non bianchi e si trovassero al di fuori delle riserve. Il tentativo di monopolizzare il possedimento della terra agricola in modo da renderla quasi totale appannaggio dei bianchi era evidente, come pure l’intenzione di fare dei neri un proletariato extraurbano27. La proposta di incremento dell’area adibita a riserve incontrò l’opposizione bianca, il che comportò un visibile peggioramento delle condizioni di vita all’interno delle baraccopoli, senza contare il progressivo esaurimento delle –già scarse- risorse provenienti dall’agricoltura di sussistenza ivi praticata. Le riserve assumevano sempre più il carattere di serbatoi di forza lavoro non qualificata, a basso costo e ad uso e consumo dei bianchi, rendendo la spaccatura all’interno del paese sempre più visibile28.

Inevitabilmente gli africani iniziarono a tentare l’insediamento ai bordi dei centri urbani, arrivando a popolare le periferie di Johannesburg, Cape Town, Pretoria, Port Elizabeth. La soluzione governativa a questo esodo fu quella di istituire delle nuove Pass Laws, procedimenti che limitavano la libertà di movimento degli africani e in molti casi li legavano a doppio filo al proprietario terriero presso cui

26 J. PEIRES, Ruling by race: Nazi Germany and Apartheid South Africa, pag.78. 27 D. POSEL, The making of apartheid, 1948-1961, pag.80.

28 Nel 1913, la percentuale di terra destinata alle riserve copriva il 7% dell’intera superficie occupata dall’Unione del Sudafrica, una percentuale che verrà di poco incrementata nel corso degli anni, toccando l’11,7% nel 1939.

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lavoravano: solo chi era dotato di specifici documenti era autorizzato ad abitare in un contesto urbano. Vennero ampliati i provvedimenti già in atto per rendere sempre più marcata la divisione razziale, dotandola di una connotazione inevitabilmente classista e gerarchica. Ai neri erano lasciati gli incarichi di bassa manodopera, dall’agricoltura all’attività estrattiva, mentre i Poor Whites coinvolti nello stesso settore ottenevano incarichi da manodopera qualificata e quindi salari migliori, possibilità di buonuscita e pensionamento.

A causa dell’insuccesso delle Pass Laws nel contenere l’affollamento di neri al di fuori delle zone urbane, nel 1937 fu approvato il Native Laws Emendment Act, con il quale si autorizzava l’espulsione di neri da aree urbane nel caso costituissero un ‘surplus’ secondo i requisiti di forza lavoro ammissibili in quella determinata area.

3.4.3. Apartheid come slogan nazional-populista nel secondo dopoguerra

Durante la seconda guerra mondiale l’Unione Sudafricana partecipò schierandosi con gli Alleati, per quanto alcuni afrikaner del Partito Nazionale non avessero nascosto le loro simpatie per i nazisti né la volontà di astenersi dal combattere per gli inglesi, memori ancora degli scontri delle guerre boere. Proprio in questi anni la parola apartheid entrò a far parte degli slogan maggiormente utilizzati dai nazionalisti al governo, ad indicare un programma di separazione tra bianchi e neri molto più organico delle leggi in vigore all’epoca29. Il concetto di apartheid veniva interpretato in modo diverso in una prima fase: i proprietari terrieri e gli uomini d’affari afrikaner, più consapevoli della dipendenza bianca dallo sfruttamento, utilizzavano un’interpretazione pratica del concetto, focalizzandosi sulla creazione di istituzioni per mantenere e anzi agevolare l’accesso dei bianchi alla forza lavoro nera30, mentre gli afrikaner di ceto medio-basso interpretavano

29 T.R.H. DAVENPORT, C. SAUNDERS, South Africa: A Modern History, Macmillian, New York 1977, pag.107. 30 D. POSEL, The making of apartheid, 1948-1961, pag.82.

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il concetto di apartheid come un modo per liberarsi della presenza nera dalle aree urbane a maggioranza bianca, tramite espulsione o messa al bando (segregazione totale). I primi accettavano quindi un certo livello di integrazione economica tra i due gruppi, purché si mantenesse la supremazia economica e politica dei bianchi, come fu chiarito nel lavoro prodotto dalla commissione Fagan, appositamente istituita. Il problema del proletariato sarebbe stato risolvibile o quantomeno gestibile tramite un controllo statale capillare, molto più facile da organizzare rispetto alla ristrutturazione della macchina produttiva che si proponevano i sostenitori della segregazione totale.

Questi intanto, attraverso il South African Bureau of Racial Affairs, inserirono l’apartheid all’interno del proprio discorso nazionalista e populista, usando come punto di partenza il diritto all’autodeterminazione bianca31, e vedendo nella tolleranza e nell’integrazione una minaccia per il loro gruppo etnico. Le loro giustificazioni erano anche legate alla memoria del passato, e a tale proposito citavano le rivolte delle masse proletarie del Vecchio Continente in cerca di diritti avvenute nei decenni precedenti, dimostrando come la minaccia di una sollevazione di massa africana non era da sottovalutare. La speranza di questi nazionalisti veniva riposta nella meccanizzazione dei processi produttivi ed estrattivi, che avrebbe reso possibile l’istituzione di quote contenute per regolamentare l’ingresso dei lavoratori nelle aree bianche, fino a raggiungere uno sviluppo separato in cui bianchi e neri avrebbero funzionato come unità socio-economiche autosufficienti32. Tali propositi furono esplicitati nel lavoro della commissione Sauer33, che tuttavia propose un progetto politico poco definito. Le raccomandazioni in esso contenuto lasciavano infatti trasparire una fondamentale incertezza su quale fosse la strada migliore da seguire, ma anche il timore di compiacere il variegato elettorato prima delle imminenti votazioni.

31 SABRA, SOUTH AFRICAN BUREAU OF RACIAL AFFAIRS, Integration or Separate Development, Stellenbosch 1952, pag.11.

32 W.M. EISELEN, The meaning of apartheid, ‘Race Relations’, 15/03, 1948, pag.80. 33 T.R.H. DAVENPORT, C. SAUNDERS, South Africa: A Modern History, pag.111.

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