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L’approccio strategico dell’UE rispetto al conflitto mediorientale

Partendo dal quadro fin qui delineato, si può ricostruire l’approccio odierno dell’UE verso il conflitto israelo-palestinese.

L’Unione Europea pone le Nazioni Unite al vertice del sistema internazionale e considera la Carta dell’ONU come la cornice fondamentale delle relazioni internazionali, come sancito nella Strategia di sicurezza dell’UE del 2003 e nel rapporto sulla sua attuazione del 2008. Più in generale si può dire che nell’ambito del conflitto arabo-israeliano, l’UE esorta al rispetto del diritto internazionale, in particolare delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) al quale spetta la responsabilità primaria, con un approccio che potremmo definire “legalistico”. Abbiamo evidenziato che tale approccio riflette sia una scelta sia una necessità. È un scelta perché gli Stati europei hanno fondato l’UE sul rispetto del diritto internazionale e del diritto delle Nazioni Unite, e promuovono la democrazia e lo Stato di diritto a livello mondiale; è una necessità perché la PESC è il frutto di un processo di conciliazione degli interessi divergenti degli Stati membri in politica estera, che nel caso del conflitto mediorientale vedono Regno Unito, Francia e Germania (i principali Paesi europei coinvolti) su posizioni differenti.

La politica estera comune nei confronti del conflitto mediorientale promuove i seguenti principi:

1) la soluzione del processo di pace israelo-palestinese si deve basare sulla formula dei

“due Stati”, che prevede la fondazione di uno Stato palestinese sovrano, democratico, vitale e indipendente che conviva in pace e sicurezza accanto ad Israele e agli altri Paesi confinanti;

2) l’UE sostiene le seguenti posizioni sulle questioni fondamentali del conflitto: i confini del futuro Stato palestinese dovranno essere sicuri e definiti sulla base delle risoluzioni ONU 242 e 338, che prevedono il ritiro israeliano dai territori occupati nel 1967; le attività di costruzione degli insediamenti israeliani nei Territori Occupati, compresa Gerusalemme orientale, sono illegali e vanno congelate; lo status di Gerusalemme dovrà essere discusso nei negoziati e concordato tra Israeliani e Palestinesi; la questione dei profughi palestinesi dovrà ricevere una soluzione giusta e sostenibile concordata tra Israeliani e Palestinesi; la violenza deve cessare da entrambe le parti e Israele ha diritto ha tutelare la propria sicurezza nel rispetto del diritto internazionale;

3) l’UE sostiene l’azione del Quartetto e la Roadmap adottata nel 2003, la quale prevede che gli Israeliani congelino immediatamente la costruzione di insediamenti israeliani e che i Palestinesi cessino la violenza anti-israeliana e smantellino le infrastrutture responsabili della violenza anti-israeliana.

4) l’UE ha sostenuto il processo di Annapolis e sostiene la continuazione dei negoziati israelo-palestinesi, considera l’iniziativa di pace araba del 2002 (che chiede la fondazione di uno Stato palestinese e il ritiro di Israele dei territori occupati nel 1967 e offre in cambio, come passo successivo, la normalizzazione dei rapporto arabo-israeliani) come un punto di partenza per la pace regionale e sostiene il coinvolgimento attivo dell’Amministrazione USA negli sforzi per promuovere la pace;

5) l’UE sostiene la necessità di una soluzione complessiva del conflitto mediorientale mediante la firma di accordi di pace tra Israele e Palestinesi, Israele e Libano e Israele e Siria;

6) l’UE promuove il ruolo del Partenariato Euro-Mediterraneo quale contesto per il dialogo politico ed economico tra gli attori del conflitto arabo-israeliano.

L’approccio sopraesposto presenta almeno quattro vulnerabilità.

La prima vulnerabilità riguarda la sua natura “legalistica” che, come già evidenziato, oltre che una scelta è una necessità. L’approccio “legalistico” europeo, fondato sul rigido rispetto delle norme internazionali e su prese di posizione equilibrate nei confronti dei contendenti, ha portato a due conseguenze sgradite ad Israele: primo, la CEE prima e l’UE poi hanno manifestato, al pari dell’ONU, la tendenza a criticare più di frequente le violazioni della parte più forte nel conflitto, ossia di Israele (almeno fino al 2006, quando l’UE ha adottato sanzioni contro Hamas); secondo, pur cercando una posizione equilibrata tra le parti, dal punto di vista israeliano gli europei tendono ad anteporre il rispetto universale dei diritti umani alla tutela della sicurezza israeliana. La tesi europea che la tutela universale dei diritti umani – e in particolare dei Palestinesi – comporta a sua volta un aumento della sicurezza israeliana non ha mai fatto breccia in Israele: quest’ultimo preferisce una sicurezza limitata “subito” ad una sicurezza più vasta in una data non meglio precisata del futuro. In questo senso, Israele si trova più in sintonia con l’approccio

pragmatico statunitense, che tende a risolvere i problemi caso per caso adottando a volte un’interpretazione più flessibile delle norme internazionali. L’incapacità dell’UE di entrare in piena sintonia con Israele a causa della sua “scarsa attenzione” per la sicurezza israeliana diluisce il potenziale di influenza europea su Israele.

La seconda vulnerabilità è insita nel meccanismo decisionale della PESC, che non fornisce garanzie sull’attuazione concreta dei principi enunciati. Le decisioni PESC sono il frutto della conciliazione degli interessi diversi degli Stati membri, i quali potrebbero anche decidere di perseguire politiche diverse a livello bilaterale, pregiudicandone l’efficacia.

Ancora una volta, gli Stati Uniti sono un interlocutore più credibile e che fornisce più garanzie degli impegni assunti.

La terza vulnerabilità è l’assenza di una strategia che consideri il ruolo svolto dall’Iran e dal fronte della resistenza nel conflitto mediorientale. L’Iran ha assunto un ruolo crescente nel conflitto mediante il sostegno fornito ad Hamas e ad Hizbullah. L’influenza dell’Iran (e della Siria) su Hamas è cresciuta in seguito all’imposizione nel 2006 del boicottaggio internazionale contro il movimento islamista. Hamas si oppone efficacemente al processo di pace con Israele grazie al controllo della Striscia di Gaza, il quale gli permette di bloccare l’attuazione di un qualsiasi accordo di pace che cerchi di coinvolgere tutti i Palestinesi: così come stanno le cose, il presidente Abu Mazen può prendere impegni solo per i Palestinesi della Cisgiordania. Non bisogna tuttavia confondere i ruoli:

sebbene l’Iran sostenga Hamas, l’attore fondamentale del conflitto arabo-israeliano è quest’ultimo. Senza Hamas, l’Iran non potrebbe fisicamente bloccare il processo di pace e si dovrebbe limitare a sostenere verbalemente la resistenza anti-israeliana: Hamas può sabotare i negoziati tra Israele e Fatah sia mediante attacchi calibrati contro Israele sia impedendo ad Abu Mazen e Fatah di assumere impegni sugli oltre 1,4 milioni di residenti di Gaza (quasi la metà della popolazione palestinese dei Territori). Partendo dal pressupposto che quello tra Hamas e l’Iran è un’allenza d’interessi (non certo ideologica, dato che Hamas è un movimento sunnita mentre l’Iran è un Paese a maggioranza sciita), qualora Hamas uscisse dall’isolamento in cui versa attualmente potrebbe svincolarsi parzialmente dall’alleanza con l’Iran.

La quarta vulnerabilità riguarda la valutazione del potenziale ruolo dell’UE alla luce del riposizionamento strategico della Turchia. La politica estera turca si sta interessando

sempre più nelle questioni mediorientali e tende a svolgere un ruolo di mediazione nei conflitti tra vicini: si pensi ad esempio al ruolo di intermediazione indiretta (formato Rodi) svolto nei colloqui tra Israele e Siria o la sua disponibilità a mediare tra gli Stati Uniti e l’Iran. Tuttavia, nel fare ciò la Turchia si sta sbilanciando sempre più verso gli attori statali e non statali anti-occidentali come Hamas (Striscia di Gaza), Muqtada al-Sadr (Iraq), la Siria e l’Iran. Questo sbilanciamento mette sotto tensione i rapporti con Israele, e non è escluso che in futuro le relazioni tra Israele e Turchia si deteriorino al punto che quest’ultima perda il gradimento israeliano quale mediatore. Allo stesso modo e in senso inverso, la politica inevitabilmente filo-israeliana e anti-Hamas degli USA diminuisce il potere d’influenza statunitense su Hamas. La situazione attuale apre quindi uno spazio di manovra per l’aumento dell’influenza UE nel conflitto mediorientale.