Sezione 2. La fondazione della Chiesa in Gerusalemme (2, 1-47)
3) L’autorità di Gesù è dimostrata dai fenomeni allora visibili (2, 33-35)
2, 33 “Egli dunque, essendo stato esaltato dalla destra di Dio e avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso…” Per sostenere la tesi che Gesù doveva essere risuscitato affinché sedesse sul trono di Davide (vv. 30-31), era necessario che Pietro tracciasse la progressione di Gesù oltre la risurrezione e mostrasse che era realmente salito al trono. “Egli … ha sparso quello che ora vedete e udite”. Occorreva spiegare la causa delle meraviglie soprannaturali da loro osservate in questo giorno straordina-rio. Queste meraviglie, secondo Pietro, provengono da un fatto solo, il Cristo, Gesù, sta ora glorificato alla destra di Dio ed è lui che le ha mandate. Questa prova non si li-mita al racconto del come lui ed i suoi compagni avevano visto Gesù ascendere al cielo. Infatti, tale testimonianza sarebbe stata inutile, dato che i loro occhi non lo se-guirono più oltre la nube che lo sottrasse dalla loro vista. La prova consiste invece in tutto ciò che i suoi ascoltatori vedevano con i propri occhi e sentivano con le proprie orecchie. Vedevano che Pietro e i suoi compagni parlavano come lo Spirito Santo da-va loro di esprimersi mentre le lingue luminose si posada-vano sulle loro teste. Nel dire che Dio aveva esaltato Gesù alla sua destra, Pietro disse ciò che né lui né alcun altro mortale avrebbe potuto conoscere, se non per rivelazione diretta. Ma dato che la rive-lazione era comprovata alla presenza del popolo, fu chiaro che la testimonianza data fu confermata dallo Spirito Santo stesso il quale era appena disceso dal cielo dove ebbe luogo la glorificazione di Gesù. Quella testimonianza nessuno sano di mente tra gli Ebrei avrebbe osato dubitare.
C’era da stabilire ancora un altro punto, non per provare ulteriormente che Gesù era asceso al trono, ma per mostrare che quello appena dimostrato nei suoi confronti, fu anche predetto del Cristo. Così si sarebbe concluso questo inimitabile argomento.
2, 34 “Davide infatti non è salito in cielo”; perciò non potrebbe alludere a sé stesso quando predisse la glorificazione del Cristo. “Eppure egli stesso dice”, Pietro cita Salmo 110, 1, testo che gli stessi Ebrei attribuivano certamente a Davide e che essi interpretavano in riferimento al Messia. In una memorabile conversazione con Gesù, gli stessi Farisei ammisero che in questo passo Davide si riferiva al Cristo 28.
«Il Signore ha detto al mio Signore, Siedi alla mia destra»“. Ammesso che Davide non ascese al cielo per accedere a tali onori, però chiamò qualcuno “mio Signore”.
L’unica alternativa era, come nel caso precedente, concludere che si riferiva al Cristo.
Infatti Davide certo non avrebbe chiamato nessun altro suo Signore. L’enigma non è tanto difficile, anche se uomo, Gesù meritò tali onori al trono di Dio, perché è anche il Signore di Davide, in quanto è Dio incarnato.
28 Anche se i Farisei non erano capaci di comprenderne la giusta applicazione al Figlio di Davide e rimasero molto perplessi in merito, erano sicurissimi su tre punti: che il passo è la parola di Dio, che Davide ne era l’autore e che il testo si riferisce al Messia (Mt. 22:43-44).
2, 35 «finché io abbia posto i tuoi nemici per sgabello dei tuoi piedi». Quando l’opera di Mediatore fra Dio e gli uomini sarà compiuto e tutto conquistato a Cristo, allora tutta la potenza sarà rimessa al Padre 29.
Nel citare Salmo 110, attribuendolo a Davide, Pietro, sotto la guida dello Spirito Santo, segue l’esempio di Gesù che fece altrettanto. In più, dichiara che Davide disse questo, “ispirato dallo Spirito” (Mt. 22, 43-44). Questa testimonianza esplicita della paternità davidica di questo Salmo non può essere rifiutata con la scusa che si tratta, sia in bocca di Gesù che in quella di Pietro, di una semplice concessione all’opinione sbagliata allora corrente tra gli Ebrei. Al contrario, l’argomento in ambedue i casi verte sul fatto che Davide ne è l’autore. Quindi, cade la tesi sostenuta, se non è vero.
Non si può supporre che Gesù o Pietro abbia semplicemente sbagliato, perché questa veduta li accusa di aver basato una logica fallace su premesse a loro volta fondate sull’ignoranza. Ciò significa negare la conoscenza soprannaturale di Gesù e l’i-spirazione divina di Pietro.
Servendosi di evidenze incontestabili, Pietro ha ora stabilito le due dichiarazioni fatte nel suo annuncio iniziale, la prima, che il Messia era stato consegnato ai suoi nemici secondo il predeterminato consiglio e prescienza di Dio, e la seconda, che Dio lo aveva risuscitato dai morti. Poi Pietro, andato oltre il suo primo annuncio, col pro-vare che Dio lo aveva anche esaltato, facendolo sedere alla sua destra in cielo, final-mente conclude in termini confidenti e stridenti.
La conclusione logica, Gesù regna sul trono di Dio (2, 36).
2, 36 Pietro è giunto al culmine, cioè la conclusione alla quale mirava l’intero discorso. “Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Si-gnore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso”. Dio lo elesse SiSi-gnore, facendolo sedere sul trono di Dio stesso, per regnare sugli angeli e sugli uomini. Lo elesse Cri-sto, facendolo sedere sul trono di Davide, secondo la promessa. Sul trono di Dio, per-ché è il trono di dominio universale. Sul trono di Davide, perper-ché Gesù, a causa della sua diretta discendenza da Davide, divenne il legittimo re. Da questa conclusione gli ascoltatori ebraici di Pietro appresero che, contrariamente alla loro concezione prece-dente, il Cristo promesso doveva sedersi, non su un trono terreno, comunque glorio-so, bensì sul trono dell’universo.
c. Il popolo esortato a salvarsi (2, 37-40).
2, 37 Udite queste cose, essi furono compunti nel cuore. Anche se il battesimo dello Spirito Santo era stato messo in atto e gli effetti sugli apostoli notati, tuttavia prima che Pietro cominciò a parlare, essi non avevano capito i segni. Di conseguenza, il popolo non cambiò il suo atteggiamento verso Gesù, solo per aver visto qualche se-gno miracoloso. Le uniche emozioni che sentirono erano meraviglia e confusione.
Questa trasformazione di essere compunti nel cuore non si verificò fino al momento
29 Vedi 1 Co. 15:23-28.
in cui Pietro parlò. Fu quando essi udirono queste cose che fu esercitata tutta la po-tenza residente nello Spirito per effettuare la loro conversione, cioè per mezzo delle parole che lo Spirito fece pronunciare a Pietro.
Erano compunti nel cuore, convinti dei loro peccati e trafitti dal dolore. Essi credettero alle affermazioni di Pietro e questa fede rivelò loro il terribile peccato dell’aver rigettato il Cristo mandato dal loro Dio! Sommersi dal dolore, essi chiesero se ci fosse qualche modo perché peccatori come loro potessero essere perdonati.
Dissero a Pietro e agli altri apostoli, “Fratelli, che dobbiamo fare?”. Ecco il pri-mo effetto visibile del loro convincimento. Con questa esclamazione essi tacitamente confessarono di accogliere la conclusione sostenuta da una dimostrazione così con-vincente. L’asserzione che essi furono compunti nel cuore, evidenzia quanto viva-mente sentivano il rimorso suscitato dai fatti che ora essi credevano. Da quando Pie-tro cominciò a parlare, si ebbe un cambiamento nelle loro convinzioni e sentimenti.
Ora credettero che Gesù fosse veramente il Cristo, e furono profondamente com-mossi, colpiti perché lo avevano ucciso.
Luca fa risalire tutto questo effetto — come infatti bisogna — a ciò che avevano udito. Così, si ha un esempio pratico di ciò che Paolo ha insegnato, “La fede viene dalla predicazione e la predicazione avviene per mezzo della parola di Cristo” (Ro.
10, 14-17).
La domanda, “Che dobbiamo fare?”, si riferisce alla liberazione di questi colpe-voli dalle conseguenze del loro crimine. È difficile che abbiano inteso l’idea della salvezza tramite il perdono dei loro peccati in generale. Tuttavia, il vero senso della loro domanda potrebbe essere espresso, se la completiamo così, “Che dobbiamo fare [per essere salvati]”? Questa è la prima volta durante il regno di Cristo che fu propo-sta quepropo-sta domanda importantissima e, ovviamente, fu la prima volta che ricevette una risposta. Qualunque appropriata risposta fosse stata data durante ogni periodo precedente oppure in qualsiasi giorno passato della storia del mondo, la risposta data da Pietro in quel giorno della Pentecoste, il giorno in cui cominciò il regno di Cristo sulla terra, è la risposta vera e infallibile per chiunque la richiedesse in ogni tempo successivo.
2, 38 E Pietro a loro, “Ravvedetevi e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo”. Per la prima volta sono dati i termini di perdono vigenti sotto la nuova era di Cristo e il suo Gran Mandato (Mt. 28, 18-20). Sono dati una volta per tutte e riman-gono sempre gli stessi per la durata del regno di Cristo.
Pietro indicò loro due cose che potevano fare,
1. Ravvedetevi. Il pentimento non è uguale all’addolorarsi, anche se farà certa-mente parte del processo, perché questi Ebrei erano già profondacerta-mente addolo-rati. Occorre invece un cambiamento di propositi, un cambiamento interiore
che induce a servire il Signore. La parola greca tradotta ravvedetevi 30, signifi-ca un signifi-cambiamento di mente, di mentalità, di posizione.
2. Ciascuno di voi sia battezzato. Ubbidienza al Signore tramite il battesimo è un’espressione esteriore sia della fede che del ravvedimento interiore. Nel no-me di Gesù Cristo, questi Ebrei che prima avevano ritenuto Gesù solo un im-postore che meritava di morire, devono sottomettersi alla sua autorità come il Cristo mandato da Dio.
Se Pietro si fosse fermato qui, il popolo avrebbe imparato il loro immediato do-vere. Anche noi avremmo imparato che l’immediato dovere delle persone compunte nel cuore da un senso di colpa è quello di pentirsi ed essere battezzate. Inoltre, perché lo Spirito Santo fornì la risposta che riguarda tutta la razza umana, avremmo saputo che questo è ciò che anche noi dobbiamo fare per essere liberati dalla nostra colpa.
Ma Pietro non si fermò a questi due comandi. Vide opportuno specificare le be-nedizioni che avrebbero seguito la loro ubbidienza. La gente fu comandata a pentirsi e ad essere battezzata per il perdono dei peccati. Avevano chiesto che cosa potevano fare per essere perdonati dei loro peccati. Perché in questo modo Pietro rende più e-splicita la risposta alla loro domanda, egli rende doppiamente certo che la remissione dei peccati segue il pentimento e il battesimo. Quindi chi fa queste due cose può a-spettarsi di essere perdonato se e quando le fa. Nel contempo Pietro rivela lo scopo del battesimo, è per il perdono dei peccati 31. Ora, l’espressione per il perdono dei peccati riguarda entrambi i verbi precedenti, ravvedetevi e battezzatevi. Quindi, se il perdono dei peccati è lo scopo dell’essere ubbidienti a Cristo, è chiaro che il perdono segue non solo il ravvedimento ma anche il battesimo, e il battesimo ci porta ad esso.
Alcune traduzioni rendono perdono dei peccati con, “remis sione dei peccati” perché sono termini sinonimi, ed esprimono la principale necessità di ogni essere umano.
Anche se il ribelle contro il governo di Dio deponesse le armi e divenisse un leale soggetto, non potrebbe avere motivo di sperare se Dio non gli perdonasse i suoi pec-cati passati. E dopo essere stato perdonato, mentre combatte umilmente al servizio di Dio, egli ancora si sentirebbe imperfetto a causa dei difetti che potrebbero fargli per-dere la ricompensa finale, a meno che non fosse perdonato ripetutamente. Perciò, la domanda, per quanto riguarda le condizioni del perdono, si divide in due parti, l’una si riferisce al peccatore non perdonato sin ad ora, l’altra ai santi che possono essere caduti nel peccato. Fu la prima categoria di persone che fece la domanda a Pietro, ed è a loro soltanto che si applica la sua risposta.
30Metanohvsate.
31 eij” a[fesin tw'n aJmartiw'n. È da notare che questa stessa espressione — perfino in greco
— descrive la morte di Cristo (Mt. 26:28). Chi dubita che il battesimo abbia a che fare con il perdono dei peccati, dovrebbe chiedersi pure se la morte di Cristo possa salvare. Si vede perciò che più elementi sono coinvolti nella salvezza dell’individuo anziché uno o due.
La seconda benedizione promessa, condizionata dal pentimento e dal battesimo, è il dono dello Spirito Santo. Lo Spirito stesso ci è dato come un dono; il gran Conso-latore stesso È il dono. Si riferisce alla continua presenza dello Spirito Santo in noi per mezzo del quale produciamo i frutti dello Spirito e senza il quale non siamo di Cristo. Egli è promesso a tutti quelli che ubbidiscono a Cristo (5, 32), ma che “il mondo non può ricevere” (Gv. 14, 17). Pietro non si riferisce qui a qualche dono mi-racoloso dello Spirito come quello che era stato concesso agli apostoli. Infatti, dalla susseguente storia si apprende che questo dono non fu concesso a tutti coloro che si pentirono e furono battezzati, ma fu dato solo a pochi fratelli eminenti nelle rispettive comunità. Di questa promessa Pietro parla più ampiamente nella frase susseguente del suo sermone.
2, 39 Perché la promessa del perdono e del dono dello Spirito, è per voi, persino per coloro che avevano rigettato il Signore! Per i vostri figli, ossia discendenti, quindi per l’intera razza ebraica fino al ritorno di Cristo. Per tutti quelli che sono lontani e per quanti il Signore, nostro Dio, ne chiamerà”. Questa meravigliosa espressione rivela l’universalità del vangelo, non è solo per gli Ebrei ma perfino per i Gentili.
Sebbene molto chiara per chi la legge alla luce delle rivelazioni susseguenti, Pietro purtroppo e gli altri apostoli l’avrebbero interpretato nel senso di includere solo i proseliti all’Ebraismo, cioè quei Gentili che erano stati circoncisi. Questo è uno dei molti esempi che mostrano come uomini ispirati, mentre pronunciarono le parole che lo Spirito aveva suggerito a loro, essi stessi non percepirono adeguatamente il loro si-gnificato. Infatti Pietro non vedeva che i Gentili come tali sono inclusi dall’applicazione pratica delle sue parole, come lo dimostra il suo comportamento i-niziale nel caso di Cornelio 32.
Dato che questa promessa è condizionale, essendo condizionata dal pentimento e battesimo, i figli menzionati non possono essere altro che coloro che si pentono e sono battezzati. Perciò questa promessa non può essere intesa in modo da includere i bambini. Inoltre, la promessa è per coloro che il Signore chiamerà. Egli chiama solo coloro che ascoltano e credono.
2, 40 E con molte altre parole, In questo modo Luca ci informa indirettamente di aver riferito solo un riassunto del sermone di Pietro. Li scongiurava e li esortava, dicendo, “Salvatevi da questa perversa generazione”. Il termine scongiurava si rife-risce all’argomentazione basata principalmente sulla solenne testimonianza, mentre il termine esortava, all’incitamento all’azione. Naturalmente, l’esortazione segue l’annuncio delle condizioni di perdono, esortazione riassunta nelle parole, “Salva-tevi”. Essi dovevano salvare sé stessi con il conformarsi alle condizioni di salvezza (v. 38). Per fare questo, dovevano riconoscere Gesù come il Cristo mandato da Dio, accettandolo come il loro Signore e Salvatore. Infatti la salvezza dai peccati è com-piuta nella remissione dei peccati. Dio ha fatto la sua parte. Ora spetta ai credenti fare la loro, e a questi Pietro indirizza questa urgente esortazione, “Salvatevi!” Il
32 Vedi Atti 10:12-29.
mento alle condizioni appena formulate fu troppo ovvio per essere frainteso. Questa esortazione potrebbe prevenire chiunque dal concepire l’idea — così spesso espressa dai promotori moderni di risvegli religiosi — che un peccatore non può fare assolu-tamente niente per salvare sé stesso. Mentre è vero che il peccatore non può fare nulla per procurare o meritare la propria salvezza, o per eliminare i propri peccati, egli deve fare ciò che il Signore ha stabilito come metodo di accettare la salvezza che Cristo ha procurata e offerta gratuitamente a lui. In questo senso e fino a questo punto egli sal-va sé stesso. Nel mondo eterno aspetta un terribile destino ben meritato dai perversi di quella generazione. Questa generazione di cui Pietro parlava è perversa in quanto preferiva rimanere incredula nonostante l’abbondanza di evidenze che dimostrano che Dio ha parlato in Cristo Gesù. Salvarsi da questa perversa generazione significa abbandonare tanto la mentalità miscredente quanto il destino che l’attende, così come ci si può salvare da una nave che affonda, sfuggendo così al suo destino.
Se il lettore riesaminerà questo discorso attentamente, seguendo il suo piano come sermone e il suo modo di argomentare, troverà che esso si conforma alle regole di omiletica così rigorosamente come se Pietro fosse stato allenato secondo le regole di quest’arte. Si vedrà che la sua logica è perfetta dall’inizio alla fine. Questo feno-meno non potrebbe essere stato il risultato dell’educazione o dell’ammaestramento dato a Pietro, perché egli non aveva seguito corsi d’istruzione che l’avrebbero quali-ficato per presentare un sermone estemporaneo di questa grandezza. Bisogna attri-buire questo fenomeno alla potente guida dello Spirito Santo che gli ha dato, secondo la promessa, “una parola e una sapienza alle quali tutti i vostri avversari non potran-no opporsi né contraddire” (Lc. 21, 15).