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INTRODUZIONE ATTI DI APOSTOLI

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Academic year: 2022

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L’obiettivo di Atti

Il quinto libro del Nuovo Testamento comincia dove finiscono i quattro Vangeli.

Questi hanno riportato la vita e le parole del nostro Salvatore, a partire dalla sua na- scita fino alla croce, la tomba, la risurrezione e il grande mandato. I Vangeli lasciano gli apostoli a Gerusalemme con il primo nucleo dei discepoli, in attesa della promes- sa del Padre. Dovevano ricevere lo Spirito Santo allo scopo di essere investiti di po- tenza necessaria per l'opera della predicazione del Vangelo del Signore risorto.

Lo storico di Atti comincia con l'Ascensione, quindi ci fa vedere i discepoli che aspettano e pregano, pronti a cominciare la grande opera non appena avessero ric e- vuto il battesimo dello Spirito Santo. La discesa dello Spirito nel giorno della Pente- coste diede il segnale che tutto era pronto. Quindi, l'autore degli Atti ci racconta come gli apostoli iniziarono la predicazione dell'Evangelo su mandato di Gesù Cristo; come i peccatori ravveduti furono trasformati in santi, come fu fondata la chiesa e come es- sa fu edificata, allevata ed istruita dagli apostoli. Il libro degli Atti è la storia dell'e- vangelizzazione apostolica, delle conversioni e della espansione della chiesa oltre i confini della Palestina. E' il primo libro di storia del cristianesimo.

Luca inizia dichiarando che nel suo primo trattato (il Vangelo di Luca) aveva scritto «tutto quello che Gesù prese a fare e ad insegnare» (Atti 1, 1). In Atti, invece, Luca rivela al mondo che lo stesso Gesù, ora asceso al cielo e seduto alla destra di Dio, continua a fare e ad insegnare. Ma questa volta non lo fa più entro i confini limi- tati della Palestina, o per pochi anni di ministero terreno, ma dal suo trono regale ope- ra e insegna per mezzo degli apostoli, dei cristiani e delle chiese fondate dagli aposto- li. Il suo insegnamento è normativo per tutta la Chiesa in ogni tempo e in ogni città del mondo. Questo è ciò che egli continuerà a fare dal cielo per mezzo dello Spirito Santo fino al giorno in cui Egli ritornerà in gloria per giudicare i vivi ed i morti.

Questa visione dello scopo degli Atti è perfettamente coerente, perché agli apo- stoli fu proibito di iniziare la loro predicazione finché non avessero ricevuto lo Spirito Santo che il Signore avrebbe mandato dal suo trono celeste. In seguito essi «comin- ciarono a parlare... . secondo che lo Spirito dava loro di esprimersi» (Atti 2, 4), a- gendo in tutto e per tutto sotto l'impulso immediato di questo Spirito. Così essi diven- tarono semplicemente gli agenti del Signore, da Lui condotti e diretti. Predicavano e parlavano come uomini guidati da Dio. Tutto ciò che il Signore continuò «a fare e ad insegnare» per loro mezzo venne trasmesso come insegnamento a tutti i cristiani di tutte le epoche. Da questo insegnamento nessuno può scostarsi senza cadere nell'in- fedeltà a Dio stesso ed al Suo Figlio. Gesù Cristo

Perché leggere Atti?

Atti degli Apostoli è un libro molto trascurato dai cristiani. Lo fu ai tempi di Crisostomo, il quale visse nel V secolo e disse: «Ancora molti sono coloro che non conoscono l' esistenza di questo libro o che possono citare il nome del suo autore»

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vanno a consultare altri libri della Bibbia per trovare il messaggio che si trova solo in Atti, La ragione è da ricercarsi nel fatto che prima di Crisostomo la chiesa si era al- lontanata dal messaggio caratteristico di Atti. Purtroppo ancora oggi molte denomi- nazioni cristiane non vi sono ritornate. I difetti e le divisioni che caratterizzano ed in- deboliscono il cristianesimo moderno esigono che tutti i credenti tornino alla sempli- cità e alla potenza del messaggio della chiesa originaria. Queste qualità sono ampia- mente illustrate nella vitalità gioiosa dei primi cristiani, così come Luca li descrive tra le pagine del suo libro. Quindi è giunto il momento di richiamare tutti alla chiara comprensione e alla fedele osservanza degli insegnamenti che furono propri della chiesa originaria.

Il titolo

Il titolo non fa parte dei manoscritti originali e fu indubbiamente introdotto da qualcuno dopo che l'autore ebbe scritto il suo libro. Il Titolo «Gli Atti degli apostoli»

non è del tutto esatto in quanto lascia intendere al lettore inesperto che tratti di tutti o quasi tutti gli atti degli apostoli. In realtà il libro si interessa soltanto di alcuni atti di pochi apostoli, mentre della maggioranza degli apostoli non ci viene detto nulla. Il titolo invece di «Atti di apostoli», nel quale vengono omessi gli articoli determinativi, risponde meglio al contenuto del libro. Tale titolo, infatti, è proprio quello che com- pare in uno dei due più importanti manoscritti antichi: il "Vaticano", mentre nell'altro (il "Sinaitico") il titolo è semplicemente quello di "Atti" senza altra specificazione.

Gli scrittori di quei tempi avevano l'abitudine di non mettere alcun titolo ai loro scrit- ti. Comunque sarebbe difficile oggi trovare un titolo migliore di quello da noi adotta- to e cioè «Atti di Apostoli».

L’autore

Atti è giunto a noi senza indicazioni sulla sua paternità. Tuttavia, è indirizzato a un certo Teofilo, e asserisce di provenire dalla penna di uno che aveva scritto una precedente narrazione sulla vita di Gesù, indirizzata alla medesima persona. Questo riferimento è al terzo Vangelo il quale è attribuito a Luca, L'affermazione di questa comune paternità è confermata dall'unità di stile che pervade i due libri, i quali hanno in comune non meno di cinquanta parole che non si trovano altrove nel Nuovo Te- stamento. Tutta l'evidenza, perciò, oltre a provare che Luca scrisse il terzo Vangelo, è ugualmente valida per provare che egli scrisse anche il libro degli Atti. Mentre la maggior parte degli studiosi miscredenti nega che Luca scrisse ciascuno di questi due libri, tutti ammettono che entrambi furono sicuramente opera di uno stesso autore.

Nel corso della narrazione si apprende che l'autore fu un compagno di viaggio dell'apostolo Paolo durante una parte significativa del suo ministero. Questo dettaglio si rileva dall'uso del pronome "noi" in connessione con molti episodi della narrazione (Atti 16, 10-17; 20, 5 - 21, 17; 27, 1 - 28, 16). Si apprende pure che l'autore stava con Paolo durante la sua prima prigionia in Roma (Atti 28, 16). Queste indicazioni addi- tano esclusivamente colui che Paolo designa «Luca il caro medico» (Colossesi 4, 14;

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nei saluti nelle epistole ai Colossesi e Filemone, le quali furono scritte durante quella prigionia.

Inoltre, sebbene fosse chiaramente con Paolo durante diversi episodi, l'autore si distingue negli Atti da tutti gli altri abituali compagni di Paolo, in quanto egli non in- clude mai il proprio nome. Con questa tecnica egli si distingue nel racconto del grup- po che andò con Paolo nel suo ultimo viaggio a Gerusalemme (Atti 20, 4-6). Nella comitiva c'erano Sòpatro, Aristarco, Secondo, Gaio, Timoteo, Tichico e Trofimo.

Questi andarono a Troas prima di Paolo e aspettarono lì l'arrivo di «noi», cioè dello scrittore e di Paolo. Lo scrittore non fu nessuno di questi, e tuttavia viaggiò con Paolo fino a Gerusalemme, da dove proseguirono per Roma. Perciò, non può essere stato al- tro che Luca. Certo, al momento della stesura di Colossesi e Filemone, vi erano altri con Paolo oltre a Luca e precisamente Aristarco, Gesù detto giusto, Marco, Epafra, Luca, Dema (Colossesi 4, 10-14; Filemone vv. 23-24). Ma nessuno di questi viaggiò con Paolo fino a Roma, se non l'autore degli Atti.

Eusebio (Storia Ecclesiastica III. 4, 6; V. 25) pone Atti come scritto da Luca, tra quei libri che non furono mai messi in discussione nella Chiesa. Atti fu citato dai primi scrittori cristiani, come Policarpo, che fu compagno dell' apostolo Giovanni (Storia Ecclesiastica V. 24). Anche nel II secolo fu attribuito a Luca da Ireneo (Con- tro Eresie III. 14, 1), un discepolo di Policarpo, che a sua volta fu discepolo di Gio- vanni (Storia Ecclesiastica, IV. 14; III. 39, 1).

L'evidenza interna della paternità di un qualsiasi documento viene ammessa co- me valida ai sensi di legge, come, per esempio, la paternità di un atto notarile o di un testamento correttamente formulato. È valida e convincente fino a quando non è inva- lidata da prove più valide provenienti da fonti esterne al documento stesso. Perciò per annullare l'evidenza che Luca è l'autore di Atti, bisogna trovare qualche competente scrittore antico che contraddica la paternità lucana. Ma non basta, il libro fu certo scritto da qualcuno, perciò la paternità è da attribuirsi a Luca o a qualche altro scritto- re. Perciò per essere conclusiva, la testimonianza contraria deve nominare quell'altro scrittore. Tuttavia nessuno affermò l'esistenza di prove simili. Nessuno attribuì il li- bro ad un altro autore, me neppure affermò l'esistenza di evidenza esterna che neghi che Luca ne sia l'autore.

Al contrario, i primi due scrittori dell'antichità, i cui lavori sono pervenuti fino a noi, e che chiamano questo libro per nome, dichiarano che Luca ne è l'autore. Uno di questi è Ireneo, il quale nacque nei pressi di Smirne nella prima metà del II secolo, divenne un anziano nella chiesa di Lione in Francia, nell'anno 170, e morì verso la fi- ne di quel secolo. Nella sua fanciullezza egli conobbe Policarpo, uomo conosciuto da diversi apostoli. La sua posizione perciò gli avrebbe dato enormi vantaggi per appura- re questi fatti (Contro Eresie, III. 14, 1). L'altro è l'autore del Canone Muratoriano, il primo elenco delle Scritture del Nuovo Testamento, scritto nello stesso tempo. Que- sto documento nomina Luca come l'autore. Le parole sono: «Gli atti di tutti gli apo-

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mone oculare». La dichiarazione è poco esatta, ma è esplicita circa la paternità.

In riferimento alla paternità di qualche libro non religioso, l'evidenza di questo genere non sarebbe rifiutata dagli studiosi. In realtà c'è meno evidenza per stabilire la paternità di quasi ogni libro non religioso dell'antichità, che per stabilire quella degli Atti.

Essendovi questa evidenza interna e la primissima evidenza esterna dell'origine del libro, troviamo pure (come ci si aspetta di trovare), le tracce della sua esistenza in ogni parte del periodo che va dal momento della sua stesura fino ai giorni in cui vis- sero gli scrittori già menzionati. Se procediamo a ritroso da quest'ultima data, trovia- mo che il libro degli Atti compare in due traduzioni del Nuovo Testamento, composte circa l'anno 150, cioè la traduzione in latino e quella in lingua siriaca. La prima detta

«l'antica versione latina», circolava nelle province romane dell'Africa del nord; la se- conda, la versione siriaca, circolava in Siria a nord della Palestina. Il fatto che Atti fu tradotto in queste due lingue, dimostra che questo libro esisteva in greco già da tempo sufficiente perché fosse valutato ed accolto come libro proveniente da una fonte ispi- rata, quindi degno di essere tradotto per una larga diffusione tra i popoli che parlava- no queste lingue.

Inoltre tutto questo avvenne nel tempo in cui vivevano ancora nelle comunità degli uomini anziani che avevano ascoltato gli apostoli direttamente. Policarpo. men- zionato sopra come un contemporaneo degli apostoli, cita gli Atti. Nel primo capitolo della propria epistola ai Filippesi, Policarpo cita dal sermone di Pietro nel giorno del- la Pentecoste. Ecco le parole: «... il quale Dio suscitò dai morti, avendo sciolto i le- gami dell'Ades». Nella scelta dei libri da considerare ispirati, gli antichi davano molta importanza all'apostolicità. Ma tutti quelli che parlavano degli Atti lo riconoscevano come opera di uno che non era apostolo. Perciò il fatto che gli antichi scrittori abbia- no accolto Atti tra i libri ispirati, è una prova a favore della sua paternità lucana, in quanto Luca fu compagno dell'apostolo Paolo.

Questa catena di prove è troppo forte per essere spezzata. Nel passato essa ha re- sistito agli attacchi dei miscredenti e non vi è alcun dubbio che continuerà a resistere anche in futuro.

Le fonti d’informazione adoperate dall’autore

L'uso della prima persona nei brani dove compare questo fenomeno, prova che l'autore fu presente nelle scene descritte. Tuttavia, non vuol dire che egli fu presente solo in esse. Egli avrebbe potuto parlare dei compagni di Paolo in terza persona anche quand'era presente personalmente. Quando egli era presente la sua sorgente d'infor- mazione era naturalmente l'osservazione personale. Questo spiega non solo i brani che contengono la parola «noi», ma con tutta probabilità, alcuni altri. Per quasi tutto il resto, tra cui la narrazione del discorso e del martirio di Stefano, ebbe come testi- mone oculare l'apostolo Paolo. Riguardo agli eventi di cui Paolo non sapeva nulla,

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avrebbe potuto parlare con Filippo circa i lavori in Samaria e Filistia; con Pietro e Giacomo, il fratello del Signore, di tutto ciò a cui essi parteciparono. Il fatto che al- cuni ebraismi caratterizzano i primi capitoli del suo libro, ha convinto alcuni studiosi a concludere che egli ha impiegato limitatamente dei documenti scritti, e questo non è del tutto improbabile.

Non si deve inoltre dimenticare che Luca con tutta probabilità godeva del dono miracoloso dello Spirito Santo. Avrebbe potuto ricevere questo dono per l'imposizio- ne delle mani degli apostoli, in modo particolare quelle di Paolo con cui egli viaggia- va spesso. E, mentre questo non può averlo esonerato dal fare indagini accurate, può averlo guidato nel selezionare i suoi materiali e protetto dall'accettare informazioni errate.

La sua credibilità

Si può risolvere la questione della credibilità di Atti, analizzando questi due punti: primo, la credibilità dei fatti registrati; secondo, la credibilità dei discorsi regi- strati.

La credibilità dei fatti ha tre basi solide. In primo luogo, il libro pervenne a noi da uno scrittore che possedette ottime credenziali secondo mi canoni della critica sto- rica; cioè egli fu contemporaneo degli eventi che documenta. Per gli avvenimenti a cui non partecipò, si informò da coloro che ne furono testimoni oculari. Un simile scrittore, se incensurabile, possiede il grado più alto di credibilità riconosciuta dagli studiosi della storia profana.

In secondo luogo, gli eventi che egli registra corrispondono in molti particolari importanti con le affermazioni di altri scrittori competenti dell'era in cui egli visse, ed i cui credi e nazionalità gli erano ostili. Questo particolare rafforza maggiormente l'e- videnza menzionata prima.

In terzo luogo, il libro contiene molti punti che concordano incidentalmente con le epistole ritenute autentiche dell'apostolo Paolo. Questa concordanza casuale non può essere spiegata, se non dall'ipotesi che ambedue Luca e Paolo danno un rapporto veritiero di questi avvenimenti.

Il motivo principale per cui la credibilità di Atti è stata posta sotto accusa è in- dubbiamente il fatto che contiene molti racconti di miracoli, cioè di fatti soprannatu- rali. Questa obiezione fu avanzata solo dai razionalisti [i razionalisti sono i filosofi che oppongono la ragione all'esperienza e, in campo teologico, sono contrari al con- cetto di rivelazione soprannaturale], i quali rigettano tali racconti dovunque si trovi- no, senza considerarli degni di essere esaminati. Tutte le obiezioni particolari che si basano su brani particolari di Atti, saranno esaminate nel corso del commentario.

In merito ai discorsi in Atti, si è insistito che, in assenza di scritti stenografati, sarebbe stato impossibile preservarli così come sono stati pronunciati. Inoltre, è stato

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proverebbe che egli li compose, mettendoli nella bocca dei presunti oratori. A queste obiezioni si risponde che tutti questi discorsi sono ovviamente solo dei riassunti mol- to abbreviati dei discorsi originali, così come sarebbero stati ricordati e riportati dagli oratori, oppure dagli ascoltatori [A questo proposito basta citare i lunghi discorsi di personaggi importanti registrati da Flavio Giuseppe. Questo autore registrò discorsi in forma a volte più estesa rispetto a quelli fatti da Luca (Cfr. La guerra giudaica, II. 16, 4-5; III. 10, 2; V. 9, 3-4; VI. 1, 5; 2, 1)].

In riferimento allo stile di Luca, le caratteristiche lucane possono essere spiegate in parte dalla sua predisposizione ad abbreviarli, e in parte dal fatto che alcuni discor- si, essendo stati pronunciati in aramaico, furono tradotti da Luca in greco, e così subi- rono l'influenza del suo stile. Inoltre, gli studiosi hanno esaminato la fraseologia di questi discorsi, confrontandoli con le epistole degli oratori. Hanno chiaramente dimo- strato che nei discorsi di ogni oratore che ha lasciato delle lettere, si trovano alcune caratteristiche del suo stile [Numerosi esempi furono dati dall'introduzione ad Atti di Alford, sez. II, e nell'introduzione ad Atti in The Speaker's Commentary di Canone Cook, sez. 8]. In realtà, quindi, i discorsi hanno precisamente le caratteristiche che noi ci aspetteremmo da essi, se ebbero origine e giunsero fino a noi nel modo che ci fa supporre la narrativa.

Le divisioni del libro

Come ogni storico antico, Luca nella sua narrazione, va dal principio alla fine senza indicare o notare le divisioni del suo argomento. Ma, mentre non c'è nulla che metta in rilievo le sezioni, esse ci sono e sono inequivocabili. Nessuno può leggere questo libro senza notare almeno due grandi divisioni. La prima di queste si potrebbe intitolare «Una storia generale della chiesa fino alla morte di Erode» (Atti 12, 23-25).

La seconda, da Atti 13 fino alla fine del libro, si potrebbe intitolare: «Un racconto dei lavori dell'apostolo Paolo». Di conseguenza, molto scrittori trattano il libro come se fosse diviso solo in queste due parti. Tuttavia ciascuna parte contiene sezioni che so- no sufficientemente distinte le une dalle altre e sufficientemente estese da essere con- siderate come suddivisioni del materiale.

La storia generale, per esempio, è divisa in due parti distinte, la prima delle quali (Atti 1, 1 - 8, 4), tratta esclusivamente la chiesa di Gerusalemme. Il rimanente (Atti 8, 5 - 12, 25) parla dello sviluppo del vangelo in Giudea, Samaria e nei paesi circostanti.

Anche la vita di Paolo è divisa nel racconto dei viaggi per predicare fra i Gentili, iniziando con l'essere appartato per quest'opra (Atti 13, 1-3), e terminando con la sua ultima visita a Gerusalemme alla fine del suo terzo viaggio (Atti 21, 17). Poi c'è il racconto dei cinque anni di prigionia, e in questo episodio il rimanente del racconto.

Preferisco perciò dividere il libro in quattro parti, secondo queste grandi divisio- ni fatte dall'autore.

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ta un argomento speciale che fa parte del discorso generale. Sarebbe stato meglio se chi fece la divisione in capitoli del Nuovo Testamento avesse tenuto conto di queste sezioni. E sarebbero state più chiare, se la divisione dei capitoli fosse stata fatta se- condo principi più razionali. Ma la divisione in capitoli è a volta arbitraria, in quanto di frequente si separano sezioni che sono unite naturalmente - e perciò creano confu- sione! Perciò abbiamo distribuito il testo nelle sue sezioni naturali. Abbiamo adopera- to la convenzionale divisione in capitoli solo per facilitare i riferimenti. Allo scopo di esporre più chiaramente per il lettore le divisioni dell'argomento che Luca ha fatto, ho anche separato il testo in paragrafi, aggiungendo a ognuno di essi la propria intesta- zione. Queste divisioni, con i loro titoli e sottotitoli, sono veramente parti del com- mentario, dato che esse aiutano a esporre al lettore il piano di Luca. Quindi, l'accurato studio di essi in connessione con i commenti fatti sui dettagli della narrazione, rende lo studente capace di formarsi un'opinione dell'abilità letteraria di Luca, più alta di quella che avrebbe altrimenti.

Lo scopo che Luca si propone

Fra la visione degli studiosi credenti e quella dei razionalisti c'è una differenza radicale in merito allo scopo principale per cui fu scritto il libro di Atti. F. C. Baur, assieme a tutti i seguaci della scuola di Tubinga, presume che Pietro fosse il capo dei giudaizzanti che furono in continuo antagonismo con Paolo. Presume che gli altri a- postoli fossero in completa sintonia con Pietro, e che questo antagonismo fosse inces- sante durante la vita degli apostoli e che gli Atti fosse composto verso la fine del I se- colo, o poco più tardi, con lo scopo preciso di far apparire che un simile antagonismo non era mai esistito. Baur scrisse:

«Noi siamo obbligati a pensare che l'immediato scopo per cui fu scritto il libro degli Atti, era quello di creare un parallelo fra i due apostoli, nel quale Pietro apparis- se un paolino e Paolo un petrino. Perfino in riguardo alle gesta e alla fortuna dei due uomini, si scopre un sorprendente accordo. Non c'è genere di miracolo attribuito a Pietro, nella prima parte del libro, che non trovi la sua copia nella seconda. Ciò che è ancora più sorprendente, è osservare che, per quanto riguarda la dottrina dei loro di- scorsi come anche il loro modo di agire come apostoli, non solo sono d'accordo l'uno con l'altro, ma sembra che si siano del tutto scambiate le parti» [Church History, I.

133].

Questo modo di vedere lo scopo di Luca, rende interamente falso il suo libro.

Per confutare questa tesi è sufficiente riferirsi a quanto già detto sopra sulla sua pa- ternità e credibilità.

Inoltre il presunto parallelo tra Paolo e Pietro, se veramente esiste, non serve a sostenere questa teoria. Infatti è facilmente spiegabile con la supposizione che l'intera storia sia vera. Se Pietro e Paolo avevano la potenza di guarire le malattie, possono aver guarito le malattie che trovavano tra il popolo e perciò possono aver incontrato più persone che avevano lo stesso genere di malattie.

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e, specialmente se predicavano, com'è probabile, a molte persone che avevano la stes- sa mentalità e necessitavano delle stesse istruzioni. Se essi furono perseguitati, pos- sono aver similmente sofferto le afflizioni che gli uomini infliggono comunemente a coloro che perseguitano. E se essi furono guidati dallo stesso Spirito, dovevano esser- si trovati d'accordo l'uno con l'altro. Quindi questa teoria ed il ragionamento che la sorregge sono ambedue fantasiosi e falsi.

Mentre i credenti hanno motivi validi per respingere la teoria radicale sopra e- sposta, differiscono moltissimo tra loro circa lo scopo principale dello scrittore. Le opinioni su questo punto sono numerose quasi quanto i commentatori. Non è il caso qui di elencarle; basti dire che quasi nessuno dei commentatori riesce a distinguere quello che l'autore ha fatto dallo scopo per cui lo ha fatto. Ciò che ha fatto è scrivere un resoconto conciso dell'origine e del progresso della chiesa di Gerusalemme, finché fu dispersa dalla persecuzione scoppiata al tempo di Stefano. Scrisse poi ciò che ri- guarda gli uomini ed i metodi con cui le chiese furono stabilite a quel tempo nelle re- gioni circostanti, incluso il battesimo dei Gentili. Scrisse inoltre della predicazione di Paolo nelle regioni dell'Asia Minore, Macedonia e Grecia. Incluse l'origine e la riso- luzione parziale della controversia in merito al rapporto tra i convertiti pagani a la legge di Mosè. Infine, descrisse le prigionie di Paolo che cominciarono a Gerusa- lemme e terminarono a Roma.

Questo è ciò che Luca ha scritto. Il suo scopo si può dedurre dall'esame del ma- teriale che egli ha incluso nelle varie parti della sua narrazione, Indubbiamente, come gli altri storici, Luca aveva in vista più di uno scopo. Nel contempo, uno di questi è quello principale e gli altri sono subordinati ad esso. Bisogna distinguerli, dunque, in base alla relativa importanza che egli ha dato ai vari argomenti. Lo scopo principale riguarda gli argomenti che sono stati trattati più ampiamente, mentre le altre espres- sioni hanno una relazione subordinata con essi.

La maggior parte del libro consiste in racconti dettagliati delle conversioni a Cristo oppure di tentativi di convertire che non hanno avuto successo. Se si sottraes- sero al libro tutti i racconti di questo genere, insieme ai fatti ed incidenti preparatori per ciascun caso ed i suoi risultati, avremmo tolto quasi l'intero contenuto del libro, Ecco un riassunto del contenuto:

• Il primo capitolo ci mostra come gli apostoli furono preparati per l'opera della conversione degli uomini.

• Il secondo capitolo riporta il racconto della conversione dei tremila.

• Il terzo racconta la conversione di altre persone; seguita dall'arresto e processo di Pietro e Giovanni a causa di queste conversioni.

• Le persecuzioni nei quattro capitoli seguenti si svilupparono per l'opposizione a queste conversioni.

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ritani, dell'eunuco, di Saulo di Tarso e di Cornelio.

• L'undicesimo, soprattutto, racconta lo stabilimento della chiesa in Antiochia per mezzo del battesimo dei Giudei e dei Gentili che dimoravano lì.

• Il dodicesimo contiene l'episodio che mostra la benevolenza dei nuovi conver- titi e un'altra persecuzione a Gerusalemme.

• Il tredicesimo e il quattordicesimo raccontano i sermoni nel viaggio di Paolo con Barnaba.

• Il quindicesimo descrive la controversia sulla circoncisione che si sviluppò dal primo viaggio di Paolo.

• Il sedicesimo riporta principalmente gli avvenimenti che preparavano la con- versione di Lidia e del carceriere Filippi che ne sono i risultati immediati.

• Il diciassettesimo racconta le conversioni a Tessalonica e Berea, seguite dal tentativo quasi senza risultati di fare lo stesso ad Atene.

• Il diciottesimo, con le sue conversioni in Corinto richiese un anno e mezzo di tempo.

• Il diciannovesimo registra molte conversioni seguite dalla persecuzione in Efe- so.

• I capitoli da venti a vent'otto raccontano l'ultimo viaggio di Paolo a Gerusa- lemme, seguito dal suo arresto e il suo tentativo senza successo di convertire la folla a Gerusalemme, Felice, Festo e Agrippa. Raccontano pure il viaggio a Roma dove Paolo provò invano a convertire i principali esponenti increduli degli Ebrei di quella città.

Certo lo scopo primario di Luca fu quello di mettere il lettore davanti a una mol- teplicità di casi di conversioni operate dagli apostoli e dai primi cristiani, in modo che si potesse sapere come fu compiuta l'opera principale per cui Gesù morì e per cui gli apostoli furono mandati. I casi registrati rappresentano tutti i livelli culturali, intellet- tuali e religiosi, tutte le comuni occupazioni della vita, e tutte le nazioni e lingue del mondo allora conosciuto. Perciò mostra che l'unico sistema di vita e di salvezza, di- sponibile nel vangelo. è perfettamente adatto a tutti gli abitanti della terra.

La storia di una conversione comprende due distinti tipi di fatti: primo le cause ed i mezzi impiegati per effettuarla; secondo, il cambiamento prodotto dalla persona convertita. Luca, nel perseguire il suo scopo principale, fu condotto a specificare que- ste cause, mezzi e cambiamenti. Egli fece in modo che i lettori potessero conoscere quali mezzi umani sono impiegati e come essi funzionano; quali strumenti sono usati

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finire veramente biblica.

È più facile ed efficace insegnare con gli esempi che con i precetti. In armonia con questa ben conosciuta caratteristica della nostra natura, molti maestri religiosi cercano di convertire i peccatori, basandosi molto più sulle "esperienze" ben raccon- tate, che sulla diretta predicazione della Parola. Anche se questi fanno cattivo uso del sistema, questo metodo fu previsto dal Signore quando ci diede il libro degli Atti. In- fatti i casi registrati in Atti sono superiori a tutte le "esperienze" moderne, in quanto essi furono realizzati dall'infallibile insegnamento. Poi l'infallibile sapienza di Dio li selezionò tra le migliaia di casi disponibili, a causa della loro particolare idoneità per un posto in questa documentazione ispirata di Atti. Se, perciò, le conversioni moder- ne si accordano con questi, esse devono considerarsi giuste; nella misura che non combaciano con questi, in questa misura sono erronee. Chi si propone di guidare gli altri nella via della salvezza ha il preciso dovere di guidarli secondo questi modelli normativi. Similmente chi si crede di essere genuinamente convertito a Cristo, può confrontare la sua esperienza con questi modelli.

Quale parte o parti dei casi serve a modello? Infatti, ci sono dettagli in ciascun caso che differiscono dagli altri. Perciò quale norma stabilisce quali parti sono nor- mative e quali particolare sono puramente casuali o culturali? Il criterio più sano è questo: ogni atto per cui Gesù mo lo Spirito Santo rivelò un comando è da mettere in pratica. Gli altri particolari rivelano ciò che i credenti possono fare, ma non sono ob- bligatori. Dopotutto Atti rivela la realizzazione del Grande Mandato di Gesù che si svolse sotto la guida diretta dello Spirito Santo. Tutto perciò si rifà a lui e va interpre- tato in questa ottica.

Ma non si possono prendere a modello anche le conversioni che accaddero du- rante le epoche precedenti, oppure sotto il ministero personale di Gesù? La risposta riguarda un cambiamento di amministrazione: noi non viviamo sotto la legge di Mo- sè, ma neppure sotto il ministero personale di Gesù, bensì sotto il ministero dello Spi- rito Santo. Infatti, Gesù, prima di ascendere, affidò tutti gli affari del suo Regno cele- ste nelle mani di dodici uomini che sarebbero stati guidati dallo Spirito Santo. Questo Spirito discese poco dopo che Gesù ascese, perciò, tutto ciò che noi possiamo cono- scere dei termini del nuovo patto in vigore durante l'epoca presente, può essere impa- rato attraverso l'insegnamento e gli esempi raccontati in Atti. Se le condizioni di per- dono, sotto i regimi precedenti, differiscono in alcuni particolari da quelli disposti ed esemplificati in Atti, in tutti i punti differenti noi siamo vincolati dagli esempi di Atti e siamo liberati dagli esempi dei regimi precedenti. Studiare il Libro degli Atti corret- tamente, significa studiarlo in questa prospettiva facendo la massima attenzione a questa sottolineatura. Per questo motivo questo argomento non sarà mai perso di vista nelle pagine che seguiranno.

Se il libro degli Atti è stato trascurato nel passato, vuol dire che è stato trascura- to soprattutto in riferimento a questo suo insegnamento particolare. Di conseguenza, per istruire i peccatori sulla questione della conversione, migliaia di evangelisti hanno

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un'esigenza di questa epoca – epoca intensamente missionaria – comprendere que- st'unico libro in tutta la Bibbia, ideato per esporre l' argomento di vitale importanza della esperienza personale conforme alla volontà di Dio.

L'agente principale che produsse queste conversioni e diresse tutta l'opera degli apostoli, fu lo Spirito Santo. È certamente uno scopo secondario dell'autore – se non di uguale importanza – dimostrare come la divina potenza fu espressa in conformità alle promesse spesso ripetute dal nostro Signore. Atti ha il suo punto di partenza nella missione apostolica (1, 2); ma agli apostoli fu ordinato di non iniziare il lavoro fino a quando lo Spirito Santo sarebbe sceso su di loro (1, 4).

Così la parte principale del libro si apre con il racconto della discesa dello Spiri- to. Dall'inizio fino alla fine, Atti mette in evidenza i lavori degli apostoli e degli e- vangelisti sotto la direzione costante dello Spirito che dimorava in loro. Il nostro Si- gnore disse ai suoi discepoli prima di partire: «È utile per voi che io me ne vada; per- ché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma se me ne vado, io ve lo manderò» (Giovanni 16, 7). «Ho ancora molte cose da dirvi; ma non sono per ora alla vostra portata; quando però sarà venuto lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità...» (Giovanni 16, 12-13).

Nell'introduzione ad Atti (1, 9-11) si racconta la partenza di Gesù, la prima di queste Guide celesti, mentre la parte principale del libro mette in evidenza il lavoro promesso dello Spirito Santo, la seconda Guida. Se, dunque, possiamo correttamente designare i racconti dei quattro evangelisti "il Vangelo di Cristo", possiamo con u- guale proprietà designare Atti "il Vangelo dello Spirito Santo", come propone Plum- ptre, Handy Commentary, Introduzione, IV.

Per realizzare lo scopo principale di raccontare le conversioni e la guida dello Spirito Santo, fu necessario che Luca operasse una scelta fra i molteplici eventi acca- duti nei trent'anni raccontati nella sua narrazione. I criteri alla base di questa scelta portano a considerare un altro dei suoi scopi subordinati. Evidentemente egli aveva l'intenzione di mettere in evidenza l'opera di Paolo in maniera più completa di quella di tutti gli altri evangelisti. Quantunque servissero molto bene allo scopo principale, Luca raccontò le attività di Paolo probabilmente perché aveva una migliore cono- scenza personale di queste. Ma raccontare solo queste, sarebbe stato come presentarle senza alcun nesso storico col passato. Perciò, occorreva iniziare con gli eventi che precedettero e prepararono la via per il ministero di Paolo.

Siccome Pietro figurava in tutti gli avvenimenti precedenti, era naturale presen- tarlo in questo ruolo all'inizio della narrazione. Inoltre, nel periodo della narrazione di Atti, v'erano molti giudaizzanti che attivamente propagavano la diceria che l'inse- gnamento di Paolo fosse in qualche modo antagonista a quello di Pietro. Perciò, fu una strategia saggia confutare questa notizia falsa e pericolosa, scegliendo dei due apostoli quelle azioni e parole che avrebbero provato il loro perfetto accordo. Questo

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razionalisti adoperano come base per negare la credibilità di Atti.

Quando si esaminano le scelte fatte in merito al lavoro di Pietro, si scopre un al- tro scopo subordinato, cioè riassumere le vicende della chiesa originaria in Gerusa- lemme e le cause secondarie per cui il vangelo fu portato in Palestina e ai popoli dei paesi limitrofi. Allo stesso tempo, in questa parte e in quella in cui Paolo è la figura centrale, Luca realizza un altro scopo importantissimo: mette in evidenza il metodo apostolico di organizzare le singole comunità dei credenti.

Chi è disposto ad esaminare questo argomento fino in fondo, può individuare al- tri motivi secondari. Ma questi sono sufficienti a mostrare che il piano dell'autore è sistematico, ben studiato e di grande portata. Più di Atti, nessun libro della Bibbia ri- vela meglio lo scopo dello scrittore tramite il metodo ed i materiali che egli ha adope- rato.

La data di stesura di Atti

F.C. Baur, – e tutti i razionalisti della scuola di Tubinga – hanno fissato la com- posizione di Atti in una data molto tarda per cui Luca non ne sarebbe stato l'autore.

per questa datazione, essi non hanno alc un motivo – se non quello delle esigenze del- la loro teoria in merito allo scopo di Luca, e questo abbiamo già illustrato brevemente in precedenza. Ma, siccome la teoria è certamente falsa, la conclusione basata su di essa non è degna di essere presa in considerazione.

Alcuni scrittori più conservatori, ma che risentono un po' l'influenza razionalisti- ca, datano il libro non prima del 70 d.C. [Meyer, Introduzione, Sez. III; Lechler, In- troduzione, Sez. II; Weiss, Vita di Cristo, Sez. I, pag. 18]. Il motivo dominante per assegnare questa tarda età è la presunzione che il Vangelo di Luca sia stato scritto dopo la caduta di Gerusalemme. La base di questa presunzione è un'altra: la predizio- ne della distruzione di Gerusalemme predetta da Gesù in Luca 21, 20-25, che sarebbe stata scritta dopo l'avvenimento. Ma queste teorie non possono avere alcun peso per chi crede nella realtà della predizione miracolosa. Perciò è giusto scartare senz'altro le conclusioni basate su questa teoria.

Gli studiosi conservatori in genere, guidati dalle indicazioni trovate nel libro stesso, sono concordi nell'assegnare la data di Atti all'ultimo episodio raccontato in esso [Everett F. Harrison, La Parola del Signore: Introduzione al Nuovo Testamento (Edizioni "Voce della Bibbia" Modena, 1972), pagg. 243-245. Donald Guthrie, New Testament Introduction (InterVarsity Press, Downers Grove, Illinois U.S.A. 1979), pagg. 340-348]. Questo episodio è la prigionia di Paolo che durò due anni interi (Atti 28, 30). La narrazione termina qui senza dire al lettore se Paolo fu liberato oppure messo a morte. Perciò, si ritiene che sia la prova conclusiva che nessuna delle due co- se aveva avuto luogo quando fu scritta l'ultima parola del libro.

Questa prova acquista maggior forza alla luce del contesto dei fatti raccontati negli ultimi quattro capitoli. Nel capitolo 25, Luca racconta l'appello di Paolo a Cesa-

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vicende successive. In conseguenza di questo appello Festo decise di inviare il pri- gioniero all'imperatore. Tuttavia, imbarazzato perché le accuse non erano giustificabi- li alla luce della legge romana, portò il caso all'attenzione di Agrippa, conducendo Paolo stesso davanti a questo giovane re (25, 12, 26-27). In conformità alla legge sul diritto di appello, Paolo fu imbarcato, viaggio descritto nel ventisettesimo capitolo.

Durante questo viaggio egli fu rallegrato dal messaggio di Dio quando disperava del- la sua vita durante la tempesta: «Paolo non temere; bisogna che tu compaia davanti a Cesare» (Atti 27, 24). Questo appello a Cesare fu l'argomento della prima conversa- zione di Paolo con gli Ebrei di Roma (28, 17-19) e per questo appello, egli rimase in prigione due anni interi in attesa del suo processo. Ora, se il suo processo davanti a Cesare ebbe luogo quando questo libro fu completato, è inspiegabile come mai il li- bro degli Atti non ci dica nulla circa l'esito di tale processo, se cioè esso si concluse con un' assoluzione o con una condanna. Questa non è una semplice omissione simile a molte altre che si trovano nel corso della narrazione come l'omissione di argomenti la cui menzione non fu richiesta dal contesto storico. Qui si tratta dell'omissione di un fatto culminante al quale ci aveva condotto la lunga serie di avvenimenti precedente- mente menzionati, e per il quale lo scrittore aveva svegliato la curiosità del lettore.

Questo è simile ad un dramma durante il quale si è suscitato l'interesse sempre più vi- vo negli avvenimenti della trama, ma che si tronca improvvisamente proprio poco prima del momento culminante, cioè prima dell'avvenimento che avrebbe portato il dramma alla sua naturale conclusione.

Oppure, ancora più precisamente, sarebbe simile alla storia di un noto processo in cui si racconta l'arresto di un prigioniero, il suo trasporto da un lo ntano paese al luogo del processo, gli incidenti di una lunga prigionia che si prolungò fino al giorno del processo, storia, però, che termina senza una parola circa lo stesso processo! Una simile narrazione non fu mai scritta, a meno che non fosse una storia fittizia, creata deliberatamente allo scopo di tormentare la mente dei lettori. Al contrario, una simile conclusione per una storia seria e veritiera è inaudita. L'unica deduzione razionale, quindi, è che Luca scrisse l'ultima frase di Atti proprio al termine dei due anni interi che egli menziona, e prima che il caso di Paolo fosse stato giudicato dall'imperatore.

Per spezzare la forza di questo ragionamento qualcuno ha suggerito l'ipotesi che Luca abbia avuto intenzione di scrivere un altro libro, il terzo della serie di cui Luca e Atti sono i primi due volumi. Infatti, egli lasciò incompleto il racconto dell'ascensio- ne di Gesù al termine del Vangelo, completandolo con altri particolari riportati all'ini- zio di Atti. Secondo questa teoria, Luca avrebbe inteso trattare nello stesso modo il racconto del processo di Paolo [Meyer, Introduzione, Sez. III, che in questo segue al- cuni critici razionalistici tedeschi]. Tuttavia, non c'è alcuna base per supporre che Lu- ca abbia avuto una simile intenzione. Questa ipotesi vuole chiarire un fatto che può essere spiegato diversamente senza l'aiuto dell'ipotesi. Inoltre, il caso di Atti non è parallelo a quello del Vangelo di Luca. Infatti, nel Vangelo Luca fa menzione dell'a- scensione, della quale diede un racconto più ampio nel libro che seguì, cioè in Atti.

Ma qui, egli non dice una parola circa il risultato del processo di Paolo, sebbene a-

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postolo Giacomo con sette parole in greco (Atti 12, 2). Certamente avrebbe potuto spendere altrettante parole per dirci che Paolo fu assolto oppure condannato. In tal caso, avrebbe potuto riservare il racconto complesso per un altro libro, se avesse avu- to in mente di scriverlo.

Prima di lasciare questo argomento, è appropriato notare che Ireneo, il quale scrisse nell'ultima metà del II secolo, disse che Luca scrisse il suo Vangelo dopo la morte degli apostoli Pietro e Paolo [Contro Eresie, III, 1]. Tuttavia le evidenze inter- ne sopra addotte, superano in valore questa evidenza tradizionale. Anzi acquistano peso ancora maggiore quando si considera che se fosse scritto dopo la morte di Paolo, Luca avrebbe omesso di parlare dell'esito dell'appello di Paolo a cesare. Ma non solo . Avrebbe mancato pure di menzionare due avvenimenti particolarmente attinenti alla sua narrazione, avvenimenti che sarebbero stati più allarmanti e dolorosi di tutte le calamità che accaddero alla chiesa apostolica, cioè l'esecuzione a Roma di questi due apostoli principali!

In conclusione i capitoli conclusivi furono scritti senza dubbio a Roma, dato che il libro termina lì. Tuttavia, non significa che tutto il libro fosse scritto in questa città.

I due anni di Paolo a Roma furono impegnati dalla stesura delle Epistole alle chiese e dalla predicazione del vangelo a Roma – entro i limiti imposti dalla prigionia. Al con- trario, Luca non riferisce in che modo Paolo passasse il tempo mentre era confinato a Cesarea. Sarebbe stato impossibile per un uomo come Paolo stare in ozio, e dato che i suoi amici avevano libero accesso a lui, ci sono forti motivi per credere che in questo periodo, Luca, il suo compagno di sempre, sotto la sua direzione abbia steso il suo Vangelo. Poi ci fu anche l'informazione che si poté ottenere dalla comunità cristiana di Cesarea, in cui egli avrebbe incontrato uomini come Filippo l'evangelista , che era di casa a Cesarea [Atti 21, 8. Filippo arrivò a Cesarea anni prima (Atti 8, 40), e sem- bra che vi abbia fissato la sua dimora], e Cornelio, il primo Gentile convertito [Atti 10, 1]. Da questi avrebbe ricavato le notizie circa i lavori di evangelizzazione in Sa- maria, la conversione dell'eunuco etiope, le visioni fatte a Pietro e a Cornelio, nonché i dettagli connessi con la morte di Erode Agrippa. Aiutato dai racconti preservati dai fratelli di Gerusalemme, preparò la storia di Atti fino al periodo della sua partenza per Roma, Dagli apostoli stessi Luca poteva ottenere i racconti dell'Ascensione, della predicazione e della fondazione della Chiesa nel giorno della Pentecoste. Essi pote- vano informarlo sulle attività di Pietro, sulla disputa tra gli Ellenisti e gli Ebrei, sul martirio di Stefano e dell'apostolo Giacomo. Quella porzione di storia in cui Paolo fu il principale protagonista, non avrebbe richiesto altra fonte di informazione, se non il grande apostolo stesso.

La cronologia di Atti

In alcune sezioni della seconda parte, l'autore, partendo con la dispersione della chiesa in Gerusalemme, segue un predicatore particolare – oppure più predicatori – che portò il vangelo in una certa zona. Poi Luca ritorna allo stesso punto per seguirne un altro. Ad eccezione di questi episodi, tutta la storia in Atti è disposta in ordine

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struire il tempo occupato dagli eventi ma nemmeno il tempo trascorso in una parte qualsiasi del libro, tranne l'ultima sezione. In questa parte Luca è esplicito in merito al tempo, stabilendo che Paolo fu arrestato a Gerusalemme durante la festa di Pente- coste, che egli fu tenuto in prigione per due anni fino all'entrata in carica di Festo; che nell'autunno successivo egli fu mandato da Festo a Roma, raggiungendo questa città nella primavera successiva; e che rimase prigioniero a Roma per due anni interi [Atti 20, 16; cfr. 24, 27; 27, 1.9.12; 28, 11-16.30]. Perciò, abbiamo quasi cinque anni oc- cupati con questa parte della storia. È certo che Festo fu mandato in Giudea nell'anno 60 [L'evidenza di Conybeare ed Howson, Appendice II, nota (C), ha chiaramente sta- bilito questo dato, contro l' opinione di Meyer, Introduzione ad Atti, Sez. 4]. Quindi si deduce che l'arresto di Paolo sia avvenuto due anni prima, cioè nella Pentecoste del 58; che sia partito per Roma nell'autunno del 60; che sia giunto a Roma nella prima- vera del 61; e che la narrazione di Luca si chiuda nella primavera del 63. Siccome le lettere agli Efesini, ai Colossesi, a Filemone e ai Filippesi, furono scritte durante que- sta prigionia [Efesini 3, 1; 4, 1; Filippesi 1, 12-13; 4, 22; Colossesi 4, 10.18; Filemo- ne 1.9-10.23], portano la data 61-62 d.C.

Servendoci come punto di partenza l'arresto di Paolo a Gerusalemme nella Pen- tecoste del 58, e contando alla rovescia, possiamo procedere per un po' alla luce delle chiare testimonianze esposte da Luca e ancora più avanti con l'aiuto di quelle di Pao- lo. Prima di andare a Gerusalemme per la Pentecoste, Paolo aveva trascorso a Filippi il periodo della Pasqua (20, 6). Era arrivato a Filippi direttamente dalla Grecia dov'era rimasto tre mesi (20, 1-6). Questi possono essere stati i tre mesi invernali, poiché alla fine di essi seguì il viaggio per Filippi al principio della primavera. In questo modo abbiamo raggiunto l'inverno del 57-58. Siccome la lettera ai Romani fu scritta alla vi- gilia della partenza dalla Grecia o almeno prima di arrivare a Gerusalemme (Romani 15, 25-26; cfr. Atti 24, 17), la data di questa lettera è l'inizio del 58. Galati, dalle evi- denze interne, mostra di essere stata scritta circa lo stesso tempo (1).

Continuiamo il conto sempre alla rovescia. Poiché in precedenza Paolo era anda- to direttamente dalla Macedonia alla Grecia, può aver trascorso l'autunno in quel pae- se. Siccome egli dice ai Corinzi che intende a Efeso fino alla Pentecoste e trascorrere a Corinto l'inverno successivo, egli può aver trascorso anche l'estate in Macedonia (1 Corinzi 16, 5-8). Questa fu l'estate del 57, e poiché egli scrisse la 2° Corinzi in Mace- donia (2 Corinzi 2, 12; 7, 5), questa può essere la data di questa lettera. Ma Paolo scrisse 1° Corinzi a Efeso e non molto prima della Pentecoste dello stesso anno (1 Corinzi 16, 8). Di conseguenza, questa sarebbe la data di questa epistola come anche la data in cui terminò il suo lavoro ad Efeso. Egli vi rimase due anni e tre mesi (Atti 19, 8-10). Perciò avrà cominciato la sua opera ad Efeso all'inizio del 54.

Ritornando indietro da questo punto, non abbiamo dei dati che connettono, ma possiamo ricreare per ipotesi parte della storia con un buon grado di probabilità. Pao- lo, nel suo ultimo viaggio verso Antiochia, ad Efeso si propose di ritornare e lasciò Priscilla ed Aquila con lo scopo di assicurarsi il loro aiuto al suo ritorno (Atti 18, 19- 22). È quasi certo che al suo ritorno egli attraversò rapidamente le regioni situate tra

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egli, egli iniziò il suo terzo viaggio nel 53, avendo chiuso il suo secondo viaggio ver- so la metà di quell'anno, se non poco prima. Ora, nel terminare il suo secondo viag- gio, venne direttamente da Corinto, viaggio di una settimana o due, e in Corinto egli rimase diciotto mesi (Atti 18, 2). Questo ci fa ritornare circa all'inizio dell'anno 52, o al massimo nel tardo 51 per l'inizio del suo lavoro in Corinto. Intorno a questo perio- do egli scrisse le due epistole ai Tessalonicesi(2).

Ora, se ipotizziamo meno di due anni per gli avvenimenti del secondo viaggio fino a Corinto, possiamo fissare quel viaggio all'inizio dell'anno 50 come la data pro- babile di quell'incontro.

A questo punto alcuni dati forniti da Paolo vengono in nostro aiuto. Egli afferma in Galati (1, 18) che tre anni dopo la sua conversione andò da Damasco a Gerusa- lemme, e dopo 14 anni (Galati 2, 1) ritorno a Gerusalemme con Barnaba per la confe- renza. Ora, se questi due periodi sono da intendersi consecutivi, abbiamo 17 anni dal- la sua conversione alla conferenza, la quale potrebbe essere stata convocata nel 50 ponendo così la conversione di Paolo nell'anno 33. Invece, se conteggiamo i tre anni come parte dei 14 anni a partire entrambi contemporaneamente dalla sua conversione, questo calcolo si accorda meglio con gli argomenti del primo capitolo di Galati. Di conseguenza, contando i 14 anni alla rovescia e cominciando dal 50, si fissa la con- versione di Paolo nell'anno 36, il sesto anno dopo la fondazione della chiesa, e questo è completamente in armonia con il corso degli eventi dei primi otto capitoli. di Atti.

Se datiamo la conversione di Paolo nell'anno 36, possiamo servircene come pun- to di partenza. Perciò la sua prima visita a Gerusalemme fatta tre anni più tardi, e la sua partenza per Tarso sarebbe da datare nel 39, quindi il lavoro di Filippo in Sama- ria, come anche il battesimo dell'eunuco, nell'intervallo tra il 36 e il 39(3).

Poi, prima di questi dati, abbiamo una data fissa da Giuseppe Flavio. Da lui si apprende che il re Agrippa morì nel 44 d.C.(4).

Questo accadde mentre Paolo e Barnaba completavano la loro missione di porta- re una sovvenzione per le chiese della Giudea (Atti 11, 29; 12, 25). Ora, prima della partenza per questa missione, questi due fratelli avevano trascorso l'anno intero ad Antiochia (Atti 11, 26), il che fissa l'arrivo di Paolo in quella città nell'anno 43, e la sua permanenza in Siria e in Cilicia fu dal 39 al 43, un periodo di circa quattro anni.

Durante questo periodo ebbero luogo il lavoro di Pietro, ricordato nel nono e decimo capitolo di Atti, e la fondazione della chiesa di Antiochia. È possibile tracciare la cronologia di questo periodo con un buon grado di probabilità. Si racconta che le chiese della Giudea, Samaria e Galilea ebbero pace dopo che Paolo fu mandato via da Gerusalemme e che Pietro «percorreva tutto»(5) il paese.

Questo include tutti i luoghi di queste tre regioni, fino ad arrivare a Lidda, da dove fu chiamato a Ioppe dove rimase «molti giorni» (Atti 9, 32-43). Ora, sembra completamente irragionevole supporre che per tutti questi lavori e viaggi di Pietro

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mo la prima ipotesi, la sua chiamata da Ioppe a Cesarea per battezzare i Gentili av- venne nell'anno 40; e se l'ultima, essa avvenne nel 41. L'ultima data è stata adottata dalla maggioranza dei commentatori. Non può essere molto lontana da quella giusta, e ciò dimostra che gli apostoli continuarono a limitare la loro predicazione ai soli E- brei per sette anni, dal 34 al 41.

La data della fondazione della chiesa di Antiochia può essere stabilita approssi- mativamente per mezzo di un simile calcolo. Non appena i fratelli a Gerusalemme sentirono parlare del battesimo dei Greci, mandarono Barnaba per investigare (Atti 11, 22). Questo non può essere avvenuto che poche settimane dopo il fatto in que- stione e Barnaba probabilmente rimase in Antiochia poco tempo, prima di andare a Tarso per condurre Paolo in Antiochia. Ora, quest'ultimo fatto, come si è visto sopra, fu nel 43. Di conseguenza la fondazione di questa chiesa non potrebbe essere avvenu- ta prima del 42. Così si nota che il battesimo dei Greci in Antiochia ebbe inizio qual- che mese dopo i battesimi nella casa di Cornelio, proprio come il susseguirsi dei fatti narrati in Atti ci condurrebbe a supporre.

Sebbene le date per il periodo dopo che cominciarono i lavori di Paolo sono ra- gionevolmente sicure, quelle del periodo dell'Ascensione fino al tempo in cui Paolo cominciò i suoi lavori in Antiochia, sono un po' incerte. L'Ascensione e la fondazione della chiesa nel giorno della Pentecoste devono essere poste fin dall'anno 30(6).

Questo dà un intervallo maggiore per gli avvenimenti riportati nei primi undici capitoli di Atti.

I dati a disposizione sono così isolati che permettono di seguire la linea cronolo- gica solo a zig-zag, quindi in modo approssimativo. Comunque i risultati ottenuti da questo tipo di ricerche possono essere espressi per convenienza nella forma seguente.

Il punto interrogativo posto tra parentesi (?) indica che le date in questione sono lar- gamente congetturali.

30 d. C. La risurrezione di Gesù dopo la Pasqua in aprile.

L'ascensione di Gesù, 40 giorni più tardi.

La discesa dello Spirito Santo e la fondazione della chie- sa, 10 giorni più tardi nella Pentecoste in maggio.

30-37 Gli eventi compresi in Atti 3-6.

37. d.C. Il martirio di Stefano, la dispersione della chiesa di Gerusalemme, e la conversione di Saulo, 36

38-40 Il periodo del ritiro di Paolo in Arabia e il ritorno a Geru- salemme, tre anni dopo la sua conversione(cfr. Galati 1, 17)

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36-39 (?) Il lavoro di Filippo in Samaria, ed il battesimo.

41-43 (?) Le opere di Pietro e la conversione della famiglia di Cornelio (Atti 9-11).

41-43 La fondazione della chiesa in Antiochia, 42 (?).

Il primo lavoro di Barnaba e Saulo fatto insieme ad An- tiochia, 43.

Barnaba e Saulo mandati in Giudea con la sovvenzione per i poveri.

La morte di Giacomo, l'imprigionamento di Pietro.

44 d.C. La morte di Erode.

44-50 Il primo giro missionario di Paolo fra i Gentili. Questi cinque anni non tengono conto di una permanenza in Antiochia prima della sua partenza, né di una permanenza in Antiochia poco prima della conferenza. Il viaggio da solo occupò proba- bilmente quasi quattro anni.

49 o 50 (?) La conferenza di Gerusalemme sulla circoncisione, 50 (?).

50-53 Il secondo viaggio di Paolo, occupò diciotto mesi, quasi la metà del tempo a Corinto. Lì egli scrisse 1 e 2 Tessalonicesi.

53-58 Il terzo viaggio di Paolo occupò due anni e tre mesi a Efe- so, la sua permanenza più lunga in un posto. Durante questo viaggio egli scrisse 1 e 2 Corinzi nel 57, Galati e Romani all'i- nizio del 58.

58-63 La sua prigionia, iniziata a Gerusalemme, nel 58, continuò a Cesarea dal 58 al 60, e durante il viaggio a Roma dall'autun- no del 60 alla primavera del 61. Paolo fu a Roma dal 61 al 63.

È degli ultimi due anni la stesura di Efesini, di Colossesi, di Fi- lemone, e di Filippesi, come anche di Ebrei, se egli scrisse que- st'ultimo libro (Cfr Ebrei 13-18-19)

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dicasse in Spagna, Grecia e Asia, sino al 67 o 68, che fosse di nuovo catturato a Ni- copoli in Epiro, condotto a Roma una seconda volta e messo a morte nel 68.

Meyer, nel suo commentario sugli Atti (Introduzione) fornisce una tavola che presenta le cronologie di trentatre autori antichi e moderni. Ma neanche due di questi studiosi vanno completamente d'accordo tra loro. Allo stesso tempo sono sostanzial- mente d'accordo e solo pochissimi tra loro si scostano più di due anni su qualche pun- to dello schema dato sopra. Questa cronologia è perciò un approccio sufficientemente accurato in termini pratici per servire allo scopo. Questo è vero soprattutto perché non sembra che Luca dia alla cronologia un posto primario. Così facendo, egli mostra di non basare sulla cronologia il valore dei fatti che egli racconta.

Lo schema

Oltre allo schema dettagliato dell'indice, offriamo questo schema più breve. Esso rispecchia i punti geografici indicati nella missione che Gesù affidò ai suoi seguaci (Atti 1, 18)

1. Predicazione del vangelo «in Gerusalemme e in Giudea».

• Preparativi per la nascita della Chiesa (1, 1-26).

• La Chiesa è nata (2, 1-47).

• La Chiesa cresce tramite i miracoli e la resistenza alla persecuzione (3, 1 - 4, 31).

• La Chiesa gestisce i suoi mezzi economici (4, 32-37).

• La Chiesa cresce tramite il potere penale (5, 1-16).

• La Chiesa affronta la seconda persecuzione (5, 17-42).

• La Chiesa risolve i suoi problemi interni (6, 1-8).

• La Chiesa affronta il martirio di Stefano (6, 8 - 8, 4).

2. Predicazione del Vangelo in «Samaria» e intorno alla Palestina.

• Filippo evangelizza la Samaria (8, 5-25).

• Filippo evangelizza il ministro etiope (8, 26-40).

• Chiamata del nuovo Apostolo ai Gentili (9, 1-31).

• Pietro edifica le comunità distanti da Gerusalemme (9, 32-43).

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1 - 11, 30).

• La Chiesa di Gerusalemme supera la persecuzione da parte di Erode; il martirio di Giacomo e la breve prigionia di Pietro; la morte atroce di Erode (12, 1-25).

3. Predicazione del vangelo «fino alle estremità della terra».

• Prima missione di Paolo in Antiochia (13, 1 - 14, 28).

• Concilio di Gerusalemme circa la circoncisione (15, 1-34).

• Seconda missione di Paolo da Antiochia (15, 35 - 18, 23).

• Terza missione di Paolo da Antiochia (18, 23 - 21, 17).

• Paolo arrestato a Gerusalemme e mandato a Cesarea (21, 18 - 23, 15).

• Paolo inviato a Roma; arresto domiciliare a Roma per due anni (27, 1 - 28, 31).

NOTE A MARGINE

1. Questo si deduce in base alla similarità dell'argomento trattato che compone il soggetto principale delle due epistole, cioè la giustificazione per fede, e in base all'allusione di Paolo (Galati 1, 6) alla brevità della sua assenza dalla Galazia, poco più di tre anni.

2. Questo si vede nel confrontare ciò che è detto dell'arrivo di Timoteo e Sila in Corinto (Atti 18, 5) con il brano di 1Tessalonicesi 3, 3-6. Il che dimostra che Timoteo era stato rimandato a Tessalonica da Atene, e ritornò da Paolo a Corinto nel momento in cui fu scritta la prima epistola ai Tessaloni- cesi. La similarità della chiesa di Tessalonica alla luce della continua presenza di Sila con Paolo – che non fu con Paolo dopo che questi lasciò Corinto –, dimostra che 2° Tessalonicesi fu scritta non molto tempo più tardi. Vedere 2 Tessalonicesi 1-4.

3. Nell'inserire il ministero di Filippo tra il racconto della dispersione della chiesa e il ritorno di Pa- olo a Gerusalemme, Luca evidentemente vuole dire che accaddero durante questo intervallo.

4. Giuseppe Flavio ci informa che subito dopo che Claudio ascese al trono, concedette ad Agrippa tutti i domini di suo nonno Erode, e che Agrippa regnò per tre anni sopra questo territorio più este- so. Ora Claudio ascese al trono nel 41 e perciò la morte di Agrippa, che accadde tre anni dopo, do- veva essere avvenuta nel 44 (Antichità Giudaiche, 19; 4.e; cfr. 5.1; 8.2).

5. In greco: dierxomenon dia pantwn.

6. I cronologi moderni datano la morte del nostro Signore e la fondazione della chiesa nell'anno 30.

Per uno sbaglio di calcolo durante la formazione del calendario moderno, la nascita di Cristo fu da- tata erroneamente 3-4 anni troppo tardi. Infatti, Gesù nacque nel 3-4 a.C.! Perciò il calcolo della da- ta dell'inizio della chiesa deve partire dalla data più precisa della sua nascita. Gesù fu battezzato, se- condo Luca 3, 24, quando aveva circa 30 anni, e di conseguenza cominciò quasi subito il suo mini- stero, cioè bel 27 d.C. Se morì nel suo tretatreiesimo anno, il suo ministero può essere durato poco più di tre anni.

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rante il suo ministero. Giovanni è l'unico Evangelista che ci fornisce dati sufficientemente utili a ri- solvere questo problema. Le Pasque sono:

. La Pasqua menzionata in Gv 2, 13 è la prima di esse e probabilmente ebbe luogo con molta ap- prossimazione sei mesi dopo il battesimo di Gesù.

2. "La festa dei Giudei" non meglio identificata in Gv 5, 1

3. Gesù certamente trascorse in Galilea il periodo di un'altra Pasqua (Gv 6, 4), il che porta il calcolo a due anni.

4. Poi visse fino alla pasqua in cui morì (Gv 12, 1), e il conto arriva a tre anni.

Se fosse una Pasqua "la festa" di Giovanni 5, 1, l'intero periodo del ministero di Gesù sarebbe stato di tre anni. L'unico punto su cui dibattere, se ci appoggiamo alla testimonianza di Giovanni, riguar- da la festa di Giovanni 5, 1. Era una Pasqua o qualche altra festa? Alcuni ritengono che questa non può essere stata una Pasqua, solo perché Giovanni la chiama una "festa" senza nominarla. Tuttavia, è possibile replicare, servendosi della stessa logica, che non sarebbe potuta essere la festa della Pen- tecoste, quella dei Tabernacoli o anche quella della Dedicazione. Infatti l'Evangelista nomina tutte e tre le feste in altri brani. Ma, dato che i Giudei non ne avevano altre, doveva essere per forza una delle quattro.

Chi vorrebbe fare durare l'intero ministero solo due anni, dopo la prima Pasqua, presuppone che la festa di Giovanni 5, 1 sia la festa della Dedicazione, che seguiva la Pasqua del capitolo 2. Ma que- sta ipotesi presenta un problema. Inoltre questa ipotesi richiede una interpretazione forzata dell'os- servazione di Gesù ai suoi discepoli in Giovanni 4, 35: «Non dite voi che ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura?». Le parole di Gesù lasciano la chiara impressione che, nel momento in cui egli parla, quattro mesi rimanevano prima della mietitura. Siccome la mietitura in Palestina comincia nel tardo aprile, questa osservazione sarebbe stata fatta nell'ultima parte di dicembre, op- pure ai primi di gennaio. In tal caso la festa della Dedicazione di quell'anno, era molto probabilmen- te già passata, siccome ricorre nel quindicesimo giorno del decimo mese, il quale non era prima del nostro 5 dicembre né più tardi del 5 gennaio. Se, per ipotesi, quell'anno questa festa ricorresse in gennaio, è difficile che fosse la festa d Giovanni 5, 1. Ma se lo fosse, Gesù avrebbe fatto questo viaggio nella Galilea (Giovanni 4, 35.43) appena il tempo per ritornare subito a Gerusalemme (Gv 5, 1), e questo sarebbe avvenuto nel cuore dell'inverno. Perciò ritengo che la festa di Giovanni 5, 1 fosse una Pasqua e di conseguenza il ministero di Gesù durò circa tre anni e terminò nell'anno 30.

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ATTI 1 PRIMA PARTE

L’origine, il progresso e la dispersione della chiesa a Gerusalemme (1, 1- 8, 4)

Sezione 1. Informazioni introduttive (1, 1-26)

SOMMARIO. La prefazione. La promessa del Padre. Il mandato di testimoniare in Gerusalemme, in tutta la Giudea e fino alle estremità della terra.

L’ascensione. Il messaggio degli angeli. La settimana di preghiera. Il destino di Giuda. La scelta di un altro apostolo.

1. Il punto di partenza del racconto (1, 1-5)

1, 1 Nel mio primo libro, così Luca riallaccia il discorso di Atti con il suo Vangelo (Lc 1, 1-4). Con i due volumi di Luca possiamo seguire circa 70 anni di storia cristiana. Questo periodo comincia prima della nascita di Gesù che nacque nell’oscurità e termina alla vittoriosa predicazione del vangelo al centro dell’impero romano (Atti 28, 31).

Ho parlato di tutto quello che Gesù cominciò a fare e a insegnare. C’è chi considera l’espressione, “cominciò a” come semplice idioma senza signi- ficato. Perciò, sarebbe errato concepire gli atti e gli insegnamenti di Cristo durante il suo ministero terrestre solo come inizio di ciò che continuava a fa- re e ad insegnare dopo l’ascensione. È indiscutibile che la sua missione ter- restre terminò con la sua morte sulla croce quando egli gridò, “È com- piuto!” (Gv 19, 30).

Eppure, in un altro senso vero e profondo, la sua missione più grande non è ancora terminata. Anzi, durante il limitato soggiorno terrestre, stabilì la base del vangelo, per poi lanciarlo su scala mondiale sotto la guida dello Spirito Santo. Perciò ogni credente entra nella missione globale di Gesù e ne diventa partecipe. Essere il suo corpo sulla terra, di cui egli è il capo, per la Chiesa significa proprio questo (Ef. 1, 22 s; 4, 15 s).

Teofilo, nulla si sa di questo personaggio a cui Luca indirizza il se- guente racconto, tranne che apparteneva alla nobiltà. Indizio del suo rango è il titolo datogli da Luca, “eccellentissimo” (Lc 1, 3).

1, 2 fino al giorno che fu elevato in cielo, dopo aver dato mediante lo Spirito Santo delle istruzioni agli apostoli che aveva scelto. Luca fissa come punto di partenza per questa narrativa il giorno in cui terminò il suo rac- conto di Gesù. Questo è il giusto punto cronologico, perché la presente nar- razione è la continuazione della storia cominciata nel primo libro, cioè i

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possono essere altro che quei comandamenti che compongono il gran man- dato di evangelizzare di Lc. 24, 44-48. Perciò, sono il giusto punto di parten- za logico. Infatti, da esso gli apostoli ricevettero la loro autorità per com- piere gli atti che Luca sta per registrare in questo volume. Durante il suo ministero, Gesù non autorizzò alcuno ad annunciare che egli era il Cristo.

Anzi, lo vietò ai suoi apostoli (Mt. 16, 20; 17, 9). Indubbiamente, a questo egli fu spinto a causa della loro inadeguata concezione del Messianato, e per- ché fraintendevano la natura del suo regno e perché capivano imperfetta- mente molte cose che aveva loro insegnato. Fino ad allora fu egli stesso in persona a guidare gli apostoli direttamente, dettando il messaggio da predi- care. Ma egli doveva lasciarli perché lavorassero in sua assenza. Nella notte in cui fu tradito egli li informò che dopo non molti giorni lo Spirito Santo sa- rebbe stato dato loro per guidarli in tutta la verità e che in quel tempo que- sta limitazione sarebbe stata rimossa. Infine, nel giorno dell’Ascensione in cielo, egli disse, come lo riporta Luca nel suo Vangelo, «Così è scritto, che il Cristo avrebbe sofferto, e sarebbe risorto dai morti il terzo giorno, e che nel suo nome si sarebbe predicato il ravvedimento e il perdono dei peccati a tut- te le genti, cominciando da Gerusalemme» (Lc 24, 46-47). E come dice Mar- co, «Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura. Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato» (Mc 16, 15-16). Si troverà che questo incarico è la chiave di lettura di tutta la narrazione che ci sta dinanzi. Cioè, gli atti degli apostoli in essa riportati sono l’adempimento dei suoi termini e la migliore esposizio- ne del suo significato.

Gesù diede i suoi ordini mediante lo Spirito Santo. Egli ricevette lo Spi- rito senza misura e tutto ciò che fece fu nello Spirito. Egli impartì anche una misura dello Spirito, prima di ascendere, agli Apostoli per aiutarli nella loro opera (Gv. 20, 22).

1, 3 Ai quali anche, dopo che ebbe sofferto sulla croce, si presentò vi- vente con molte prove. Gesù è un Salvatore vivente; altrimenti non potrebbe esser un Salvatore, più di Socrate, Budda o qualsiasi altro saggio che morì.

Facendosi vedere da loro per quaranta giorni, li qualificò come testimoni oculari. Poiché gli apostoli devono apparire subito nella narrazione, atte- stando la risurrezione di Gesù, il nostro autore procede per sommi capi a in- dicare le loro qualifiche per questa testimonianza. Nell’ultimo capitolo del suo Vangelo Luca riporta alcune di queste prove, che non sono qui ripetute.

Poiché Gesù comparve loro in momenti diversi durante i quaranta giorni, i Vangeli riportano almeno undici apparizioni. Probabilmente ce ne furono altre. Comunque, in Atti si apprende un fatto nuovo, cioè che il tempo dalla risurrezione all’ascensione fu di quaranta giorni. Alcuni critici scettici consi- derano questo dettaglio un ricredersi da parte di Luca, in quanto sostengono che, nel Vangelo egli rappresenta Gesù come ascendente al cielo lo stesso

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descrive una conversazione avvenuta nel giorno della risurrezione ed un’al- tra nel giorno dell’ascensione, senza annotare l’intervallo di tempo tra loro2; mentre qui, in Atti, egli precisa che c’era un intervallo di quaranta giorni.

L’ultima affermazione serve come schiarimento delle prime ma non le con- traddice. Egli parlava delle cose relative al regno di Dio, cioè di quell’espressione del governo di Dio tramite la sua Chiesa che stava per es- sere stabilita sulla terra.

1, 4 Per spiegare l’attesa degli apostoli in Gerusalemme dopo aver ri- cevuto il mandato di evangelizzare il mondo, e anche per fissare più de- finitivamente il tempo d’inizio del loro lavoro, lo storico ora cita una parte della conversazione che ebbe luogo nel giorno dell’ascensione. Alcuni com- mentatori hanno confuso quest’ordine con quello riferito più sopra (v. 2).

Ma, come abbiamo notato, quei comandamenti compongono l’incarico, men- tre questo è piuttosto una limitazione dell’incarico in riferimento al tempo e al luogo d’inizio. Trovandosi con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Ge- rusalemme. Perché proprio nella roccaforte dei suoi nemici? Gesù scelse questa città per più motivi,

Era là che egli era stato umiliato e ucciso, ma era anche là che il Signore risorto voleva essere proclamato la sua vittoria.

Fu a Gerusalemme che sarebbe stato predicato il suo vangelo per primo, e stabilito il suo regno.

Era a Gerusalemme che Gesù avrebbe donato lo Spirito Santo, ma di attendere l’attuazione della promessa del Padre, “la quale”, egli disse,

“avete udita da me”. Molte profezie additavano questo avvenimento3 e Gesù stesso lo ribadiva spesso4.

Inoltre Isaia (2, 3-4) aveva precisato che Gerusalemme sarebbe stato il posto da cui sarebbe proclamata la parola di Dio per molti popoli.

1, 5 «Perché Giovanni battezzò sì con acqua», ed essi avevano ricevuto questo battesimo, ma questo non li qualificava sufficientemente per la gran- de opera che egli aveva in mente. «Ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo fra non molti giorni». La promessa del Padre, ribadita da Gesù, è la promessa dello Spirito Santo, che Gesù promise loro nella notte del tradi- mento5. Sul significato dell’espressione, “battezzati con lo Spirito Santo”,

1 Renan, Apostoli, pag. 20; Meyer, in loco.

2 Lc. 24:43,44-51; oppure 24:43-49, 50-53.

3 Gio. 2:28; Zc. 2:10; Mt. 3:10.

4 Lc. 24:49; Mt. 10:20; Gv. 14:16.

5 Gv. 14:26; 15:26-27; 16:12-13

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