LA TUTELA DEI DIRITTI IDENTITARI NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE SUPREMA CANADESE
4. Il caso Multani e la fondazione costituzionale della reasonable
4.1. L’eccezione di incostituzionalità rispetto ad un’ipotesi reasonable
accomodation ‘normativizzata’
Il caso Grant v. Canada pone un’apertura su un’ipotesi in cui una pratica di
reasonable accomodation, volta a garantire, entro certe condizioni, l’esercizio
della libertà religiosa ai credenti sikh impiegati nella Royal Canadian Mounted
Police, aveva costituito oggetto di specifiche previsioni del regolamento di tale
corpo di polizia. La scelta di includere un “exemption” nei confronti dei poliziotti sikh al fine di garantire loro di indossare il turbante in luogo del tradizionale "Stetson", il cappello a tesa larga contemplato dalla divisa, conseguiva ai risultati di un Report, commissionato e condotto dalla stessa RCMP nel 1982 e all’attuazione di una politica di affirmative actions313.
Storicamente, inoltre, i sikh che devolvevano le proprie forze all’esercito della Corona potevano, secondo la loro libera autodeterminazione, rinunciare alle protezioni ordinarie e scegliere di indossare il turbante314. Grant e altri soggetti
eccepiscono l’incostituzionalità del regime di “exemption”, per violazione degli artt. 2, 7, 15 e 27 della Canadian Charter. Le ragioni dedotte dagli appellanti, probabilmente, possono essere ricostruite soltanto alla luce di un clima di
313 “I convenuti in giudizio sostengono che il mutamento nell’uniforme era stato previsto per rimuovere una barriera nell’impiego dei khalsa sikhs nelle forze della RCMP. Essi hanno asserito che tale barriera esisteva perché le credenze khalsa richiedevano che, unitamente ad altri simboli religiosi, venisse indossato il turbante. Sostengono che il cambiamento è stato introdotto per consentire agli interessati di esercitare la propria libertà di religione, per riflettere l’attuale natura multiculturale del Canada, per promuovere un più efficace operato delle forze di polizia attraverso il reclutamento di soggetti membri di una ‘visible minority’”,
Grant v. Canada, Federal Court of Appeal, 1995, pp. 7-‐8.
314 “I sikh si guadagnarono il rispetto della nazione inglese per le loro qualità di combattenti. La Corona stabilì che ogni soldato ammesso nell’esercito indiano (che era l’esercito britannico in India) si sottoponesse all’iniziazione khalsa e, conseguentemente, indossasse ‘le cinque kappa’ e il turbante. L’attenzione verso questi aspetti rese i membri dell’esercito fieri combattenti perché riconduceva visibilmente la loro identità etnica e religiosa alla condotta tenuta”, Ibidem, p. 12.
recrudescenze che, a partire dagli inizi degli anni ’90, intende contrastare la svolta pluralistica315.
La Corte d’Appello federale, confermando il giudizio di primo grado, sventra la categoria giuridica di “public right”, di cui sarebbero titolari i privati cittadini, in opposizione ad un “private right” riconosciuto ai pubblici ufficiali sikh, in ragione della loro appartenenza religiosa. Il Chief Justice ritiene che non è sostenibile che i soggetti privati che si rapportino a poliziotti che indossano il turbante siano limitati ed influenzati nell’esercizio della libertà religiosa prevista dall’art. 2 della Canadian Charter 316. Risulta antifrastico che
l’argomentazione di Grant si assortisca del richiamo a Big M Drug Mart Ltd317
che, come si è evidenziato nel corso della trattazione, identifica le forme di
315 “L’11 novembre 1993, cinque sikhs veterani dell’esercito, convocati a partecipare ad una cerimonia commemorativa, non furono ammessi ad entrare nella sala principale della divisione della Royal Canadian Legion nel sobborgo di Surrey a Vancouver. Il regolamento proibiva di indossare copricapi in segno di rispetto per i caduti. Dal momento che i sikhs non si tolsero il turbante, furono invitati ‘a spostarsi in un’altra stanza e ad andarsi a bere un caffè’. Il Globe and
Mail riportò l’indignazione di almeno un rappresentante dell’ente per il trattamento riservato ai sikhs, mentre i servizi televisivi dei giorni seguenti proposero una visione distorta di tale
indignazione, ritraendola come un invito nei confronti dei cinque veterani a ‘tornare da dove erano venuti’; “Il 31 maggio del 1994, durante il congresso nazionale dell’associazione dei combattenti e reduci di guerra tenutosi a Calgary, la stragrande maggioranza dei delegati votò contro una proposta che consentiva di indossare copricapi di ogni tipo negli ambienti in cui si svolgevano le commemorazioni. Uno dei delegati si pronunciò nei seguenti termini: ‘sinceramente credo che ogni persona in Canada abbia la nausea e sia stanca di questi diritti umani. Piuttosto, dove sono i nostri diritti umani?’ Tre giorni prima del cinquantesimo anniversario della conquista della Normandia e, nel giorno in cui la regina Elisabetta II dedicava un nuovo monumento ai caduti canadesi, il Globe and Mail riportò in prima pagina che a Calgary, mentre si vietava agli ex combattenti sikhs o ebrei di indossare il turbante o la kippah, si consentiva che venisse indossato il cappello di cowboy durante eventi come il Calgary
Stampede. La replica fu che quei cappelli erano ammessi perché riflettevano l’orgoglio di
appartenere alla tradizione occidentale”; “Il 29 novembre del 1993, nella periferia di Logueil a Montréal, il giudice del tribunale locale Richard Alary espelle dall’aula giudiziaria una donna musulmana che indossava l’hijab. Nella prospettiva del giudice, la regola che vieta di indossare copricapi deve essere ritenuta prevalente sulla libertà di religione garantita dalla Carta dei diritti e delle libertà canadesi”; si tratta di alcuni degli episodi che Neil Bissoondath riporta nel suo testo di carattere autobiografico, N. Bissoondath, Selling Illusions: The Cult of
Multiculturalism, cit. pp. 46-‐47 e 50.
316 “Gli appellanti sostengono che la garanzia costituzionale della libertà religiosa è violata quando i membri della società sono costretti a interagire o a confrontarsi con poliziotti che indossano, come parte dell’uniforme statale, un simbolo religioso che dimostra la fedeltà dell’ufficiale ad un gruppo religioso diverso da quello cui appartiene il particolare soggetto che vi si rivolge”, Ibidem, p. 30.
317 “La libertà si caratterizza, prima di tutto, per l’assenza di coercizione o di costrizione. Se una persona è costretta dallo stato o dalla volontà altrui ad un corso di azione o di inazione che altrimenti non avrebbe scelto, non può dirsi che questa persona stia agendo in ragione della sua volontà e, dunque, non può ritenersi veramente libera. Uno dei maggiori obiettivi della Carta è la protezione, entro limiti ragionevoli, dalla coercizione e dalla limitazione di un diritto”, Big M
coercizione nell’imposizione maggioritaria della scelta tra il diritto di esercitare e professare la propria religione e il diritto di svolgere la propria attività lavorativa, in un’assenza di libertà che deriva dalla minaccia di una sanzione.
“Nel caso dell’interazione tra un membro della società pubblica ed un ufficiale di polizia che indossa un turbante, non vedo alcuna coercizione o costrizione sul soggetto che possa risolversi nell’imposizione a quest’ultimo della partecipazione, dell’adesione o della condivisione delle credenze o delle pratiche religiose del pubblico ufficiale. La sola azione che si richiede è l’osservazione. Ovvero la persona sarà richiesta di prendere atto dell’appartenenza religiosa del pubblico ufficiale. Non posso concludere che la sola osservazione, anche nel contesto di una situazione in cui l’ufficiale di polizia stia esercitando i propri poteri di mantenimento dell’ordine pubblico, costituisca una violazione della libertà religiosa dell’osservatore”318.
Per il giudice d’appello, non ha alcuna tenuta neppure la deduzione della violazione dell’art. 7 della Canadian Charter, giacché la libertà e la sicurezza dei canadesi non potrebbero essere in alcun modo limitate dalla circostanza che lo svolgimento del servizio pubblico da parte di ufficiali sikh includa per questi l’esercizio della libertà di religione319. Piuttosto contraddittoria risulta
l’eccezione di incostituzionalità che ha per oggetto il principio di eguaglianza incorporato nell’art. 15 della Canadian Charter, poiché, se con le precedenti deduzioni di illegittimità costituzionale è stato contestato in radice il fondamento della “reasonable accomodation”, non v’è ragione che gli attori invochino l’argomento della disparità per sostenere che l’accomodating
diversity non può ammettersi perché estesa esclusivamente ai sikh.
Quest’ultimo rilievo, inoltre, viene giudicato inconferente con riguardo alla disciplina contenuta nel regolamento della RCMP che, per ciascun soggetto che presta la propria attività alle dipendenze del corpo di polizia, prevede la possibilità di richiedere un’“exemption” per motivi religiosi.
L’aspetto di grande interesse è costituito dall’invocazione della clausola interpretativa di cui all’art. 27 Cost., poiché l’eccezione di incostituzionalità
318 Grant v. Canada, p. 32.
319 “Una non meno significativa difficoltà si riscontra con riferimento all’argomento dell’art. 7 della Canadian Charter, giacché la prova che è stata allegata a supporto di tale deduzione può essere descritta come speculativa e vaga. Non vi è alcuna dimostrazione del fatto che qualcuno sia stato ‘privato’ della propria ‘libertà e sicurezza’ da uno dei due ufficiali della RCMP che indossavano il turbante (…) La prova prodotta dagli attori ha carattere meramente teorico e speculativo. L’asserzione che una visibile manifestazione della fede religiosa del pubblico ufficiale sikh, mediante una parte della sua uniforme, determina una ragionevole paura di condizionamento non è basata su alcuna prova concreta”, Ibidem, p. 34.
avente per oggetto la “reasonable accomodation”, con riferimento a questa disposizione, si fonda sull’argomentazione secondo la quale uno stato che consente ai credenti religiosi sikh appartenenti alle forze dell’ordine di indossare il turbante non soltanto agirebbe in contrasto con gli artt. 2, 7 e 15 della Canadian Charter, ma anche con il principio ermeneutico che prevede che tutte le disposizioni in essa contenute devono essere interpretate in un senso compatibile con la valorizzazione e il rafforzamento del patrimonio multiculturale canadese. La difesa di Grant ripropone la posizione del giudice Deschamps in Bruker v. Markovitz radicalizzando l’associazione dell’istanza multiculturalista alla presupposta neutralità dello stato320. Su quest’ultima
eccezione, la Corte non si pronuncia neppure affermando che l’uso dello strumento previsto dall’art. 27 della Carta Canadese non deve essere utilizzato nel caso di specie per la ragione costitutiva che il rigetto delle altre eccezioni di incostituzionalità è pacifico. Anche questa decisione mette a confronto la concezione pseudo-‐culturalizzante dei ricorrenti che identifica nell’atto di indossare la khalsa un’usanza culturale o perfino nazionale321, destinata a
soccombere di fronte ad un preteso “public right”, e la prospettiva del Chief
Justice che non pone in dubbio lo statuto religioso della pratica. E’ interessante
che si contesti una pratica di accomodation la cui determinazione non sfocia nelle maglie di una controversia giudiziaria e che, dunque, verosimilmente richiederebbe l’analisi imposta dall’art. 1 della Canadian Charter, ma, piuttosto, si mette in discussione una parte del regolamento della Royal Canadian
Mounted Police che ha evidentemente già incorporato un bilanciamento degli
interessi rilevanti e che si colloca nel solco di un programma di affirmative
actions. L’apertura su questa pronuncia non ha inteso sovradimesionare
l’azione giudiziaria dei tre poliziotti pensionati che hanno dato impulso alla causa, prendendosi la briga di convenire in giudizio il Procuratore Generale Canadese, l’Avvocatura dello Stato e il Capo della Royal Canadian Mounted
Police, ma piuttosto è indicativa di una prospettiva soggettiva che lega
320 “Le prove dimostrano che non vi è niente di costitutivamente contraddittorio in una democrazia liberale che conferisce supporto ad una o più tradizioni religiose”, Ibidem, p. 9.
contraddittoriamente la tutela della libertà religiosa, dell’eguaglianza, e del multiculturalismo alla mera discriminazione.
5. Il Loyola case: laicità e pluralismo religioso
I rilievi relativi a questo caso non nascono dall’interpretazione di una sentenza della Corte Suprema canadese, che, a tutt’oggi, le parti in causa e le voci più autorevoli del dibattito in materia di libertà religiosa sviluppatosi in Québec attendono, ma sono il frutto della problematizzazione delle prospettive presentate nel corso di tre giornate di studio sulla diversità religiosa organizzate dalla Facoltà di giurisprudenza della McGill University e dal Loyola
Institute, tenutesi a Montréal il 3, il 4 e il 5 ottobre del 2013322.
Per espressa disposizione costituzionale, gli stati canadesi possono supportare con fondi pubblici le "private denominational schools"323. Nel quadro di un
complessivo intento legislativo di “deconfessionalizzazione” del Québec, il Ministro dell’Istruzione ha introdotto nel regolamento di esecuzione della Legge in materia di istruzione una modifica tesa ad introdurre nel programma curriculare del primo biennio di scuola secondaria superiore, un insegnamento obbligatorio denominato “Ethique et Culture Religieuse”. Secondo i fini del programma ministeriale, la previsione di tale disciplina ha l'obiettivo di affermare la neutralità delle istituzioni scolastiche e di promuovere il benessere comune e il dialogo e, dunque, deve avere portata generale, estendendosi anche alle scuole di orientamento confessionale. Il 7 agosto del 2007, il Loyola High
School chiede al Ministro un’esenzione dall’applicazione dell’art. 22 del Règlement d’application de la Loi sur l’enseignement privé, ovvero chiede di non
attuare il Programme ÉCR, ma la domanda viene rigettata. Il 21 agosto del 2007 l’istituto gesuita reitera la richiesta di esonero attenendosi con maggiore aderenza al disposto della norma e proponendo un programma di insegnamento della materia “Ethique et Culture Religieuse” di carattere
322 Religious Freedom in Education, A Pluralism, Religion & Public Policy Symposium, McGill University, Montréal, Québec, October 3rd-‐5th, 2013.
323 “Nothing in this Charter abrogates or derogates from any rights or privileges guaranteed by or under the Constitution of Canada in respect of denominational, separate or dissentient schools”, s. 29, Canadian Charter of Rights and Freedoms.