LA TUTELA DEI DIRITTI IDENTITARI NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE SUPREMA CANADESE
3. Bruker v Markovitz Il “multicultural imprinting” consente un’interpretazione oggettivistica della libertà religiosa?
Nell’orientamento sviluppato in Amselem si radica uno dei principali elementi di continuità in rapporto all’opinione maggioritaria della Corte Suprema canadese in Bruker v. Markovitz288.
La pronuncia è particolarmente interessante in quanto pone a confronto due diverse concezioni dell’istanza multiculturalista. Il Chief Justice Abella descrive il multiculturalismo con il termine “journey” ovvero un processo in evoluzione che interessa la società canadese nel suo complesso:
“Il Canada è a buon diritto fiero del progressivo processo di inclusione che si indirizza verso la diversità e le istanze pluralistiche. Questo percorso ha compreso una crescente valorizzazione del multiculturalismo che ha implicato che le differenze etniche, religiose e culturali debbano essere riconosciute e tutelate. Previsto in strumenti normativi, che vanno dalle previsioni codicistiche in materia di diritti della persona alla garanzia costituzionale della Carta Canadese dei Diritti e delle Libertà, il diritto di ogni individuo di ‘integrarsi’ nella società di maggioranza, con le proprie differenze, e non soltanto a dispetto di queste, è divenuto una parte costitutiva del nostro carattere nazionale”.289
Il giudice Deschamps, dissenting opinionist, fornisce una concezione statica del multiculturalismo, nella quale il carattere multiculturale dell’ordinamento si
288 “Sebbene questi casi attengano al contesto costituzionale canadese, ritengo che le questioni che ne derivano siano di più ampio interesse filosofico e costituzionale, e possano applicarsi ad ogni ordinamento costituzionale che riconnette le garanzie della libertà religiose alla necessità di predisporre forme di accomodation”, D. Weinstock, Beyond Objective and Subjective: Assessing
the Legitimacy of Religious Claims to Accomodation”, Les ateliers de l’éthique/The Ethics Forum,
vol. 6 n. 2, anno 2011, p. 158.
lega alla neutralità dello stato rispetto alla religione, posto che “l’adesione del Canada al multiculturalismo e i valori fondamentali costituiti dalla libertà di coscienza e di religione e dal diritto all’eguaglianza garantiscono a tutti i canadesi e le canadesi che le Corti si mantengano neutrali rispetto ai precetti religiosi”290.
“La riserva manifestata dalle Corti civili con riguardo alle questioni di carattere religioso consente loro non soltanto di limitare la loro azione alle norme che sono espressamente chiamate ad applicare, ma anche di mantenere una neutralità che è indispensabile in una società pluralista e multiculturale”291.
Bruker v. Markovitz, prima facie, può essere considerata come una pronuncia che incorpora una prospettiva della libertà religiosa difforme rispetto a quella sviluppata in Amselem, ma non nell’orizzonte di un’analisi che tragga dalla centralità dell’istanza pluralista tutte le implicazioni coerenti con l’orientamento giurisprudenziale inaugurato in Big M Drug Mart Ltd.
La vicenda processuale ha ad oggetto la richiesta di risarcimento della signora Bruker nei confronti del signor Markovitz, avanzata in ragione del fatto che quest’ultimo, per un tempo di quindici anni, dalla pronuncia della sentenza di divorzio emessa dal Tribunale di Montréal sino all’instaurazione del giudizio di primo grado, si era rifiutato di concedere il get, ovvero il divorzio rituale che il marito ebreo accorda alla moglie ebrea per consentirle di contrarre liberamente nuove nozze. Se il get non viene accordato, la donna viene ritenuta un’‘agunah’, una persona "incatenata", e i figli che nascano da un successivo matrimonio sono considerati “mamzer”, ovvero illegittimi. Nel caso in discussione, il diniego del get infrangeva l’articolo 12 di un accordo di divorzio, volontariamente stipulato dai coniugi al fine di regolare le obbligazioni di mantenimento e la custodia dei figli, che, nondimeno, prevedeva l’assunzione da parte di Markovitz dell’impegno a formalizzare il get davanti al tribunale rabbinico di Montréal in tempo persino antecedente al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio. Bruker ricorre alla Corte Suprema canadese avverso la decisione della Corte d’Appello del Québec che, accogliendo la tesi della
290 Ibidem, p. 648. Nella terza parte del presente lavoro, si evidenzierà come questa sarà la visione che i promotori della Charte des valeurs, in adesione al modello francese di una laicità di stampo nazionalistico, richiamano nel corso dei dibattiti parlamentari.
difesa della controparte, aveva ritenuto che la liquidazione del risarcimento alla signora per i danni patiti in conseguenza della costanza del matrimonio religioso, sulla base del disposto dell’art. 3 della Carta dei diritti e delle libertà del Québec, costituisse una lesione della libertà religiosa dell’ex-‐coniuge. Il giudice di primo grado, invece, aveva ritenuto che la condotta del marito integrasse non soltanto un inadempimento di un’obbligazione civile contratta a mezzo dell’accordo di divorzio, ma anche la violazione della norma di cui all’art. 21 comma 1 della Legge sul Divorzio del Québec, che aveva recepito una modifica legislativa tesa a scoraggiare il diniego del get a fronte del divorzio civile.
L’altro elemento interessante della decisione che emerge dalla ricostruzione del percorso logico-‐argomentativo sviluppato nell’opinione maggioritaria e nella
dissenting opinion è l’opposto uso della citazione di Amselem. Deschamps astrae
dalla pronuncia i passi che sostengono un obbligo di non ingerenza dello stato e della Corte in materia religiosa al fine di configurare il get come una scelta ascrivibile al libero esercizio del diritto di religione; Abella, invece, ne riporta la concezione della libertà religiosa come diritto che riceve fondazione in un ordinamento costituzionale laico, al contempo improntato all’inclusione e al pluralismo religioso, e rafforza le sue posizioni attraverso il riferimento a Big M
Drug Mart Ltd.
Deschamps non riproduce il parametro che Jacobucci aveva indicato quale unica soluzione derivante dal vaglio obbligato della sincerity of belief, ovvero la buona fede. Come si è visto in precedenza, in Amselem, il Chief Justice aveva esplicitamente affermato di non potersi esimere da un’indagine sull’autenticità del sentimento religioso dei ricorrenti, per la ragione costitutiva che tale verifica era imposta dall’oggetto della causa, ma, come si è visto, aveva escluso l’applicazione di un judicial test che raccordasse l’adesione soggettiva del credente o di un singolo gruppo di credenti all’esistenza di un dogma religioso inquadrabile come oggettivamente vincolante. L'ossatura della dissenting
opinion di Deschamps in Bruker v. Markovitz si regge proprio sull'attribuzione a
Jacobucci di una “concezione oggettivistica” della libertà religiosa, anche se il ragionamento del giudice non può essere compresso nelle maglie dell’opposizione separatista stato-‐religione poiché questo precluderebbe
l’affermazione di un impegno attivo dell’ordinamento canadese nella promozione del pluralismo religioso. La Corte Suprema esclude che Markovitz, non avendo mai fornito alcuna motivazione di carattere religioso a sostegno del suo rifiuto di accordare il get, abbia agito in buona fede e sostiene che l’obbligazione religiosa costituisca oggetto di un’obbligazione civile contratta dall’ex-‐coniuge nel quadro di un accordo di natura civilistica volontariamente stipulato. L’argomento sviluppato da Deschamps crea una sovrapposizione tra la generica situazione di un marito ebreo coartato dallo stato a concedere il get e il caso di specie. In questa prospettiva, si eccepisce l’incostituzionalità dell’art. 21 della Legge sul divorzio del 1990, in quanto si ritiene che detta disciplina configuri un’ingerenza statale nella materia religiosa. Focalizzando l’attenzione esclusivamente sul dato legislativo richiamato o assumendo l’ingerenza statale in materia religiosa senza i correttivi che la vicenda di fatto impone, si finirebbe per contrapporre Amselem v. Syndicat Northcrest a Bruker v. Markovitz nel presupposto che la prima decisione sviluppa una prospettiva soggettivistica della libertà religiosa che la seconda pronuncia travolge.
Accantonando per un istante gli argomenti tecnico-‐giuridici utilizzati dalla Corte per dimostrare che al rifiuto del get consegue anche il dispiegamento di effetti civili, si potrebbe sostenere che la Corte non può scandagliare le ragioni della persistenza del diniego del divorzio religioso così come in Amselem non ha verificato che le modalità di svolgimento dello succot fossero conformi ad una prescrizione religiosa. Ma, in realtà, questa assimilazione è cedevole se rapportata al profilo delle situazioni giuridiche soggettive che vengono in gioco nelle due decisioni, in Bruker v. Markovitz, infatti, il riconoscimento del diritto di libertà religiosa di Markovitz destituirebbe di irrilevanza la circostanza che Bruker per quindici anni non ha potuto ricostituirsi liberamente una vita, non davanti alle leggi dello stato del Québec ma in rapporto al gruppo religioso minoritario di appartenenza. Questa pronuncia si contrapporrebbe effettivamente ad Amselem se sconfessasse l’orientamento e il segnale politico di Jacobucci ovvero il riconoscimento del pluralismo religioso e delle istanze pluralistiche all’interno di ciascuna confessione religiosa, nel rispetto di un equo contemperamento tra gli interessi rilevanti. Se lo stato non può certo modificare i dogmi di una confessione religiosa, può invece interpretare e
recepire le istanze di rinnovamento che provengono da una parte degli aderenti a quella confessione religiosa (non solo l’insieme dei rappresentanti istituzionali, ma anche i soggetti più esposti alle conseguenze pregiudizievoli di certe pratiche). La nuova legge québécoise sul divorzio del 1990 nasceva dalla richiesta delle donne ebree che, vedendosi rifiutare il get, con riguardo al proprio ordinamento religioso non si sentivano libere di risposarsi o di avere altri figli. Stante la riscontrata propensione generale degli uomini ebrei a concedere il divorzio rituale, si può ipotizzare che la Corte Suprema rigetta l’argomento dell’incostituzionalità della norma ritenendo che lo strumento legislativo in questione risponda alla tutela della parità di genere e alla protezione di una minoranza nella minoranza. L’istanza multiculturalista non è evocata da Abella come dispositivo di culturalizzazione della libertà religiosa, ma come perno di un ordinamento che incorpora la diversità in senso dinamico e non monolitico, postulando un superamento pattuito di aspetti religiosi non disgiunti dalla disuguaglianza di genere. Non si configura l’antitesi okiniana tra multiculturalismo e femminismo, tra un’istanza di tutela della “cultural
agency”292 in rapporto all’ordinamento maggioritario e al gruppo minoritario
ed un orientamento teorico teso a promuovere nei fatti l’eguaglianza di genere, ivi inclusa la modifica della Legge sul Divorzio del Québec. Is Good
Multiculturalism for Religions?293