LA FRONTIERA DI ESPORTABILITA' DEL MULTICULTURALISMO CANADESE NELLA PROSPETTIVA DEL SUPERAMENTO DELLO STATO
3. La posizione delle istituzioni accademiche rispetto alla Secular Charter
"Administrer un médicament à un patient qui est en sainté, ça pourrait même le rendre malade"
"Questa carta, secondo molti, costituirebbe il riflesso di pregiudizi nutriti da gente di provincia che non avrebbe ancora fatto ingresso nella bella modernità multiculturale della metropoli, una specie di sussulto identitario risalente nel tempo, un vecchio sussulto di un ambiente rurale un poco franco-‐canadese"414.
Con queste parole, Pierre Paul Senechal, esponente di uno degli organismi affiliati al Mouvement national des Québécois, esordiva provocatoriamente nel suo intervento davanti alla Commission des institutions, identificando, a seguito di tale premessa, l'obiettivo della Charte des valeurs nel conferimento di un'identità comune a tutto il Québec e, nondimeno, a città come Montréal. A ben vedere, la provocazione non ha sufficiente tenuta, in quanto, prescindendo dall'opposizione riduttiva provincia-‐urbanità che pure realisticamente nello stato del Québec ha un qualche significato, non può negarsi che i promotori della Carta PQ, non abbiano ancora fatto ingresso nella "bella modernità
413 "This proposed secular charter, which purports to ban the display of ostentatious religious symbols by employees in the public sector, seeks to affirm the neutrality of the state and its secularism. In doing so it infringes freedom of religion, a fundamental right protected under Quebec law, the Canadian Constitution and international human rights law. If enacted, it is likely to be challenged before the courts all the way to the Supreme Court of Canada. Under the court’s existing jurisprudence it would be difficult to sustain the proposed charter’s constitutionality. There is a well-‐known test to determine whether an infringement of a constitutionally protected right is justifiable. I don’t believe this could possibly meet that test.", L. Arbour, intervista per il Globe and Mail, Canada, 12 febbraio 2014.
414 P.P. Senechal, Journal des débats de la Commission des institutions, 30 gennaio 2014, cit., p. 17.
multiculturale della metropoli", intendendosi per "ingresso" non una mera "presenza fenomenologica".
La realtà montréalaise è forse tra le poche al mondo ad avere "interiorizzato" la diversità facendone un aspetto imprenscindibile della formazione scolastica e accademica, e simultaneamente, un elemento costitutivo della relazionalità umana. Per un cittadino straniero, frequentare un'università di Montréal non significa semplicemente venire in rapporto con professori, ricercatori o studenti, ma con la vibrante multiculturalità che caratterizza la città. Le istituzioni accademiche sono la fucina dell'identità multiculturale montréalaise. Come si è accennato a proposito della McGill University, non è un caso che i rappresentanti di questi fecondi luoghi di formazione abbiano interpretato la possibilità dell'avanzamento del progetto contenuto nella Carta come una minaccia per le radici della conoscenza, della ricerca, della libertà in tutte le sue manifestazioni e del rispetto per la diversità.
Guy Breton, rettore dell'Université de Montréal, manifesta inquietudine in relazione al Bill 60 e alla formulazione della sua norma centrale, ribadendo che nell'istituzione accademica la diversità religiosa non costituisce una fonte di tensione, al contrario, lo spirito complessivo del progetto di legge potrebbe ben minare la libertà accademica che "rappresenta il pilastro delle istituzioni universitarie in tutti i paesi democratici"415. E' significativo che Breton fornisca
dati statistici precisi riguardo all'entità dell'organico dell'Università di Montréal, mentre affermi di non conoscere la percentuale degli impiegati che indossano simboli religiosi ostensivi e, nondimeno, di reputare intrinsecamente discriminatorio perfino il reperimento di questi dati. Il rettore, infatti, riferisce che negli ultimi venti anni, in relazione a circa 10.000 impiegati, la direzione delle risorse umane non ha registrato alcuna doglianza relativa al porto dei cosiddetti "signes religieux ostentatoires" e sostiene, invece, che i primati internazionali conseguiti dall'Università di Montréal sarebbero minati da un provvedimento che non riconosce nella diversità culturale e religiosa una ricchezza ed un aspetto imprenscindibile della formazione universitaria e professionale.
"Difendiamo la libertà di pensiero, di espressione e di autodeterminazione nell'esercizio dell'insegnamento e della ricerca. Qui, vengono in rilievo tre elementi: la libertà di espressione, poiché vietare i simboli assolutamente non equivale a libertà; la libertà di pensiero, infatti, l'interdizione dei simboli religiosi nuoce alla libertà di pensiero di chi, secondo la propria coscienza, porta simboli religiosi poiché, in questo caso, la persona dovrà sottomettersi e agire contro la propria coscienza oppure sarà costretta a perdere il lavoro, e ciò non equivale a libertà; l'indipendenza dell'istituzione universitaria nell'esercizio delle funzioni dell'insegnamento e della ricerca che implica, tra le altre cose, la libertà di assumere i professori più qualificati, coloro che promuoveranno il sapere migliore nei rispettivi ambiti, siano essi atei, agnostici o praticanti. Mi faccio portavoce della comunità dell'Université de
Montréal per rappresentarvi che il progetto di legge è contrario allo spirito della nostra
università. Non percepiamo la necessità che ci venga applicato perché, nel nostro istituto, la diversità religiosa non è una fonte di tensione, ma, al contrario costituisce una ricchezza. Mi avvio alla conclusione: l'ho già sostenuto e lo ribadirò, sono un medico e non prescriverei mai un trattamento o una medicina ad un paziente che non è malato dal momento che sommistrare una medicina ad un paziente che è in salute significherebbe pure renderlo malato"416.
La difesa dell'autonomia e della libertà nell'insegnamento e nella ricerca universitaria si è tradotta con la richiesta di un "exemption" dall'applicazione della Carta dei valori.
Nella medesima direzione, si colloca la posizione di Micheline Milot, codirettrice del Centre d'Études EThniques des Universités Montréalaises (CEETUM), uno degli istituti di ricerca più attivi in materia di immigrazione, di integrazione sociale, di convivenza urbana, di relazioni interculturali e processi discriminatori. In prima battuta, per la Prof. ssa Milot, il progetto di legge n. 60 sconfessa la laicità che proclama poiché, dal punto di vista logico, lo "stato neutro rinuncia ad ogni competenza in materia religiosa che gli consentirebbe di decidere sulla giusta interpretazione da attribuire ad una credenza religiosa, ad un simbolo religioso o alla validità della sua espressione"417. L'intervento di
Milot e dell'altra co-‐direttrice del Centro di Ricerca, Deirdre Meintel, mira a restituire ai péquistes, un quadro verosimile degli effetti virtuosi che un approccio inclusivo produce sulla convivenza multiculturale. Secondo gli studi condotti da Meintel, la religiosità dei cattolici del Québéc non residenti nelle città presenta una dimensione di effettiva invisibilità che riceve tregua dal contatto con i credenti di altre religioni.
416 G. Breton, Ibidem, p. 23.
"Già non si sentono liberi di esprimere le loro credenze apertamente. Se la Carta dei valori sarà convertita in legge, ciò non farà che rafforzare il loro silenzio. Peraltro, tra le centinaia di persone originarie del Québec che ho intervistato in questa ricerca, nessuno ha affermato di sentirsi minacciato dalle pratiche religiose 'degli altri' , siano esse visibili o invisibili. In generale, si giunge ad un 'accomodement' reciproco tra immigrati e non immigrati. Le istituzioni, in particolare quelle cattoliche, mostrano prova di grande flessibilità per rispondere alle sollecitazioni derivanti dalle migrazioni e dalle altre sfide della modernità. Per parte loro, i gruppi religiosi minoritari si distinguono per la cura con cui aiutano i loro membri ad adattarsi a questa società, offrendo una varietà di supporti personali, emozionali e psicologici. Inoltre, la religione diviene un linguaggio simbolico che consente loro di riformulare le esperienze migratorie in termini di valorizzazione del sé. Parlando delle donne che portano il foulard, o altrimenti detto velo, la mia collega Géraldine Mossière ha svolto un'indagine tra le donne di origine québécoise che si sono convertite all'Islam. Quelle che hanno deciso di portare il foulard sostengono di aver preso questa decisione liberamente e senza pressione e aggiungono che tale scelta rappresenta una risorsa che consente loro di valorizzarsi attraverso l'intelletto e la personalità e non per il tramite dell'aspetto fisico. Le altre donne musulmane intervistate riportano più o meno lo stesso pensiero, ribadendo che si tratta di una scelta personale, ascrivibile alla loro fede e non equivalente ad un espediente per accrescere i proseliti. Fino ad oggi, abbiamo svolto questa ricerca in 11 moschee"418.
Secondo la codirettrice del CEETUM, non può esservi una cesura tra la società, le istituzioni e i pubblici servizi. "Svolgendo una considerazione di carattere sociologico, si potrebbe aggiungere che una società che si ritiene inclusiva e che concepisce la diversità come una ricchezza, considera normale che la funzione pubblica rifletta questa diversità culturale e assieme religiosa"419. Gli studi
sull'inclusione sociale hanno dimostrato che l'ordinamento giuridico riveste un ruolo fondamentale nella valorizzazione della diversità, in ragione di ciò, l'istituzionalizzazione del "sospetto" nei confronti di coloro che indossano simboli religiosi, può costituire la base di processi di discriminazione e di emarginazione. Tale "sospetto" si fonda sulla presunzione che l'assenza di simboli religiosi identitari costituisca prova di imparzialità, mentre la riscontrabilità di una identificazione religiosa dimostrerebbe l'incapacità della persona di non "assolutizzare" la propria appartenenza e di compiere scelte e valutazioni obiettive. Victor Charles Goldbloom, presidente del "Dialogue
judéochrétien de Montréal" ed ex-‐presidente del Canadian Jewish Congress,
ritiene che il procedimento presuntivo che sottostà al divieto del porto dei
418 Ibidem, p. 7.
419 D. Meintel, Mémoire pour la Commissione des institutions, p. 17, cit. in Journal des débats de la