direzione del superamento del particolarismo dei nazionalismi, ma nel senso anacronistico del paradigma parallelistico dell’esclusione della specificità di una “nazione”, di una “societal culture”.
4. L’istituzionalizzazione dell’istanza multiculturalista
Dopo Yuzyk, il termine “multiculturalismo”, come si è visto, è stato utilizzato da Pierre Eliott Trudeau nel discorso pronunciato di fronte alla House of Commons l’8 ottobre del 1971: “Una politica di multiculturalismo in un contesto bilingue si raccomanda al governo come lo strumento di gran lunga preferibile per assicurare la libertà culturale dei canadesi”.183 Questa dichiarazione viene
generalmente citata per individuare l’affermazione del multiculturalismo come opzione politica, anche se, secondo quanto si è evidenziato, essa rappresenta la risposta alle Raccomandazioni elaborate nel Report e giunge a distanza di ben due anni dalla conclusione dei lavori della Royal Commission. La circostanza che il documento sul multiculturalismo non venga reso pubblico fino all’autunno del 1971, in parte, contraddice la tesi che ne riconduce l’introduzione esclusivamente alla strategia politica del Liberal Party. Un espediente politico transitorio, utilizzato al solo fine di arginare le spinte centrifughe della componente québécoise della popolazione canadese, probabilmente non sarebbe stato calato nel contesto di più ampie politiche culturali incentrate sull’implementazione dell’Official Languages Act184. Lo spostamento verso
l’ipotesi multiculturalista, in questo senso, ha avuto anche la funzione di ridurre la diffidenza degli other cultural groups rispetto alle maggiori concessioni prestate ai franco-‐canadesi.
La sfida che Trudeau si trovò a dover affrontare, a partire dal 1969, concerneva la necessità di depurare il bilinguismo ufficiale della valenza di dispositivo
183 “A policy of multiculturalism within a bilingual framework commends itself to the government
as the most suitable means of assuring the cultural freedom of Canadians”, P.E. Trudeau, House of
Commons Debates, XVIII Legislatura, Terza Sessione, 8 Ottobre 1971, p. 8445.
184 Il 9 settembre del 1969 entra in vigore l’Official Languages Act che sancisce il bilinguismo istituzionale a livello federale e statale.
fondante una cittadinanza di seconda classe per tutti i gruppi non anglofoni o non francofoni. E’ innegabile che nella primissima fase, al livello pre-‐politico, il disegno trudeaniano di uno stato pluralista e multietnico, al di là della formula bilinguistica, conservasse un’investitura privilegiata nei confronti dei “two main
linguistic and ethnic groups”:
“Il dado è tratto in Canada: ci sono due principali gruppi linguistici ed etnici; ciascuno è molto forte e profondamente radicato nel passato, davvero saldamente legato ad una cultura madre, e capace di sommergere l’altro. Ma se i due gruppi collaboreranno al fulcro di uno stato veramente pluralista, il Canada potrà diventare l’invidiata sede di una forma di federalismo che appartiene al mondo del domani. Meglio del melting-‐pot americano, il Canada potrà offrire un esempio a tutti i nuovi stati dell’Asia e dell’Africa che devono individuare le modalità tramite cui governare la loro popolazione multietnica nel rispetto di giustizia e libertà. Quali migliori ragioni per scalzare la lusinga dell’assimilazione agli Stati Uniti? Il federalismo canadese è un esperimento di più grandi proporzioni; esso potrebbe diventare un brillante prototipo per la creazione della futura civilizzazione”.185
Tuttavia, Trudeau e il segretario di stato in carica Gérard Pelletier ritengono che la dicotomia potenzialmente instabile incentrata sul paradigma del biculturalismo e del bilinguismo possa confluire in politiche ispirate al pluralismo culturale. “Multiculturalism” costituisce un equivalente dell’espressione “Cultural Pluralism” utilizzata nel Report del Book IV della
Royal Commission e ribadita dallo stesso Primo Ministro:
“Invero, crediamo che il pluralismo culturale sia la reale essenza dell’identità canadese. Ogni gruppo etnico ha il diritto di preservare e di sviluppare la propria cultura e i propri valori all’interno del contesto canadese. Affermare che abbiamo due lingue ufficiali non equivale a sostenere che abbiamo due culture ufficiali, e nessuna cultura, in particolare, è più ufficiale delle altre”186.
In questa ottica, il biliguismo ufficiale non fonda un presupposto “biculturalismo ufficiale” 187. Il perno del progetto trudeauniano di riscrittura
185 P.E. Trudeau, “New Treason of the Intellectuals” in Federalism and the French Canadians, Toronto, Macmillan, 1968, pp. 178 -‐179. In evidente continuità con la prospettiva della Commissione, si osserva che gli incisi che preludono all’ufficializzazione del multiculturalismo come policy choice riportano elementi assimilazionistici all’interno della prevalente logica di preservazione della diversità culturale.
186 Indeed, we believe that cultural pluralism is the every essence of Canadian identity. Every
ethnic group has the right to preserve and develop its own culture and values within the Canadian context. To say that we have two official languages is not to say we have two official cultures, and no particular culture is more “official” than another”, House of Commons Debates, XVIII
Legislatura, Terza Sessione, 8 Ottobre 1971, pp. 8580-‐8581.
187 La destituzione di fondamento del concetto di ufficialità della cultura non collide con l’implementazione del biliguismo anglo-‐francofono del quale il contestato “Official Languages
dell’identità canadese si lega all’eclissi dell’endiadi “bilinguismo/biculturalismo”188: lingua e cultura non possono considerarsi un
binomio, in futuro il bilinguismo costituirà la cornice del multiculturalismo poiché “il biculturalismo non restituisce adeguatamente il carattere della società canadese; il multiculturalismo ne offre una descrizione più accurata”189.
L’obiettivo della nuova politica coincide con la tutela della libertà culturale, declinata quasi in senso weberiano:
“Siamo liberi di essere noi stessi, ma questa scelta non può essere lasciata al caso. Dobbiamo promuoverla e sostenerla attivamente. Se la libertà di scelta è in pericolo per alcuni gruppi etnici, è in pericolo per tutti. La politica di questo governo consiste nell’eliminazione di tutti i pericoli che attentino a questa libertà e nella salvaguardia di essa”.190
Il quantum di libertà complessiva garantita dal sistema è commisurato alla tutela che l’ordinamento assicura a tutti gli individui e a tutti i gruppi in esso presenti. L’ipotesi multiculturalista trudeauniana, secondo il filosofo della politica Hugh Donald Forbes, si ancora al cosiddetto paradigma psico-‐
dei rappresentanti dei gruppi culturali che sostenevano che la tutela del bilinguismo istituzionale perpetuasse l’impronta dualistica del paradigma delle “two founding races”. 188 René Lévesque denuncia la politica multiculturalista come una “frode verbale” e contesta il fatto che l’assetto bilingue e biculturale caratterizzasse gli stati canadesi, affermando che il Québec ne costituiva l’unico esempio, Le Soleil, 18 novembre 1971, cit. in J. Jaworsky, “A case
study of the Canadian Federal Government’s Multiculturalism Policy", Carleton University, 1979,
p. 84. Robert Bourassa dichiara che la risposta di Trudeau tradisce il mandato originario della B&B Commission e dichiara che il Québec non accetta l’approccio multiculturalista del governo federale, R. Bourassa, “Objections to Multiculturalism”, lettera al Primo Ministro Trudeau, cit. in H. Palmer, Immigration and the Rise of Multiculturalism, Copp Clark, Toronto, 1975, pp. 151-‐52. 189 “Biculturalism does not properly describe our society; multiculturalism is more accurate”, House of Commons Debates, XVIII Legislatura, Terza Sessione, 8 Ottobre 1971, p. 8581.
190 “We are free to be ourselves but this cannot be left to chance. It must be fostered and pursued
actively. If freedom of choice is in danger for some ethnic groups is in danger for all. It is the policy of this governement to eliminate any such danger and to ‘safeguard’ this freedom”, House of
Commons Debates, XVIII Legislatura, Terza Sessione, 8 Ottobre 1971, p. 8546. L'elevazione a modello dell'esperienza canadese non caratterizza la prospettiva del presente lavoro, ma tale approccio non esclude la valorizzazione della sua portata. Il 7 marzo del 2015, in occasione della commemorazione del cinquantesimo anniversario di "Selma", concomitante con l'uccisione da parte della polizia di Madison di un giovane nero, Barak Obama pronuncia delle dichiarazioni che fanno eco al discorso di Trudeau, ribadendo che il razzismo e la discriminazione non riguardano soltanto i blacks, ma affliggono la società statunitense nel suo complesso. Si tratta di un'eco che riflette ben altre onde, una "simmetria capovolta" che marca il rapporto tra la libertà degli individui e dei gruppi non wasp, ed in particolare dei neri, (negata fino alla privazione della vita), e la libertà del sistema (neutralizzata dalla pressione del controllo sociale di stampo razziale).
sociologico191, una concezione nella quale il conflitto tra i “two dominant
groups” e gli "other cultural groups" individua la sua matrice in un dispositivo di
discriminazione che ha origine nel disconoscimento delle culture minoritarie e nella conseguente percezione dei non-‐ French e non-‐ English Canadians di non costituire parte costitutiva del patrimonio culturale canadese e della società canadese. Per tale ragione, l’ideale liberale della neutralità dello stato rispetto alle confessioni religiose deve applicarsi anche alle culture e attraverso una declinazione inclusiva che non ammette una disciplina privilegiativa rispetto alla cultura maggioritaria. Secondo Trudeau:
“Il pluralismo etnico può aiutarci a superare e a prevenire l’omogeneizzazione e la spersonalizzazione della società di massa. I gruppi etnici, con la loro vitalità, possono far sentire ai canadesi di seconda, di terza generazione e delle generazioni successive, di essere in contatto con tradizioni culturali e storiche diverse”192.
Forbes sostiene che “l’attuale identità multiculturale canadese non sia l’effetto fortuito delle politiche trudeauniane, bensì il risultato pianificato di un progetto”. L’azione di governo si riconnette ad un impianto teorico che introduce alla dimensione pubblica della politica l’opzione multiculturalista scevra da aggiustamenti liberali.
Ma si può discutere con minore trionfalismo riguardo ai riflessi concreti degli
statements ufficiali, sintetizzati nei “six programs” e costituenti la risposta
ufficiale del Governo federale alle Raccomandazioni della Commissione193. Il
primo programma, innovando rispetto al lavoro della Royal Commission, consisteva nello stanziamento di fondi finanziari per il supporto di una serie di attività volte a garantire agli immigrati una condizione di cittadinanza attiva, nonché alla realizzazione di programmi di orientamento per i "Newcomers",
191 H.D. Forbes, Trudeau as the First Theorist of Canadian Multiculturalism, in S. Tierney,
Multiculturalism and the Canadian Constitution, University of British Columbia Press,
Vancouver, 2007, p. 28.
192 “Ethnic pluralism can help us to overcome or prevent the homogeneization and depersonalization of mass society. Vibrant ethnic groups can give Canadians of the second, third, and subsequent generations a feeling that they are connected with tradition and with human experience in various parts of the world and different periods of time”, Ibidem, p. 8580. 193 Federal Government, “Response to Book IV of the Report of the Royal Commission on
Bilingualism and Biculturalism”, documento contenuto in House of Commons Debates, XVIII
all’agevolazione di scambi culturali e all’istituzione di "centri multiculturali". Il secondo concerneva la necessità di avviare una ricerca sul rapporto tra la lingua e lo sviluppo della cultura, in quanto ai risultati di tale studio erano subordinate le iniziative del governo concernenti l’istituzione di una terza lingua di insegnamento194. Gli esiti del Non Official Languages Study,
differentemente da quanto stimato, giungono nel dicembre del 1974 e mostrano una recessione nell’uso della lingua madre tra le nuove generazioni di immigrati che, senza sorpresa, offre al Ministro per il Multiculturalismo in carica, John Munro, la base per rigettare la richiesta di introdurre la terza lingua d’insegnamento nelle scuole pubbliche195. Nel terzo programma, il Governo si
impegna a commissionare la redazione di testi che indurranno nella popolazione canadese la consapevolezza del ruolo fondamentale che diversi “ethnic groups” hanno rivestito nella storia canadese e, nel quarto, sostiene l’importanza di studi e di programmi di ricerca che concernano le “other
cultures.” Non sottoposta a condizione, invece, è l’istituzione di corsi speciali di
insegnamento della lingua francese o della lingua inglese per gli allievi che non ne abbiano una conoscenza sufficiente. Nell’ultimo programma, si dispone che le agenzie culturali federali dovranno essere supportate nell’implementazione delle raccomandazioni della Royal Commission e che speciali finanziamenti saranno ad esse devoluti. A proposito della richiesta di introduzione di trasmissioni radio-‐televisive in lingue diverse da quelle ufficiali, si aggiunge che il Canadian Broadcasting Corporation non ha accolto i presupposti della raccomandazione contenuta nel Libro IV, che muoveva dal riconoscimento di spazi per altre lingue nella vita canadese, e si è rifiutata di superare i limiti al loro uso nelle trasmissioni radio-‐televisive196.
L’annuncio di questo documento programmatico fu salutato con favore dagli “other cultural groups”, ma anche con una reazione di insoddisfazione dovuta alla vaghezza dei proclami e all’esiguità dei fondi stanziati per la realizzazione
194 Il Governo aggiunge che fino al termine della ricerca, il supporto del governo federale sarebbe consistito nella fornitura di libri di testo e nella diffusione di materiale audio-‐visivo nelle scuole.
195 K.G. O’Bryan, J.G. Reitza, O.M. Kuploska, Non-‐Official Languages: a Study in Canadian
Multiculturalism, Supply
and Service, Ottawa, 1976, pp. 164 -‐177.
196 Federal Government, “Response to Book IV of the Report of the Royal Commission on
delle politiche illustrate, pari a 3 milioni di dollari per il periodo compreso tra il gennaio 1972 e il marzo 1973. 197 Se si prende in considerazione il tenore della
formulazione dei six programmes e il loro impatto effettivo circa l’istituzione della terza lingua di insegnamento e l’introduzione di trasmissioni radio-‐ televisive in lingue non ufficiali, o il dato dell’istituzione di un Ministero per il Multiculturalismo senza portafoglio che deve il suo effettivo funzionamento al collegamento con le agenzie culturali federali, sembra che l’elevazione del multiculturalismo a politica pubblica subisca un significativo ridimensionamento. Pur alla luce di questi elementi, si può sostenere che detto ridimensionamento non equivalga ad un “tokenism”198, ma nelle scelte di
Trudeau, concerna le istanze più propriamente culturaliste.
Si è evidenziato che il multiculturalismo nasce come processo rivendicativo degli “white european groups”, degli immigrati di seconda, terza o quarta generazione, che non proviene dai “newcomers” e che si incentra su richieste che pertengono alla salvaguardia della cultura e della lingua d’origine. Si osserva, a questo punto dell’analisi, che la risposta del Primo Ministro non circoscrive i propri destinatari e cala la domanda di riconoscimento entro l’ordine delle disuguaglianze sociali ed economiche. Del resto, come è stato evidenziato nella parte iniziale del presente lavoro, il primo livello di implementazione istituzionale dell’istanza multiculturalista si riconduce alla radicale revisione delle politiche in materia di immigrazione e cittadinanza. Tra gli strumenti che sovraintendono all’elevazione del multiculturalismo come politica pubblica, sul piano programmatico e sulla scorta dell’argomento socio– psicologico dell’ipotesi multiculturalista, Trudeau colloca misure volte a contenere le reazioni sfavorevoli della maggioranza rispetto al mutamento della composizione culturale della società canadese a seguito dei nuovi e crescenti flussi migratori. Nel celebre statement del 1971, come si è sottolineato in precedenza, il Primo Ministro si è riferito genericamente all’esigenza di
197 Cfr. B. Bociurkiw, “The Federal Policy of Multiculturalism and the Ukrainian-‐Canadian
Community” in M. R. Lupul (a cura di), Ukrainian Canadians, Multiculturalism and Separatism: an Assessment, cit., pp. 109-‐112.
198 Nella lingua inglese, l'espressione ha una valenza spregiativa e indica “la pratica consistente nell’accordare concessioni formali a minoranze o a gruppi sottorappresentati, per produrre l’impressione di equità e rispetto delle pari opportunità”, G. Ragazzini, Dizionario, Inglese – Italiano, Italiano-‐Inglese, Zanichelli, Bologna, 2005.
“superare le barriere culturali che ostacolano la piena partecipazione di tutti alla società canadese”, ma, nel documento di accompagnamento, ha precisato che la premessa del conseguimento di tale obiettivo doveva consistere nella previsione di politiche antidiscriminatorie. Nel quadro dell’approccio socio-‐ psicologico, Trudeau allude alla presenza di barriere più sottili che non possono essere neutralizzate attraverso l’intervento legislativo: “La legge può proteggere e proteggerà gli individui dalla discriminazione manifesta, ma barriere impalpabili impediscono l’ingresso nella nostra società”, per tale ragione “ogni canadese deve contribuire al senso di inclusione e di appartenenza199”.
Non è un caso che la raccomandazione della Royal Commission, in relazione a cui Trudeau ha articolato una compiuta risposta, abbia ad oggetto l’invito verso gli stati canadesi, che non avevano ancora messo in atto eque politiche d’impiego, ragionevoli pratiche di accomodation o discipline che in materia di edilizia abitativa vietassero la discriminazione a causa della razza, del credo religioso, della nazionalità, dell’origine, del luogo di provenienza, di provvedere in tal senso”200. Dal concorrente intervento federale in questa materia ha avuto
inizio la complessiva strategia politica incentrata sul modello delle affirmative
actions, la cui tappa ultima è rappresentata dall’Employment Equality Act del
1986, entrato in vigore sotto Brian Mulroney, ma concepito nei suoi aspetti fondanti da Trudeau. In assenza di una Patriation Constitution, di grande rilievo, è stato anche l’Human Rights Act del 1977 che, in linea con il Patto Internazionale sui diritti civili e politici del 1966, ha istituito la Canadian
Human Rights Commission, incaricata di sanzionare ogni discriminazione
perpetrata in ragione della razza, della nazionalità, dell’etnia d’origine o del colore. Se la nostra Corte di Cassazione Penale, nella sentenza n. 1520/2008, in riferimento alla vicenda Kassam, definisce l’ordinamento italiano “integrazionista-‐inclusionista”201 in ragione della previsione della circostanza
199 Federal Government, “Response to Book 4 of the Report of the Royal Commission on
Bilingualism and Biculturalism”, cit.
200 Royal Commission on Bilingualism and Biculturalism, Final Report, Libro IV, Recommendation I, cit.
201Cass. Pen., Sez. IV, Sent. n. 1520/2008, p. 4. La vicenda Kassam, riguardava un soggetto, imputato per i delitti di maltrattamento, violenza sessuale, sequestro di persona ai danni della moglie e per il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare in pregiudizio della
aggravante “della finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso”, stabilita dall’art. 3 comma 1 del d.l. 122/1993 convertito nella legge n. 205/1993, nel contesto delle aperture multiculturaliste, non sarà dissonante la citazione dell’introduzione nel codice penale canadese della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 319, che “vieta le espressioni di odio verso gruppi identificabili”. La norma, introdotta su proposta di Trudeau, può connotarsi in senso prevalente simbolico, ma afferma precocemente l’idea che una delle limitazioni alla libertà di manifestazione del pensiero possa fondarsi sul presupposto di una società inclusiva delle diverse appartenenze.
L’approccio multiculturalista diventa un tassello fondamentale nella strategia di riconfigurazione della cittadinanza in “Participatory Citizenship”, in una pratica che, oltre a raccordarsi all’appartenenza nazionale, include l’identità culturale. Ma la logica multiculturale come perno della costruzione del futuro ordinamento costituzionale e di un nuovo modello federale, unitamente all’ampliamento della base partecipativa, si riconduce all’intuizione di una necessaria riconfigurazione dell’equilibrio istituzionale nei termini di un ridimensionamento della caratterizzazione maggioritaria della forma democratica e dell’espansione del ruolo delle Corti giudiziarie. Questo transito, come porrà in evidenza, riceverà piena realizzazione con l’entrata in vigore della Carta dei diritti e delle libertà del 1982 che offrirà un fondamento costituzionale all’istituzionalizzazione dell’istanza multiculturalista, ufficialmente promossa con il Canadian Multiculturalism Act del 1988.
5. La costituzionalizzazione dell’istanza multiculturalista
Se si legge l’approvazione della Canadian Charter del 1982 in continuità con le scelte politiche praticate nel ventennio precedente, risulta evidente che essa riproponga fisiologicamente e consacri lo slittamento della logica bifronte verso la prospettiva pluralista. La battaglia per una formula federale volta ad assicurare l’indipendenza e la sovranità del Québec che, fino a quel momento,
moglie e dei figli, nei confronti del quale il difensore invoca come causa scriminante il fattore culturale. La Corte rigettando il ricorso, si addentra in una scivolosa digressione sul mutliculturalismo, definendo il sistema giuridico italiano un ordinamento “mistilinea”, e non assimilazionista, proprio in ragione della previsione della richiamata circostanza aggravante.