LA FRONTIERA DI ESPORTABILITA' DEL MULTICULTURALISMO CANADESE NELLA PROSPETTIVA DEL SUPERAMENTO DELLO STATO
2. La sconfessione del perno del paradigma pluralista della tutela soggettiva
L’intento degli estensori, dunque, consiste nella “istituzione” di una “framework
accomodation” che, in quanto estrinseca rispetto alla cornice costituzionale
preesistente, individua il proprio referente nel “conflitto di valori”, piuttosto che nel “conflitto di diritti”. Nel quadro di tale approccio degiuridicizzante, è naturale che il parametro di valutazione della “reasonableness” non siano le Carte costituzionali o la giurisprudenza canadese dell’ultimo trentennio, ma, piuttosto, ciò che i sostenitori della Secular Charter definiscono gli “shared
values” e i “core community values”. Il disconoscimento della genesi
costituzionale della “reasonable accomodation” adombra il rapporto di complementarietà che tale pratica intrattiene con l’istanza di effettività del principio di eguaglianza sostanziale, in quanto, come si è visto, la predisposizione del meccanismo costituzionale del “section 1 approach” ha operato anche allo scopo di eliminare la discriminazione degli individui in relazione a tutti i fattori incorporati dall’art. 15 della Canadian Charter o dall’art. 10 della Charte Québécoise. La matrice giuridica dell’accomodating, dunque, si pone in netto contrasto con la logica dell’ipostatizzazione delle categorie soggettive e con la precostituzione di un filtro selettivo che ha per oggetto i titolari dei diritti individuati come portatori di valori diversi da quelli della maggioranza. Il mutamento della destinazione finalistica della “reasonable
accomodation” implica che gli “shared values” siano concepiti come un obiettivo
sovraordinato rispetto alla tutela soggettiva, piuttosto che come uno strumento funzionale ad un approccio garantistico. Come si è evidenziato, la portata assiologica del multiculturalismo, in numerose pronunce della Corte Suprema e nelle multicultural policies, ha rappresentato la premessa extra-‐giuridica della tutela degli individui appartenenti a gruppi diversi da quello maggioritario. Lo svuotamento della natura giuridica dell’accomodating ben si accorda alla pretesa esigenza di formalizzarne l’applicazione e allo snaturamento del carattere casistico della pratica396. Nel parere della Commission des droits de la
396 Cfr. Commission des droits de la personne et des droits de la jeunesse, Commentary on the government position paper, cit., p. 11
personne et des droits de la jeunesse, il divieto del porto dei simboli religiosi non
supera il vaglio del “reasonableness test”, secondo il quale l’adozione della misura debba essere giustificata da un’esigenza urgente e reale, ritenuta insussistente nel caso specifico. L’assenza di una situazione oggettiva di pregiudizio elimina il passaggio alla verifica degli altri requisiti, costituiti rispettivamente dalla sussistenza di una connessione ragionevole tra la misura e la lesione degli interessi che ne impongono l’assunzione, dalla proporzionalità della misura rispetto all’obiettivo perseguito e dalla prevalenza degli aspetti favorevoli della misura su quelli limitativi.
“Sotto l’art. 9. 1 della Carta dei diritti e delle libertà, la legge può porre limiti all’esercizio delle libertà e dei diritti. Se tale limite vìola una libertà fondamentale, lo stato deve in ogni caso essere capace di giustificarlo, diversamente, tale restrizione sarà giudicata incompatibile con la Carta. Le Corti hanno stabilito l’approccio congruo nella deduzione della giustificazione. Lo stato deve essere nella condizione di dimostrare che l’obiettivo perseguito è urgente e reale; che la misura in oggetto è razionalmente legata all’obiettivo perseguito; che i mezzi utilizzati sono proporzionali all’obiettivo e gli effetti favorevoli della misura sopravanzano quelli negativi. La Commissione ritiene che il divieto proposto non supera questo vaglio”397.
Il nucleo costitutivo dell’accomodating, convergente nel bilanciamento degli interessi rilevanti, è aggredito dagli effetti della trasposizione della “reasonable
accomodation” in “religious accomodation”. Tale scivolamento determina
un’apprezzabile restrizione del versante di tutela dei diritti soggettivi, in quanto l’attuazione del principio di eguaglianza sostanziale viene concepita con esclusivo riferimento al fattore religioso. L’enfasi sull’inibizione della “undue
hardship”, connessa alla religione, affievolisce la portata antidiscriminatoria
delle “Equality Clauses” comprese nelle Carte costituzionali, producendo quello che la Commissione definisce l’effetto della “gerarchia dei diritti”398. Anche in
questa ipotesi, si evidenzia che, mentre le gerarchie assiologiche, nel quadro dell’operazione di concretizzazione dei principi di diritto, operano come agenti selettivi nella determinazione dell’interesse prevalente, il concetto di gerarchia dei diritti involge un profilo di anticostituzionalità che sovverte la base casistica del bilanciamento, precostituendo la relazione tra diritti e piegandola entro l’involucro dei valori.
397 Ibidem. 398 Ibidem, p. 18.
L’irrigidimento si estende alla proposta di modificare le linee costituzionali che definiscono la “undue hardship” attraverso la previsione che, ogniqualvolta ricorra una richiesta di accomodating riguardante un’istituzione pubblica, non possa transigersi sul suo carattere religiosamente neutrale, sulla sua natura secolare e sulla separazione tra stato e chiesa. La volontà di introdurre tale parametro si lega alla compressione della “reasonable accomodation” entro la versione ideologizzata di “religious accomodation”, poiché l’interpretazione giurisprudenziale costituzionalmente conforme di “undue hardship”, già ampiamente consolidata, individuava come unici limiti dell’accomodating l’insorgenza di costi proibitivi, la produzione di una significativa interferenza con l'attività di un ente o di un'organizzazione ed un’effettiva violazione dei diritti altrui.
“La neutralità religiosa così come la separazione tra stato e chiesa sono concepiti come mezzi per garantire la libertà di coscienza e di religione di tutti i soggetti e per assicurarne l’eguaglianza sostanziale. Se restrittivamente interpretati, i diritti fondamentali e le libertà degli impiegati pubblici e di coloro che si avvalgono dei pubblici servizi sono a rischio. A dispetto dell’obiettivo fissato dal governo, la restrizione della reasonable accomodation fondata su motivi religiosi, non disgiunta dall’esclusione di essa dall’ambito delle pubbliche istituzioni senza un sostanziale fondamento, si pone in contrasto con la giurisprudenza dei decenni precedenti e collide con la laicità dello stato”399.
L’operazione contenuta nella Secular Charter presenta un evidente risvolto di incostituzionalità non soltanto con riferimento al sistema di tutela della diversità religiosa, ma, come si è evidenziato, in relazione all’estensione e all’ambito di applicazione del più ampio principio della “Substantive Equality”. La proposta contenuta nel Projet de loi n. 60, oltre a comportare una condizione di disparità sostanziale nell'accesso al lavoro, attraverso la disarticolazione della "reasonable accomodation", implica l'imposizione di una condotta che avrebbe potuto verosimilmente costringere i soggetti interessati dal divieto ad abbandonare il proprio incarico professionale. La declinazione astratta del principio della parità di genere prevale sull'effettiva promozione di pari opportunità sociali ed economiche entro un approccio che torce l'eguaglianza di fatto nella formalizzazione di una relazione gerarchica o disgiuntiva tra i fattori di discriminazione. Si pretende di rimuovere la disparità di genere
vietando di indossare il velo, identificato come motivo di discriminazione sessuale, ma si esclude che la perdita di una professione comprima la libertà e l'indipendenza delle donne.
L'argomento utilizzato per sostenere l'urgenza di dare attuazione alla proposta contenuta nel Bill 60 si raccorda alla retorica di contrapposizione al potere giudiziario che, secondo le dichiarazioni di Drainville, non può esprimere la volontà degli eletti. In piena coerenza con l'approccio detecnicizzante cui si è posto riferimento, la "decostituzionalizzazione" e la "degiurisdizionalizzazione" del principio di laicità compongono la premessa binaria che riconduce l'inveramento del carattere laico dell'ordinamento all'esistenza di una legge400.
Chi caldeggia la Secular Charter sostiene contraddittoriamente che essa offra l'occasione per "ristabilire l'autorità del governo in materia di laicità, un'autorità che finora è stata lasciata in mano ai giudici e ai tribunali"401.
La riconduzione della laicità ad una prospettiva legalistica402 equivale alla
denegazione del paradigma di tutela del pluralismo religioso che, nell'alveo più ampio della valorizzazione della diversità identitaria, costituisce uno dei principali formanti della 'denazionalizzazione' della cittadinanza. Nelle parole dei promotori, emerge una desueta divaricazione tra l'identità di cittadino e l'identità di membro di un gruppo religioso minoritario: "Consideriamo che uno stato laico ha il dovere di proteggere la libertà di coscienza e che la scuola laica deve promuovere l'identità cittadina, non l'identità religiosa, al fine di garantire ai ragazzi uno spazio libero da ogni pressione familiare o comunitaria".403
400 "Parlate dei giudici, mi avete sentito dire che hanno un ruolo assolutamente essenziale e primordiale in ogni ordinamento democratico, ma è chiarissimo che le leggi in una democrazia sono votate dai deputati, dai rappresentanti del popolo. Ritengo che sia importante -‐ mi date l'occasione di ribadirlo -‐ che con il progetto di legge si modifichi la Carta dei diritti e delle libertà del Québec, al fine di affermare giustamente i principi di neutralità e di laicità che attualmente non hanno alcuna evidenza. E' incredibile che nessun testo legislativo preveda che l'ordinamento québécois sia uno stato laico", M. Drainville, Journal des débats de la Commission
des institutions, 22 gennaio 2014, cit. p. 9.
401 L. Mailloux, Ibidem, p. 19.
402 "L'assenza di un'affermazione legislativa del principio e di una disciplina che ne governi l'applicazione genera un'incertezza giuridica che è difficilmente conciliabile con il principio della primazia del diritto", Journal des débats de la Commission des institutions, 7 febbraio 2014, cit., p. 3.
403 L. Mailloux, Journal des débats de la Commission des institutions, 22 gennaio 2014, cit. p. 20. Nello stesso senso: "In uno stato di diritto, siamo cittadini prima di essere credenti o non credenti, in particolare se si opera per lo stato", J. Latour, Journal des débats de la Commission
L'approccio detecnicizzante si riscontra anche in relazione alla "questione identitaria" poiché l'involucro assiologico che avvolge il tema delle appartenenze comporta la riaffermazione del paradigma maggioritario, nel segno di una predefinizione gerarchica e a-‐giuridica della rilevanza dei diritti e degli interessi identitari404. L'esclusione dei simboli religiosi minoritari
ostensivi dallo spazio pubblico si intreccia con l'intento di salvaguardare il "patrimonio culturale del Québéc"405, la cui nozione viene declinata in termini
incompatibili con la concezione di "multicultural heritage" espressa nell'art. 27 della Canadian Charter. Come si è evidenziato, nell'esperienza costituzionale canadese, il modulo nazione, depurato dal rapporto di equivalenza con un'identità specifica, è stato forzato per assorbire prismaticamente la diversità. Non forzando il senso della metafora, tuttavia, può sostenersi che la giuridicizzazione dell'appartenenza identitaria, disancorata dalla categoria convenzionale della nazione, ha superato la diffrazione delle differenti componenti quantomeno nella costituzionalizzazione e nella giurisdizionalizzazione della loro tutela. La prospettiva della valorizzazione del patrimonio multiculturale implica una posizione attiva dell'ordinamento nella protezione giuridica di tutte le identità culturali che si oppone alla privatizzazione delle identità ritenute simbolicamente estranee alla maggioranza "nazionale".
La visione unilaterale e astorica della Charte des valeurs, per converso, riproduce gli stilemi del political majoritarism più restrittivo. La denegazione dei diritti religiosi dei soggetti non appartenenti alla maggioranza passa attraverso la stereotipizzazione delle identità diverse e l'ipostatizzazione delle comunità minoritarie, concepite come generiche entità sovradimensionate rispetto agli individui. Parallelamente, essi, privati del loro status di titolari di
404 "Secondo il documento di indirizzo, i simboli religiosi delle minoranze, contrariamente ai simboli religiosi della maggioranza, hanno carattere ostensivo e la loro semplice presenza pone un problema di proselitismo passivo. Nonostante il suo titolo, il progetto di legge n. 60 afferma che l'onnipresenza in Québec di emblemi e di toponimi della religione maggioritaria non può essere rimessa in discussione, poiché si tratta di una questione identitaria. Essenzialmente ciò vuol dire che il governo non vede la trave nell'occhio della maggioranza, ma vede molto bene la pagliuzza nell'occhio delle minoranze", B. Clennett, Journal des débats de la Commission des
institutions, 30 gennaio 2014, Vol. 43, n. 118, p. 3.
405 Art.1, "Charte affirmant les valeurs de laïcité et de neutralité religieuse de l'État ainsi que
d'egalité entre les femmes et les hommes et encadrant les demandes d'accomodament",
diritti, sono colti esclusivamente nella condizione di "membri", incapaci di autodeterminazione ed irrimediabilmente esposti ad un incomprensibile dispositivo di eterocontrollo.
Come si è sottolineato, il tenore anticostituzionale del Bill 60 non si riconduce soltanto alla violazione di specifiche disposizioni costituzionali, ma si estrinseca nel disconoscimento capillare degli esiti riportati dalla giurisprudenza della Corte Suprema canadese in materia di diritti identitari. Dalla ricostruzione dei verbali delle sessioni parlamentari aventi ad oggetto la discussione del Projet
de Loi n. 60, risulta evidente come tutti gli argomenti invocati dai promotori
politici e dai sostenitori della Carta dei valori per caldeggiarne la conversione in legge, prescindano deliberatamente dalle pronunce che hanno posto le fondamenta del pluralismo nell'ordinamento canadese. In contrasto con l'innovativo orientamento espresso in Amselem, i péquistes, ritenendosi rappresentanti della volontà popolare, non esitano ad esercitare il loro sindacato sulle modalità in cui può estrinsecarsi la fede in un credo religioso diverso da quello cristiano.
"Per determinate persone, la fede religiosa è essenzialmente una questione che pertiene alla libertà di coscienza e che viene vissuta nella sfera privata. Ma, per altre persone, l'identità religiosa è intimamente legata ad un'appartenenza comunitaria e si vive in gruppo. Per tali soggetti, il porto dei simboli ostensivi diventa un segno identitario importante, poiché serve ad esprimere la fede religiosa e contestualmente indica un'appartenenza comunitaria, l'appartenenza ad una comunità religiosa. Coloro che vivono l'esperienza religiosa nell'intimità della loro coscienza non hanno bisogno di simboli esteriori per esprimerla. Invece, i soggetti che vivono la loro esperienza in comunità hanno bisogno di un simbolo esteriore per manifestare questa appartenenza"406.
I giuristi che sostengono la validità della proposta contenuta nel Bill 60 rispolverano in chiave veteropositivista il dogma della certezza del diritto, ritenendo la previsione della tutela della libertà religiosa contenuta nell'art. 2 della Canadian Charter una disposizione che consacra il diritto di religione "più da un punto di vista individuale che istituzionale"407. Nell'intento di Drainville,
406 B. Drainville, Ibidem, p. 24.
407 "Il progetto di legge n. 60 risponde ad un bisogno di certezza e di sicurezza giuridica dal momento che, contrariamente alla gran parte delle altre democrazie occidentali, la Costituzione canadese del 1867 non contempla la questione della disciplina della religione nella vita civile. Al riguardo, entra in gioco una sola disposizione, ovvero l'art. 93 che riguarda le scuole confessionali, al quale, del resto, l'ordinamento québécois ha derogato nel 1997 per creare
la volontà di mettere in discussione la tutela giurisprudenziale della libertà di religione allude esplicitamente ad un ridimensionamento della centralità dei diritti identitari e, in generale, dei diritti soggettivi all'interno dell'ordinamento canadese. Secondo il Ministro, la prospettiva garantistica delle pronunce
Amselem e Multani può essere superata perché tali "leading decisions"
configurano la libertà religiosa come un "super droit", un diritto ritenuto aprioristicamente prevalente su tutti gli altri interessi408. Se non si dimentica
che gli interessi giudicati soccombenti dalla Corte Suprema, nel primo caso, si ascrivevano a prerogative di carattere condominiale e, nel secondo, a generiche esigenze sicuritarie, la posizione dell'esponente péquiste suona come un mònito illiberale nei confronti di un sistema costituzionale che individua il proprio baricentro nella tutela dei diritti.
Il marcato arretramento di prospettiva risiede nella pretesa che le disposizioni contenute nella Secular Charter possano inaugurare un nuovo modello sociale nel quale si estrinseca il "bene comune"409, con buona pace dei processi
rivendicativi che hanno condotto all'affermazione del pluralismo e di un'interpretazione delle norme costituzionali che, secondo il motto discksoniano, elegge le istanze e i mutamenti sociali a traino dell'ermeneutica giurisprudenziale. "E' tempo di attualizzare la Carta in una società che si diversifica e che muta la sua velocità per progredire e per mantenere una coesione sociale che è essenziale al progetto di società"410 . E' evidente come
tale inciso costituisca l'involontaria conferma dell'assenza di esigenze sociali rilevanti a supporto del Bill 60. In questo pensiero, infatti, la Charte des Valeurs rappresenta il dato di partenza, cui, in un'inversione di priorità logico-‐ giuridiche, dovrebbe semplicemente conseguire l'esistenza di una società diversamente caratterizzata da quella che ha imposto l'iniziativa péquiste.
commissioni scolastiche linguistiche, piuttosto che confessionali. Dunque, vi è un vuoto, in quanto le basi stesse della libertà di religione non figurano nella costituzione. Dopo 100 anni, infatti, si è aggiunta la Carta dei diritti e delle libertà del 1982, che consacra la libertà di religione e di coscienza, ma più da un punto di vista individuale che istituzionale", J. Latour,
Journal des débats de la Commission des institutions, 7 febbraio, cit., p. 3.
408 "Alcuni analisti hanno sostenuto che, in tali sentenze, la Corte Suprema abbia in qualche modo conferito alla libertà di religione lo statuto di "superdiritto", sovradimensionato rispetto agli altri diritti", B. Drainville, Ibidem, p. 6.
409 J. Latour, Ibidem, p. 8. 410 Ibidem, p. 9.
Claire L'Heureux-‐ Dubé, attraverso l'immagine del canto delle sirene, disvela la parzialità del punto di vista di chi sostiene la Carta PQ, in una prospettiva che fonde espressamente la laicità con il "religious majoritarianism":
"La Carta della laicità ci incita a cedere al canto delle sirene. Questo canto evoca l'immagine nostalgica di una società omogenea catto-‐laica nella quale i nostri simboli religiosi ci appaiono inoffensivi poichè, non credendoci più, li percepiamo come privi di senso, mentre quelli degli altri facevano incombere una minaccia permanente su di noi"411.
L'Heureux-‐Dubé, che rappresenta i "giuristi per la laicità e la neutralità religiosa dello stato" non avalla la posizione del ministro sulla giurisprudenza dell'organo di cui è stata illustre componente, ma pone evasivamente l'accento sulla mutabilità degli indirizzi giurisprudenziali e ritiene che, alla luce di fatti come quelli accaduti ad Hérouxville412, la Carta dei valori sia uno strumento
necessario per la ricomposizione delle divisioni sociali. In realtà, come poi si è dimostrato, poteva verosimilmente escludersi che la fine delle recrudescenze anti-‐pluraliste giungesse a coincidere con la loro elevazione a dignità di legge. Se l'ex-‐giudice della Corte Suprema si affretta a sostenere l'eguale valore di tutti i simboli religiosi, la citazione del passo del suo articolo, pubblicato su "La
Presse", il 7 febbraio 2014, risulta in linea con l'incondizionato "endorsment"
espresso nei confronti del Bill 60. La legittimazione della negazione dei 'diritti degli altri' attraverso l'opposizione libertà civili/diritti assoluti, nel richiamo al diritto alla vita in antitesi con il diritto di religione, lascia trapelare un certo parossismo giuridico che ben si coniuga con la previsione di un vaglio giurisdizionale positivo sulla Secular Charter. L'Heureux-‐Dubé, infatti, come il costituzionalista Henri Brun, non riscontra nel Bill 60 alcun profilo di illegittimità e nulla eccepisce neppure in rapporto alla sua disposizione centrale
411 "Le chant des sirènes", La Presse, 7 febbraio 2014, cit. in Journal des débats de la Commission
des institutions, 7 febbraio 2014, cit.. p. 9. E' il Ministro Drainville a citare durante i lavori della
Commissione l'articolo di Claire L'Heureux-‐Dubé pubblicato nello stesso giorno della seduta che ha visto la partecipazione dell'ex-‐giudice della Corte Suprema.
412 Il 25 gennaio 2007, il Consiglio Comunale di questa cittadina québécoise ha approvato una mozione con cui si stabiliva che a tutti i nuovi 'immigrati' dovesse essere consegnato un manifesto recante l'indicazione di tutto ciò che chiunque avesse scelto di vivere ad Hérouxville avrebbe "potuto non fare". "Qui" -‐ recitava il 'codice di condotta' -‐ "nessuno è obbligato a mettersi in maschera" (dunque, nemmeno ad indossare un velo). "Qui nessuno è obbligato a portare un'arma a scuola" (dunque nemmeno un pugnale sacrale). I fatti di Hérouxville si sono posti alla base dell'iniziativa di Jean Charest di costituire la Commissione Taylor-‐Bouchard. Cfr.
che, muovendo dal presupposto che i simboli religiosi ostensivi non sono quelli cristiani, ne stabilisce il divieto. Considerando l'abbondante messe di dichiarazioni proferite al riguardo dai sostenitori della Carta, la circostanza che l'art. 5 non rechi espressamente l'equivalenza tra "signes religieux
ostentantoires" e "signes religieux minoritaires" non pare assorbente. Di parere
opposto è un altro giudice della Corte Suprema canadese, Louise Arbour che ritiene certa la declaratoria di incostituzionalità del decisore di ultima istanza413.