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L'efficacia della vision organizzativa: attributi e caratteristiche

Numerosi sono in letteratura gli esempi di autori volti ad identificare e descrivere in generale quelle che dovrebbero essere le caratteristiche della vision (Nanus, 1992; Baum et al., 1998; Kantabutra, 2009).

Anche l’osservazione e l’interpretazione dei principali attributi generalmente riconosciuti alla vision, tuttavia, sembrano essere condizionate dalle riflessioni sulla questione ontologica della vision. Vi è da dire, infatti, che l’importanza relativa assunta dalle proprietà della vision potrebbe dipendere dalla posizione assunta dall’osservatore. L’adozione di una certa concezione della vision potrebbe agevolare l’osservazione di alcuni caratteri della vision piuttosto che di altri. Per una migliore comprensione del fenomeno vision, dunque, è importante saper riconoscere le relative proprietà che, a seconda del punto di osservazione scelto, potrebbero risultare più evidenti.

Con le proprie definizioni, dunque, Collins e Porras, Senge, Nanus e Levin, contribuiscono ulteriormente a focalizzare la questione ontologica della vision, puntando l’attenzione su alcune precise proprietà della stessa.

Per Collins e Porras246, ad esempio, la vision deve presentarsi vibrante, audace,

coinvolgente e intrigante. Nelle parole di Senge247 essa costituisce una forza di

un’impressionante potenza, è vitale e promuove l’impegno di coloro che della visione si

fanno promotori ed autori. Nanus248, dal canto suo, definisce “buone vision” quelle che ci

si aspetta “facciano la differenza nelle nostre vite” e che hanno il “potere di alimentare le nostre fantasie e di motivare i nostri comportamenti”.

In realtà, sembrerebbe utile, prima di inoltrarsi nello studio, chiarire cosa si intende per vision buone e vision efficaci.

246 Collins & Porras, 1996; p. 74. 247 Senge, 2006, p. 192.

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È pur vero, infatti, che molti dei caratteri di una buona vision sono i medesimi capaci di garantirne l’efficacia. Un aspetto che, tuttavia, sembrerebbe distinguere le buone visioni potrebbe risiedere neicaratteri della responsabilità e dell’eticità.

Per Nanus, le visioni buone oltre ad essere potenti e capaci di trasformare l’organizzazione, riflettendo alti ideali, rappresenterebbero degli standard di eccellenza e dipingerebbero l’organizzazione come una “comunità responsabile con un senso di

integrità che rafforza ed eleva ognuno al suo interno249 ”. Purtroppo, però, pur

riconoscendo nella vision un efficace strumento di persuasione per i membri dell’organizzazione, vi è da ammettere che non sempre i leader si fanno promotori di “buone vision”. A partire da organizzazioni di stampo terroristico o anche mafioso, infatti, numerosi potrebbero essere gli esempi di realtà caratterizzate da visioni particolarmente potenti ed efficaci, ispirate tuttavia da ideali poco elevati o addirittura del tutto negativi. Ad ogni modo, attingendo da alcune definizioni esistenti in letteratura (Collins & Porras, 1991, 1996; Nanus, 1992; O’Brien & Meadows, 2001; Sosik & Dinger, 2007), sembra si possano identificare alcune principali proprietà che la stessa dovrebbe possedere, affinché possa essere efficace nello svolgere appieno la propria funzione.

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Tabella 6 - Efficacia della vision: attributi principali Fonte: elaborazione personale

Alcuni caratteri della vision appaiono parimenti importanti indipendentemente dalla concezione che si ha della stessa e quindi dalla posizione assunta. Presente in quasi tutte le definizioni esistenti in letteratura, l’orientamento al futuro è da considerarsi come un elemento “genetico” della vision in quanto relativo all’essenza della stessa in tutte le prospettive evidenziate.

Molti autori si riferiscono alla visione osservando l’esistenza di un disallineamento temporale, spesso implicito, tra il soggetto “visionario” e la “visualizzazione” che egli ha del proprio futuro. Clancy e Krieg, ad esempio, considerano la visione come “vedere ciò che ancora non esiste250”. Come già visto, inoltre, se per Collins e Porras l’envisioned future è una delle due componenti principali della stessa, per Senge rappresenterebbe la vera essenza nonché il “prodotto” ultimo e principale dell’attività dell’organizzazione nel corso degli anni. Anche per Nanus e soprattutto per Levin il futuro migliore da creare è un

250 Clancy & Krieg, 2001; p. 75.

Proprietà di una vision organizzativa efficace

Direzione, orientamento al futuro Realizzabilità, raggiungibilità Idealità, desiderabilità

Capacità di ispirare, creare entusiasmo, coraggio, impegno Chiarezza, comprensibilità

Appropriatezza, allineamento con altre variabili soft Ambizione, audacia

Responsabilità

Adeguatezza rispetto al contesto Unicità

Stabilità Condivisione Proattività

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elemento genetico della vision, rappresentando la maggiore forza attrattiva per l’organizzazione ed i propri membri.

Un altro attributo, strettamente connesso a quello appena descritto e anch’esso messo in evidenza da ognuna delle tre prospettive qui osservate, riguarda la raggiungibilità della vision. Per non divenire un’illusione e godere dell’impegno del maggior numero di membri a cui essa si rivolge è essenziale che la vision mostri agli stessi un futuro credibile e concretamente realizzabile attraverso uno sforzo congiunto. L’attributo della realizzabilità per esempio, è sottolineato da Decastri che definisce la vision come “un progetto fortemente impegnativo, il disegno di ciò che un’azienda spera e auspica di diventare; una guida ambiziosa, ma realizzabile delle priorità aziendali, costruita sulla base di realistici scenari interni ed esterni251”.

Tale qualità non deve sembrare in contrasto con il carattere idealistico che per alcuni la

vision dovrebbe avere Nanus252. Pensare la vision come qualcosa di idealistico, infatti,

non necessariamente implica una sua irraggiungibilità, quanto piuttosto una certa desiderabilità e, di conseguenza, una forte capacità di ispirare gli individui che in essa si identificano. Tra gli effetti maggiormente riconosciuti ad una vision ispiratrice, infatti, vi è l’entusiasmo, il coraggio, e un alto livello di impegno tra gli individui verso la relativa

realizzazione253: in questo senso essa arriverebbe a rappresentare “degna e coraggiosa

sfida per coloro che la accettano254”.

Desiderabilità e capacità di ispirare della vision sembrerebbero rimandare ad un altro carattere messo in particolare evidenza dalla prospettiva allargata e da quella ristretta: l’ambizione o audacia. Per risultare attrattiva e motivazionale nei confronti degli individui e garantire la giusta spinta competitiva all’organizzazione, infatti, è fondamentale che la vision sia concretamente raggiungibile ma anche sfidante e ambiziosa. Per essere efficace, infatti, secondo i maggiori autori (Collins & Porras, 1996; Senge, 2006) la vision necessita di una giusta combinazione di immaginazione e fattibilità. Per sua stessa natura, infatti, la vision poggia da un lato su sogni, speranze ed aspirazioni relative ad un futuro lontano e forse mai pienamente raggiungibile e dall’altro spinge verso la definizione di una realtà visibile, vivida e tangibile verso cui indirizzare gli sforzi organizzativi.

251 Decastri, 1998, p. 18. 252 Nanus, 1992. 253 Senge, 2006, p. 203. 254 Nanus, 1002, p. 27.

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Oltre all’ambizione, per ottenere elevati livelli di persuasione degli individui, la vision dovrebbe apparire pienamente comprensibile agli stessi. Chiarezza e comprensibilità sembrerebbero pertanto caratteristiche essenziali della vision.

Altro aspetto molto riconosciuto in letteratura riguarda la ricerca di un adeguato livello di coerenza e allineamento della vision rispetto ad altre variabili organizzative. Pur partendo da prospettive diverse,infatti, sia per Senge che per Collins e Porras è essenziale mantenere in equilibrio il rapporto tra variabili quali vision, mission e valori organizzativi. Se per questi ultimi core purpose e core values sono elementi essenziali nella definizione della vision tanto quanto gli obiettivi da raggiungere e la relativa descrizione, si è già visto come per Senge la vision non potrebbe mai essere realmente compresa senza aver afferrato il senso di finalità ad essa sottostante. Un ruolo fondamentale del leader, dunque, è quello di ricercare un giusto assetto tra queste variabili “soft” dell’organizzazione, nel tentativo di garantire coerenza e consistenza ai comportamenti in essa adottati.

Lo stesso Senge255 sottolinea un ulteriore carattere che, a livello organizzativo, la vision dovrebbe possedere per mantenersi vivida ed efficace. Nel descrivere la vision condivisa, infatti, l’autore sottolinea come questa possa scaturire esclusivamente da un processo che, coinvolgendo le visioni personali di individui a molti livelli dell’organizzazione, finirebbe

per creare una sollecitudine comune verso la realizzazione del futuro immaginato256.

Partendo da una concezione ristretta della vision, dunque, il carattere della condivisione parrebbe assurgere ad elemento essenziale nel determinarne l’efficacia. Anche le altre due ottiche, tuttavia, sembrerebbero confermare la centralità di tale proprietà. Per Collins e Porras, ad esempio, “lo sviluppo di una vision organizzativa condivisa rappresenta una

risposta cruciale257” a domande quali: “in che modo un’azienda può decentralizzare e al

contempo avere sforzi coerenti e coordinati? Come può la gente nel più profondo di queste organizzazioni […] sapere dove sta andando?”. Dal canto suo, Nanus afferma in modo piuttosto perentorio che “non esiste un motore più potente alla guida di un’organizzazione verso l’eccellenza e il successo di lungo periodo rispetto a un’attrattiva, proficua, e

raggiungibile visione del futuro, ampiamente condivisa258”.

255 Senge, 2006, p. 200. 256 Ivi, p. 192.

257 Collins & Porras, 1991, p. 30. 258 Nanus, 1992, p. 3.

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Al di là degli attributi della vision sino ad ora descritti come facilmente osservabili da qualsiasi prospettiva assunta, adottando l’una o l’altra prospettiva, potrebbero emergerne ulteriori altrimenti meno evidenti. Ad esempio, nonostante nel modello proposto da Collins e Porras si parli di elementi della vision più o meno resistenti al cambiamento, la prospettiva allargata è associata a una certa stabilità di due delle tre componenti della stessa nel tempo, che sembrerebbero capaci di orientare gli individui e l’organizzazione anche in momenti di incertezza ed in fasi di cambiamento. Per gli autori, infatti, “le aziende che godono di un successo durevole nel tempo hanno core values e core purpose che restano fissi, mentre le loro strategie e pratiche aziendali si adattano continuamente al

mondo in cambiamento259”. Per Senge la vision è una “destinazione, specifica, il quadro di

un futuro desiderato260” e, dunque, assumerebbe il carattere durevole di una immagine

raffigurante il tipo di organizzazione che si intende creare. Adottando una concezione ristretta o anche allargata della vision, dunque, il leader dovrebbe riuscire a comprendere quali elementi della vision e dell’organizzazione in genere mantenere flessibili ed aperti al cambiamento. D’altro canto, osservando i fenomeni in questione prediligendo un’ottica dinamica, sarà necessario valutare attentamente quali elementi sarà preferibile mantenere inalterati e radicati in profondità nell’organizzazione.

Sulla base di quanto osservato nel precedente paragrafo, mediante l’ottica dinamica la vision, così come l’organizzazione,assumerebbe i caratteri di un sistema proattivo. Essa, infatti, non si limita a mutare nel tempo adattandosi in modo pressoché passivo, ma verrebbe coinvolta in un processo evolutivo in cui individui ed organizzazioni visionarie avrebbero un ruolo determinante nel co-creare il futuro desiderato. A ben vedere, nella descrizione degli obiettivi alla base della mission aziendale in ottica strategica, il carattere della proattività viene sottolineato anche da Collins e Porras. Dal loro punto di osservazione, infatti, “la definizione della mission deve essere proattiva, non reattiva. La strategia è subordinata alla mission e l’analisi strategica dovrebbe esser fatta dopo ˗ non

durante ˗ il processo di definizione della mission261”. Sebbene sembri confermare la

proattività come un ulteriore attributo della vision capace di trascendere l’impostazione assunta dall’osservatore, quanto detto non spiega come la vision, e chi verso di essa è impegnato, riesca a co-creare il futuro inizialmente descritto.

259 Collins & Porras, 1996; p. 95. 260 Senge, 2006, p. 138.

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Altro attributo importante è l’unicità. Il processo mediante il quale verrebbe a svilupparsi, infatti, condurrebbe la vision a godere di una identità precisa e distinta rispetto a visioni di altre realtà organizzative. A differenza del fine ultimo dell’organizzazione che per Collins

e Porras “non necessita di essere unico262” in quanto esso “è un fattore motivante, non un

fattore differenziante92”, la vision (l’envisioned future per gli stessi autori) nella

prospettiva dinamica rappresenterebbe un carattere distintivo dell’organizzazione. Come una narrazione, essa sarebbe il frutto di una interazione del tutto particolare tra gli individui coinvolti, in base al relativo modo di interpretare la realtà all’interno e all’esterno rispetto all’organizzazione. Sottolineandone il carattere peculiare, dunque, il leader potrebbe far leva sulla vision per rafforzare l’identità organizzativa e il senso di appartenenza degli individui nei confronti dell’organizzazione ed ottenerne un maggiore impegno nei confronti della relativa visione del futuro.

Nell’ambito del processo di definizione ed interpretazione della realtà, l’ultimo carattere che potrebbe essere riconosciuto alle vision efficaci è quello dell’adeguatezza rispetto al

contesto. In particolare Nanus evidenzia che “ciò che vedi dipende da dove sei263”. In altri

termini, la vision e la relativa capacità di orientare individui e organizzazioni potrebbero subire forti influenze ad opera del contesto in cui tali soggetti vengano a trovarsi in partenza. Per qualcuno, infatti, la vision dovrebbe essere adeguata rispetto al contesto organizzativo. Con ogni probabilità, infatti, le condizioni dell’ambiente esterno possono determinare la capacità degli individui di visualizzare l’obiettivo. D’altro canto, ciò sembra emergere solo in parte se si segue il framework di Collins e Porras. Nel descrivere il core purpose, infatti, gli stessi ritengono la core ideology dell’organizzazione come svincolata rispetto alle condizioni ambientali contingenti.