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L’esterovestizione nel commercio elettronico

CAPITOLO II – LA TASSAZIONE SUI REDDITI DEL COMMERCIO ELETTRONICO

2.4 L’esterovestizione nel commercio elettronico

Avendo come obiettivo quello di realizzare un quadro completo della disciplina della tassazione delle operazioni di commercio elettronico, non si può non porre attenzione al fenomeno patologico, legato alla residenza fiscale, della c.d. esterovestizione societaria. L’esterovestizione, infatti, costituisce una sorta di pilastro fondamentale delle operazioni di pianificazione fiscale aggressiva poste in essere dalle società che operano nel settore digitale, per via delle difficoltà (che si vedranno in seguito) di accertamento della fattispecie e dei grandi benefici, in termini di risparmi di imposte, che possono derivarne. L’utilizzo del meccanismo dell’esterovestizione, dunque, consente facilmente alle imprese operanti nell’economia digitale di assoggettare i propri utili all’imposizione fiscale decisamente più favorevole da parte di un Paese diverso da quello in cui l’impresa li ha effettivamente realizzati, per mezzo di una sede fittizia costituita ad hoc nel Paese a fiscalità privilegiata e così dirottando i profitti dell’attività realizzata concretamente nell’altro Paese. Considerata la relativa facilità con la quale si

possono realizzare operazioni di esterovestizione, soprattutto per realtà economiche operanti in un ambiente piuttosto etereo quale quello del web, procederemo ad analizzare di seguito alcuni aspetti legati alla residenza fiscale delle società su cui si innesta la questione dell’esterovestizione.

Nel nostro ordinamento l’art. 73, comma 3 del D.P.R. n. 917/1986 definisce come segue le società residenti: «…le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato»102.

I criteri di collegamento sopra citati sono alternativi, la presenza di uno è sufficiente a richiamare alla tassazione interna l’impresa che verifica il criterio. Essendo di semplice accertamento i criteri formali relativi alla sede legale e l’oggetto principale nel territorio dello Stato, concentreremo l’attenzione sul criterio legato alla sede dell’amministrazione. Possiamo innanzitutto notare come quanto disposto dall’art. 73 del T.u.i.r. sia perfettamente sovrapponibile a quanto disposto dall’art. 5, comma 3, lett. d) T.u.i.r.; per mezzo di questa scelta legislativa si fa combaciare la nozione fisco-tributaria di “sede amministrativa” a quella di “sede effettiva” dell’impresa.

Sarà riscontrabile una sede dell’amministrazione nel luogo in cui si dirige e si organizza l’attività di impresa, ossia il luogo in cui gli amministratori forniscono ordini e istruzioni ad eventuali sottoposti sulla gestione delle attività della società. In proposito anche la giurisprudenza sembra essere concorde con quanto appena detto, sostenendo che per l’individuazione di una sede dell’amministrazione è necessario fare riferimento alla natura sostanziale ed effettiva delle operazioni e delle attività e non alla forma apparente. In proposito, la Suprema Corte asserisce

102 L’art. 73, del D.P.R. n. 917/1986, comma 3: «Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato. Si considerano altresì residenti nel territorio dello Stato gli organismi di investimento collettivo del risparmio istituiti in Italia e, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze emanato ai sensi dell'articolo 168-bis, in cui almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari del trust siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato. Si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato i trust istituiti in uno Stato diverso da quelli di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze emanato ai sensi dell'articolo 168-bis, quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un'attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi». In proposito, vedi Tomassini A., Tortora A., Stabile organizzazione ed esterovestizione nel commercio

elettronico, op. cit.

che la sede effettiva «si identifica con il luogo ove si svolge la preminente attività direttiva ed amministrativa della società, cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e della propulsione dell’attività dell’ente»103. Nel commercio elettronico il fenomeno dell’esterovestizione si realizza, solitamente, come di seguito: una società (controllante) residente in Italia che controlla una società operante nel commercio elettronico (in Italia) ma con formale sede all’estero, presumibilmente in Paesi a bassa o nulla fiscalità.

Una modalità per scoprire queste forme di esterovestizione consiste nella ricerca di documentazione contabile o extracontabile-informale presso la sede della controllante italiana. Questa modalità risulta poco agevole e praticata, in quanto spesso risulta impossibile, in sede di controllo, reperire la documentazione probatoria di una sede di direzione effettiva nel nostro Paese; per le sopracitate difficoltà si configura come una probatio diabolica.

La residenza fiscale sopra descritta viene intesa come collegamento con il territorio realizzato attraverso la considerazione di elementi fattuali e verificabile concretamente, raramente ravvisabili nelle operazioni di commercio elettronico; risultano altresì difficilmente individuabili i soggetti coinvolti nelle operazioni per via delle caratteristiche stesse della rete internet. Sia l’indirizzo di posta elettronica, che il dominio descritto nell’indirizzo del sito, non sono elementi di prova di collegamento territoriale al luogo di svolgimento delle attività; inoltre il commercio elettronico è facilmente impostabile come serie di operazioni sostanzialmente anonime. In ultima analisi, anche la sede dell’amministrazione può risultare non inquadrabile in maniera certa ed univoca per via delle possibilità offerte dalla tecnologia, che può porre in contatto in tempo reale diversi soggetti localizzati in qualsiasi parte del mondo.

Di fronte a queste implicazioni, risulta effettivamente difficile l’applicazione di quanto previsto dall’art. 73 del T.u.i.r., ossia l’individuazione certa di una entità (appunto esterovestita) che una società residente costituisce in altri Paesi a fiscalità privilegiata, con il fine di attribuire a questa i ricavi prodotti dal commercio elettronico realizzato all’interno dello Stato.

103 Cit. Tomassini A., Tortora A., Stabile organizzazione ed esterovestizione nel commercio elettronico, op. cit.

Alla luce di quanto appena visto, si può ragionevolmente affermare che l’utilizzo delle tecniche di esterovestizione societaria, unitamente al profit shifting, concorre a quell’erosione della base imponibile statale che causa gravi danni alle casse erariali, come precedentemente osservato illustrando i contenuti del progetto BEPS.