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Capitolo 2 - L’evoluzione dei Sistemi di Controllo di Gestione

2.3 Le linee di evoluzione del moderno Controllo di Gestione

2.3.2 L’evoluzione storica del controllo in Azienda

Appare, quindi, ineludibile un excursus storico sull’evoluzione aziendale e sulla parallela evoluzione dei vari concetti di controllo. Guardando retrospettivamente all’evoluzione della gestione in azienda, infatti, è possibile riconoscere che il termine «controllo» ha subito anch’esso un’evoluzione coerente.

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La nascita dei sistemi di controllo viene fatta risalire all’Ottocento negli USA. In questa fase di sviluppo pre-industriale, gli strumenti utilizzati per il controllo erano molto semplici ed elementari.

Successivamente, la creazione di aziende specializzate di tipo industriale, si accompagnò allo sviluppo di controlli che si proponevano il presidio di efficacia ed efficienza, ed erano finalizzati alla determinazione del costo di produzione sulla base delle risorse effettivamente impiegate nei reparti produttivi, in contesti caratterizzati da una bassa integrazione verticale e dalla prevalenza di materie prime e di lavoro diretto.

Vi era una forte prevalenza del controllo sull’esecuzione dei compiti e le competenze dei controller erano anche tecniche per la fissazione degli standard, partendo dal presupposto che i processi fossero ripetibili nel tempo e standardizzabili.

Nei primi due decenni del 900, si assistette ad una prima rivoluzione del controllo: la necessità di crescita dimensionale delle organizzazioni spinse alla ricerca di fonti di finanziamento esterne, con una conseguente attenzione alla comunicazione esterna di dati contabili e ad una valorizzazione delle scorte di semilavorati. Emerse con chiarezza l’importanza del rapporto fra informazioni e controllo. Schmalenbach16, ad esempio, pose molta attenzione alle fonti informative e sostenne l’importanza di un modello comune per la presentazione della contabilità.

Il controllo in tutte le sue accezioni diventa progressivamente qualcosa di non episodico ma, piuttosto di sistemico. Robert Anthony17 nel suo libro che, coerentemente, intitola “Sistemi di Pianificazione e Controllo” riportava, infatti: “non sono molto utili esperienze isolate e frammenti di conoscenza staccati uno dall’altro; solo quando i pezzi vengono organizzati, entro qualche tipo di schema si chiariscono l’un l’altro ed il loro insieme organico risulta più grande della loro semplice somma. Durante lo stesso sforzo di organizzazione si potrà anche notare che lo schema adottato non è completamente valido, tuttavia lo schema già è servito se non altro per preparare l’avvio ad uno schema migliore” (Anthony, 1967)18.

16 Eugen Schmalenbach (20 agosto 1873 - 20 febbraio 1955) economista tedesco e professore presso l’Università di Lipsia e Colonia. Pubblicò diversi articoli su riviste di lingua tedesca sui temi economici con particolare riguardo ai temi della contabilità e della gestione aziendale.

17

Robert Newton Anthony, nato a Orange, nel Massachusetts, il 6 settembre 1916, si laureò al Colby College nel 1938 e conseguì un MBA ad Harvard nel 1942, dove entrò come assistente di ricerca ed, in seguito, conseguì un PhD 1952. Nel 1956 divenne ordinario e rimase membro della faculty fino al 1982. E’ stato autore o coautore di 27 libri in materia di contabilità e controllo di gestione. Nel 1973 e nel 1974, è stato presidente dell'Associazione americana di contabilità. E’ scomparso nel 2006.

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Anthony considerava il controllo direzionale come distinto dalla pianificazione strategica e dal controllo operativo, proponendo un modello a piramide.

Figure 8: Controllo direzionale, pianificazione strategica e controllo operativo (Anthony, 1967)

Questi tre processi vengono gestiti come parti di un unico processo più ampio: gli obiettivi definiti a livello aziendale, le risorse e le politiche (Pianificazione Strategica), vengono tradotte in obiettivi di gestione attuati e monitorati nel medio periodo (Controllo Direzionale) e, successivamente, articolati in obiettivi operativi. A livello operativo vengono programmati e controllati (Controllo Operativo) le attività ed i compiti specifici delegati agli operatori addetti ad attività quotidiane e l’accento è posto sull’efficacia e l’efficienza.

Per ciò che attiene specificatamente il controllo direzionale, Anthony riporta:19

Versione inglese Versione Italiana

“Management control is the process by which managers ensure that resources are obtained and used effectively and efficiently in the accomplishment of the organization's objectives"

“il Controllo direzionale è il processo mediante il quale i dirigenti si assicurano che le risorse siano utilizzate efficacemente ed efficientemente per il raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione”

19 Si osservi che nella traduzione italiana del 1967, l’accezione “Management Control” è stata tradotta con “Controllo Direzionale” e non con il termine poi divenuto più comune di “controllo di gestione”.

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Si osservi come Anthony suggeriva come strumenti operativi per il Controllo Direzionale:

La contabilità dei costi, successivamente estesa alla contabilità analitica; Il sistema dei Budget;

Il sistema di reporting; L’analisi delle variazioni.

Questo tipo di controllo, definito “tradizionale” era basato su una pianificazione strategica di lungo periodo che viene dettagliata in piani di breve periodo, il cui controllo garantiva il raggiungimento degli obiettivi di lungo periodo. Ci si limitava al budget flessibile ed alla verifica di efficienza, sufficienti, però, solo in un contesto stabile.

Un sistema di controllo di questo tipo crea anche “miopia manageriale” perché inadatto a cogliere e tracciare la distinzione fra spese operative (“opex”) e spese strategiche (“stratex”) e, perché, un sistema basato su indicazioni economico-finanziarie, attribuendone la responsabilità alle funzioni organizzative ostacola il lavoro di squadra. (Bubbio, 2012).

Nel frattempo, sul fronte interno, invece, l’incremento delle dimensioni d’impresa aveva creato le premesse per una maggiore delega ed una maggiore autonomia decisionale, da collegarsi ad un’esplicitazione degli obiettivi. Negli anni ’50, infatti, i mercati in forte espansione, avevano portato ad un ulteriore incremento delle dimensioni delle imprese e a profonde riorganizzazioni produttive. A queste evoluzioni si associavano un incremento significativo dei costi di struttura e ad una maggiore sensibilità verso il processo decisionale: sono gli anni in cui c’è una forte attenzione ai flussi di cassa, cui vengono ricondotte tutte le decisioni.

Negli anni ’60, invece, la saturazione di alcuni mercati e l’incremento della pressione competitiva, portarono le aziende a concentrarsi sugli strumenti di marketing: la programmazione si sposta sulla ricerca di un equilibrio fra impresa ed ambiente ed il fattore critico passa dalla capacità di produrre alla capacità di interpretare il mercato. Il controllo direzionale prende il sopravvento sul controllo esecutivo: l’attenzione si sposta da un controllo sull’efficacia/efficienza delle mansioni ad un controllo nel quale è necessario garantire un comportamento organizzativo orientato agli obiettivi aziendali prioritari.

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L’efficacia diventa una condizione imprescindibile per tutte le funzioni aziendali che debbono, tra l’altro, cercare di contemperare obiettivi diversi. Mentre, ad esempio, il marketing spinge verso una massimizzazione delle vendite attraverso una ampia gamma di prodotti o la flessibilità e tempestività delle consegne, la produzione necessita di operare in maniera efficiente, privilegiando la standardizzazione e la programmazione. Col passare del tempo, nelle aziende aumenta chiaramente l’importanza delle attività organizzative che devono “bilanciare” e “comporre” dialetticamente i conflitti funzionali ma anche delle strutture ausiliarie (Risorse Umane, Amministrazione,...). Nascono i primi Centri di Elaborazione Dati (CED).

Si sviluppano proprio in quel periodo, pertanto, correnti di pensiero che riqualificano il Controllo, ritenendo che questi debba ricomprendere anche aspetti organizzativi ed, in particolare, debba diventare uno strumento con funzioni di guida e di motivazione dei manager. Lo stesso Budget, in quest’ottica, diventa strumento di coordinamento tra funzioni aziendali, acquisendo maggiore flessibilità. Agli stessi responsabili delle singole unità organizzative viene affidato il compito di definire la corretta allocazione delle risorse necessarie, in un ottica costi/benefici, stabilendo una gerarchia di priorità per la scelta delle attività da mantenere. Il rapporto importante diventa quello tra costi e benefici. Nasce lo zero-based budget.

La prima grande crisi petrolifera negli anni ’70 costituisce il primo vero momento in cui fatti esterni rendono l’ambiente caotico e perturbato e le previsioni a medio termine si fanno inattendibili.

Tuttavia, la pianificazione rimane un processo ineludibile e nelle imprese si reagisce dapprima accorciando l’orizzonte previsionale e, successivamente, attraverso la creazione di scenari. La maggiore criticità è legata all’implementazione delle decisioni ed il controllo prevalente passa da controllo direzionale a controllo strategico: il problema appare quello di trovare strumenti in grado di indurre comportamenti strategicamente adeguati (efficacia) ma vi è anche la grande difficoltà di individuare parametri in grado di monitorare l’implementazione della strategia.

Nelle aziende che operano in ambienti complessi, infatti, il controllo strategico consente al vertice aziendale di avere a disposizione le informazioni per capire se e come modificare la strategia implementata, avendo due obiettivi (Garzoni & Saviozzi, 2006): valutare se la strategia si sta implementando correttamente;

valutare se gli obiettivi e gli indirizzi strategici sono ancora validi. Comincia a cambiare anche il concetto stesso di controllo, tanto che l’orientamento è quello di non accostare

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semplicemente i tre strumenti del modello originale di Anthony ma di passare ad un controllo organizzativo.

Verso la metà degli anni 80, si cominciano a vedere alcuni spunti critici sul controllo tradizionale e viene anche pubblicato un testo che è un manifesto di protesta per ciò che attiene il controllo basato troppo su parametri economico-finanziari: Relevance Lost. The Rise and Fall of Management Accounting (Johnson & Kaplan, 1987). E’ la seconda rivoluzione del controllo di Gestione. Nonostante la percezione che non si potesse prescindere dal controllo organizzativo, non si era ancora giunti ad un sistema di controllo ideale, perché è ancora troppo basato su misure economico-finanziarie, seppur queste ultime risultino indispensabili ancora oggi. Se, del resto, si pone attenzione all’etimologia, non deve nemmeno sorprendere la somiglianza fra il termine “control” e la locuzione “count + role”.

Lo stesso Anthony nel 1988 modificò la definizione di controllo di gestione che diventa, secondo l’autore, “il processo attraverso il quale i manager inducono gli altri membri dell’organizzazione ad attuare le strategie dell’organizzazione” (Anthony, Il controllo manageriale, 1990)

In accezione, influenzata dal lavoro di Flamholtz dell’Università della California e da Kaplan, il concetto di controllo passa a significare un insieme di strumenti tecnico/organizzativi che si propongono di indirizzare l’attività gestionale, agendo sulle leve psicologiche ed organizzative rispetto ai classici strumenti di tecnica gestionale e proponendosi di indurre i membri di un’organizzazione formale ad assumere decisioni e comportamenti che siano coerenti con gli obiettivi organizzativi (Flamholtz, Das, & Tsui, 1987) e, pertanto, è uno strumento che deve essere armonizzato con gli altri strumenti organizzativi ed, in particolare, con l’organizzazione ed il sistema degli incentivi.

Nel lavoro di Newman “Constructive Control” del 1975 si trovano, in realtà, le fondamenta di quello che dovrebbe diventare il vero controllo di gestione, un controllo la cui finalità è quella di anticipare i fenomeni (natura prospettica) ed avere indicazioni sui comportamenti futuri da tenere, al fine di allinearli e di consentire il raggiungimento degli obiettivi che debbono, ovviamente, essere specificati e definiti chiaramente.

La crescita della complessità e della turbolenza richiedono un sistema di controllo di Gestione caratterizzato da (Azzone, 2006):

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Orientamento al lungo periodo: la distinzione fra breve e lungo periodo tende ad essere meno netta;

Tempestività: è importante agire prontamente.

Tutte queste caratteristiche dei sistemi di controllo trovano una ragion d’essere nei sistemi complessi (si veda il capitolo 1) che risultano particolarmente sensibili alle condizioni iniziali, caratterizzati dall’effetto butterfly, interrelazioni non lineari di numerosi elementi. Cresce ed oggi è pienamente manifesta la consapevolezza che il controllo di gestione debba rappresentare uno strumento a supporto della gestione anche della strategia, il cui processo prevede tre fasi: la formulazione, l’implementazione e la sua valutazione (Bubbio, 2012).

Questo circolo deve poter essere percorso non solo periodicamente ma ogni qual volta se ne manifesti la necessità e poter disporre di uno strumento che sia capace di far riflettere i manager sulle possibili conseguenze del verificarsi di alcuni eventi consente all’impresa di mostrarsi pronta, soprattutto in un contesto ipercompetitivo, ovvero caratterizzato dal combinarsi di tre elementi congiunti quali turbolenza, elevato numero di concorrenti anche anomali e dall’evoluzione del comportamento del cliente.

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Figura 9: Le 3 fasi di una strategia