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Capitolo 1 - Complessità ed Imprese

1.7 La complessità manageriale

Le teorie e le pratiche manageriali, frutto della matrice culturale occidentale moderna (Fiocca, 2007), hanno subito una notevole evoluzione dal loro nascere collegato alla rivoluzione industriale ma, fino ad oggi, erano rimaste collegate ed aggrappate ad un’idea “razionalista e meccanica della gestione d’impresa” (Cravera, 2008).

La gestione d’impresa è ancora protesa nello sforzo di semplificare, ridurre, ordinare e controllare l’ambiente, spesso utilizzando strumenti inadeguato (budget e controllo, modellizzazioni lineari,…). Pur tuttavia, il mondo economico è un mondo sempre più complesso e, pertanto, anche la gestione delle imprese deve cercare di inglobare nei propri modelli di management i principi della complessità. L’impresa, infatti, deve affrontare tre diversi tipi di complessità:

ambientale: tutto ciò che è esogeno all’impresa cambia in modo imprevedibile e turbolento;

gestionale: caratterizzata da incertezza ed imprevedibilità delle azioni, del contesto e delle conseguenze;

transazionale: ogni transazione endo ed extra organizzativa è incerta, vaga ed interdipendente da altre transazioni.

Vicari (1998) riconosce l’esistenza di complessità esterna ma anche interna: la prima è legata all’ambiente ma esiste anche una complessità legata alle proprie strutture (uomini, tecnologia, organizzazione, prodotti,..) che interagisce con la prima generando l’ipercompetizione.

La turbolenza ambientale si manifesta anche attraverso alcune forze che erodono il vantaggio competitivo (imitazione, inerzia, sub ottimizzazione, cambiamento del gioco che si consolidano in un effetto cumulativo).

(De Toni & Comello, Prede o Ragni, 2005) identificano 7 principi della complessità e li traspongono in principi di management.

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Principi della Complessità Principi di Management

Auto-Organizzazione Auto-Organizzazione

Orlo del caos Disorganizzazione Creativa

Principio Ologrammatico Condivisione

Impossibilità della Previsione Flessibilità Strategica Potere delle Connessioni Network Organization Causalità Circolare Circoli Virtuosi Apprendimento Try&Learn Learning Organization

Figure 5: 7 principi della complessità declinati al management (De Toni & Comello, 2005)

Le aziende devono essere capaci di auto-organizzarsi, ovvero di rispondere ai mutamenti ambientali e raggiungere il proprio obiettivo sotto la guida di una leadership capace di favorire comportamenti emergenti e di stimolare l’intelligenza distribuita (Principio di Auto-Organizzazione).

Le organizzazioni debbono sviluppare la propria forza distruttrice e creatrice, in un contesto aperto in cui viene inoculata la creatività che agisce come elemento primario di un circolo virtuoso (Principio di Disorganizzazione Creativa). L’impresa, ha al apri di tutti gli esseri viventi la finalità di sopravvivere, di mantenere la propria esistenza attraverso l’autopoiesi, la capacità di una rigenerazione continua che vede alternarsi circoli di distruzione e creazione (Cravera, 2008). Un’impresa, pertanto, deve essere in grado di superare il concetto che il vantaggio competitivo è determinato dall’ottenere i maniera continuativa un extraprofitto rispetto ai propri concorrenti: la generazione di un extraprofitto è solo un delle due facce della medaglia perché l’altra consiste nella capacità di alimentare i propri processi autopoietici. Ecco perché l’impresa deve essere capace di creare ma anche di smembrare le determinanti del proprio successo.

La condivisione di valori ed obiettivi, l’interiorizzazione della cultura e dei linguaggi rappresentano una delle più importanti regole gestionali del nuovo paradigma gestionale (Principio di Condivisione). L’impresa, infatti, è un insieme articolato di persone, organizzazione ed asset tecnici ma questi ultimi, sebbene rilevanti, sono solo uno degli strumenti con cui generare valore: molto più importanti sono le competenze incarnate nelle persone, il cui pieno coinvolgimento richiede una condivisione di valori, obiettivi ed una motivazione.

La condivisione è anche importante perché le persone oltre ad essere “agenti” rappresentano anche dei “sensori” ed è, quindi, estremamente importante che siano in

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grado di filtrare ciò che costituisce un fenomeno rilevante dal semplice rumore. Pertanto, l’ambiente che funge da input per i processi decisionali e la strategia d’impresa finisce per essere letto, interpretato dalle persone che fanno parte dell’organizzazione che innescano una reazione.

Il ruolo di sensori è determinato da tre fattori: l’accessibilità (non accediamo direttamente alla realtà ma solo alla sua rappresentazione che ne facciamo internamente sulla base delle nostre esperienze e conoscenze); le ortodossie collettive (assunzioni e modi di vedere il mondo che condizionano i membri di un gruppo); i limiti percettivi (legati ai nostri sensi limitati).

Da quanto detto è possibile cogliere l’importanza della condivisione: le ortodossie collettive e l’accessibilità, se da un lato hanno il privilegio di accrescere l velocità di risposta e l’efficienza, possono essere, dall’altro, causa di cecità minacce ed opportunità, sconfinando nell’abitudine e rappresentando un limite in contesti turbolenti e complessi. Ultimi ma non meno importanti aspetti da condividere sono il sapere e l’informazione. Non funzionano soluzioni nelle quali non si trasmettono conoscenze e non si sviluppano competenze né possono essere accettabili soluzioni che vedono l’informazione disponibile solo per una cerchia ristretta di soggetti: il sistema non sarebbe in grado di resistere alla complessità ed alla turbolenza.

Per poter sopravvivere nel mercato competitivo, è necessario restare attenzione ai segnali deboli cui dare risposte forti ma non vincolanti, privilegiando la flessibilità all’ottimizzazione (Principio di Flessibilità Strategica). In un mondo a complessità crescente, il compito della strategia si sposta dal prevedere il futuro e pianificare le azioni conseguenti al creare il proprio futuro, mantenendo “alta la flessibilità necessaria far fronte continuamente a continuità e discontinuità” (Cravera, 2008).

L’ambiente non seleziona le imprese migliori in assoluto ma quelle che hanno la maggiore capacità di adattarsi a sistema perturbante e che, in relazione alla maggiore complessità interna frutto dell’accumulo di risorse e di conoscenza, consentono una migliore flessibilità strategica.

L’azienda deve essere aperta all’esterno ed all’interno: devono esser favorite tutte le relazioni anche quelle informali ed è necessario privilegiare la cultura del presidio a quella del possesso (Principio di Network Organization).

Le organizzazioni ricercano sistematicamente circoli che si auto-alimentano, (Principio dei Circoli Virtuosi). Se un’impresa, ad esempio, accumula capitale intangibile, è probabile che si inneschino feedback positivi che portano ad un incremento del loro

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valore. I manager debbono fare attenzione a cogliere questi circoli di feedback positivo e ad alimentarli senza comprometterne il funzionamento anche se sono nati per meccanismi di ex-aptation.

Il Principio della learning organization si sostanzia nel favorire un clima di fiducia, di tolleranza all’errore che diventa importante fonte di apprendimento. Questo richiede uno sforzo perché la maggioranza delle persone, infatti, associa al fallimento il concetto di punizione, di risultato da condannare, di vergogna e gli insuccessi rappresentano qualcosa di negativo.

Interessante è, a tale proposito, un aneddoto che riguarda Thomas Alva Edison, imprenditore e inventore statunitense, famoso per la lampadina e come inventore del fonografo. Edison non inventò la lampadina ma contribuì a migliorarla12 tanto che la leggenda vuole che nei suoi duemila tentativi usò persino un pelo di barba. Durante una conferenza stampa un giornalista gli chiese sarcasticamente come si fosse sentito a fallire duemila volte nel fare una lampadina. La risposta di Edison fu bruciante perché l’inventore sostenne di non aver fallito duemila volte nel fare una lampadina ma semplicemente di aver trovato millenovecento-novantanove modi su come non andasse fatta una lampadina.

Questo è lo spirito che deve permeare una learning organization, un’organizzazione consapevole che il fallimento fa parte della strada che porta alla riuscita e al successo. Percorrere una strada nuova significa tentare di creare qualcosa di unico, di innovativo, di mai sperimentato prima ed è normale che qualcosa vada storto, a volte per fattori esogeni. Gli sviluppatori della Rovio hanno creato circa 50 giochi prima di “Angry Birds Space” e, nonostante i giochi precedentemente sviluppati non abbiano avuto successo, non sono stati fallimenti ma sono serviti per perfezionare proprio quest’ultimo prodotto13.

Lo stesso prodotto Post It della 3M è, in realtà frutto di un errore.

12La prima versione di lampadina prodotta da Edison durò 40 ore, mentre l’italiano Alessandro Cruto ne realizzò una versione che durò 500 ore.

13

L’ultimo gioco Angry Birds Space nato in casa Rovio Mobile ha raggiunto una cifra inimmaginabile di 50 milioni di download in soli 35 giorni, diventando uno dei videogiochi che si è diffuso più rapidamente nel minor tempo possibile, fino ad oggi. Il 9 maggio 2012 Rovio Mobile ha annunciato che i giochi di Angry Birds hanno superato il miliardo di download

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