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Capitolo 5 - Complessità e Sistemi di Controllo nelle organizzazioni

5.4 Lezioni dalle High Reliable Organizations

Se, dunque, il cambiamento rappresenta la regola ed, in particolare, come abbiamo già avuto modo di osservare nel capitolo 1, il rischio, l’incertezza e l’imprevisto governano la nostra vita. (Taleb, Giocati dal Caso, 2008), (Taleb, Il Cigno Nero, 2009) anche all’interno delle organizzazioni stabili per effetto di situazioni impreviste, le organizzazioni hanno la necessità di sviluppare modalità operative mutuando alcuni aspetti delle High Reliable Organizations (HRO). Come riportano, infatti, Weick e Sutcliffe (Weick & Sutcliffe, 2010) le organizzazioni di successo sviluppano ed incorporano stabilmente nelle proprie routines organizzative competenze, peculiarità, accorgimenti che rendono “naturale” un comportamento eccezionale.

Ecco che le organizzazioni odierne hanno la necessità di sviluppare una “mindfulness” intesa come una piena consapevolezza ed il modello BSC2 (che presenteremo ne Capitolo 9) è uno dei possibili strumenti per esplicitare e comunicare strategia e convinzioni e consentire a tutti i membri di un’organizzazione di non lasciarsi fuorviare dalle proprie aspettative e convinzioni e di focalizzarsi sui dettagli significativi che consentono di cogliere le prime avvisaglie di un possibile problema o di un’opportunità e porre in atto i primi interventi correttivi.

Perché questa capacità funzioni davvero è necessario che rispetti questi 5 principi:

L’organizzazione deve essere sensibile alle potenziali criticità, accettandole come un qualcosa di ineludibile. Alle persone è chiesto di cogliere anticipatamente segnali deboli. L’organizzazione non deve semplificare, operando una riduzione selettiva sbagliata e forzata di una realtà complessa, al fine di costruire un falso senso di governabilità della situazione.

L’organizzazione è un unicum ma alcune attività vengono svolte da suoi sottosistemi che colgono segnali deboli ed anticipatori.

L’organizzazione deve sviluppare la propria resilienza, ovvero la propria capacità di resistere alle difficoltà senza collassare.

L’organizzazione deve sviluppare rispetto per la competenza oltre che per la gerarchia, consentendo lo sviluppo di una leadership auto-organizzante e consentendo ampie deleghe

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I primi tre principi vengono definiti dai due autori, “principi anticipatori” mentre il quarto e quinto principio rappresentano “principi del contenimento”.

In sostanza, tutti e 5 i principi se applicati consentono di sviluppare un’organizzazione attenta ed in linea con la complessità dell’ecosistema e la turbolenza ambientale.37

5.4.1 La creazione di una “mindful organizzation”.

La organizzazioni e le persone che le compongono sono spesso accecate dalle proprie aspettative, ovvero dall’attesa che qualcosa, per un buon motivo, si realizzerà certamente. In particolare, il problema è più grave nelle organizzazioni di successo perché queste finiscono per generare eccessiva fiducia nelle capacità dei propri manager mentre, invece, il successo potrebbe essere del tutto casuale. A ciò si aggiunge un aspetto psicologico per il quale gli individui tendono ad escludere le informazioni, i segnali che smentiscono le proprie convinzioni e ad accentuare ed enfatizzare, invece, quelli che le riaffermano, per dare una sensazione di padroneggiare la situazione e dare un senso di controllo pieno. Queste tendenze diventano ancora più marcate quando si è sotto pressione.

Nella realtà, invece, può accadere che:

un evento che ci si aspettava avesse luogo non accade; un evento inatteso si verifica;

un evento impensabile si materializza.

La maggiore complessità e turbolenza del contesto hanno reso più frequenti fenomeni del terzo tipo, verso i quali deve essere posta attenzione e sensibilità.

Lo sviluppo della mindfulness, ovvero di una piena consapevolezza del dettaglio discriminante, si sostanzia nella capacità di non ricondurre gli avvenimenti all’interno di una quadro di elementi familiari e rassicuranti, ponendo, invece, le basi per un’attenzione costantemente vigile e “giustamente” preoccupata su ciò che sta accadendo. Per quanto detto a proposito del contesto, emerge chiaramente che è di fatto impossibile gestire un’organizzazione solo attraverso sistemi di controllo routinari, “che dipendono da regole , programmi, routine, categorie stabili e criteri fissati per la corretta performance” (Weick & Sutcliffe, 2010) ma piuttosto a valle di una piena consapevolezza, di un

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continuo apprendimento ed affinamento deve essere permesso un controllo diretto e libero, quasi come in un’orchestra jazz.

Un problema non trascurabile per rendere pienamente mindful un’organizzazione è la segnalazione: infatti, una cosa è scoprire un errore, una minaccia, una criticità ed una cosa è segnalarla. Questo è possibile solo se esiste una cultura che non solo non danneggia ma, anzi, incoraggia e premia la segnalazione perché questo rende le persone più desiderose di discutere, lavorare per la correzione di errori e consente un maggiore apprendimento sul sistema.

Lo sviluppo di una organizzazione mindful passa anche per una riluttanza alla semplificazione. Se, infatti, da un lato, la semplificazione consente il controllo e la stessa sopravvivenza delle organizzazioni, l’eccessiva semplificazione può distogliere l’attenzione da dettagli ed aspetti importanti. Per questo motivo, è importante che ciascun individuo possa confrontarsi con altri individui, possibilmente, di estrazione e competenze differenti: l’interazione fra soggetti diversi riduce la semplificazione ed aiuta nel cogliere segnali anticipatori di possibili criticità ed opportunità. Inoltre, la discussione aperta evita la categorizzazione immediata che distorce la percezione e riduce il numero di soluzioni applicabili.

Un ultimo aspetto da non trascurare riguarda il fatto che la mindful deve essere tale da consentire una sensibilità a tutti gli eventi, compresi quelli non accaduti ma solo potenziali: un evento potenziale, infatti, è ugualmente in grado di evidenziare una criticità anche se non si è manifestato pienamente.

5.4.2 La resilienza come forma di controllo.

Vogliamo ora introdurre alcuni concetti legati all’occorrenza di eventi inaspettati che taluni imputano, sbagliando, alla mancanza di controllo. Come riportano, infatti, Hollnagel, Woods e Levenson:

“The link between loss of control and the occurrence of unexpected events is so tight that a preponderance of the latter in practice is a signature of the former. Unexpected events are therefore often seen as a consequence of lost control. The loss of control is nevertheless not a necessary condition for unexpected events to occur.

They may be due to other factors, causes and developments outside the boundaries of the system.” (Hollnagel, Woods, & Leveson, 2006)

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Proprio per questo motivo, avere un’organizzazione “sotto controllo”, in un contesto in cui l’imprevedibile è la regola, significa avere un’organizzazione resiliente, ovvero capace di “conservare la propria struttura e le proprie funzioni di fronte a cambiamenti interni ed esterni e di usurarsi in modo elegante quando è necessario”. (Weick & Sutcliffe, 2010)

La resilienza è, quindi, una forma di controllo perchè “a system is in control if it is able to minimise or eliminate un wanted variability, either in its own performance, in the environment, or in both.”. (Hollnagel, Woods, & Leveson, 2006).

Sviluppare la resilienza significa sviluppare 3 abilità:

L’abilità nell’assorbire lo sforzo per preservare il funzionamento, nonostante la presenza di avversità interne od esterne;

L’abilità di riprendersi dopo un evento imprevisto;

L’abilità di apprendere ed evolvere a partire dall’esperienza vissuta direttamente o surrogata.

Le organizzazioni resilienti, dunque “sotto controllo”, operano sviluppando risorse generali per affrontare e rispondere rapidamente al cambiamento, ovvero consentono di dare riscontri rapidi, capitalizzare la conoscenza diretta o surrogata attraverso la formazione di gruppi eterogenei di soggetti dotati di un set di competenze che riarrangiano anche ricorrendo all’improvvisazione.

Infatti, “in order to be in control it is necessary to know what has happened (the past), what happens (the present) and what may happen (the future), as well as knowing what to do and having the requiered resources to do it.” (Hollnagel, Woods, & Leveson, 2006). La figura seguente, tratta dal lavoro di Hollnagel, Woods e Leveson, mostra le qualità di un sistema e gli aspetti di cui tener conto perché una organizzazione sia effettivamente resiliente.

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Figure 35: Qualità ed aspetti da considerare per una organizzazione resiliente (Hollnagel, Woods e Leveson,)

La resilienza, inoltre, non è una caratteristica solo delle organizzazioni ma anche delle persone e, come dimostrano le ricerche di Martin E.P. Seligman, anche questa abilità può essere valutata ed insegnata. (Seligman, 2011)

L’autore ritiene che, in primis, un atteggiamento ottimista sia alla base delle organizzazioni resilienti ed ha sviluppato un percorso formativo che parte da una consapevolezza dei propri punti di forza, attraverso un potenziamento dell’analisi per concludersi potenziando le capacità relazionali.

Il programma formativo, introdotto nell’ambito del progetto di cui parleremo al capitolo 10, va nella stessa direzione ed è in linea con quanto indicato dall’autore.

5.4.3 Il rispetto per la competenza.

Un’organizzazione capace di reagire prontamente è un’organizzazione in cui c’è grande rispetto per la competenza. Questo aspetto, che può sembrare ovvio, in realtà non lo è perché in azienda esistono diversi condizionamenti quali, ad esempio, la gerarchia o l’anzianità, il grado di parentela e vicinanza con il top management, …

Nelle organizzazioni il primo ad accorgersi di segnali deboli è chi è operativo, spesso in posizione più bassa nella gerarchia e, per questo, mostra una certa riluttanza a comunicare

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verso le parti alte della gerarchia o non è dotato di delega operativa: la reazione, quando il segnale giunge al vertice, è quanto meno ritardata.

La cosa che va sottolineata che ci deve esser rispetto sia a livello individuale che collettivo per la competenza, intesa come “un insieme di conoscenza, esperienza, apprendimento ed intuizioni che raramente si incarna in un singolo individuo” e le persone debbono guardare al proprio intervento come a “un contributo anziché come ad un’azione solitaria” per garantire il benessere dell’organizzazione. (Weick & Sutcliffe, 2010)

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