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L’immagine come stigma della Storia

Nel documento combattente 9 (pagine 91-94)

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Arte e immagine

Francesco Fornasieri

Sub specie imaginis

L’immagine come stigma della Storia

Nell’esame di Stato i ragazzi sono chiamati non a conoscere nozionisticamente gli argomenti bensì a di-mostrare la propria consapevolezza critica rispetto ad essi, attraverso soprattutto la capacità di stabilire dei nessi tra gli “oggetti” della conoscenza e ultimamente a darne un giudizio critico personale. In questo senso vogliamo dare un contributo in forma di paragrafi, i cui titoli rimandano a problemi culturali, storici e filosofici riferiti al programma di terza media. L’intento e il me-todo sono dunque quelli di osservare come gli artisti hanno riflettuto e preso posizione rispetto alla realtà (storica, sociale, geografica, culturale...): ai ragazzi si mostrerà quindi il nesso profondo che esiste tra l’arte e il mondo con le sue vicende, provando a farli lavorare poi nello stesso senso. Ho voluto provare a introdurre delle proposte nuove e forse un po’ audaci che però possono essere innanzitutto per il docente un approc-cio inconsueto e interessante.

4VSZSGEVIIVM¾IXXIVIWYPPEWXSVME e la politica

Gerhard Richter, uno degli artisti più importanti del nostro tempo, nasce a Dresda nel 1932. Dopo aver vissuto nella sua infanzia la tragedia del Nazismo, nel corso della sua giovinezza riesce a scappare ad Ovest due mesi prima della costruzione del muro di Berlino. Dopo aver insegnato per molti anni all’Acca-demia di Belle arti di Düsseldorf, nel 1983 si trasferisce a Colonia, dove tutt’ora risiede. A partire dagli anni Sessanta, Richter inizia ad archiviare immagini di ogni tipo, classificandole in modo meticoloso fino a creare una monumentale raccolta di fotografie divise secondo criteri tematici e formali. È proprio la fotografia la principale fonte di ispirazione del pittore: “A un certo punto ho cominciato a guardare la fotografia in modo diverso, come un’immagine che mi offriva una nuova prospettiva, libera da tutti i criteri convenzionali. Non aveva stile, composizione, giudizio. Per la prima volta non c’era nient’altro che l’immagine pura. Questo è il motivo per cui volevo non usare la fotografia come

mezzo pittorico, ma al contrario usare la pittura come mezzo fotografico”. Userà quindi la pittura da fotogra-fia come mezzo per eternare un documento e riflettere quindi sulla memoria.

Per esempio possiamo mostrare la foto-pittura On-kel Rudi: lo zio di Richter, era stato ucciso in guerra nel 1944; diventerà il soggetto della foto-pittura Zio Rudi del 1965 (vedi https://www.gerhard-richter. com/it/art/paintings/photo-paintings/death-9/uncle-rudi-5595) o nella foto-pittura Zia Marianne, che ha per soggetto la zia di Richter, uccisa in seguito agli esperimenti di eugenetica nazisti (vedi https://www. gerhard-richter.com/it/art/paintings/photo-paintings/ death-9/aunt-marianne-5597). Il pittore addirittura re-plica pittoricamente la fotografia di un manifesto di propaganda nazista raffigurante Hitler, quasi a insistere nella ferita che le proprie immagini, più che le per-sone, non possono far dimenticare (vedi: https://www. gerhard-richter.com/it/art/paintings/photo-paintings/ death-9/hitler-5472/?&p=1&sp=32).

Le sue opere, che a partire dagli anni Settanta assu-mono tonalità assu-monocrome, quasi fotografie sfocate, sono spesso indagini sul mondo e sulla storia, e susci-tano nello spettatore interrogativi esistenziali e dubbi irrisolti.

Anselm Kiefer, anch’egli tedesco di nascita, è un ar-tista divenuto ossessionato dalla memoria storica del proprio paese: “Ovviamente la Storia è arrivata dopo, perché a sedici-diciassette anni non pensi ancora alla Storia. Tanto più che la mia Storia, ossia la storia del Terzo Reich, non veniva praticamente mai affrontata a scuola. [...] Proprio perché sentivo questa mancanza ho iniziato ad interessarmi della Storia, soprattutto tedesca: prima quella più recente, poi sempre più in-dietro. Tutto quello che mi raccontavano i grandi era come avvolto in un alone, senza contorni ben defi-niti. Il primo contatto ‘a fior di pelle’ con la Storia l’ho avuto ascoltando un disco, quando ero ancora a scuola, a diciassette anni. Il disco era stato pubblicato dagli americani per la ‘rieducazione’: conteneva i

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scorsi originali di Hitler, Göhring, Göbbels. Ne rimasi

profondamente scosso. [...] In Germania si dice che la lingua geht unter die Haut, ‘ti va sotto la pelle’, ti tocca da vicino. Per questo è importante avere un rapporto diretto con la Storia, per esempio ascoltandola: chi le si avvicina solo attraverso i libri incorre in errore”. È interessante notare come sia l’esperienza del bisogno di un’origine (socialmente censurata) che muove la ricerca artistica, cioè la domanda “Da dove veniamo?”. Nel 1975, col progetto Cauterization of the Rural District of Buchen (vedi: http://zoltanjokay.de/zoltanblog/ anselm-kiefer-the-cauterization-of-the-rural-district-of-buchen-2/) Kiefer incarna quella storia di distru-zione carbonizzando una serie di tele e poi cucendole insieme in forma di libri, dove i riferimenti storici si afferrano alle follie dei roghi nazisti, le distruzioni e uc-cisioni della “notte dei Cristalli”, le campagne militari di Hitler nell’Est, i fuochi dei crematori. Nel progetto di Buchen le ferite della Storia consumano letteralmente la tela, qui trasformata in libro, volgendo l’intero og-getto non in un simbolo di dolore, ma in concreta fe-rita, un oggetto pietrificato arroventato nel fuoco della violenza della ideologia. Qui nasce la sua passione e sensibilità per i materiali, in questa tensione a far riaccadere, nella storia di fattura e crescita del quadro, la traccia della Storia di cui narra. È un procedimento che si avvicina alla liturgia, cioè che non si limita a ricordare e simbolizzare un avvenimento, ma ne fa memoria facendolo riaccadere sub specie imaginis. Dal punto di vista strettamente esistenziale, si rivela che la sfocatura del rapporto col passato, l’indecifra-bilità o l’incombenza minacciosa di esso, l’avvertire come negativo ciò che precede, dipende da un’assenza di senso nel presente, dalla mancanza di un’ipotesi di senso che abiliti al rapporto col presente e il pas-sato, e dia la spinta di intrapresa verso il futuro. Ma il costante lavorio del “cantiere” di Anselm Kiefer è comunque sintomo di una ricerca di senso inesausta. Ne i Sette palazzi celesti esiste (vedi: http://www.han-garbicocca.org/spazio/i-sette-palazzi-celesti/) un’o-pera site-specific, cioè realizzata appositamente per il capanno dell’Hangar Bicocca di Milano nel 2005, Kiefer si ispira al libro di Enoch, un apocrifo testo di origine giudaica che descrive la complessa architettura dei cieli e la vita da percorrere per arrivare al cospetto di Dio passando attraverso i Sette palazzi celesti. È composta da sette torri pendenti di altezze diverse, co-struite sovrapponendo parallelepipedi cavi di cemento armato. Questi ultimi sono stati realizzati “a stampo”, usando come matrice dei veri containers blu e rossi, cosa che ha determinato la colorazione azzurrognola o rosata di parte dei blocchi. Ai piedi dei sette palazzi e sulla loro sommità, Kiefer ha disposto 160 libri di

piombo, di formati diversi, a creare una sorta di “tap-peto di saggezza”, dal quale le costruzioni sembrano avere origine. Da un punto di vista strutturale i libri contribuiscono ad assicurare l’equilibrio delle torri e, proprio in virtù di questa loro funzione, potenziano metaforicamente il messaggio dell’opera, facendo della conoscenza che essi contengono l’unico elemento ca-pace di preservare la civiltà da una apocalittica disfatta, citando anche, per contrasto, i roghi di veri libri perpe-trati dal nazismo. Essi sono i custodi della memoria, e il piombo acuisce la percezione della loro durata (resiste anche alle radiazioni nucleari), e il loro valore alchemico: essi contengono in potenza l’oro immortale della conoscenza.

Le contraddizioni della storia sono spesso denunciate dagli artisti, cosa che riesce molto bene allo street artist Banksy, specialmente nelle opere apparse sul muro eretto nello stato di Israele. La complessità e criticità della situazione sociopolitica delle zone in cui queste opere sono state eseguite rende necessaria una contestualizzazione, che non vuole giudicare le parti in causa ma tentare di descrivere una situazione che è difficile immaginare più complessa. Il muro che di-vide la Cisgiordania dallo stato d’Israele è stato eretto dall’esercito israeliano all’interno di un più ampio programma di occupazione dei territori palestinesi. La funzione di questa struttura sarebbe quella di impedire fisicamente la penetrazione di terroristi all’interno del territorio nazionale, cosa che si è verificata assai spesso è che continua con varie forme di attentati a obiettivi militari e civili. Il muro, terminato nel 2003 e più volte modificato nel 2004 e 2005 a causa delle pressioni internazionali, è lungo 730 km e ingloba, oltre alla maggior parte delle colonie israeliane, la quasi totalità dei pozzi. Il 9 luglio 2004 la Corte Internazionale di

Banksy, 3ENZATITOLO murales, Palestina 2005.

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Giustizia dell’Aja, in risposta agli interrogativi posti dall’Assemblea generale dell’ONU, ha dichiarato que-sta struttura contraria al diritto internazionale. Attual-mente le condizioni della popolazione palestinese sono estremamente critiche a causa dell’isolamento coatto che impedisce loro un libero accesso ai pozzi e ai ter-reni agricoli. Nonostante i numerosi richiami ricevuti il governo israeliano ha mantenuto fino ad oggi una posizione intransigente. La posizione geografica d’I-sraele è molto critica poiché esso viene a trovarsi al centro di un territorio controllato quasi completamente dalla Lega Araba. Fin dalla sua fondazione nel 1948 i rapporti con i paesi confinanti e con la popolazione palestinese sono stati a dir poco conflittuali. Lo stato d’Israele nasce dalla necessità, espressa da una parte del popolo ebraico, di avere un proprio Stato dove risie-dere per mettere così fine alla diaspora. Tale richiesta ottenne un grande appoggio da parte degli stati occi-dentali in seguito a ciò che era accaduto nella seconda guerra mondiale.

I lavori di Banksy giocano sul cortocircuito semantico tra occupante/occupato, illusione/realtà, desiderio/ limite. Sul muro di divisione che secondo l’artista “tra-sforma la Palestina nella più grande prigione a cielo aperto”, Banksy disegna squarci, sfondi verdeggianti, scale che permettano di scavalcare il muro, bambini che volano appesi a palloncini, lanciando così uno dei messaggi di pace e speranza più originali della nostra epoca, portando un po’ di colore in un mondo troppo grigio, ma con anche un tono sarcastico e caustico che è sintomo di grande intelligenza, unita al desiderio di dare voce a ciò che tutti sentono ma che spesso non trova espressione efficace.

Maurizio Cattelan è fra gli artisti contemporanei ita-liani più riconosciuti al mondo. Le sue opere, spesso irriverenti, provocatorie e di grande impatto visivo, ri-escono sempre a far discutere provocando nel pubblico e nei critici reazioni contrastanti. Nel 2012 colloca nel ghetto ebraico di Varsavia Him (Lui), una scultura raffi-gurante Hitler inginocchiato in preghiera, con gli occhi gonfi di lacrime che sta chiedendo perdono per tutti i crimini del Nazismo e per il dolore inferto agli ebrei. Il titolo è già una provocazione in sé: come per l’In-nominato de I promessi sposi il suo vero nome non si può pronunciare, a causa di tutto il male compiuto. La scultura, vestita con indumenti veri e realizzata con materiali plastici che la rendono quasi iperrealista, ha però il corpo di dimensioni leggermente più piccole rispetto alla realtà, provocando nello spettatore un “cortocircuito” percettivo. L’opera ha scatenato mol-teplici reazioni da parte dei mass-media e anche del mondo ebraico.

Marina Abramovic ha dedicato la maggior parte della sua attività artistica alle performance, forma artistica prediletta della Body Art. Spesso i body artist com-piono azioni cariche di violenza sul proprio corpo, esplorandone i limiti e lanciando messaggi di denuncia sociale: in questo filone si collocano le performance del gruppo degli Azionisti viennesi (Vito Acconci, Gina Pane e Marina Abramovic). Di quest’ultima è signifi-cativa, oltre che estrema, l’opera Balkan Baroque che l’ha vista trascorrere alcune giornate in un sotterraneo a lavare centinaia di ossa bovine insanguinate (meta-fora delle migliaia di vite spezzate nella guerra civile in Bosnia (vedi: http://www.artribune.com/2012/07/tra- arte-e-esperienza-capitolo-iv-postmoderno-transavan-guardia-nuovi-selvaggi-graffitismo-le-donne-nellarte/ low-balkan-baroque/).

La proposta

Prendendo spunto da questi artisti si possono rea-lizzare con i ragazzi lavori che riprendano gli stessi metodi e intenti: chiedendo loro di copiare fedelmente in bianco e nero una fotografia antica di famiglia, ma-gari riguardante la storia militare dei propri nonni o bisnonni, per non perderne la memoria (Richter); op-pure realizzando una scultura a forma di torre per assemblaggio di oggetti significativi della propria in-fanzia “congelandoli” con una colata di gesso liquido, come a volerne incarnare ad un tempo la preziosità da non dimenticare e il carattere effimero, l’importanza di non perdere il significato del passato e il dramma di doverlo superare (Kiefer). Oppure si può chiedere loro di inscenare una performance che riguardi i pro-blemi dell’attualità, il rapporto con l’altro, lavorando parallelamente in Religione sul problema del rapporto tra culture e religioni, sulla testimonianza dei martiri, sulla sacralità della vita che è propria di ogni religiosità autenticamente vissuta, e che faccia riflettere innanzi-tutto i propri compagni di scuola (Abramovic). Si può chiedere loro di immaginare di vivere nella Berlino anteriore all’89, o nella Palestina odierna e di pensare e progettare un murales da realizzare sul muro di separazione, che esprima i sentimenti profondi delle persone che vi abitano, o addirittura da realizzare su un muro del proprio istituto come espressione di ciò che si desidera che la scuola sia o che magari già è (Banksy).

Il potere delle immagini nella società di massa

“Sembra un film”: è stato il commento forse più frequente che abbiamo sentito fare davanti alle torri in fiamme del World Trade Center nel 2001. Mai prima di allora si era assistito ad un fenomeno mediatico così vicino alla rappresentazione cinematografica da

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