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DELLA LIBERTÀ PERSONALE E L’ISTITUZIONE DEL GARANTE

4.2. L’insufficienza della tutela giurisdizionale

Il sistema delle tutele prestato a favore delle persone private della libertà personale, nell’ordinamento italiano, è prevalentemente affidato alla Magistratura di sorveglianza alla quale spetta la decisione sui reclami dei detenuti e degli internati, e , più in generale , il controllo sugli istituti di pena. In base all’art 69, comma 6 , legge n.354/1975 , infatti , il Magistrato di sorveglianza, oltre a decidere con ordinanza sui reclami dei detenuti e degli internati concernenti varie materie ( lavoro, remunerazione, sanzioni disciplinari), esercita la vigilanza sull’organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena e quella “ dirette ad assicurare che l’esecuzione della custodia degli imputati sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti”. E poiché, anche a seguito dei numerosi interventi della Corte costituzionale, la titolarità di certi diritti non può andare disgiunta dal riconoscimento del potere di farli valere dinanzi ad un giudice in un procedimento di natura giurisdizionale, è certamente il Magistrato di sorveglianza a svolgere la principale competenza funzionale in materia di tutela dei diritti dei detenuti e ad intervenire, ovviamente a seguito dell’iniziativa dell’interessato, con decisione vincolanti per l’Amministrazione Penitenziaria.

È diffusa, tuttavia, l’opinione che il sistema di tutela giurisdizionale apprestato dalle leggi dell’ordinamento penitenziario risulti in larga parte inadeguato. Esso, oltre ad evidenziare carenze sul piano strutturale e su quello delle specifiche competenze per quanto riguarda i diversi luoghi in cui, pure, si realizzano forme di coercizione personale, ed oltre a risultare gravato da una serie di funzioni che ostacolano i compiti di vigilanza sulle condizioni di detenzione dei soggetti private della libertà personale, sconta una certa riluttanza della popolazione carceraria a ricorrervi per ottenere tutela dei diritti.

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72 Del resto, come dice lo stesso Magistrato di sorveglianza Alberto Marcheselli, molto spesso è la stessa materiale difficoltà di governare la massa delle istanze, denunce, segnalazioni a rendere tardiva e inefficiente la tutela. Detto in altri termini, una indiscriminata attuazione di tali modelli per ogni segnalazione ricevuta non solo rischia di comportare la paralisi della attività, ma renderebbe pressoché impossibile la selezione dei casi: la diluizione degli interventi su una miriade di casi ne eliderebbe la capacità di penetrazione. L'ordinamento italiano è sotto questo profilo assolutamente carente. Quindi quest'organo, che patisce da tempo una strutturale carenza di organico, 73è in primo luogo gravato di una serie di funzioni (in particolare, la decisione sulla concessione delle misure alternative), che ne ostacolano la piena disponibilità e la possibilità di verificare in maniera approfondita e costante le condizioni di detenzione dei soggetti reclusi negli istituti penitenziari. In secondo luogo, come già accennato sopra, la realtà carceraria dimostra una effettiva riluttanza dei detenuti a ricorrere al magistrato di sorveglianza quale organo garante dei loro diritti ed interessi legittimi, limitandosi prevalentemente a rivolgere allo stesso istanza unicamente per la futura concessione di permessi premio o di misure alternative alla detenzione. Questa riluttanza dei detenuti ad adire il magistrato di sorveglianza è certamente dovuta anche alla scarsa frequentazione degli istituti di pena da parte del magistrato, a sua volta ricondotta da alcuni all'idea che «una frequentazione assidua della prigione

72 A. DIDDI, La verifica ab externo: il garante nazionale dei diritti delle persone in

vinculis, in Misure cautelari ad personam in un triennio di riforme (a cura di) R.M.

Geraci, Giappichelli, Torino, 2015, pag. 172

73 Occorre anche considerare che la legge n.10 del 2014, nonostante abbia

aggiunto nuove competenze anche al giudice monocratico, non è stata contemporaneamente accompagnata da interventi sui carichi di lavoro o sulle dotazioni di organico dei magistrati e del personale, rendendo prevedibile che le nuove norme non risolveranno il problema dell’efficacia delle risposte del magistrato ai reclami dei detenuti e che è bene che il rispetto della legalità nelle condizioni di vita in detenzione sia stato rafforzato, affidandolo anche al Garante nazionale.

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influenzerebbe il giudice, privandolo della necessaria imparzialità».74 Ma tale inidoneità della magistratura di sorveglianza a garantire efficacemente i diritti e gli interessi legittimi dei detenuti è soprattutto

riconducibile alle condizioni eccessivamente restrittive che

legittimano, ai sensi delle norme sull'ordinamento penitenziario, l'attivazione di un procedimento giurisdizionale tale da condurre all'emanazione di provvedimenti decisori dotati della cogenza necessaria ad imporsi all'amministrazione penitenziaria. Ciò emerge

chiaramente dalla questione esaminata dalla stessa Corte

costituzionale nella sentenza n. 26 del 1999, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità degli articoli 35 e 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui tali disposizioni non prevedono una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei diritti del detenuto, ma soltanto in relazione alle materie del lavoro e della disciplina, tassativamente indicate dal comma 6 dell'articolo 69 della legge medesima.75 E’ in tale contesto che origina la figura del Garante, vale a dire di un organo cui spetta non solo il compito di vigilare sulle modalità di esecuzione della custodia dei detenuti, degli internati, dei soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere o ad altre forme di limitazione della libertà personale, ma anche quello di verificare le possibili violazioni dei diritti umani e quello di sensibilizzare l’amministrazione penitenziaria e gli organi parlamentari e governativi ai problemi delle persone private della libertà.

4.2.1. Le differenze di ruolo con il Magistrato di

sorveglianza

La funzione e il ruolo del Garante si distinguono da quelle del Magistrato di sorveglianza sia per ampiezza, sia per natura: se il

74 Cit. di A. Colombo, «Dietro le sbarre più fitte», in Il Manifesto, 7 giugno 1992,

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controllo del Magistrato di sorveglianza è un puro controllo di legalità e il suo ruolo rispetto alla soluzione delle controversie, oltre a riguardare esclusivamente la tutela delle posizioni giuridiche di diritto soggettivo, sconta le lentezze e le procedure proprie di un organo di giudizio, l’attività del Garante è di mediazione nell’ambito delle situazioni conflittuali, di intermediazione tra ambiente carcerario e società civile, di promozione delle attività formative, lavorative, culturali e sportive, di deterrenza rispetto a possibili maltrattamenti e abusi, attraverso l’opera di pubblicizzazioni di eventuali iniquità delle condizioni detentive. Il Garante occupa una posizione e si avvale di una possibilità di azione molto più versatili e duttile di quelle proprie del Magistrato di sorveglianza e certamente, per questo, ne va riconosciuta senza ombra di dubbio l’originalità e l’utilità. È evidente, tuttavia, che l’efficacia dei suoi interventi – nelle realtà già esistenti in altri Paesi si tratta quasi sempre di segnalazioni o raccomandazioni, e molto raramente invece di direttive o procedimenti sanzionatori – non può che essere direttamente proporzionale alla intensità del controllo sociale e politico che l’ordinamento è in grado di esprimere.