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L'importanza della tutela giurisdizionale. L'istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.

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INDICE

INTRODUZIONE 5

CAPITOLO PRIMO: : L’ESIGENZA DI UNA TUTELA ESTERNA

AI DIRITTI DEI DETENUTI

1.1. Quando ancora la tutela del detenuto era inesistente 7

1.2. Un principio di tutela 8

1.2.1. La commissione visitatrice 9 1.3. La sentita esigenza di una tutela giurisdizionale: l’istituzione del

Giudice di sorveglianza 12

1.3.1. Le competenze del Giudice di sorveglianza 14

1.3.2. Le funzioni ispettive 16

1.3.3. Brevi cenni sulla funzione deliberativa e consultiva 19 1.4. Dubbi sulla funzione di vigilanza del Magistrato di sorveglianza

21

CAPITOLO SECONDO: LA TUTELA NON GIURISDIZIONALE

DEL C.P.T.

2.1. La nascita del C.P.T e l’adozione del Regolamento interno 24

2.2. La funzione di prevenzione 28

2.3. Poteri del Comitato Europeo ed ispezioni carcerarie 29 2.4. Visita in Italia del CPT svoltasi dal 13 al 25 Maggio 2012 33

2.4.1. La risposta del Governo italiano alle raccomandazioni del

Comitato 38

2.5. Ricorsi individuali al CPT 41

2.6. Rilievi essenziali e generali dei rapporti del CPT estrapolati dalle 10

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2

CAPITOLO TERZO: ANALISI COMPARATIVA DELLA FIGURA

DELL’OMBUDSMAN NELL’AMBITO EUROPEO

3.1. Le origini storiche dell’ombudsman 49

3.2 L’ombudsman e la tutela dei diritti umani 50 3.3. Differenti denominazioni per un unico istituto, con un unico obiettivo

52

3.4. Le raccomandazioni del Consiglio d'Europa in materia di ombudsman 54

3.5. Il fattore geografico: l’incidenza sulla figura dell’Ombudsman 57

3.5.1. I paesi scandinavi 58

3.5.2. I paesi continentali 58

3.5.3. I paesi di Common Law 59

3.5.4. I Paesi del Mediterraneo 60

3.5.5. I Paesi dell’Est 60

3.6. L’ombudsman dei detenuti in Austria 60 3.7. L’ombudsman dei detenuti in Estonia 62 3.8. L’ombudsman dei detenuti in Finlandia 64 3.9. La tutela non giurisdizionale dei detenuti in Francia. Le Controleur Général des lieux privatifs de libertè 67

3.9.1. L’osservatorio internazionale delle prigioni 69 3.10. La tutela non giurisdizionale nell’ordinamento britannico. Premessa

71

3.10.1. Il Prison Ombudsman britannico 71

3.10.2. Le Boards of Visitors 72

3.11. L’istituzione del Garante Europeo: la cittadinanza come presupposto 75

(3)

3

CAPITOLO QUARTO: IL GARANTE DEI DIRITTI DELLE

PERSONE PRIVATE DELLA LIBERTÀ PERSONALE E

L’ISTITUZIONE DEL GARANTE NAZIONALE

4.1. La tutela dei diritti dei detenuti lungo due direttrici complementari 78

4.2. L’insufficienza della tutela giurisdizionale 80 4.2.1. Le differenze di ruolo con il Magistrato di sorveglianza

82

4.3. La tutela dei detenuti tra Stato e Regioni 83 4.4. Il Garante territoriale dei diritti delle persone private della libertà

personale 85

4.5. La proposta di legge 85

4.5.1.L’introduzione del Garante nell’ordinamento penitenziario 87

4.6. Le funzioni del Garante territoriale 89 4.6.1. Il coordinamento dei Garanti territoriali 91 4.7. I problemi suscitati dalle figure locali 92 4.8. La Sentenza Torreggiani

95 4.8.1. Il meccanismo della sentenza pilota

95

4.8.2. Il motivo della denuncia all’Italia nella Sentenza Torreggiani: il sovraffollamento come problema secondario?

97 4.9. La Legge “svuota carceri” , 21 febbraio 2014, n.10, come risposta alla

Corte EDU 99

4.10. Il Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della

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4

4.11. Il regime di incompatibilità dei componenti dell’organismo 101

4.12. Le strutture di supporto alle attività del Garante nazionale 102 4.13. Le attività del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale 103

4.13.1. Il potere di vigilanza 104 4.13.2. Il diritto di visita 105 4.13.3. La visione di atti 106 4.13.4. La richiesta di documentazione 107 4.13.5. Le verifiche 107 4.13.6. La formulazione di raccomandazioni 108 4.13.7. La trasmissione della relazione annuale 109

4.14. I rapporti con i garanti locali 110 4.15. I rapporti con la Magistratura di sorveglianza 111

CONCLUSIONI 114

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5

INTRODUZIONE

Fin da quando è stata introdotta la tutela non giurisdizionale nel grande sistema dei diritti dei detenuti sono sorte diffidenze sul ruolo,sulla posizione e sulla funzionalità ricoperta dalle figure preposte a garantire tale forma di tutela. Diffidenze sia sulla figura stessa del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale sia confrontandola e comparandola con l’altra figura della Magistratura si sorveglianza, capace di offrire invece una tutela giudiziale. Proprio perché è una tutela non giurisdizionale ci si è chiesti quanto fosse in grado di offrire effettività, quanto fosse in grado di rispondere alle sempre più difficili esigenze del sistema penitenziario, prevenendo e garantendo violazioni dei diritti, senza oltretutto poter disporre di poteri decisori o sanzionatori tipici di un organo di giudizio. Inoltre, ponendola a confronto con il ruolo ricoperto dal Magistrato di sorveglianza, secondo alcune autorevoli dottrine, è presente il rischio che quest’ “altra” forma di tutela possa andare a sovrapporsi a quella giurisdizionale andandone a creare quasi un vero e proprio doppione. Questi dubbi sono sorti principalmente andando a guardare le funzioni ispettive riconosciute ad entrambe le figure, in quanto sia il Magistrato di sorveglianza sia il Garante dei diritti dei detenuti hanno, tra gli altri poteri, il potere di vigilare sulla corretta esecuzione della pena e sulle condizioni di detenzione. Potere che prende vita dal diritto di visita, che permette a queste figure di visitare fisicamente i luoghi di detenzione e dal potere di colloquiare coi detenuti, a seguito di reclami mossi dagli stessi.

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6

Il problema affrontato in questa tesi dunque, oltre alla presentazione della nuova figura del Garante a livello nazionale, è capire quanto alto

effettivamente sia il rischio che possa configurarsi una

sovrapponibilità tra le due forme di tutela e, con riguardo alla figura non giurisdizionale quanto questa possa essere utile a garantire che i diritti delle persone detenute vengano rispettati e tutelati.

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7

CAPITOLO PRIMO: L’ESIGENZA DI

UNA TUTELA ESTERNA PER I

DIRITTI DEI DETENUTI

1.1. Quando ancora la tutela del detenuto era

inesistente

Non è certo frequente imbattersi in una verifica a tutto campo dei problemi del sistema carcerario, e più in generale degli istituti adibiti a sanzioni di tipo detentivo, nella prospettiva penale, processuale e penitenziaria. Meno ancora lo è, nell’ottica di una riflessione sulla legalità penitenziaria incentrata sui diritti fondamentali della persona nella fase dell’esecuzione e sugli spazi effettivi del loro riconoscimento, con l’occhio rivolto, in particolare, ai meccanismi di tutela e alle strategie atte a renderla effettiva.

Com’è ben noto, per secoli e almeno fino al Settecento la storia del carcere è stata una storia terrificante di abusi e di sopraffazione dell’autorità pubblica nei confronti dell’individuo privato a varia titolo della libertà. In tali epoche passate, l’eventuale disciplina dei luoghi di reclusione di coloro che venivano privati della libertà, mirava

esclusivamente alla migliore realizzazione di scopi

afflittivo/retributivi e di tutela dell’ordine pubblico, senza essere minimamente ispirata a principi di umanità e di garanzia della dignità e dei diritti dei detenuti. Torture, maltrattamenti, abusi di ogni genere e condizioni inumane della detenzione costituivano la norma. I detenuti, infatti, erano in genere privi di qualsiasi diritto e si trovavano in una condizione di assoluta soggezione nei confronti del potere e delle autorità. A maggior ragione, mancavano norme che

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sanzionassero, a tutela dei detenuti, eventuali abusi commessi dall’autorità nei confronti degli stessi. In questa situazione, da un punto di vista giuridico il problema di un potenziale conflitto tra trattamento penitenziario e diritti fondamentali ovviamente neanche si poneva, essendo inesistenti entrambi i poli di tale conflitto. Da un lato, infatti, di trattamento penitenziario si poteva parlare solo nel senso molto generico di trattamento de facto dei reclusi, ma non certo di quello più preciso di trattamento normativamente disciplinato dalle persone private della libertà, che come sappiamo mira al

raggiungimento di determinati obiettivi (quali che siano:

neutralizzazione, emenda, rieducazione, etc). Dall’altro, la stessa idea dell’esistenza di diritti individuali fondamentali e inviolabili non aveva ancora trovato riconoscimento e consacrazione. Com’è noto, la situazione cambia a partire dal periodo illuminista, proprio a seguito del riconoscimento, anche normativo, dei diritti fondamentali in capo ad ogni individuo: tale riconoscimento infatti si riverbera anche, sia pure in un certo ritardo e all’esito di ulteriori successive evoluzioni, sul trattamento dei detenuti. Tuttavia, a parte le disposizione che prevedono l’abolizione e il divieto della tortura, per moltissimo tempo e anche dopo l’affermarsi degli ideali illuministici di umanità della pena detentiva, e ancora fino ad anni recenti, il processo di progressiva regolamentazione normativa delle carceri e l’affermazione dell’idea di trattamento penitenziario, hanno continuato ad ispirarsi più al soddisfacimento di esigenze di tutela della collettività che di rispetto dei diritti individuali delle persone detenute.1

1.2. Un principio di tutela

Si dovrà aspettare il Regio Decreto attuativo del Regolamento generale per gli stabilimenti carcerari e per i riformatori governativi

1 A. Gaboardi, A.Gargani- e altri, “Libertà dal carcere, libertà nel carcere”, Torino,

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del Regno del 1° febbraio 1891 per poter intravedere un barlume di tutela, in quei 891 articoli che lo componevano. E seppure questo regolamento, comportò in linea generale un peggioramento della condizione del detenuto per alcuni motivi 2 , non mancarono alcune disposizioni che, invece, presentavano un organo che tra i suoi compiti aveva quello di prestare,seppur in modo blando e ancora vergine, una tutela ai detenuti. Una novità rappresentata soprattutto dal fatto che fosse un organo esterno all’amministrazione penitenziaria, che garantisse quindi, almeno in apparenza, imparzialità e discrezionalità. L’organo in questione era la c.d. Commissione visitatrice, la cui presenza fu richiesta in ogni comune in cui si trovassero stabilimenti carcerari o riformatori, che aveva l’incarico di vegliare su tutto quello che riguardasse il vitto, l’arredo, l’igiene, l’istruzione e il lavoro ed altro ancora.

1.2.1. La commissione visitatrice

La nuova Commissione, era un organo composto dal sindaco del comune in cui era situato lo stabilimento carcerario o da un assessore da lui delegato, dal procuratore del Re, e dal parroco nella cui cura era collocato lo stabilimento e da due cittadini eletti nominati uno dal prefetto della provincia ed uno dal procuratore generale del distretto della corte d’appello. Questi soggetti, tra cui i due cittadini che quando si trattava di stabilimenti in cui erano presenti sezioni destinate alle donne potevano essere scelti tra persone di sesso

2 Tra i motivi rientra il fatto che c’erano disposizioni volte ad instaurare rapporti di rigida subordinazione gerarchica tra i direttori degli stabilimenti e la Direzione generale o a scoraggiare qualsiasi iniziativa autonoma e responsabilizzazione delle autonomie locali, con la conseguenza che ciò si ripercuoteva negativamente sulla vita dei detenuti che erano costretti a dipendere dalle autorità centrali anche per questioni di poca importanza e attendere per mesi una risposta alle loro istanze più elementari.

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femminile, duravano in carica un solo anno,con la possibilità di essere riconfermati. Era una composizione che, qualora fossero sopraggiunti gravi fatti tali da nuocere alla disciplina interna degli stabilimenti carcerari o dei riformatori3, poteva essere sciolta con decreto reale su proposta del Ministro dell’interno e del Ministro della giustizia.

Nonostante tra i compiti della Commissione ci fossero quelli di rafforzare sia il rispetto delle autorità da parte dei detenuti o il severo mantenimento della disciplina, che fa sorgere un dubbio circa il vero fine della sua istituzione, sicuramente spicca il potere di vigilanza sulle materie di cui sopra e sulla tutela e la riforma morale dei detenuti, anche allo scopo di concorrere efficacemente e in concreto con la direzione locale. E proprio per poter dare adempimento a queste sue funzioni di ufficio, la commissione poteva accedere all’interno dello stabilimento carcerario o del riformatorio e visitare tutti i luoghi facenti parte dello stesso: dai dormitori alle celle, alle infermerie, ai laboratori, alle dispense, alla cucine, alle caserme destinate al corpo degli agenti di polizia, finanche alle celle adibite alla punizione dei detenuti, ed altri ancora. Oltretutto, il potere ispettivo della Commissione visitatrice non si limitava solo alla supervisione dei luoghi facenti parte dello stabilimento, ma si estendeva fino ad avere la possibilità di poter sentire le domande da parte degli stessi detenuti o dei ricoverati, ed in particolare da parte dei condannati in attesa di assegnazione o di passaggio.4

3 La norma, nello specifico l’articolo 48 del presente Regolamento, nulla dice

riguardo a quali potessero essere i “gravi fatti” tali da nuocere alla disciplina interna dello stabilimento o riformatorio. Il fatto che non voglia specificare se questi “gravi fatti” fossero determinati da una negligenza della Commissione nello svolgimento della sue funzioni, o da un disaccordo della sua attività con le regole dell’Amministrazione penitenziaria, fa sorgere qualche dubbio sull’interesse da parte del Regolamento istitutivo circa l’offerta di una reale tutela ai diritti dei detenuti.

4 In quanto per poter visitare i detenuti che non erano ancora stati condannati o

che erano a disposizione delle autorità di pubblica sicurezza, era necessario l’intervento del rappresentante l’autorità giudiziaria, o il suo consenso.

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Le funzioni della Commissione non si limitavano, però, a porre in essere meramente un potere ispettivo: essa poteva, infatti, oltre a visitare gli stabilimenti carcerari o i riformatori, stilare delle osservazioni alle quali quelle visite potevano dar luogo sui singoli rami di servizio. Queste osservazioni venivano poi inserite, da parte della stessa Commissione, all’interno di uno speciale registro conservato nell’ufficio della direzione, e se dopo le visite la Commissione rilevasse casi urgenti, essa doveva riferirne senza indugio al prefetto e al Ministero dell’interno, dopo aver sentito l’autorità dirigente dello stabilimento carcerario. Infine, alla fine di ogni anno finanziario, e precisamente entro il mese di Luglio, il Presidente della Commissione visitatrice inviava al prefetto della provincia le osservazioni che aveva avuto luogo di fare durante le visite effettuate durante l’anno, ed il prefetto aveva il compito di spedirle successivamente al Ministero complete del suo parere e delle sue proposte.5

Questo potere di visita, come quello del colloquio col detenuto, come ancora la facoltà di fare osservazioni e presentare relazioni annuali sulle condizioni degli stabilimenti, denotano quanto simile fosse la funzione della Commissione alla figure che, al giorno d’oggi, sono preposte alla tutela dei diritti dei soggetti ristretti: si pensi ad esempio all’organo giurisdizionale della Magistratura di sorveglianza o agli organi non giurisdizionali quali i Garanti dei detenuti. Ciò pone in rilievo l’importanza che ebbe tale organo all’interno della grande materia dei diritti dei detenuti, senza che però sia stato esente da dubbi circa la concreta tutela che fosse in grado di offrire. E questo sembra anche ovvio, considerando che si trovò su un campo, quello della tutela appunto dei soggetti privati della libertà personale, ancora vergine e in fase di sperimentazione. Del resto un esempio lampante

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dell’incertezza sull’effettività del ruolo di tale organo fu l’esigenza di istituire una tutela che avesse un carattere giurisdizionale.

1.3. La

sentita

esigenza

di

una

tutela

giurisdizionale: l’istituzione del Giudice di

sorveglianza

Dalla mera vigilanza della Commissione era naturale l’evoluzione verso forme più organizzate e profonde di controllo, attuate mediante organi che sempre di più abbandonavano la natura amministrativa per virare verso quella giurisdizionale, capace di dare una tutela effettiva ai diritti dei detenuti. Tra i primi a capirlo fu il Ministro Guardasigilli Rocco, che nella Relazione di presentazione del Regolamento per gli istituti di prevenzione e di pena fece notare quanto fosse necessario istituire una nuova figura che avesse, tra le altre funzioni, quella di sorvegliare sulla corretta esecuzione della pena. Ed è proprio da questa esigenza, cioè la ricerca dell’effettività, che è nata il concetto più ampio di sorveglianza, in origine affidata al Consiglio di Sorveglianza quale organo misto e collegiale; successivamente passata attraverso l’istituzione del Giudice di Sorveglianza appunto con il R.D. 18 giugno 1931 n. 787, fino a giungere al contemporaneo Magistrato di Sorveglianza voluto dall’art. 69 della legge di Riforma penitenziaria n. 354/1975 oggi vigente e in continua crescita, soprattutto con modifiche riguardanti l’ampliamento delle competenze.

Questa esigenza nacque anche dal momento che si cominciò a sviluppare una concezione che condannava sì il peccato, riconosciuto oltretutto in una vasta gamma di azioni, ma nello stesso tempo tendeva ad una solidarietà con il peccatore, e che ancora, conservava il carattere fondamentale del castigo, ma in correlazione del riaffermato principio della imputabilità morale. Potrebbe sembrare, così dicendo, che questa concezione portata si contrapponesse al pensiero fascista,

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ma niente sembrava più adatto a questo fine se non la sorveglianza del giudice dell’esecuzione della pena, che avrebbe determinato nel condannato la convinzione che il diritto di punire, oltre che nella fase giudiziaria, anche in quella dell’esecuzione fosse esercitata con tutte le garanzie ed i limiti della legalità, portando l’animo del condannato a disporsi verso la tendenza alla socialità, che è da sempre la fonte più

viva dell’emenda.6 La nuova concezione della pena quale,

sostanzialmente, strumento retributivo, ma anche di riadattamento

sociale del detenuto, aveva due corollari: quello della

individualizzazione della pena e quello del riconoscimento di diritti soggettivi del detenuto. Inoltre la pena aveva anche un'utilità sociale, in quanto la sua finalità rieducativa era vista come funzionale alla necessità di preservare la società da coloro i quali si fossero dimostrati socialmente pericolosi. A questo punto appare chiara la ragione dell'istituzione dell'organo del Giudice di sorveglianza: chi meglio di

un magistrato poteva risolvere eventuali contrasti tra

l'amministrazione penitenziaria e i detenuti, chi meglio di un magistrato poteva fornire quello strumento di garanzia così sentito come necessario, o poteva dare attuazione all'individualizzazione della pena, essendo oltretutto previsto l'obbligo di visita periodico? Così, con l'approvazione da parte di S.M. Vittorio Emanuele III di Savoia del nuovo Codice penale del 1930, e del nuovo Codice di procedura penale del 1931, nonché con il Regolamento per gli Istituti di Prevenzione e di Pena approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 787, si introdusse, e si strutturò, nella sua costituzione e nel suo funzionamento, l'organo del Giudice di sorveglianza. È interessante sottolineare da subito come immediatamente dopo l'emanazione del nuovo Codice penale si fosse avvertito il bisogno, se non proprio di giustificare, di delimitare esattamente, in maniera rigorosa, la portata

6 Relazione del Ministro Guardasigilli Rocco per l’applicazione del Testo definitivo

per gli istituti di prevenzione e di pena, Rivista di diritto penitenziario, 1931, pag 583

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di una tale innovazione, nell'ambito della fase esecutiva della pena. Questa necessità venne avvertita fortemente dal potere esecutivo, il quale, emanando il Regolamento per gli Istituti di Prevenzione e di Pena, determinò meticolosamente le materie di competenza del Giudice di sorveglianza, e le forme di tale competenza, senza lasciare spazio a possibili integrazioni interpretative di natura analogica. Non mancavano certo voci favorevoli alla possibilità di allargare interpretativamente le competenze del Giudice di sorveglianza, ma la maggior parte della dottrina considerava l'elencazione contenuta nell'articolo 4 del Regolamento come tassativa. Si vede quindi che, nonostante la consapevolezza della necessità e della utilità del Giudice di sorveglianza, lo si istituì con molta circospezione e cautela, e ciò si nota, non solo dalla non cumulabilità delle funzioni di Giudice di sorveglianza con altre funzioni giudiziarie, ma anche dalla nitidezza della distinzione dei i suoi poteri con quelli del Direttore della prigione. Infatti, il Giudice di sorveglianza – a prescindere dalla generale vigilanza affidatagli per l’osservanza del rispetto alle leggi e ai regolamenti – costituì da subito una specie di magistratura dello stabilimento, che interveniva o quando nel corso dell’esecuzione della pena si dovesse modificare la condizione o il trattamento del condannato, o quando si dovesse trattare di tutelare diritti subiettivi del condannato stesso. 7

1.3.1. Le competenze del Giudice di sorveglianza

Leggendo l’art 144 del Codice Penale del 1930 si evince solo in modo generale la funzione del Giudice di sorveglianza8, dovendo dunque ricorrere alla lettura dell’articolo 4 del Regolamento per gli istituti di prevenzione e di pena, che al primo capoverso ripete genericamente che «Il Giudice di sorveglianza esercita la sorveglianza sulla

7 Regolamento per gli istituti di prevenzione e di pena, approvato con R.D. 18

giugno 1931, n. 787 , in Rivista di diritto penitenziario, 1931, pag. 591

8 Secondo l’art 144 del Codice penale del 1930 “L’esecuzione delle pene detentive

è vigilata dal Giudice. Egli delibera circa l’ammissione al lavoro all’aperto e dà parere sull’ammissione alla liberazione condizionale”.

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esecuzione delle pene detentive, visitando ogni due mesi gli stabilimenti ed accertando se sono state osservate le disposizioni delle leggi e dei regolamenti [...]», mentre al secondo capoverso elenca in modo minuzioso le singole competenze del Giudice di sorveglianza. Come accennato sopra, il Giudice può intervenire quando si tratta di modificare la condizione ed il trattamento del condannato e quando si tratta di tutelare i loro diritti. Nella prima categoria si fa rientrare il grande elenco esposto nel Regolamento, rispettivamente nel seguente ordine:

a) Mutamento dello stabilimento speciale durante l’esecuzione della pena (art 40, 3° cpv);

b) ammissione del condannato maggiore degli anni diciotto in sezioni speciali, nel caso dell'articolo 289;

c) provvedimenti per il condannato ritenuto non adatto alla vita in comune (art. 52 e 53);

d) assegnazione agli stabilimenti di riadattamento sociale e revoca di essa ( art. 227 e 230)

e) trasferimento del condannato ad una casa di punizione e da questa allo stabilimento ordinario ( art. 231 e 233);

f) trasferimento del condannato ad una casa di rigore o ad una casa per minorati fisici o psichici (art 234);

g) trasferimento del condannato, al quale sia sopravvenuta un’infermità psichica, in un manicomio giudiziario o in una casa di cura e di custodia (art. 106);

h) ammissione al lavoro all’aperto e revoca del provvedimento (art 144 capoverso del codice penale e art 120 di questo regolamento)

i) inammissibilità della domanda di liberazione condizionale manifestamene infondata (art191)

9 Cioè, secondo l’articolo 28 “ Quando il minore ha compiuto i diciotto anni, ma ha

tenuto, nella sezione minorile, buona condotta e ha dato seria prova di attaccamento al lavoro”

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Mentre nella seconda categoria, quella riguardante la tutela dei diritti dei detenuti, il Regolamento non pone molta attenzione, limitandosi a ricordare che il condannato non è privo di diritti verso l’Amministrazione.10 Comunque, leggendo con un’attenta analisi le competenze inserite nel Regolamento 18 giugno 1931, n 787, si può desumere che le funzioni del Giudice di sorveglianza possono distinguersi in tre categorie: a) funzioni ispettive, che attengono ad una vigilanza generica sugli stabilimenti penitenziari; b) funzioni deliberative, che sono le più numerose ed hanno una parte essenziale nell’attuazione del trattamento penitenziario; c) funzioni consultive, che implicano l’emissione di pareri in particolari momenti dell’esecuzione della pena. In questo lavoro, verranno trattate solo le funzioni ispettive in quanto più attinenti, rispetto alle altre, all’oggetto della tesi, riservando alle funzioni deliberative e consultive solo brevi cenni.

1.3.2. Le funzioni ispettive

Le funzioni ispettive del Giudice di sorveglianza erano manifestazione di un potere generale di "vigilanza" sulla retta applicazione delle leggi e dei regolamenti all'interno degli stabilimenti penitenziari, nei confronti dei detenuti. Questa genericità si riscontrava proprio nella dizione stessa dell'articolo 4 del Regolamento, che riprendeva la formula dell'articolo 144 c.p. È da precisare, però, che tale carattere di indeterminatezza non significava che il Giudice di sorveglianza avesse un potere di vigilanza globale su quello che avveniva all'interno degli istituti di prevenzione e di pena, senza sorta di limitazioni. Egli doveva assicurarsi della regolarità legale e regolamentare solo di ciò che riguardava il detenuto: assicurarsi, cioè, che la pena venisse regolarmente applicata, che in

10 Regolamento per gli istituti di prevenzione e di pena, approvato con R.D. 18

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tale applicazione non ci fossero eccessi o deficienze di alcuna sorta, che si rimanesse fedeli a ciò che era stato stabilito nella sentenza di condanna, ma anche che lo stesso detenuto osservasse le norme legislative e regolamentari che esplicavano la loro efficacia all'interno degli stabilimenti.

Proprio queste caratteristiche del potere di vigilanza del Giudice di sorveglianza, strettamente connesso alla vita carceraria dei detenuti condannati nei confronti dei quali l'amministrazione penitenziaria attuava la potestà punitiva dello Stato, escludevano la competenza di questo organo giudiziario verso detenuti imputati (non condannati definitivamente).

Essendo tale potere così ben determinato, si sentì la necessità di precisare quale fosse la natura dei rapporti intercorrenti tra i Giudici di sorveglianza e i direttori degli istituti. Basti per ora evidenziare che si affermò molto chiaramente che tra questi due organi non esisteva assolutamente una gerarchia funzionale.

Il potere del Giudice di sorveglianza non era affatto un potere sostitutivo, bensì di controllo, sia di legittimità che di merito, che però non era sua esclusiva prerogativa, visto che all'articolo 296 dello stesso Regolamento si attribuiva anche al direttore l'obbligo di curare «la scrupolosa osservanza delle leggi, dei regolamenti...» e di sorvegliare «il modo con cui i funzionari, da lui dipendenti, adempiono i loro doveri […]». Si deve anche sottolineare che il Giudice di sorveglianza non aveva la possibilità di ovviare ad eventuali manchevolezze riscontrate, con propri ordini rivolti al direttore, ma poteva semplicemente farle presenti al Ministero. È importante far presente, peraltro, che l’azione ispettiva del Giudice di sorveglianza, aveva un carattere ed un contenuto assai diverso da quello proprio della vigilanza esercitata dal Ministero di grazia e giustizia, direttamente o per mezzo degli Ispettori regionali, istituiti con la Legge 25 luglio 1956, n. 888. Mentre al Ministero e agli

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Ispettori competeva una supervisione generale sull’organizzazione degli stabilimenti, sul funzionamento dei servizi, sull’operato del personale, sulla disciplina dei detenuti e sull’ordine degli istituti, al Giudice di sorveglianza spettava una vigilanza sulla legalità del trattamento penitenziario. In sostanza, il suo compito principale era quello di assicurare l’osservanza delle norme di legge e di quelle regolamentari che disciplinavano la vita della comunità carceraria: specialmente quelle del Codice penale e di procedura penale, del Regolamento per gli istituti di prevenzione e di pena e dei regolamenti interni dei singoli istituti.11

Da ciò che abbiamo detto fino ad ora sulle funzioni ispettive, appare evidente come il potere di vigilanza dell'organo in questione, non potesse esplicarsi su materie quali, ad esempio, quelle relative alle funzioni o ai rapporti gerarchici degli agenti di custodia, o quelle relative alle relazioni disciplinari tra detenuti e personale o autorità penitenziarie. L'unico caso in cui il Giudice di sorveglianza poteva adottare delle misure disciplinari, a norma dell'articolo 160 del Regolamento10, si verificava quando infrazioni o violazioni, per le quali il testo regolamentare prevedeva delle sanzioni, avvenivano in sua presenza durante l'esercizio delle sue funzioni, o quando era a ciò richiesto tramite istanza o reclamo. Va da sé che, per esplicare al meglio tali compiti, era necessario per il Giudice di sorveglianza recarsi personalmente negli stabilimenti, anche con una frequenza maggiore di quella prevista dal Regolamento (due volte al mese). È singolare che, nonostante ciò, ci sia stata la necessità di introdurre una norma, articolo 56 lett. b, che prevedeva espressamente che l'organo giudiziario in oggetto aveva libero accesso agli stabilimenti, senza che fosse necessario nessun permesso del Ministero della giustizia. Sembra quasi che sul punto ci fossero stati dei dubbi, e che quindi per cancellarli definitivamente fosse stata opportuna tale previsione

11 G. TARTAGLIONE, Le funzioni del Giudice di sorveglianza, in Rass. st. penit , 1972,

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Formalmente la pena non mirava, ormai, solo ad una vendetta, alla retribuzione del male commesso, bensì anche alla rieducazione della personalità. Nella pratica le resistenze, però, erano ancora molto forti, le norme regolamentari e legislative non erano tutte tese completamente a questi principi "progressisti", nel senso di “moderni”, e quindi se il giudice non si fosse dimostrato deciso, presente ed attivo agli occhi sia dell'amministrazione, sia dei detenuti stessi, essendo necessaria la loro partecipazione e collaborazione, le tanto esaltate innovazioni in materia di esecuzione penale sarebbero rimaste un contenitore vuoto, una facciata.

Una delle norme che fanno un po' riflettere sul reale atteggiamento del tempo può essere proprio l'articolo 585 c.p.p., nella parte in cui (comma 4º) prevedeva che nelle carceri mandamentali le funzioni del Giudice di sorveglianza, e quindi anche quelle ispettive, erano attribuite al Pretore, il quale era, solitamente, anche il direttore dello stabilimento. Non è necessario evidenziare con qualsivoglia argomentazione la ambiguità di una tale situazione, tenuto conto di tutto ciò che è stato fino a questo momento evidenziato sul significato dell'esistenza del Giudice di sorveglianza.

1.3.3. Brevi cenni sulla funzione deliberativa e

consultiva

Procedendo seguendo l’ordine che è presente nello stesso Regolamento, dopo l’elenco dei punti sopra esposti, dalla lettera a) alla lettera i), bisogna trattare, rispettivamente, le:

1) funzioni deliberative: queste rientravano nella seconda categoria, in quanto incidevano sui diritti soggettivi del condannato. È opportuno precisare che il potere esecutivo

prese in considerazione diritti soggettivi di natura

patrimoniale. È vero che la titolarità dei detenuti di diritti soggettivi nonostante il loro stato di reclusi era stata accettata da buona parte della dottrina e degli "addetti ai lavori", ma

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nella relazione al Re, relativa al Regolamento, il Ministro affermava che si dovevano ancora determinare limiti e caratteri di tali diritti. Quando ciò fosse avvenuto, si sarebbero potute ampliare le competenze del Giudice di sorveglianza su questo punto, introducendo in questa elencazione tassativa altre materie. I due casi di funzioni deliberative rispetto a diritti soggettivi (di carattere patrimoniale) previste dall'articolo 4 del Regolamento erano contenute nelle lett. l e m. Il Giudice di sorveglianza decide sui reclami dei detenuti in materia di remunerazione per il lavoro prestato12 ed in materia di spese di mantenimento del liberando infermo13.

2) Funzioni consultive: L'articolo 4, comma 3º, del Regolamento, e l'articolo 144, comma 2º c.p., prevedevano gli unici due casi in cui era richiesto obbligatoriamente il parere del Giudice di sorveglianza. Con ciò si intende che in tali ipotesi l'assunzione del parere del Giudice di sorveglianza era condizione necessaria per la legittimità, e per la regolarità formale dei provvedimenti che dovevano essere emessi, ma quanto al contenuto non erano vincolanti, non ci si doveva, cioè, conformare necessariamente ad essi. Circa le funzioni consultive, il Giudice di sorveglianza era chiamato, dunque, a dare pareri in materia di grazia e di liberazione condizionale. Nell’enunciazione di essi, doveva non solo verificare l’esistenza delle condizioni prescritte dalla legge e dalle altre norme in vigore, ma anche rendersi conto dello stato psico-fisico del soggetto, dei progressi realizzati sul piano del trattamento, della idoneità della famiglia a prestare sostegno

12 Limitatamente alle vertenze concernenti la corrispondenza fra la remunerazione

calcolata dalla direzione dello stabilimento e quella che gli è dovuta con le detrazioni, che variano a seconda della posizione giuridica del detenuto.

13 Invero, nel caso in cui il detenuto non possa essere dimesso per infermità,

matura a suo carico un obbligo di rimorso delle spese diverso da quello dell’ordinario mantenimento in stati di detenzione.

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materiale e morale. Si trattava quindi di un accertamento non soltanto di condizioni giuridiche, ma anche di elementi di giudizio tecnico sulle possibilità di adattamento alla vita sociale libera.14

1.4. Dubbi

sulla

funzione

di

vigilanza

del

Magistrato di sorveglianza

Dopo aver esposto le funzioni ispettive del Giudice di sorveglianza, che dal 1975 è invece denominato Magistrato di sorveglianza, è impossibile non far caso a quanti dubbi siano da sempre sorti circa la specifica funzione di vigilanza all’interno degli istituti penitenziari. Con riferimento all’articolo 4, comma 1, del regolamento Rocco non si è mancati giustamente di rilevare il carattere estremamente limitativo della normativa previgente, che precisava i tempi ed i modi in cui la vigilanza doveva essere esercitata. 15Con riferimento all’articolo 69 dell’Ordinamento Penitenziario, se si analizzano invece le modalità in cui si estrinseca il potere di vigilanza ( visite, colloqui, visione di documenti), non si è mancati di rilevare il carattere poco funzionale di tali attività. Con particolare riferimento ai colloqui, posto che il detenuto chiede di incontrare il Magistrato di sorveglianza per sottoporgli temi di vario genere, si è sostenuta l’inopportunità di tali colloqui che accentuerebbero il carattere anomalo delle funzioni di sorveglianza, aumentando il distacco dei magistrati che le esercitano dagli altri settori della magistratura. Non bisogna dimenticare che, grazie anche al più accentuato coinvolgimento del Magistrato di sorveglianza nel settore delle misure alternative, e al conseguente rafforzamento delle funzioni decisorie di tale organo, è affiorata in una parte della Magistratura di sorveglianza una aperta diffidenza

14 G. TARTAGLIONE, Le funzioni del Giudice di sorveglianza, in Rass. st. penit., 1972,

p. 349

15 F. DELLA CASA, Commento all’art. 69 ord. penit in Ordinamento penitenziario, a

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verso la presenza in carcere, ritenuta pericolosa per la terzietà del giudice.

Oltretutto, diverse riflessione sono state sviluppate anche sulla cattiva riuscita di cui ha dato prova in concreto il potere di vigilanza e questo perché anche allorquando il Magistrato lo ha svolto adeguatamente, si è poi trovato a confrontarsi con un interlocutore- il ministero- che ha fornito risposte del tutto insoddisfacenti o che, addirittura, ha omesso qualsiasi risposta. Si sono create così le premesse per un diffuso scetticismo da parte degli stessi Magistrati di sorveglianza sull’effettiva incidenza del potere di vigilanza ad essi riservato, con conseguente rarefazione della loro presenza all’interno dell’istituzione carceraria.

In considerazione della varie difficoltà che hanno indebolito il ruolo del garante assegnato dalla stessa legge al Magistrato di sorveglianza, si è andata affermando l’idea che sarebbe stato opportuno introdurre anche nel nostro ordinamento la figura del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, figura con funzioni extragiudiziali,16considerando oltretutto che in altri Paesi europei era già presente da tempo questa figura complementare alla tutela giurisdizionale, e considerando anche quanto fosse riconosciuta ormai anche a livello internazionale con l’organo del Comitato europeo per la prevenzione della torture e delle pene o trattamenti inumani o degradanti.

In conclusione, si potrebbe ritenere come la struttura della tutela per i diritti dei detenuti, nel suo senso generale, abbia quasi una forma ciclica, partendo dalla tutela offerta dalla Commissione visitatrice, giungendo al Giudice di sorveglianza, e sentendo nuovamente l’esigenza di affiancare le due forme di tutela per permettere sempre più una garanzia effettiva e concreta al detenuto.

16 F. DELLA CASA, Commento all’art. 69 ord. penit in Ordinamento penitenziario, a

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CAPITOLO SECONDO: LA TUTELA NON

GIURISDIZIONALE ESERCITATA DAL

C.P.T.

2.1. La nascita del C.P.T e l’adozione del

Regolamento interno

Nell’ambito dell’ordinamento giuridico internazionale, esistono diversi organismi che si occupano di problemi collegati al mondo carcerario, sia che tali conflitti vengano determinati da conflitti armati o comunque in degli ambiti di situazioni di guerra,sia attuati in tempo di pace. Per quanto concerne gli organismi che si occupano delle situazioni di conflitto con competenza sulle detenzioni e privazioni della libertà di persone il più importante è sicuramente il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti – C.P.T. La sua attività costituisce parte integrante del sistema di tutela dei diritti umani del Consiglio d’Europa e affianca al già esistente meccanismo giudiziario reattivo della Corte Europea per i Diritti Umani un meccanismo non giudiziario di promozione di tale tutela.17

La Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti è stata adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa nel giugno 1987,aperta alle ratifiche nel novembre,entrata poi in vigore nel 1989. Le origini esatte della Convenzione risalgono alla proposta formulata nel 1976 ed in particolare in un rapporto elaborato su richiesta del Consiglio Federale del Governo Svizzero dal banchiere Jean-jacques Gautier,

17 C. DEFILIPPI, D. BOSI, Il sistema europeo di tutela del detenuto, Giuffrè, Milano,

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collaboratore del Comitato Svizzero contro la tortura. Gautier propose la redazione del testo di una convenzione che stabilisse un sistema di visite da effettuarsi da parte di un gruppo indipendente e imparziale di esperti provenienti da diversi Paesi. Il primo tentativo fallì, e solo successivamente la proposta ebbe maggiore fortuna. Infatti nel 1983 l’Assemblea del Consiglio d’Europa adottò la Raccomandazione 971 sulla protezione dei detenuti e dopo quattro anni, nel 1987,si raggiunsero le prime ratifiche. Ad oggi la Convenzione europea contro la tortura e le pene o trattamenti inumani e degradanti ha ricevuto l’adesione di 48 Stati ,vale a dire: Albania , Andorra , Armenia , Austria , Azerbaijan , Belgium , Bosnia and Herzegovina ,Bulgaria , Croatia , Cyprus , Czech Republic , DenmarK , Estonia , Finland , France , Georgia , Germany , Greece , Hungary , Iceland , Ireland , Italia , Latvia , Liechtenstein , Lithuania , Luxembourg , Malta , Republic of Moldova , Monaco , Montenegro , Netherlands , Norway , Poland , Portugal , Romania , Russia Federation , San Marino , Serbia , Slovak Republic , Slovenia , Spain , Sweden , Switzerland , “The Former Yugoslav Republic of Macedonia” , Turkey , Ukraine , United

Kingdom.18

Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura ha adottato il 16 novembre 1989,e poi successivamente più volte modificato, il Regolamento interno che attua la Convenzione europea per la prevenzione della tortura ex art.6,paragrafo 2,della medesima. Esso prevede che il Comitato stabilisca il suo regolamento interno. Fatto in francese e inglese, entrambi i testi facenti fede, in un unico esemplare che è depositato negli archivi del Consiglio d’Europa. Il Regolamento si compone di V capitoli, dove nel primo viene già dall’articolo 1 esposta la tutela del Comitato che si traduce nella protezione da comportamenti inumani o degradanti delle persone private della

18 Dati aggiornati al 25/06/2015, sul sito ufficiale del Comitato europeo per la

prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti,

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libertà, e ciò viene reso possibile anche grazie alla disposizione generale enunciata all’articolo 3 che parla del “ principio della cooperazione”. La cooperazione consente al Comitato di avvalersi dell’esperienza nazionale messa a disposizione dalle Parti per assisterlo nel suo compito,soprattutto durante le visite ispettive. Lo Stato sul cui territorio, infatti, viene svolta l’indagine, deve garantire al Comitato una serie di agevolazioni nello svolgimento dei suoi compiti tramite l’accesso a tutte le informazioni di cui dispone lo Stato riguardanti i luoghi di detenzione e le persone detenute. Questo principio si applica a tutte le fasi dell’attività del Comitato, collegandosi tra l’altro a varie disposizioni della stessa Convenzione, quali ad esempio gli articoli 2,8,9 e 10.

Il capitolo II del Regolamento tratta della composizione del Comitato che si compone di un membro per ciascuno Stato aderente alla Convenzione, il quale non deve essere rappresentante del governo rispettivo ma, al contrario, deve essere indipendente ed imparziale. È previsto un mandato di quattro anni rinnovabile per altre due volte ed ex articolo 5 comma 3 del Regolamento per quanto concerne i membri designati alla prima elezione, le funzioni di tre membri scadono al termine di un periodo di due anni; la scelta dei membri sottoposti a tale procedura è affidata ad una estrazione a sorte effettuata dal Segretario Generale del Consiglio d’Europa. Per assicurare che, per quanto possibile, la metà dei membri del Comitato siano rinnovati ogni due anni, il Comitato dei Ministri può decidere, prima di procedere a qualsiasi elezione successiva, che la scadenza dell’incarico di uno o più membri che devono essere eletti sarà di un periodo diverso da quattro anni, ma non superiore ai sei e non inferiore ai due anni.19 È obbligatorio per ciascun membro del Comitato, prima di insediarsi, giurare di esercitare le sue funzioni con

19 Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti

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onore, indipendenza ed imparzialità. A sottolineare e garantire l’indipendenza e l’imparzialità dell’attività del Comitato è stato stabilito all’articolo 9 del medesimo Regolamento che un membro del Comitato non può esercitare la carica di Presidente quando il Comitato si ingerisca di uno Stato di cui il Presidente sia cittadino. Si parla dunque del principio di incompatibilità. Essi sono, inoltre, tenuti al segreto su tutte le procedure del Comitato, secondo il principio della riservatezza. Il Presidente e i due VicePresidenti, sono eletti dalla maggioranza dei membri del Comitato a scrutinio segreto per un periodo di due anni e possono essere rieletti. Tutte le decisioni vengono approvate a maggioranza ,ex articolo 18 e le deliberazioni del Comitato sono confidenziali ed esso risiede a porte chiuse.

Il capitolo 3 del Regolamento prevede la procedura relativa alle visite che, secondo l’articolo 7, devono essere periodiche; ma il Comitato può tuttavia organizzare ogni visita qualora egli lo ritenga opportuno. Negli articoli del medesimo titolo vengono esposte le regole precise con le quali deve avvenire il sopralluogo del Comitato, che al paragrafo successivo verranno esaminate accuratamente.

Il capitolo 4 invece riguarda la relazione particolare tra la presente Convenzione e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, di cui sono Parti contraenti tutti gli Stati Membri del Consiglio d’Europa. Viene qui chiarito che la presente Convenzione non può essere invocata come giustificazione per limitare la protezione accordata ai sensi di altri strumenti internazionali o nazionali, in quanto essa è solo una delle numerose misure volte a prevenire la tortura e a rafforzare la protezione delle persone private della libertà. Degno di attenzione in questo capitolo è l’articolo 16 della Convenzione. Tale norma intende fortificare l’indipendenza e rendere più difficile il condizionamento dei membri nell’adempimento del loro dovere. Nella pratica queste immunità esentano i membri da qualsiasi misura restrittiva relativa alla libertà di movimento, consentendo l’entrata e l’uscita dal luogo di

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residenza o del paese nel quale esercitano le loro funzioni, oppure ancora più importante godo di immunità da ogni giurisdizione. Esiste tuttavia la possibilità per il Comitato di rinunciare all’immunità di uno dei suoi Membri, se tale immunità possa impedire in qualche modo che venga fatta giustizia.

Infine il capitolo 5 contiene, negli articoli dal 18 al 23,le clausole finali della Convenzione che corrispondono al modello adottato dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.

2.2. La funzione di prevenzione

Prima di analizzare i poteri ed i compiti esercitabili dal Comitato è necessario evidenziare la funzione preventiva svolta dal CPT. Il compito del Comitato si limita ad avere cioè un carattere preventivo e non giudiziario. L’organo dotato di poteri cogenti nei confronti degli Stati ,in quanto organo giudiziario, è solo la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, che ha competenze in materia di tortura e trattamenti inumani e degradanti, secondo il diritto intangibile ed inderogabile enunciato all’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo. Il Comitato, dunque, deve prevenire il verificarsi di tali atti e nel contempo ha il compito di sensibilizzare gli Stati a favore di un effettivo miglioramento delle condizioni dei detenuti e delle persone prive della libertà. Esso non ha il compito istituzionale di controllare se effettivamente siano state commesse delle violazioni delle Convenzioni internazionali in materia di tortura e trattamenti inumani, ma deve svolgere, un compito molto più vasto. Infatti il Comitato deve verificare se all’interno delle prigioni, dei riformatori, degli ospedali psichiatrici giudiziali, delle celle presso gli organi di polizia e in definitiva in tutti i luoghi di detenzione, vi siano condizioni tali da giustificare il pericolo che possano essere compiuti atti di tortura o subite pene o trattamenti inumani o degradanti. Anche quando vi sia il mero rischio dell’esistenza di trattamenti di tale natura

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e non una violazione di fatto dell’articolo 3 CEDU, esso, dovrà segnalare tale pericolo allo Stato. Si può detrarre ,pertanto, che la funzione di prevenzione può essere considerata prodromica alla lotta effettiva alla violazione dell’articolo 3 CEDU senza cercare di interferire nell’interpretazione e nell’applicazione.20

2.3.Poteri del Comitato Europeo ed ispezioni

carcerarie

Passando ad esaminare i poteri, spiccano per importanza e vastità i poteri ispettivi del Comitato. Le modalità con le quali vengono esercitati ,permette innanzitutto di distinguere ben tre tipologie di visite di cui può disporre il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti:

a) Visite periodiche: devono essere effettuate in maniera proporzionata fra tutti gli Stati

b) Visite ad hoc: determinate da particolari esigenze che possono derivare sia dalla scelta autonoma del Comitato stesso, sia dai rapporti pervenuti21

c) Visite di prosieguo: effettuate spontaneamente o su sollecitazione, anche realtà carcerarie già esaminate, al fine di verificare le modifiche e gli eventuali miglioramenti della situazione locale, come stabilito dall’articolo 33 del Regolamento Interno del Comitato.

20 C. DEFILIPPI, D. BOSI, Il sistema di europeo di tutela del detenuto, Giuffrè, Milano,

2001, p. 39

21 Le persone private della libertà possono in qualsiasi momento inviare al CPT di

Strasburgo un ricorso con cui lamentano una situazione in contrasto con la Convenzione. Chiaramente la denuncia da parte del detenuto di singoli fatti non comporta automaticamente l’intervento del CPT, tuttavia, l’organo di Strasburgo valuta attentamente ogni segnalazione.

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Prima di procedere alla visita il Comitato notifica al governo della Parte interessata il suo intento di procedere al sopralluogo, e a seguito di tale notifica il Comitato è abilitato a visitare in qualsiasi momento i luoghi di detenzione. Questa disposizione non specifica però il lasso di tempo che deve intercorrere ( per esempio, 24 o 48 h ) ,tra la notifica e il momento in cui la visita diventa effettiva; tuttavia, in regola generale, prendendo in considerazione il principio della cooperazione enunciato all’articolo 3 del Regolamento, il Comitato deve accordare allo Stato un lasso di tempo ragionevole perché possa prendere le disposizioni necessarie per rendere la visita quanto più efficace possibile.22 Nel corso della visita i poteri del Comitato sono vastissimi, dato che esso può accedere a tutta la documentazione riguardante le persone private della loro libertà, senza che vi si possano opporre leggi in materia di protezione di dati personali o segreti o quant’altro. Tuttavia, secondo l’articolo 9 della Convenzione, “ in circostanze eccezionali le autorità competenti dello Stato possono presentare obiezioni al Comitato, circa una visita programmata per una certa data o per un luogo particolare”. Tali obiezioni possono però essere formulate solo per motivi di difesa nazionale o di sicurezza pubblica o a causa di gravi disordini nei luoghi nei quali vi siano persone private di libertà, dello stato di salute di una persona23 o di un interrogatorio urgente nell’ambito di un’inchiesta in corso, connessa ad un reato penale grave. A seguito di tali obiezioni il Comitato e la Parte si consultano immediatamente per chiarire la situazione e giungere ad un accordo riguardo alle misure che consentiranno al Comitato di esercitare le sue funzioni

22 Potrebbero verificarsi in realtà delle situazioni eccezionali in cui la visita debba

essere effettuata immediatamente dopo che è stata comunicata la notifica.

23 Per quanto concerne le condizioni di salute deve essere interpretato nel senso

che la visita del Comitato potrebbe comportare il probabile peggioramento delle condizioni pisco-fisiche del detenuto.

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il più rapidamente possibile. 24Altro potere del CPT è quello di ascoltare i detenuti in assenza del personale carcerario e di comunicare liberamente con altre persone in grado di fornire utili informazioni, ad esempio parenti dei detenuti, persone di vigilanza, personale della stessa Amministrazione penitenziaria, funzionari ed altri. 25Esso potrà entrare nelle celle dei detenuti, verificandone lo stato, le dimensioni, l’ordine, la pulizia, l’esistenza di finestre sufficientemente ampie e di grate sufficientemente larghe, l’illuminazione della cella, le ore dedicate al lavoro ed alla rieducazione dei detenuti, etc. Di particolare importanza risulta il potere per il Comitato, enunciato all’articolo 7 comma 2 del Regolamento, di servirsi di ausiliari esperti o interpreti. L’idea di base di questa disposizione è quella di completare l’esperienza del Comitato con l’assistenza, per esempio, di persone con una formazione o con un’esperienza particolare nel campo delle missioni umanitarie, di personale medico o di persone che dispongono di competenze speciali nel trattamento dei detenuti o del sistema penitenziario e, ove necessario, nel campo del trattamento dei minori. 26Al termine della visita, ex articolo 40 del Regolamento, viene stilato dalla Delegazione un rapporto al Comitato, che contiene un resoconto delle diverse tappe della visita e dei fatti constatati in tale occasione, oltre alle proposte di raccomandazione che si ritiene opportuno poiché inerenti all’interesse delle persone private della libertà ,debbano essere inviate alla Parte. Potere del Comitato è quello di richiedere alla parte consultazioni che riguardino l’adempimento di raccomandazioni che sono contenute nel

24 Convenzione per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o

degradanti, Articolo 9, comma 1 e 2,

25 C. DEFILIPPI, D. BOSI, Il sistema di europeo di tutela del detenuto, Giuffrè, Milano,

2001, p. 39

26 In Rapporto esplicativo della Convenzione europea per la prevenzione della

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rapporto. Tali consultazioni possono essere facilmente considerate come una forma di pressione allo Stato, onde spingerlo a mettere in atto le Raccomandazioni.27 Ogni Stato ha la facoltà di richiedere la pubblicazione del rapporto del CPT, corredato dalle proprie proposte. Se uno Stato non riesce a cooperare o si rifiuta di migliorare la situazione alla luce delle raccomandazioni del CPT, il Comitato può decidere, con una maggioranza qualificata di due terzi dei membri, di fare una dichiarazione pubblica su tale oggetto.

Secondo le statistiche aggiornate al 25/06/2015 sono state effettuate :

a) 378 visite ( di cui 224 visite periodiche e 154 visite ad hoc )

b) 326 rapporti pubblicati dal CPT28

Quelle effettuate nello Stato italiano sono state le seguenti: 1) anno 2012 – dal 13/05 al 25/05 2) anno 2010 – dal 14/06 al 18/06 3) anno 2009 – dal 27/07 al 31/07 4) anno 2008 - dal 14/09 al 26/09 5) anno 2006 - dal 16/06 al 23/06 6) anno 2004 – dal 21/11 al 03/12 7) anno 2000 – dal 13/02 al 25/02 8) anno 1996 – dal 25/11 al 28/11 9) anno 1995 – dal 22/10 al 06/11 10) anno 1992 – dal 15/03 al 27/03

27 CLAUDIO DEFILIPPI, DEBORA BOSI, Il sistema di europeo di tutela del detenuto,

Giuffrè, Milano, 2001, p. 34

28 Dati aggiornati al 25/06/2015, sul sito ufficiale del Comitato europeo per la

prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti,

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2.4. Visita in Italia del CPT svoltasi dal 13 al 25

Maggio 2012

Ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e trattamenti inumani o degradanti o punizioni, già descritto nel paragrafo di cui sopra, una Delegazione del CPT ha effettuato la sua decima visita periodica in Italia dal 13 al 25 Maggio 2012. I risultati della visita, con le relative raccomandazioni, sono stati inseriti nella Relazione adottata dal CPT nella sua 79° riunione, svoltasi dal 5 al 9 novembre 2012 e poi resa pubblica su richiesta dello stesso Governo Italiano.

Analizzando il Rapporto:

La visita è stata effettuata dai seguenti membri del CPT: il capo della delegazione Jean-Pierre Restellini , Régis BERGONZI , Alfred KOCOBASHI , Anna LAMPEROVA e Vincent THEIS, assistiti, come stabilito dal comma 2 dell’articolo 7 Convenzione, da alcuni esperti ed interpreti tra cui: Ilaria Mattei, Anna-Lisa Morganti, Antonella Luccarini, Beatrice Santucci e Maria Fitzgibbon. Gli stabilimenti visitati sono stati diversi, dalle prigioni ( Bari Prison, Firenze-Solliciano Prison, Milano-Carcere di San Vittore,Palermo-Ucciardone Prison,Terni Prison-unità <41bis>,Vicenza Prison) agli stabilimenti delle forze dell’ordine ( questura di Stato di Firenze,Messina,Milano,Palermo,Roma) e ai centri di detenzione per gli stranieri ( CIE- Centro di Identificazione ed Espulsione) . Analizzando dal rapporto solo il luogo oggetto di questo lavoro, emerge che a:

a) BARI CARCERE- istituto costruito nel 1926 con una capacità ufficiale di 250 posti, al momento della visita era invece

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accomodante di 503 detenuti (480 maschi e 23 femmine),di cui 234 condannati e 269 in attesa di giudizio. Le condizioni materiali sono state nel complesso adeguate in tutti i blocchi di detenzione strutturati, ma ha lasciato molto desiderare nel reparto per prigionieri di sesso femminile, in quanto per mancanza di fondi le ristrutturazioni nel medesimo reparto erano state ripetutamente rinviate. Circa il problema del sovraffollamento Bari Carcere è risultata la condizione più grave rispetto alle altre carceri visitate: le celle misuranti 19,60 mq. erano accomodanti fino a 11 prigionieri, riducendo lo spazio vitale per ogni prigioniero di soli 1,78 mq. Apprezzati dal CPT invece sono stati gli sforzi fatti dal management per fornire un lavoro di turnazione e altre attività ( come l’istruzione) per i detenuti nonostante le limitate risorse disponibili e anche i servizi di assistenza sanitaria. A Bari carcere infatti è presente il CDT- Centro Diagnostico Terapeutico specializzato in medicina interna e nella cura per i prigionieri malati cronici e / o fisicamente disabili proveniente da tutta Italia. Circa il contatto del detenuto con il mondo esterno, invece, è stato riscontrato che la zona di visita per detenuti uomini consisteva in due file di banchi separati da una parete a pozzetto ed una vetrata bassa sul lato superiore della parete che impediva soprattutto ai prigionieri affetti da disabilità fisiche di avere un contatto fisico con il loro visitatore, poiché bisognava stare in piedi vicino al muro.29 b) FIRENZE-SOLLICCIANO CARCERE- istituto costruito nei

primi anni del 1980 con una capacità ufficiale di 475 posti era accomodante di 1.001 detenuti ( 887 maschi e 114 femmine), di cui 461 condannati e 540 in attesa di giudizio. Circa le condizioni materiali, nonostante nelle celle queste fossero

29 Rapporto Generale del C.P.T. , svolto dopo la visita avvenuta tra il 13-25 maggio

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generalmente soddisfacenti in termini di stato di conservazione ed accesso alla luce naturale, molte parti dell’istituto risentono di principali infiltrazioni d’acqua. Il problema del sovraffollamento è stato riscontrato, seppur in modo minimo, nelle celle di misura di 13 mq. ( dove compreso un annesso servizio sanitario completamente partizionato) inizialmente concepite come uso singolo che invece erano accomodanti fino a tre prigionieri. Apprezzati invece i servizi di assistenza sanitaria che comprendono anche l’unico centro in Italia per pazienti di sesso femminile gravide o in periodo neonatale “ Casa di Cura e Custodia”.30

c) PALERMO-UCCIARDONE CARCERE- istituto costruito nel 1840 con capacità ufficiale iniziale di 721 posti, poi fortemente ridotta a 281 per il cattivo stato di conservazione di alcuni blocchi di detenzione, era accomodante di 506 detenuti maschi di cui 232 condannati e 274 in attesa di giudizio. Le condizioni materiali presentavano diversi isolati così fatiscenti da essere stati ritirati dal servizio qualche tempo prima, mentre nelle altre zone di detenzione le celle ed i servizi igienici erano in cattivo stato di manutenzione. È stato inoltre riscontrato in alcune celle del Blocco NO.9 che le finestre erano coperte con persiane metalliche che riducevano l’accesso alla luce naturale al minimo. Circa il problema del sovraffollamento la situazione era più favorevole rispetto alle altre prigioni visitate dal CPT, ma sempre lontane dall’essere soddisfacenti in quanto non era raro che le celle di misura di 22 mq. ospitassero fino a otto prigionieri.31

30 In Rapporto Generale del C.P.T. , svolto dopo la visita avvenuta tra il 13-25

maggio 2012 in Italia indirizzato al Governo italiano, punti 42 ,47, 49

31 In Rapporto Generale del C.P.T. , svolto dopo la visita avvenuta tra il 13-25

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d) VICENZA CARCERE- istituto costruito nel 1980 con una capacità ufficiale di 146 posti era accomodante di 360 detenuti maschi di cui 70 in attesa di giudizio al momento della visita. A differenza delle altre strutture carcerarie visitate dal CPT, qui sono stati riscontrati problemi di maltrattamenti ai detenuti. La delegazione ha infatti ricevuto una serie di denunce di maltrattamenti fisici e / o l’uso eccessivo della forza delle guardie di polizia penitenziaria, per lo più in relazione agli incidenti disciplinari dove i detenuti erano esposti ad un comportamento aggressivo. In particolare i detenuti interessati hanno affermato di essere stati presi a pugni, calci e colpiti con manganelli nonostante fossero già stati messi sotto controllo. Un detenuto ha anche sostenuto di essere stato picchiato da alcuni agenti in un ufficio, oltretutto in presenza di un agente di polizia penitenziaria più anziana. Circa le condizioni materiali, queste erano generalmente soddisfacenti ad esclusione del sistema di riscaldamento che sembrava essere carente ( dovuto all’erosione di uno dei principali tubi dell’acqua).32

e) TERNI CARCERE- oggetto della visita da parte della delegazione è stato solo il regime speciale di detenzione dettato dall’articolo 41-bis,al quale il CPT ha prestato particolare attenzione per quasi due decenni. Al momento della visita il blocco era accomodante per un totale di 26 detenuti sottoposti al “41-bis” in un’unità di detenzione a due piani sigillata e sotto il controllo di 25 agenti di polizia penitenziaria appartenenti al GOM- Gruppi Operativi Mobili. Le condizioni materiali nelle singole celle (di circa 12m2 ciascuna) erano generalmente di buon livello e non richiedevano particolari

32 In Rapporto Generale del C.P.T. , svolto dopo la visita avvenuta tra il 13-25

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commenti. Bisogna mettere in luce come il sopralluogo in esame è stato catalogabile come visita di prosieguo, in quanto oggetto di una visita precedentemente effettuata nel 2008 dallo stesso CPT il quale aveva successivamente assunto una serie di raccomandazioni specifiche. L’obiettivo principale della visita del 2012 è stato dunque quello di rivedere le misure adottate dalle autorità italiane e per esaminare la contemporanea attuazione del regime di detenzione speciale oggetto di modifiche legislative. Proprio per questi motivi C.P.T. si era preoccupato per il fatto che le autorità italiane non solo non

avessero dato attuazione alla maggior parte delle

raccomandazioni specificatamente formulate dopo la visita del 2008,ma che avessero anche imposto per legge una serie di restrizioni ulteriori, come: la riduzione del numero massimo di persone per gruppo di socializzazione da 5 a 4; la riduzione del tempo che i detenuti sono autorizzati a trascorrere fuori dalle celle da 4 a 2 ore al giorno; la riduzione del contatto con il mondo esterno incidendo sui minuti concessi per le telefonate o sulle visite ridotte ad un’ora al mese. Il C.P.T. ha ritenuto, dando così motivazioni delle sua preoccupazione, che l’obiettivo di fondo delle recenti modifiche legislative appena elencate fosse stato quello di utilizzare le ulteriori restrizioni come strumento per aumentare la pressione sui detenuti in questione, al fine di indurli a collaborare con la giustizia.33 Ad esito della visita, il Comitato, raccomandava allo Stato Italiano di rivedere le condizioni:

-circa il sovraffollamento- le autorità italiane devono proseguire i loro sforzi per combattere anche attraverso una maggiore

33 In Rapporto Generale del C.P.T. , svolto dopo la visita avvenuta tra il 13-25

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applicazione di misure non detentive durante il periodo prima di qualsiasi imposizione di una pena.

-circa i maltrattamenti: un chiaro messaggio da consegnare sia alla direzione che al personale del carcere di Vicenza che tutte le forme di maltrattamento dei detenuti ( comprese le minacce di ricorrere alla violenza come punizione) non sono accettabili e saranno puniti di conseguenza.34

-circa le condizioni materiali: misure immediate da adottare al carcere di Palermo-Ucciardone a rimuovere le serrande dalle finestre delle celle Blocco NO.9 e ad assicurare che i detenuti siano regolarmente dotati di adeguate quantità di prodotti per l’igiene personale essenziale.

-circa il regime di detenzione speciale: l’invito alle autorità italiane a rivedere l’attuale regime di detenzione in tutto il sistema carcerario, alla luce delle osservazioni di cui sopra e ,più in particolare, di prendere le misure necessarie per garantire che tutti i detenuti sottoposti a tale regime siano in grado di passare almeno 4 ore al giorno fuori dalla cella insieme agli altri detenuti della stessa unità abitativa e in grado di fare almeno una telefonata al mese indipendentemente dal fatto che essi ricevano visite durante lo stesso mese.

2.4.1. La risposta del Governo italiano alle

raccomandazioni del Comitato

Come detto nel sottoparagrafo precedente, dopo la visita del CPT e la relativa adozione del rapporto ogni Stato ha la facoltà di richiedere la pubblicazione del rapporto del CPT, corredato dalle

34 In Rapporto Generale del C.P.T. , svolto dopo la visita avvenuta tra il 13-25

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