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Ogni società ha il suo “regime (o paradigma) energetico”106, la storia umana ha visto nel suo scorrere diverse transizioni energetiche: dall’età del sole, del vento, dell’acqua e della biomassa (in particolare la legna107), si è passati all’uso intensivo

del carbone108 (in particolare in seguito all’utilizzo della macchina termica di Savery e Newcomen109), ed è con l’avvento del motore a scoppio che il petrolio comincia la

105 “[…]Considerato il continuo aumento del fabbisogno energetico mondiale – scrive Hermann

Scheer (2006; 74) – gli attori del sistema (energetico) non riescono ad immaginare che con le loro

offerte energetiche procurano più danni che utili e che le energie fossili e nucleari potrebbero essere sostituite dalle rinnovabili. Anche la stessa società pensa che sarebbe inimmaginabile l’assenza dell’attuale industria energetica: alle energie rinnovabili viene semmai attribuito il ruolo di procurare il fabbisogno energetico che non può essere coperto dalle energie fossili e nucleare. La loro sostituzione è un tabù [….]”.

106 Laddove con questa definizione si intendono tutte le modalità che consentono di procurarsi

energia, di convogliarla, immagazzinarla, venderla, acquistarla, utilizzarla con criterio o sprecarla.

107 La legna fu per millenni l’unica fonte di potere calorifico utilizzato non solo per il riscaldamento,

ma anche per la locomozione di battelli a vapore e locomotive. Georgescu Roegen battezza “età del

legno” il “periodo tecnologico” inaugurato da colui che chiama Prometeo I (Georgescu-Roegen, 2003; 180). L’approvvigionamento energetico attraverso l’utilizzo della legna, però, non era scevro da problemi sia economici sia socio/ambientali; i progressi dell’agricoltura e l’aumento demografico spingevano ad un uso più intensivo del territorio e dunque ad una deforestazione sempre più massiccia. La popolazione in rapida crescita sfruttava le risorse energetiche più rapidamente di quanto esse potessero essere ricostituite dalla natura; fino a quando con lo sviluppo industriale le foreste cominciarono a scomparire sempre più rapidamente. Nella seconda metà del XVII secolo fu addirittura necessario imporre delle regole al disboscamento in tutta Europa.

108 Non senza difficoltà ai fini della transizione sia in termini sociali che pratici; infatti, da un lato il

carbone non aveva grandi consensi per l’uso domestico perché più sporco della legna (Rifkin, 2002), dall’altro, e questo era il motivo principale, le miniere si allagavano con facilità e le fonti energetiche dell’epoca – la forza muscolare degli uomini e degli animali da tiro, il vento e i corsi d’acqua – non fornivano una potenza sufficiente per il prosciugamento.

109 Che rappresentava il perfezionamento della macchina a vapore di Watt (1769). Alla tecnologia

basata sul legno veniva meno il combustibile, fino a che Thomas Savery e Thomas Newcomen (coloro i quali Roegen definisce Prometeo II) inventarono la macchina termica che “donò” al genere umano, proprio come il fuoco, la capacità di compiere una nuova conversione qualitativa “da potere calorifico

ad energia meccanica” (Georgescu Roegen, 2003).

“Il dono di Prometeo II rappresentò un altro cambiamento di dimensioni senza precedenti: si poteva ottenere energia meccanica da una fonte nuova e più concentrata […]. Utilizzando la nuova energia per ottenere altra energia per la soddisfazione non solo di bisogni legittimi, ma anche di desideri del

sua ascesa come fonte energetica primaria110 più rapidamente di qualsiasi altro cambiamento di regime energetico.

È sul modello fossile che poggia lo sviluppo economico/produttivo degli ultimi secoli ed è a partire da questo modello che si è “costruito” un sistema tecnologico vincolato a trasformazioni termodinamiche a basso rendimento che hanno spinto inesorabilmente, anche grazie alla trasportabilità dei combustibili, alla centralizzazione delle trasformazioni energetiche ed alla distribuzione capillare dell’energia attraverso la rete elettrica, con una crescente penetrazione di energia pregiata in tutti i campi di attività. Tutto ciò al costo, però, di una perdita di efficienza dell’intero sistema energetico. L’estrema trasportabilità dei combustibili ha prodotto un forte sviluppo del settore dei trasporti111, ma anche una radicale trasformazione del sistema di produzione dell’elettricità basato essenzialmente sulla combustione di fonti fossili (petrolio e suoi derivati, metano e carbone).

“[…]Benché oggi siano disponibili nuove fonti di energia (il nucleare in particolare, oltre alle energie “alternative” poco utilizzate) il ricorso a combustibili fossili non rinnovabili resta la via principale, anche per ciò che concerne l’energia elettrica[…]”. (Pieroni, 2002; 137)

L’urgenza di definire chiaramente la questione energetica è stata più volte proposta (e riproposta) in diversi meeting internazionali, come ad esempio le Conferenze delle Parti (COP112), a cui hanno partecipato quasi tutti i paesi del

tutto assurdi […]”. (Georgescu Roegen, 2003; 181). Con un po’ di carbone ed una macchina termica si potè estrarre altro carbone ed anche i minerali necessari per costruire altre macchine termiche. Questo ha consentito un successivo passo in avanti per l’evoluzione dei processi produttivi che richiedevano di una forza motrice maggiore, anche se vento e acqua hanno continuato a giocare un ruolo importante, per i trasporti via mare, l’uno, e per le segherie, mulini ad acqua e fabbri ferrai l’altra.

110 Tanto da meritarsi l’appellativo di “oro nero”.

111 Che ha un’altissima incidenza nelle emissioni di gas ad effetto serra e di corpuscoli inquinanti

nell’atmosfera, ma anche nella dipendenza dalle fonti di origine fossile.

112 L’allarme creatosi alla fine degli anni ’80 di fronte all’evidente “buco” nello strato d’ozono ha

trovato eco nel Protocollo di Montreal nel 1987 e di Londra nel 1990, ai quali sono seguite tutta una serie di conferenze internazionali quali: la Convenzione sul cambiamento climatico firmata a Rio nel 1992112 da 154 paesi e dalla Comunità Europea; la conferenza di Kyoto nel 1997, che darà vita

all’omonimo Protocollo; gli incontri di Amsterdam nel 1998 e di Bonn nel 1999, che avevano lo scopo di precisare i contenuti e le modalità di applicazione del Protocollo di Kyoto; la Convenzione dell’Aja del 2000; la Conferenza delle Parti (detta COP7) a Marrakesh nel 2001; la conferenza di Joannesburg 2002; la COP9 a Milano,1-12 Dicembre 2003 etc.

mondo, e dalle quali nascono numerosi tentativi di mediazione politica al fine di agevolare l’adozione di strumenti efficaci per limitare e ridurre l’emissione nell’atmosfera dei cosiddetti “gas serra”. Ciononostante le “fonti alternative” che nel dibattito politico a tutti i livelli (regionale, nazionale, comunitario ed internazionale) si sono aperte sono principalmente due, alla luce degli impegni di Kyoto113: le fonti energetiche fossili (in particolare il metano) e l’energia atomica (fonti fissili) da un lato e fonti energetiche rinnovabili dall’altro.

La definizione delle possibili “alternative”, ovviamente, non è scevra da implicazioni a medio e lungo termine; da ogni parte è contemplata la necessità di un “cambiamento”, ma su quali basi si fonda il cambiamento e quale dovrebbe essere la sua “intensità” è oggetto di ampia discussione. Bisogna, infatti, considerare che a seconda del “modello tecnologico” (fossile/fissile vs rinnovabile) che si prende come riferimento della matrice della transizione energetica si aprono strategie e scenari di cambiamento radicalmente opposti. Da un lato abbiamo i sostenitori del modello fossile (metano e carbone “pulito”) e fissili (principalmente l’uranio) che per le caratteristiche fisiche che le contraddistinguono, in termini di gestione e di rischi, non solo andrebbero a modificare in maniera marginale il loro impatto ambientale114, ma mantengono inalterate sia le infrastrutture che la forma di gestione di tipo centralizzata (cambiamento soft), spostando solo di qualche centinaio d’anni il problema dell’approvvigionamento e mantenendo inalterata la forma di gestione di tipo accentrato. Dall’altro lato ci sono i sostenitori del modello rinnovabile115, con le dovute differenziazioni116, che basando la produzione energetica su principi di sostenibilità ed equità economica, sociale ed ambientale, associate a politiche di

113A Kyoto fu approvata, per consenso, l’adozione di un protocollo che prevedeva una riduzione del

5% dei gas inquinanti, rispetto al 1990, per il periodo 2008/2012. Secondo le previsioni, gli impegni assunti, giuridicamente vincolanti, avrebbero dovuto produrre un’inversione della tendenza in crescita delle emissioni che questi paesi hanno da circa 150 anni.

114 Tenendo conto delle possibili innovazioni tecnologiche, identificate essenzialmente in questo caso

nelle “Tecnologie Carbon Free” e nell’uso massiccio del gas naturale, votate a limitarne i danni. Ci teniamo, però, a ribadire che l’eccessiva fiducia nella tecnologia spinge spesso a sottovalutare gli effetti di lungo periodo della stessa creando situazioni di rischio ancora più difficili da gestire (Beck, 1987).

115 Basato, cioè, su fonti di energia primaria che per loro caratteristica non sono esauribili, né

immediatamente “privatizzabili”.

116 Si opera la distinzione tra Fonti Energetiche Rinnovabili (FER) di tipo tradizionale (idroelettrico e

geotermico per esempio) maggiormente predisposte ad una gestione accentrata dell’energia e FER non tradizionali o nuove FER (solare ed eolico per esempio) maggiormente predisposte ad una produzione distribuita e partecipata dell’energia.

risparmio energetico, rappresentano fondamentalmente un cambiamento radicale di paradigma energetico (cambiamento hard) 117, che se da un lato possono rappresentare

l’apertura a forme di produzione distribuita e gestione “partecipata” dell’energia, dall’altro non sono estranee ad impatti ambientali, ma soprattutto a resistenze di “natura mentale”118 (Scheer, 2006), che rappresentano formalmente un ostacolo alla loro diffusione.

Entrambi gli approcci al problema, che sembrano “simmetricamente” perseguibili, comportano conseguenze opposte nel medio e nel lungo periodo e sono spesso associati, con argomentazioni differenti, alla produzione di idrogeno119 come vettore energetico che, insieme ai biocarburanti, dovrebbe accompagnare verso la fine dell’”era del petrolio”.

Ciascun modello, nel suo percorso, ha incontrato fautori e detrattori con argomentazioni e prese di posizione differenti; ai gruppi sociali pertinenti iniziali, come li definirebbe Bijker, rappresentati dal sistema scientifico, dal sistema politico nazionale ed internazionale e dalle imprese, si sono man mano aggiunti altri gruppi istituzionali e non solo, come movimenti (in particolare il movimento ambientalista), associazioni, partiti politici di matrice ambientalista e non, ma anche comitati e gruppi d’interesse.

Il discorso pubblico che ne deriva rappresenta l’incipit della nostra ricerca.