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La Gastrula tecnologica – Il progetto islandese ECTOS

Il problema di uno, la risposta di molti nel tempo

Il progetto islandese ECTOS, che mira alla completa sostituzione del petrolio attraverso l’idrogeno entro il 2050, come si è potuto osservare dall’analisi delle politiche energetiche nazionali, è solo l’ultimo passo verso il completo abbandono delle fonti di origine fossile.

215 In cui includiamo ovviamente non solo ricercatori e scienziati, ma anche ingegneri, architetti,

tecnici ecc.

216 Latour, come la maggior parte dei sociologi della scienza, definisce le scatole nere come

indispensabili per la chiusura di una controversia scientifica. Proprio perché una gran parte di questo lavoro avviene a livello retorico si può agevolmente parlare di scatole nere retoriche come punto focale della costruzione/creazione di simboli e valori che tendono a dare volto a determinati artefatti tecnologici (creando anche un circuito di accettazione sociale della tecnologia) trasformandoli in vere e proprie innovazioni.

L’esigenza di raggiungere la completa indipendenza energetica ed una profonda consapevolezza sia sui temi ambientali che sulle potenzialità delle fonti autoctone hanno spinto l’Islanda a ricercare il modo di sostituire il petrolio con un “combustibile” che potesse essere prodotto in loco.

“[…] L’indipendenza energetica implica essenzialmente la capacità di non importare nessun tipo di combustibile. Per esempio l’Islanda produce il 72% del proprio fabbisogno energetico totale attraverso l’uso dell’idroelettrico e della geotermia e la sperimentazione sull’idrogeno ha la finalità di raggiungere la totale indipendenza energetica. C’è inoltre da considerare che il questione energetica è fondamentale anche per la gestione dei problemi ambientali e per la sicurezza dell’approvvigionamento[…]” (T. P. Is. 2)

La ricerca e la relativa sperimentazione di altri possibili combustibili ed in seguito di “combustibili altri”217 comincia all’indomani della seconda rivoluzione energetica nazionale negli anni ‘70218 che ha portato l’isola ad essere indipendente dalle fonti fossili per la produzione elettrica per il 99,9% del proprio fabbisogno.

La discussione in ambito accademico sul possibile utilizzo dell’idrogeno a fini energetici si apre nel 1978, l’interesse è crescente e nel 1997 il Ministero dell’Energia islandese lancia ufficialmente il progetto “Domestic Fuel Production” che apre la strada ad un progetto di totale indipendenza dell’isola dai combustibili fossili.

“[…] Ho cominciato a lavorare in ambito accademico occupandomi essenzialmente di fonti geotermiche,- riferisce uno dei nostri testimoni privilegiati e più importante fautore dell’utilizzo dell’idrogeno in Islanda - ma questo mi ha permesso di prendere coscienza dell’enorme potenziale energetico di cui disponevamo e che nonostante ciò importavamo un terzo del nostro fabbisogno energetico totale. Da ciò è venuto naturale cominciare a riflettere sul «Perché non possiamo pensare al modo di utilizzare la nostra energia per produrre un qualche tipo di combustibile che sostituisca i combustibili importati?». Scrissi il mio primo articolo in proposito nel 1978 (e le reazioni non furono propriamente favorevoli), ma da allora ho lavorato ininterrottamente all’idea di convertire l’Islanda in un paese dove l’intero consumo

217 Utilizziamo il concetto di “combustibile altro” riferendoci all’idrogeno perché è importante

sottolineare, ancora una volta, che l’idrogeno non è un combustibile, ma un vettore energetico, o

Energy Carrier, ossia un trasportatore di energia che per essere prodotto/estratto necessita di una fonte primaria.

energetico provenisse da fonti locali. Avevo sperato potesse avvenire nell’arco di 40 anni[…]” (T. P. Is. 1)

“[...] Tutto è cominciato nel 1978, anno in cui ho iniziato a discutere la mia idea in ambito accademico. Poi nel 1990, quando venni invitato ad un congresso ad Amburgo, ottennni un grande interesse. Nel 1997, il Ministro dell’energia lancia il progetto per la produzione locale di energia (Domestic Fuel Production project) e nel 1998 la Daimler Chrysler, convocato l’ambascatore islandese, mostra interesse e domanda la posizione governativa sull’idrogeno[...]” (T. P. Is 1)

Sempre nel 1998 le compagnie energetiche nazionali, in linea con le politiche pubbliche energetiche governative, aprono una cooperazione con l’Università d’Islanda e altri istituti di ricerca tecnologica219 fino ad arrivare nel 1999 alla nascita della Icelandic New Energy (INE) in joint venture con la Daimler Chrysler, Norsk Hydro e Shell Hydrogen220, che diventa coordinatore del progetto ECTOS, con la

mission di testare la possibilità di sostituire i combustibili fossili con l’idrogeno, entro il 2050, facendo così dell’Islanda la prima economia all’idrogeno al mondo.

Già da questa breve descrizione riusciamo ad intravedere diverse implicazioni: prima di tutto appare evidente il ruolo dello scienziato/ricercatore fermamente convinto della propria idea che apre la discussione in ambito accademico, ma che poi esce dal “laboratorio” e diventa “portavoce”221, come direbbe Latour (1987), dapprima di un’idea e di una tecnologia, prova la sua capacità di creare interesse e riesce a crearlo; da qui si apre il processo di traduzione/traslazione. Si vede, inoltre, il ruolo fondamentale del sistema politico nel reclutamento di altri attanti e nel formarsi

219 L’IceTec, Technological Institute of Iceland, e IKP University of Stuttgart. Institute for Polymer

Science.

220 Le prime sperimentazioni sull’idrogeno della Royal Dutch/Shell Group risalgono al 1998, anno in

cui istituì un “Hydrogen team” che aveva il compito di esplorare le potenzialità del vettore energetico idrogeno, la nascita della Shell Hydrogen risale all’anno successivo, 1999.

221 “[…] Gli scienziati non dicono nulla di più di quanto è registrato, ma senza il loro commento le

iscrizioni direbbero infinitamente di meno! Esiste un termine per definire questa strana situazione, […] e cioè il termine portavoce. L’autore si comporta come una sorta di avvocato difensore di ciò che è iscritto sulla finestra dello strumento. Il portavoce è qualcuno che parla in vece di altri, che tacciono […]” (Latour, 1987; 93-94). Ovviamente il portavoce si carica della responsabilità di parlare in vece di tutti gli attanti coinvolti, umani e non umani, ma in generale “per chi non può”. “[…]

D’altro canto, la forza di un portavoce non è così grande finché egli è per definizione un solo uomo la cui parola potrebbe venire respinta. La forza deriva dalla parola dei rappresentanti quando essi non parlano di sé e per sé, ma quando lo fanno in presenza dei loro rappresentati. Allora, e solo allora, lo scettico si trova simultaneamente di fronte al portavoce ed ai suoi rappresentati. […]” (Latour, 1987; 95)

dell’alleanza222 (la Daimler Chrysler che convoca l’ambasciatore islandese), ma anche il livello di apertura della “rete” a nuovi alleati/attanti; infine, appare evidente l’importanza del “tempo” trascorso tra “l’idea” di utilizzare l’idrogeno come opzione energetica (1978) e l’effettiva realizzazione, o meglio progettazione (2000), 22 anni circa. Il tempo, infatti, in questo caso di studio assume una connotazione fondamentale, nel perseguimento del programma d’azione della coalizione agente; il “tempo”, per sperimentare e provare, viene esplicitamente identificato, da uno dei nostri interlocutori, come il fattore basilare, ma anche il problema più grande da affrontare, in processo di transizione energetica:

“[…] Abbiamo avuto molti problemi, ma quello fondamentale è che una transizione prende tempo, serve tempo perché un qualsiasi tipo di forma energetica assuma un significato223; abbiamo avuto bisogno di tempo per

poter effettuare una sperimentazione. Questo però è normale, ci sono voluti 50 anni per passare dall’utilizzo esclusivo della legna al carbone, altri 50 per passare dal carbone al petrolio, altri 50 per passare dal massiccio utilizzo del petrolio all’utilizzo del gas naturale. Ci sono voluti 20 anni per poter parlare d’idrogeno come reale possibilità. Ero solo all’inizio, non solo nel mio paese, ma nel mondo intero.[…] All’inizio abbiamo sperimentato tutta una serie di combustibili che vanno dal metanolo all’ammoniaca; abbiamo provato ad utilizzare, infatti, un motore che funzionava con ammoniaca; con lo sviluppo224 delle celle a

combustibile, però, abbiamo cominciato a focalizzare la nostra attenzione sull’idrogeno che già producevamo come fertilizzante[…]” (T. P. Is. 1)

Il tempo necessario per dare un senso ad una tecnologia (energetica) che squarcia il velo dell’ovvio e che, comunque, all’inizio suscita perplessità, a tutti i livelli. I tempi della ricerca, però, non necessariamente coincidono con i tempi del settore pubblico e del settore privato, il primo perché legato alla contingenza del mandato, ovvero al tempo di un mandato ed alla capacità dei mandatari di studiare programmi d’azione che possano mantenersi tali anche dopo la fine del mandato

222 Sistema politico che non riveste solo il ruolo di “erogatore di finanziamenti” dunque, ma gioca il

ruolo strategico di agente attivo della coalizione, aprendo, con il suo interesse nel progetto, la strada all’allargamento dell’actor network. Non più attore passivo ma, in questa fase, attante.

223 “It takes time to sense every kind of energy type” dice letteralmente il nostro referente.

224 Il nostro referente dice specificatamente “[…] With the Breakthroughs of fuel cells [….]”, di

particolare importanza è l’uso del termine “Breakthroughs” che può essere interpretato come un momento di rottura, il salto tecnologico fondamentale per poter pensare all’idrogeno come reale opzione energetica.

stesso; il secondo (il settore privato) perché profondamente legato alla contingenza del profitto, che generalmente si valuta nel breve periodo, quasi mai nel lungo. Proprio qui entra la capacità di riuscire ad aprire una controversia e problematizzare una tecnologia che spiana la strada alla realizzazione di un processo di costruzione di un’immagine della tecnologia, prima, e di una coalizione agente poi.

In questo caso di studio la stretta collaborazione tra settore pubblico e settore privato225 ha permesso da un lato di sfruttare una componente di know how “esogeno”, in particolare riguardo all’industria automobilistica che è assente sull’isola, e dall’altro di entrare nel circuito dei progetti promossi dall’Unione Europea226.

Il progetto ECTOS, infatti, nasce in parallelo con il progetto CUTE della Comunità Europe e beneficia dell’ottenimento di tre autobus urbani227, alimentati ad idrogeno e celle a combustibile, da inserire nella rete del trasporto pubblico locale della capitale Reykjavik (il 4% del totale).

“[...] La collaborazione/cooperazione con la Commissione Europea ha portato benefeci significativi sia per il progetto che per i responsabili stessi del progetto, facendo affiorare nuovi talenti ma anche diverse visioni, aldilà degli intoppi burocratici a volte affrontati[...]” (T. P. Is 3)

Il progetto nasce ufficialmente il 31 Marzo del 2001 e si chiude il 30 Agosto del 2005; durante questi quattro anni e mezzo, circa, due sono stati dedicati alla preparazione del progetto e della relativa ricerca sugli impatti socio ambientali (no- technical aspects in the program) in contemporanea con la costruzione di una stazione

225 Con grande orgoglio i nostri interlocutori islandesi hanno teso a sottolineare l’importanza di

partecipare, da parte di sei aziende islandesi: Reykjanes Geothermal Power Plant; Reykjavik Municipal, Power Company, una società di produzione di fertilizzanti; University of Iceland; Iceland Research Institute; New Business Venture Fund; a queste si unì in seguito la Landsvirkjun, al finanziamento del progetto per il 51% del totale.

226 Il progetto ECTOS (Ecological City TranspOrt System) affianca, infatti, altri due progetti: il

progetto CUTE (Clean Urban Trasport for Europe) ed il progetto STE (Sustainable Transport

Energy). Il CUTE coinvolge 27 autobus urbani alimentati ad idrogeno in nove città europee (tre per ogni città): Amsterdam, Barcellona, Madrid, Londra, Amburgo, Lussemburgo, Porto, Stoccolma e Stuttgart); il progetto STE coinvolge la città di Perth in Australia. Tutti e tre i progetti hanno la finalità di testare su strada la fattibilità di un futuro utilizzo dell’idrogeno per i trasporti producendo idrogeno localmente attraverso diverse forme di produzione (tra cui rientra anche lo steam reforming del gas naturale). l’intero progetto ha avuto un costo di circa 7 milioni di euro, 2,85 milioni di euro sono stati erogati dall’Unione Europea, i restanti 4,15 milioni di euro sono stati investiti per il 50% dai partner stranieri e per il 50% dalle compagnie energetiche locali.

di rifornimento di idrogeno verde228 prodotto in loco attraverso l’elettrolisi dell’acqua, inaugurata nell’aprile del 2003, dopo otto settimane dall’inizio dei lavori di costruzione229.

L’istallazione della stazione di rifornimento di idrogeno per l’autotrazione ha rappresentato un momento fondamentale per la messa in campo del progetto, sia per dimostrare la fattibilità della produzione in loco del vettore, sia per dare un segno evidente e visibile (proprio per questo si è scelto un luogo al centro della città) della possibile e graduale integrazione delle infrastrutture all’interno della società locale. Tutto l’iter, però, non è stato scevro da problemi di natura tecnica, nei termini di poco adeguate forme di trasmissione tra il distributore ed i veicoli (che comunque rappresentavano un rischio), che si sono presentati immediatamente dopo l’arrivo degli autobus.

“A questo punto fu deciso che la Norsk Hydro avrebbe dovuto ridisegnare le colonne di rifornimento e che il mantenimento della stazione di servizio dell’idrogeno dovesse assumere (rispetto alla Shell che ne era concessionaria), essendo un esperimento pilota dell’Unione Europea, priorità rispetto alla struttura principale, che comunque necessitava di un certo livello di manutenzione”.(T. P. Is. 2)

Nell’agosto del 2004 un incidente nelle tubature che collegano la stazione, dovuto alla pressione, interrompe per diversi mesi sia il funzionamento della stazione di servizio sia l’operatività degli autobus e si forma una commissione di inchiesta che oltre a stabilire le cause dell’incidente fornisce tutte le informazioni necessarie ad evitarne altri.

“[…] Avere dei problemi simili a questo non è mai una cosa positiva, ma dobbiamo dire che ci ha permesso di imparare una lezione importante, soprattutto in termini tecnologici, da passare non solo ai nostri partner europei (in particolare alla stazione di Amburgo), ma di creare un know- how fondamentale per eventuali future stazioni di servizio di idrogeno, al fine di ridurre al minimo i rischi[…]” (T. P. Is. 2)

228 “[…]Ora non ci viene più chiesto di credere a un esperimento letto su Nature (o Green Cross

Optimist nel nostro caso), ma di credere ai nostri occhi […]” (Latour, 1987; 86)

229 C’è da sottolineare che la stazione di servizio è stata inserita all’interno di una stazione di servizio

tradizionale, dopo un’attenta indagine sull’accettabilità da parte di coloro che vivevano nelle vicinanze.

La decisione di utilizzare per l’inizio della sperimentazione autobus piuttosto che veicoli privati è stata dettata da tre esigenze fondamentali all’interno del progetto: la prima è l’alta visibilità del mezzo pubblico all’interno del circuito urbano (ricordiamo che i tre autobus alimentati ad idrogeno rappresentano il 4% dell’intera rete); segue la necessità di sperimentare l’economicità e soprattutto la durata di un pieno rispetto ad altri combustibili e “[…] Cosa meglio di un serbatoio di autobus può farlo - sostiene uno dei nostri interlocutori[…]” (T. P. Is. 1); infine, dalla necessità di trovare un’azienda automobilistica estera in grado di fornire un numero sufficiente di autovetture da sperimentare in loco.

“[…] Gli autobus sono arrivati nel settembre del 2003, non senza problemi dovuti alla traversata dell’oceano Atlantico che avrebbe potuto intaccare i loro delicati equipaggiamenti, fortunatamente è andato tutto bene, tanto che abbiamo potuto metterli su strada immediatamente dopo il loro arrivo[…]” (T. P. Is. 2).

Ciò che maggiormente preoccupava i ricercatori dell’INE era la “delicatezza” degli equipaggiamenti tecnologici degli autobus, che non solo dovevano affrontare una traversata dell’oceano (e dunque alti livelli di salinità che avrebbero potuto intaccarli), ma anche e “l’incognita freddo” ossia la capacità delle tecnologie presenti sui bus di affrontare i freddi inverni islandesi230.

“[…] La riuscita dell’operazione che riguarda gli autobus era fondamentale per le finalità del progetto, proprio per questo ha rappresentato il momento più rischioso, soprattutto per il fatto che essendo le tecnologie nuove non sapevamo quanto il clima e la locazione geografica potesse influire sul loro funzionamento[…]” (T. P. Is. 3).

Altri piccoli problemi tecnici che si sono man mano presentati sono stati affrontati anche grazie alla collaborazione della Daimler Chrysler.

A questo punto riusciamo ad identificare altri attanti di fondamentale importanza per la riuscita del programma d’azione (il progetto): avevamo parlato

230 A questo proposito ci appare opportuno sottolineare che l’Islanda è un’isola posta ad est della

dello scienziato ricercatore, delle multinazionali interessate al progetto, del governo nazionale, della commissione europea (tutti “attanti” umani); ora entrano in gioco gli “attanti non umani”: la tecnologia, rappresentata non solo dalla formula tecnologica idrogeno, ma anche dai bus sperimentati e dalla stazione di rifornimento operativa in loco, il contesto ambientale profondamente importante nella percezione delle complicazioni inerenti al progetto, il clima ecc. (che per inciso vengono identificati solo come “problemi tecnici”, e vengono affrontati man mano che si presentano in coerenza con il programma d’azione e seguendo uno schema di ruoli ben preciso); individuiamo, inoltre, il ruolo attribuito a ciascun attante per il perseguimento del programma d’azione231.

Abbiamo visto chi ha promosso cosa, quali sono i ruoli definiti dalla nostra coalizione agente, ora andiamo ad indagare perché la scelta dell’idrogeno e qual è il programma d’azione che il progetto si prefigge.

Idrogeno: l’indipendenza prima di tutto, dal locale al globale e viceversa

Sono diversi i motivi che hanno spinto l’Islanda ad optare per l’idrogeno prodotto da fonte rinnovabile: la volontà di liberarsi definitivamente dalla profonda dipendenza da una fonte energetica poco sicura (economicamente, politicamente e quantitativamente232) ed inquinante, il petrolio; la volontà di raggiungere l’Indipendenza energetica profondamente sentita; ma anche la consapevolezza di poter raggiungere la meta attraverso fonti endogene (idroelettrico e geotermico).

Il paventato raggiungimento del picco petrolifero e la crescente necessità di approvvigionamento energetico mondiale (in particolare da parte dei paesi in via di sviluppo, come ad esempio India e Cina), ha dato una forte spinta verso la ricerca di un’opzione energetica altra:

231 Le competenze agite dalle diverse componenti della rete di attori, in particolare il ruolo giocato

dalla Daymler Chrysler e dalla Shell, appare fondamentale nel momento in cui si affrontano i problemi legati alla “cruda materialità” della tecnologia.

232 Più volte, infatti, durante i colloqui è stata citata la teoria di Hubbert e quindi il raggiungimento del

“[…] Il grande interesse sull’idrogeno in generale, e in Islanda in particolare, è dovuto prevalentemente alle notizie sul consumo energetico mondiale. Ci sono chiari indicatori che mostrano che il mondo sta andando incontro ad una grave crisi energetica, forse non troppo lontana. Al momento circa l’80% dell’energia mondiale proviene da fonti di origine fossile, più della metà dal petrolio. Ha mai sentito parlare del Picco di Hubbert233? […]” (T. P. Is. 4).

“[…] La crescita della domanda mondiale di energia è impressionante anno dopo anno, basti pensare, per esempio, alla domanda di energia ed alle politiche energetiche cinesi.[…]” (T. P. Is. 1).

Come abbiamo più volte ribadito, l’idrogeno, che abbiamo preferito definire “formula tecnologica”, è un vettore energetico, ossia un trasportatore di energia, che pur essendo l’elemento chimico più diffuso nell’universo non si trova mai “da solo” e per poter essere utilizzato deve prima essere separato dalle molecole con cui è connesso attraverso la scissione di legami chimici. La scissione per poter avvenire necessita di una grande quantità di energia a monte234, che se fosse prodotta da tradizionali centrali termoelettriche, alimentate cioè a combustibile fossile, renderebbero l’operazione assolutamente poco economica rispetto all’utilizzo immediato dell’energia elettrica prodotta (basti pensare che l’80% del costo dell’idrogeno è imputabile al costo dell’elettricità); nel caso islandese si parla di produzione di idrogeno attraverso elettrolisi dell’acqua a partire dall’elettricità prodotta dalle centrali idroelettriche e geotermiche locali e dalla capacità elettrica residua non ancora sfruttata235.

“[…] L’umanità fin dal suo apparire sulla terra ha utilizzato fonti energetiche rinnovabili, è solo nel XVII secolo che queste fonti energetiche vengono completamente sostituite con le fonti di origine fossili (carbone prima, petrolio e gas naturale, poi) che vengono utilizzate su larga scala. I problemi ambientali e il graduale esaurirsi di queste fonti, però, (e qui cita una serie di colleghi) spingerà

233 Abbiamo approfondito le teorie di Mr King Hubbert nell’allegato n.1 a cui si rimanda, ma il nostro

referente fa particolare riferimento alla teoria di Kenneth S. Deffeyes che, utilizzando il metodo del geologo americano, ha previsto il raggiungimento del picco mondiale della produzione petrolifera a cavallo tra il 2005 ed il 2006, in particolare il 16 dicembre del 2005 (per una lettura più approfondita si rimanda alla pagina web: http://www.princeton.edu/hubbert/current-events-06-02.html).

234 Per una descrizione più approfondita dei modi con cui è possibile ottenere “idrogeno” si rimanda

all’appendice.

235 Il potenziale energetico utilizzabile, da fonte geotermica ed idroelettrica, stimato è di circa 50