Per analizzare la relazione che intercorre tra tecnologia ed ambiente e definire qual è l’impatto di questa sulla “natura” dobbiamo prima di tutto definire qual è la funzione della tecnologia all’interno del capitalismo moderno.
Come abbiamo detto sopra la scienza oggettivata sotto forma di tecnologia svolge la funzione di diminuire il tempo di rotazione del capitale, ma ovviamente dire solo questo appare quanto meno riduttivo.
All’interno di questo discorso possiamo individuare tre funzioni principali della tecnologia:
a) accrescere la produttività: questo consiste nel massimizzare gli aumenti di produttività nell’unità di tempo di lavoro, che a sua volta implica aumentare il saggio di sfruttamento e dunque il surplus dell’accumulazione. A
27 Laddove D rappresenta il denaro inizialmente investito nel processo produttivo, M sono le merci
prodotte e vendute e infine D’ è il denaro ottenuto dal processo produttivo che deve necessariamente essere superiore a D.
seconda dei cicli economici che ci si trova ad affrontare la tecnologia servirà per aumentare la produzione, così come avviene nelle fasi espansive, o per ridurre i costi (stagnazione). In entrambi i casi, gli effetti che si riflettono sull’ambiente sono fortissimi; infatti nelle fasi espansive, ossia con l’aumento della produzione, non solo c’è un notevole aumento dell’inquinamento globale, ma anche un notevole aumento del prelievo delle risorse necessarie a mantenere i ritmi di produzione, senza contare che un volume crescente di merci si traduce in un volume crescente di rifiuti da smaltire. Nel caso in cui invece il ciclo economico sia di stagnazione non si può certo sostenere che le conseguenze siano mitigate, anzi, nel momento in cui si devono tagliare i costi, infatti, questo si riflette pesantemente sul tasso di inquinamento per unità di prodotto e le spese per la protezione dell’ambiente vengono per lo più esternalizzate;
b) ridurre i costi delle materie prime: ciò può tradursi sia in un aumento dell’estrazione delle materie prime, in particolare delle risorse energetiche (principalmente petrolio e carbone) e risorse agricole da utilizzarsi nell’industria, che attraverso l’ aumento dell’efficienza nell’uso delle materie prime. Generalmente, però, questa funzione non tende affatto ad eliminare gli effetti perversi della prima anche perché tendenzialmente ad essi ne sostituisce altri non meno impattanti;
c) creare nuovi consumi: questa funzione riguarda soprattutto l’innovazione rispetto ai prodotti. Consiste nella tendenza non soltanto a creare nuove merci ma anche ad indurre a nuovi consumi, attraverso una “manipolazione razionale” dei modelli di consumo, al fine di espandere il mercato. Come le funzioni precedenti anche questa concorre a ridurre il tempo di rotazione, con la conseguenza di creare una sempre maggiore mole di rifiuti dal momento che sempre nuove merci tendono a sostituire le precedenti, aumentando il loro ritmo di obsolescenza.
La tecnologia in questo senso ha rappresentato, e rappresenta in verità, un fenomeno bifronte; infatti, da un lato comprende tutte le forme di sapere e di tecniche cui si deve il crescente dominio del genere umano sul suo ambiente fisico, e la sua
capacità di conseguire specifici traguardi; dall’altro lato ogni tecnologia è stata accompagnata da una varietà di effetti collaterali (o latent side effects come le definisce Luhmann), alcuni dei quali spiacevoli quando non dannosi (le cosiddette esternalità negative degli economisti).
Le funzioni e i significati politici e sociali della tecnologia e del cambiamento tecnologico, ad esempio, sono strettamente correlate con le funzioni economiche appena elencate.
Basti rilevare che il processo d’accumulazione e di creazione di surplus richiede un sempre crescente grado di controllo e di disciplina del lavoratore, ed anche in questo caso interviene la tecnologia attraverso il controllo ed il coordinamento sia della produzione che dei produttori, giocando il duplice ruolo di dominare il lavoratore ed incrementare il surplus.
E’ indubbio, in ogni modo, che la tecnologia condiziona i rapporti sociali ben oltre il luogo di produzione. A dimostrazione di ciò basti pensare ai risultati alterni delle mobilitazioni ambientaliste e sindacali in materia di salute e di protezione ambientale, che in taluni casi è stata in grado di esercitare un controllo sull’adozione di specifiche tecnologie o, perfino, di vietarne l’introduzione.
Viceversa l’introduzione senza distinzioni di tecnologie, che implicano sia inquinamento che trasformazione delle condizioni di produzione più in generale, avviene in molti paesi in cui i lavoratori e le popolazioni non sono in grado di operare controllo ed opposizione.
Basti pensare ad esempio alla descrizione che Beck (1986; 56) fa di Villa
Parisi in Brasile dove:
“[…]L’ingenuità industriale della popolazione rurale, spesso analfabeta, dischiude al management possibilità di legittimazione dei rischi del tutto insperate, e ormai da tempo improponibili negli ambienti sensibilizzati al rischio dei paesi industrializzati [….]”.
Efficienza e produttività, dunque, vengono profetizzate come lo scopo principale della tecnologia moderna, che in questo modo dovrebbe produrre benessere e massimizzare l'adattamento - ovvero rendere la specie umana "più
adatta" all'ambiente (o l’ambiente più adatto alla specie umana?) - per mezzo del controllo di risorse e processi naturali e produttivi.
Ma, in realtà, qual è la relazione tra tecnologie moderne ed ambiente ed in che modo sono raggiunti gli obiettivi d’efficienza e produttività alla luce di questa relazione?
"[…]Il sistema industriale altamente produttivo è, in realtà, un parassita, un parassita del pianeta quale non si era mai visto in precedenza nella storia dell'umanità[…]".28 (Ullrich, 2004; 388)
Efficienza e produttività sembrano avere le loro fondamenta su due pilastri in realtà interrelati tra loro: l’internalizzazione delle risorse naturali, o come dice Ullrich attraverso “lo sfruttamento delle realizzazioni preesistenti della natura” per le quali non si paga nulla, o quasi, per sfruttarle; e l’esternalizzazione dei costi (o “esternalità negative” come le definiscono gli economisti) sulla natura, sul cosiddetto Terzo mondo e sulle generazioni a venire.
Entrambi questi fattori sono, spesso, trascurati e questo porta alla “grande menzogna” del sistema industriale, ossia, alla convinzione che la prosperità economica raggiunta attraverso il saccheggio ed il trasferimento di costi, sia “creata” dal “gioioso menage” tra produzione industriale, scienza e tecnologia.
Se consideriamo, infatti, le tecnologie ed i beni tecnologici da queste derivanti, appare lampante che nella maggioranza dei casi non sono in grado di funzionare a prescindere dal consumo massiccio di risorse naturali gratuite e senza il rilascio d’inquinanti. Dai grandi impianti energetici, all'automobile, dall'aereo alla lavatrice, dalla bottiglia di birra all’immensa quantità di prodotti plastici, dall'industria alimentare29 alle costruzioni, dall'agricoltura industrializzata fino alla produzione della carta, ecc…, in ciascun caso neanche una di queste attività e nessuno di questi
28 Otto Ullrich (2004), voce Tecnologia, in Wolfgang Sachs (a cura di) “Dizionario dello sviluppo”,
EGA, Torino, pag 388.
29 E qui ci riferiamo essenzialmente alla produzione ed al massiccio consumo di fertilizzanti chimici,
prodotti potrebbero esistere a prescindere dal “saccheggio delle risorse naturali” e dalla “esternalizzazione dei costi di inquinamento”30.
Bisogna, inoltre, tener ben presente che tutti questi beni tecnologici, nonostante esercitino un certo fascino e siano una meta per i paesi del Terzo Mondo che non ne dispongono, non sono generalizzabili né è auspicabile che lo siano. I paesi industrializzati, dove vive il 20% della popolazione del globo, consumano l'80% dell'energia disponibile. Solo gli USA, che rappresenta essenzialmente meno del 10% della popolazione mondiale, consumano il 40% dell’energia prodotta totale. Se, per esempio, la Cina o l’India raggiungessero il livello di diffusione delle automobili realizzato in Occidente, le riserve di combustibile fossile disponibili si consumerebbero rapidamente, il tasso di inquinamento diventerebbe assolutamente intollerabile e l'atmosfera ne uscirebbe ulteriormente ed irrimediabilmente danneggiata.
La mistificazione della tecnologia, insomma, cela un duplice inganno: in primo luogo nasconde quali sono le risorse di cui si giova e poi quali i danni che provoca, abbaglia ed incanta rispetto alla sua reale disponibilità ed alla millantata efficienza31.
L’attrazione esercitata dalla tecnologia "ad alto rendimento" si fonda anche e soprattutto sulla difficoltà di percepire i suoi effetti nel tempo e nello spazio. L'orizzonte spaziale e temporale della nostra percezione quotidiana è in genere limitato, mentre tanto la graduale spoliazione delle risorse, quanto gli effetti della tecnologia riguardano spazi e tempi molto ampi. L’estrazione delle risorse disponibili si consuma molto fuori della nostra portata visiva, nei posti più disparati del globo, riguarda un sottosuolo che non possiamo vedere, attinge a fonti limitate e di cui conosciamo solo in parte i tempi di rinnovo. L’esternalizzazione dei costi sull'ambiente è sparso nello spazio e nel tempo e tende a sfiorare solo appena il nostro spazio quotidiano, sul cui si concentra solo e soltanto una piccola parte dell'inquinamento globale e della massa dei rifiuti prodotti. Ad ogni modo, poi, noi non siamo in grado di vedere gli inquinanti che pullulano nell'aria che respiriamo,
30 Inquinamento dell’aria e dell’acqua, rifiuti industriali ed urbani, processi di erosione territoriale,
dissesti ecc.
31 Già William Stanley Javons (1865) affermò attraverso il suo famoso “paradosso” che all’aumento di
efficienza nell’uso di una risorsa, dovuto a miglioramenti tecnologici, la quantità di quella risorsa può aumentare invece che diminuire.
non vediamo il buco nell'ozono, possiamo forse in parte percepirli ma non toccarli con mano32. Viviamo i processi di desertificazione nei paesi del cosiddetto terzo
mondo o il disboscamento delle foreste amazzoniche solo sotto forma di immagine spesso offuscata dai mezzi di comunicazione di massa; proprio per questo nella logica dell’”hic et nunc” lontana dalle nostre immediate fonti della nostra sussistenza, vivendo, agendo e pensando “in tempo reale” non ci rendiamo, spesso, conto della relazione che può esistere tra una birra o un surgelato o tra un qualsiasi altro bene di consumo immediato, pronti a soddisfare i nostri bisogni all’interno del nostro frigorifero, ed il danno, non risarcito in verità, causato dai clorofluorocarburi nell'atmosfera o dall’involucro che avvolge i nostri cibi pronti all’uso.
Ci viene spesso difficile tener conto degli effetti di lunga durata di una tecnologia che ha permesso di migliorare il nostro stile di vita. "Chi può dare un
significato reale - scrive ancora Otto Ulrich - al dimezzamento della radioattività da
qui a 300.000 anni?", concludendo:
"La separazione temporale, spaziale e individuale tra utilità e costi, vale a dire la separatezza che esiste tra l'azione dell'oggi e le conseguenze che dovranno essere patite, oppure la non intersezione tra vantaggi privati e svantaggi collettivi, rimane una delle caratteristiche straordinariamente più seduttive delle moderne tecnologie scientifiche."(Ulrich, 2004;393)
Proprio la possibilità di spalmare nel tempo e nello spazio esternalità negative prodotte dal nostro stile di vita e di consumo affida ad una futura ulteriore tecnologia la possibilità di riparare al danno potenziale a fronte di un beneficio immediatamente fruibile, deresponsabilizzando di fatto la generazione presente dei danni possibili alla generazione futura.
Proprio attraverso la lente dell’Hic et Nunc occorre leggere la sostenibilità ambientale e la necessità di rivedere uno stile di vita fin troppo energivoro e consumistico anziché vivere questi concetti come dei vincoli senza senso allo “sviluppo, facendo attenzione al fatto che i veri stakeholders sono le generazioni future.
32 “Our Environment in not the same as our perception of it. The “real” Environment includes much