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L’approccio SCOT prende le sue mosse dalla sociologia della scienza ed è sviluppato principalmente da Wiebe Bijker e da Trevor Pinch. Le basi concettuali di questo modello analitico si possono ritrovare nel saggio sulla “luce fluorescente” di

40 “A black box contains that which no longer needs to be considered, those things whose contents

have become a matter of indifference” (Callon, Latour, 1991; 285)

41 L’approccio costruzionista affonda le sue radici nella presa di distanza dal concetto di “inventore

individuale” come elemento centrale e caratterizzante dell’innovazione. Si focalizza, piuttosto, l’attenzione all’interno ed al di fuori del laboratorio di quelle pratiche che costituiscono le tecnologie (si veda ad esempio Latour e Woolgar, 1986).

42 Gallino, L., (1998), “Critica della ragione tecnologica. Valutazione, governo, responsabilità dei

sistemi socio-tecnici”, in Ceri, P. e Borgna, P. (a cura di) “La tecnologia per il 21o secolo. Prospettive

Bijker del 199243 in cui l’autore mostra, partendo dalla categoria dei “gruppi sociali pertinenti”, come un artefatto tecnico, la luce fluorescente appunto, sia stato inventato nella cosiddetta “fase di diffusione”.

In questo saggio Bijker non solo argomenta l’inadeguatezza del modello lineare dello sviluppo tecnico44 a rendere conto della complessità dell’innovazione trascurando la possibilità di “distorsioni retrospettive” che questo modello spesso comporta, conducendo ad una lettura implicitamente teleologica del materiale (Bijker, 1995; XVI), ma soprattutto contiene i principi fondamentali della prospettiva SCOT: gruppi sociali pertinenti (o rilevanti), flessibilità interpretativa e quadro tecnologico.

Nel modello della costruzione sociale della tecnologia l’individuazione dei “gruppi sociali pertinenti” rappresenta, insieme alla descrizione degli artefatti, il punto di partenza dell’analisi; gli artefatti tecnici, infatti, non esistono al di fuori delle interazioni all’interno e tra “gruppi sociali”, così come i dettagli del progetto degli artefatti sono descritti evidenziando i problemi e le soluzioni che quei gruppi sociali hanno rispetto all’artefatto.

Una questione fondamentale a proposito dei gruppi sociali pertinenti è appunto la rilevanza, che Bijker stesso precisa essere una categoria riferita agli attori sociali del caso in esame, ma anche al ricercatore (o analista) che li aggrega e li definisce tali per l’analisi del caso45.

Lo sviluppo tecnologico va considerato come un processo sociale e non come un accadimento isolato (Bijker, 1995; 28) ed i suoi portatori sono proprio i gruppi sociali pertinenti; ogni gruppo attribuisce significati diversi ad un artefatto tecnologico (utilizzatore o non utilizzatore, esperto/profano, ambientalista/non

ambientalista, innovatore/conservatore, povero/ricco, portatore di

interesse/consumatore etc.) e questo ci aiuta anche a capire la dicotomia tra efficacia ed inefficacia dell’artefatto, che rappresentano valutazioni socialmente costruite e non proprietà intrinseche all’artefatto stesso. Da un punto di vista metodologico ciò

43 Poi ripreso, dallo stesso autore, nel 1995 in “La bicicletta e le alter innovazioni” . 44 Ricerca, sviluppo, impianto pilota, scale up, produzione, sviluppo dei prodotti.

45 I “gruppi sociali rilevanti” sono, nell’approccio SCOT, rilevanti sempre agli occhi dell’analista che

che vale per la definizione e per la delimitazione dei gruppi sociali pertinenti vale anche per la caratterizzazione degli artefatti. Se si vuole, infatti, guardare allo sviluppo tecnologico come ad un processo sociale si deve tenere in considerazione come gli artefatti vengono visti dai gruppi sociali pertinenti ed evitare di guardare alla tecnologia come ad un’esistenza isolata.

Il medesimo artefatto può significare diverse cose per differenti gruppi sociali; tuttavia “i gruppi sociali pertinenti” non vedono semplicemente diversi aspetti di un artefatto, gli attribuiscono dei significati e sono proprio questi significati che, di fatto, costituiscono l’artefatto. Ci sono tanti artefatti quanti gruppi sociali rilevanti, non c’è alcun artefatto che non sia costituito da un gruppo sociale rilevante” (Bijker, 1995: 77).

Il/I significato/i attribuito/i è alla base del concetto, derivante dagli studi di sociologia della scienza, di “flessibilità interpretativa”.

La possibilità di dimostrare la flessibilità interpretativa di un artefatto attraverso la decostruzione, sostiene Bijker, implica l’esistenza di uno spunto immediato per la dimostrazione sociologica dello sviluppo degli artefatti tecnologici.

Se non esistesse, o comunque non fosse possibile dimostrare alcuna flessibilità interpretativa, allora tutte le proprietà di un artefatto potrebbero considerarsi immanenti ed intrinseche all’artefatto stesso. Non ci sarebbe la dimensione sociale della progettazione ma solo l’applicazione e la diffusione – ossia il contesto – andrebbero a rappresentare la sua dimensione sociale.

Secondo i teorici della SCOT, in sintesi, tecnologie e pratiche tecnologiche sono costruite in un processo di negoziazione continua guidato dagli interessi sociali dei partecipanti, attraverso cui gruppi in conflitto raggiungono o impongono uno specifico risultato. La tecnologia è concepita dal costruzionismo come il risultato di un processo di stabilizzazione e chiusura. È con i concetti di stabilizzazione e chiusura che nell’analisi SCOT, dopo aver effettuato la decostruzione sociologica dell’artefatto tecnologico, si prova ad effettuarne la costruzione sociale.

“[…] Chiusura, nell’analisi della tecnologia, significa diminuzione della flessibilità interpretativa di un artefatto[…]” (Bijker, 1995 ;63)

Essa rappresenta il momento in cui le controversie retoriche sulla tecnologia si chiudono appunto ed emerge il consenso fra i diversi gruppi pertinenti rispetto al significato dominante di un artefatto. Di fatto si attenua il pluralismo degli artefatti.

Sono stati identificati parecchi meccanismi di chiusura di una controversia come ad esempio il “meccanismo di chiusura retorica”.

Il concetto di “stabilizzazione” si riferisce, invece, alla critica della concezione ingenua dell’invenzione come atto di genio.

Esso esprime la constatazione che il cambiamento tecnologico non può essere il semplice risultato di un portentoso atto di genio. L’attenzione, infatti, si sposta non sull’atto in se, ma sullo sviluppo di un artefatto nell’ambito di un gruppo sociale. Proprio da questo assunto, applicando il modello descrittivo, dovremmo riuscire ad osservare i differenti gradi di “stabilizzazione” dei diversi artefatti tecnologici all’interno dei gruppi sociali pertinenti.

Latour e Woolgar (1986) hanno dimostrato che nella costruzione dei fatti scientifici si conferiscono, o si tolgono, “modalità” specifiche all’affermazione di questi fatti e che questo connota il grado di stabilizzazione degli stessi. Si pone però un problema metodologico nell’uso del linguaggio come mezzo attraverso il quale seguire la stabilizzazione. La necessità di aggiungere definizioni e chiarimenti per poter comunicare su un artefatto tecnologico non dipende solo dal grado di stabilizzazione dell’artefatto stesso all’interno del gruppo sociale, ma anche ed in misura affine, dal contesto in cui viene (o verrà) usata l’affermazione (ad esempio un testo di ricerca, un brevetto, un manuale, un saggio etc.) e dalla capacità di chi pronuncia l’affermazione di convincere e creare rete.

Bisogna in definitiva vedere come l’artefatto tecnologico (e la tecnologia in generale) viene descritto nel gruppo sociale dei tecnici in uno specifico canale di comunicazione e come questo viene proiettato all’esterno del gruppo riuscendo così a leggere il processo.

Come, però, si correlano i processi di chiusura e stabilizzazione?

La chiusura porta alla diminuzione della flessibilità interpretativa di un unico artefatto che diventa dominante e maturerà un grado crescente di stabilizzazione nell’ambito del gruppo sociale pertinente.

C’è da notare che il processo di chiusura si accompagna ad un certo grado di irreversibilità ma non lo è del tutto; alla relativa rigidità del processo di chiusura, infatti si accompagna il carattere graduale della stabilizzazione e proprio questa combinazione tra stabilizzazione e chiusura aiuta a comprendere che il cambiamento tecnologico è un processo continuo e dinamico.

Altro concetto chiave del modello descrittivo SCOT è rappresentato dal concetto di “quadro tecnologico”, che rappresenta la struttura di interazioni fra i diversi attori di un gruppo sociale pertinente e come tale è collocato fra gli attori, non negli attori o al di sopra di essi46. Esso comprende tutti quegli elementi che

influiscono sulle interazioni all’interno dei gruppi sociali pertinenti e muovono all’attribuzione di un significato e di conseguenza alla costituzione di una tecnologia. Bijker, nel saggio sulla bakelite, individua diversi elementi costitutivi, benché indicativi, del quadro tecnologico: gli obiettivi, i problemi cruciali, le strategie di

problem-solving, i requisiti da rispettare nella soluzione dei problemi, le teorie correnti, la conoscenza tacita, le procedure di verifica etc.

Il quadro tecnologico è un approccio teorico che permette all’analista di ordinare i dati ed interpretare le interazioni all’interno del gruppo sociale pertinente, che risulta ancora più efficace, quando si è di fronte a situazioni d’instabilità, dialettica e cambiamento. Nel modello descrittivo SCOT gli artefatti sono descritti in termini di problemi e di soluzioni di problemi che si possono interpretare come la risultante di uno specifico quadro tecnologico, che rappresenta interazioni e come tale relazioni di potere che si specificano nel quadro tecnologico e nel modo in cui

“interagiscono, pensano e agiscono i membri di un gruppo sociale pertinente”

(Bijker, 1995; 232). I quadri tecnologici in definitiva “rappresentano il modo in cui è

distribuita la discrezionalità (chi può fare che cosa, quando dove e come) ad oggetti ed attori” (Bijker, 1995; 232).

46 Non è dunque una caratteristica propria degli individui, di una struttura o di una istituzione, nasce

essenzialmente quando si sviluppa una interazione intorno ad un artefatto tecnologico e le interazione dei membri spingono verso la medesima direzione.

Il potere si manifesta attraverso la fissazione del significato dell’artefatto (collegato sia al processo di chiusura che riduce la flessibilità interpretativa sia ai processi di stabilizzazione e di inclusione), e questa relazione si incorpora nell’artefatto stesso spingendo al suo riconoscimento come “punto di passaggio obbligatorio”. Questo ultimo concetto viene sviluppato da Callon e Law all’interno del filone analitico dell’Actor Network Theory.