Il modello rinnovabile rappresenta essenzialmente il cuore pulsante della controversia in merito all’approvvigionamento energetico.
Si definisce, in maniera generica, “fonte rinnovabile” quella forma di energia generata da una fonte “primaria” che per sua caratteristica intrinseca si rigenera o non è “esauribile” ed il cui uso non preclude l’accesso alle risorse per le generazioni future. È, per definizione, l’energia che si ricava dal sole, dall’acqua, dal vento, dalla biomassa e dalle risorse geotermiche138.
Così come il modello fossile/fissile, anche il modello rinnovabile presenta punti di forza, ma anche di estrema debolezza, che lo rendono particolarmente suscettibile a critiche e rifiuti, a partire dalla visione politica, scientifica e pianificatoria del sistema energetico e delle tecnologie ad esso sottese.
Gli impianti solari e gli impianti eolici hanno bisogno di ampi spazi per una produzione centralizzata139, le turbine eoliche hanno un impatto acustico e paesaggistico notevole, dovendo essere costruite sui crinali di colline e montagne140;
l’idroelettrico tradizionale richiede la costruzione di grandi bacini artificiali che inevitabilmente sconvolgono, sommergendoli, interi habitat naturali e inoltre possono causare fenomeni rilevanti di dissesto idrogeologico; queste tre fonti hanno, però, il vantaggio rispetto alle fonti fossili, e ad alcuni tipi di rinnovabili, di non emettere alcuna sostanza inquinante. Un discorso a parte si deve fare per la geotermia e la biomassa: le centrali geotermiche hanno un impatto paesaggistico notevole
138 All’interno di questa prima classificazione è opportuno sottolineare un’ulteriore differenziazione
che prevede differenti tecnologie a partire da ciascuna fonte primaria: l’uso delle risorse idriche, infatti, prevede oltre all’applicazione dell’idroelettrico tradizionale anche l’energia mareomotrice (la forza motrice delle maree), l’energia del moto ondoso e l’energia talassotermica (che sfrutta gli sbalzi di temperatura tra la superficie e le profondità degli oceani); l’energia solare prevede sia l’utilizzo della tecnologia fotovoltaica che del solare termico (o termodinamico); l’energia da biomassa include il possibile utilizzo di biocarburanti (come l’etanolo), di oli vegetali (come ad esempio l’olio di colza) e di cippatto.
139 Per produrre 400 MW ci vogliono circa 4 Km2 di pannelli solari e circa 80 km2 coperti da turbine
eoliche.
presentandosi, infatti, come un groviglio di enormi tubature anti-estetiche141, ma soprattutto disperdono nell’ambiente significative quantità di vapore contenente idrogeno solforato (H2S), che oltre ad avere un odore sgradevole (tipico delle zone
termali), è anche un gas tossico; queste emissioni, però, sono sostanzialmente inevitabili, tenendo conto dell’attività del sistema terrestre, per cui la possibilità di mettere a valore l’inevitabile rappresenta un punto di forza più che di debolezza della fonte. La combustione delle biomasse emette ossidi di zolfo, ossidi di azoto e anidride carbonica142, emissioni che si azzerano all’interno del “ciclo del carbonio” grazie a nuove piantumazioni, il problema principale è rappresentato dalla coltivazione industriale per produrre biocarburanti che crea problemi d’impoverimento dei suoli, perdita di biodiversità, spreco di risorse idriche e scompensi nel mercato agricolo ed alimentare, che potrebbe essere superato (e qui il condizionale è d’obbligo) attraverso forme di pianificazione territoriale e del mercato rigide.
Possiamo notare che la maggior parte delle critiche si riferiscono alla proiezione delle tecnologie all’interno di un’ottica di produzione e distribuzione energetica di tipo “centralizzato” (grandi impianti di produzione, distribuzione dell’energia attraverso elettrodotti ecc..), ma perdono di significato in relazione ad un’ottica di produzione “decentralizzata”, ovvero produzione locale attraverso impianti di piccola taglia e conversione diretta dell’energia primaria.
La massima efficienza e potenzialità delle energie rinnovabili si raggiunge, infatti, con la loro applicazione a livello locale, in impianti di piccola taglia143, che renderebbero minimi, se non addirittura trascurabili gli impatti ambientali prima descritti.
Bisogna, però, rilevare che non tutte le fonti energetiche rinnovabili sono “geneticamente predisposte” al perseguimento di questo obiettivo. I grandi impianti idroelettrici e le stazioni geotermiche creano, di fatto, i presupposti per il mantenimento del meccanismo di accentramento energetico (concentrazione, trasformazione, accumulo,
141 Che comunque si riesce ad evitare con un’attenta pianificazione architettonica urbana (si veda ad
esempio la città di Reykjavik in Islanda).
142 Che però si azzera all’interno del cosiddetto ciclo del carbonio, grazie a nuove piantumazioni. 143 Un esempio possibile è rappresentato dalle celle fotovoltaiche applicate sulle pareti o i tetti degli
edifici, per un’alimentazione elettrica autonoma degli stessi, con il conseguente risparmio di suolo rispetto ad una centrale di grande potenza.
distribuzione) nonostante il basso impatto in termini di emissioni climalteranti, mentre le cosiddette NFER144 hanno una predisposizione maggiore alla generazione distribuita e
localmente decentrata dell’energia.
Il potenziale di decentramento, però, rappresenta il loro maggior limite al possibile inserimento delle FER nel mercato e nella quotidianità sociale; la visione tecnologica, sociale ed economica comune, difatti, trasmette un certo scetticismo nella possibile gestione di un simile processo, così come le decisioni di carattere strategico, come la scelta delle risorse energetiche da utilizzare, sono di esclusiva pertinenza di tecnici e politici a livello nazionale.
Uno dei principali freni che individuiamo è rappresentato da un lato dallo scarso impegno politico e da interessi economici in campo energetico ormai consolidati, e dall’altro da un “gap comunicativo” tra sistemi esperti, sistema politico/decisionale e sistema sociale che impedisce, sotto molti punti di vista, il reale interessamento (nell’accezione di Callon e Latour) e dunque un impegno realistico. Gli utenti/consumatori bombardati da una serie di messaggi contraddittori, ma anche “oppressi” da un sistema burocratico rigido in questo senso (con legislazioni lampo o difficilmente interpretabili) si ritrovano a reagire o con una totale indifferenza rispetto al tema di riferimento (demandando di fatto ogni possibile soluzione al sistema politico rappresentante) od a rifiutare, categoricamente, ogni possibile risposta a riguardo.
Se da un lato, infatti, la certezza del graduale cedimento dell’attuale sistema energetico è platealmente diffusa e condivisa, dall’altro ci muoviamo nel terreno minato dell’incertezza a proposito di quali combustibili o tecnologie utilizzare in futuro.
Le fonti energetiche alternative hanno dovuto, e devono tuttora, competere con un establishment profondamente radicato; gli intrecci tra poteri economici e poteri politici, non permettono che le tecnologie concorrenti acquisiscano spazio
144 Solare, eolico, energia mareomotrice, energia da moto ondoso, energia talassotermica ed in qualche
misura l’energia da biomassa. La legislazione italiana, prevede nella definizione delle fonti energetiche rinnovabili, nell’articolo 11 della L. n. 10 del 9 gennaio 1991, le cosiddette fonti assimilate alle rinnovabili, che nell’interpretazione “comune”, sono rappresentate dai cosiddetti rifiuti solidi urbani, tramite incenerimento o come si preferisce “termovalorizzazione”.
consentendo una decentralizzazione del sistema energetico (Sheer, 2006)145. Da sempre, afferma uno dei più attivi sostenitori delle fonti energetiche alternative Hermann Scheer, l’industria energetica ha usato la propria influenza economica e politica affinché si escludessero dal mercato le fonti energetiche alternative, attraverso sussidi statali ingenti e sgravi fiscali che mantenessero relativamente basso il prezzo dei combustibili derivati dagli idrocarburi, ed utilizzando la loro immensa autorità retorica per minimizzare eventuali aspettative di un’economia energetica fondata principalmente sulle rinnovabili.
L’ex petroliere Dick Cheney affermava nel 2000 alla Casa Bianca:
“Fra parecchi anni i combustibili alternativi potrebbero essere molto più abbondanti, ma non possiamo ancora mettere in gioco la nostra economia ed il nostro stile di vita basandoci su questa possibilità. Per ora dobbiamo attenerci ai fatti (che per inciso sono rappresentati dal petrolio e dal gas)” (Roberts, 2005: 215)
È importante, però, rilevare che esistono altre ragioni che hanno impedito alle energie alternative di affermarsi: la gran parte di esse (in particolare le NFER), nonostante l’immenso potenziale, non è ancora in grado di conquistare in toto la scena energetica, malgrado anni ed anni di ricerca e sviluppo e tassi di crescita in aumento; si scontano gli inconvenienti tecnici ed economici, passati e presenti, dovuti essenzialmente alla tendenza a traslare una tecnologia con potenziale locale in infrastrutture nate a partire dalle caratteristiche delle fonti fossili. Molto spesso a fronte di aspettative deluse si è teso ad attribuire la colpa dell’insuccesso all’artefatto tecnologico146, piuttosto che ad un sistema informativo o ad azioni di pianificazione energetica e territoriale carenti (quando non assenti).
145
È la comunità degli esperti dell’energia che definisce essenzialmente cos’è energeticamente corretto (Energetical Correctness) e cosa di rimando non lo è, e questo ha delle profonde ricadute su processi di policy energetiche attuate dai sistemi politici ed istituzionali. “[…] La comunità mondiale
degli esperti dell’energia convenzionale decide quali punti di vista alternativi ai propri sono meritevoli di essere discussi. Chi vuole farne parte o essere riconosciuto fa bene a non procedere troppo nel campo delle energie rinnovabili. Chi non solo si impegna a favore delle energie rinnovabili, ma addirittura ritiene possibile la completa sostituzione delle energie non rinnovabili, non viene semplicemente preso sul serio e considerato ingenuo o fazioso[…]” (Scheer, 2006; 107).
146 L’energia solare a dispetto di più di trent’anni di investimenti di migliaia di milioni di euro in
ricerca e sviluppo costa ancora circa cinque volte di più dell’energia elettrica prodotta da carbone; oltre alle questioni di costo, poi, tali energie presentano ancora parecchi limiti in termini di qualità dell’energia prodotta. L’energia solare, poi, deve fare i conti non solo con un costo relativamente più
Le fonti rinnovabili, producono elettricità che può essere immediatamente utilizzata o può servire, nei momenti di sovrapproduzione, per la produzione di idrogeno, aprendo orizzonti totalmente nuovi ed assolutamente svincolati dal petrolio e dagli interessi ad esso legati. L’opportunità maggiore sta nella possibilità di affiancare (finanche a sostituire) alle grandi centrali termoelettriche la produzione decentrata d’elettricità e/o d’idrogeno. Questi due vettori dovrebbero essere prodotti in prevalenza dove servono e partendo da fonti “locali”, anch’esse decentrate e che quindi non gravano sulle reti di distribuzione.
La rivoluzione sottesa alle fonti energetiche rinnovabili è essenzialmente rappresentata al modello di cambiamento che esplicitano, da un lato l’abbandono dalle fonti energetiche tradizionali a favore di fonti ambientalmente “sostenibili” (cambiamento large) e dall’altro (in particolare per ciò che riguarda le NFER) un cambiamento radicale nella produzione e nella gestione dell’energia, basata sulla produzione diretta locale dell’energia stessa e in forme di gestione allargate, in cui ciascun utente/consumatore diventa potenzialmente produttore e responsabile della propria energia (cambiamento hard).
I passi compiuti verso questa direzione sono tutto tranne che incoraggianti, malgrado si senta sempre più spesso parlare di “nuove e possibili soluzioni energetiche” e nonostante l’enorme crescita dei settori dell’energia eolica e solare; appare sempre più chiaro che qualcosa di nuovo che spinga verso una economia energetica “alternativa” non si materializzerà a prescindere da una visione più ampia dell’unica dimensione “fossile/fissile”.
La controversia sulle tecnologie del modello energetico da utilizzare in futuro per assicurare la “sopravvivenza” della società è ancora completamente aperta; così come forti sono le resistenze ad includere, in maniera veramente “diffusa”, altri possibili gruppi al tavolo della discussione; tutto questo si riflette in un’ulteriore controversia, che rende ancora più alti i toni del confronto: quale possibile “alternativa” al combustibile fossile per il settore dei trasporti? È qui che si inserisce
alto rispetto alle fonti tradizionali, ma anche con una reputazione fortemente compromessa dall’esperienza negativa degli anni Settanta, che malgrado grossi passi avanti compiuti attualmente, molti attori del business energetico non riescono completamente a dimenticare (ENEA, 2005).
in maniera prepotente la questione di quella che definiamo “formula tecnologica idrogeno”.