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La Corte di giustizia dell’Unione europea

7. La violenza: definizioni sul tema

8.1 La Corte di giustizia dell’Unione europea

Tra i contributi più rappresentativi della Corte di giustizia dell’Unione europea131, in ordine ai reati familiari, troviamo la

Sentenza del 15 settembre 2011, nelle cause riunite Gueye e Sanchez132. Dinanzi alla Corte sono state presentate delle

domande pregiudiziali nel contesto di procedimenti penali promossi a carico, rispettivamente, dei sigg. Gueye e Salmerón Sánchez, condannati per maltrattamenti compiuti in ambito domestico e successivamente perseguiti per violazione della misura accessoria del divieto di riavvicinamento e di comunicazione con le rispettive vittime.133

Trascorso un breve periodo di tempo infatti i signori suddetti riprendevano, nonostante il divieto loro imposto, la vita comune con le relative vittime su richiesta delle medesime. Quest’ultime dichiaravano di avere esse stesse deciso, in modo pienamente cosciente e volontario, di riprendere la coabitazione con i

131 La prima è la sentenza Cown, 2 febbraio 1989, che mira ad

individuare la base giuridica di alcuni testi normativi emanati dalla Comunità europea in materia di tutela della vittima di reato, soprattutto con riferimento al risarcimento pubblico alle vittime.

132CGUE, Quarta Sezione , sent. del 15 settembre 2011, nei

procedimenti riuniti C-483/09 e C-1/10. Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione degli artt. 2,3, 8 e 10 della decisione quadro del Consiglio del 15 marzo 2001/220/GAI, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale. Reperibile su www.eur-lex.europa.

133 La pena accessoria comminata a carico degli imputati consisteva nel divieto di riavvicinamento alle proprie vittime ad una distanza inferiore, rispettivamente, a 1 000 metri e 500 metri dalle stesse ovvero di riprendere contatti con le medesime, per un periodo di 17 mesi nel primo caso e di 16 mesi nel secondo.

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condannati. Proprio da tale episodio trae origine la domanda pregiudiziale dei giudici spagnoli volta ad avere chiarimenti sulla legittimità di una normativa nazionale che prevede, per un’intera categoria di fattispecie criminose, tra le quali rientrano i reati intrafamiliari, una pena accessoria obbligatoria del divieto di avvicinamento, avente durata minima inderogabile di sei mesi, anche quando le vittime si oppongano all’imposizione o al mantenimento della sanzione.

L’indefettibilità della misura interdittiva, ad avviso dei giudici remittenti, si porrebbe in conflitto con gli articoli 2, 3 ed 8, comma 1134 della decisione quadro 2001/220/GAI in materia di

vittime del reato.135 I giudici della Corte vengono quindi chiamati

a pronunciarsi sull’interpretazione dell’art. 2 della decisione

134 Ai sensi dell’art. 2 comma 1 della decisione quadro 2001/220/GAI: “Ciascuno Stato membro prevede nel proprio sistema giudiziario penale un ruolo effettivo e appropriato delle vittime. Ciascuno Stato membro si adopererà affinché alla vittima sia garantito un trattamento debitamente rispettoso della sua dignità personale durante il procedimento e ne riconosce i diritti e gli interessi giuridicamente protetti con particolare riferimento al procedimento penale”. L’art. 8 comma 1 prevede che “ciascuno Stato membro garantisce un livello adeguato di protezione alle vittime di reati ed eventualmente ai loro familiari o alle persone assimilabili, in particolare per quanto riguarda la sicurezza e la tutela dell'intimità della vita privata, qualora le autorità competenti ritengano che esista una seria minaccia di atti di ritorsione o prova certa di un intento di intromissione nella sfera della vita privata”. 6 V. l’art. 3 della decisione quadro 2001/220/GAI, rubricato “Audizione e riproduzione di prove”: “1. Ciascuno Stato membro garantisce la possibilità per la vittima di essere sentita durante il procedimento e di fornire elementi di prova. 2. Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché le autorità competenti interroghino la vittima soltanto per quanto è necessario al procedimento penale”.

135 L’indefettibilità della misura disconoscerebbe due principi sanciti dalla direttiva: il diritto della vittima al libero sviluppo della personalità ed al rispetto della propria vita privata e familiare e il diritto della vittima ad essere sentita dal giudice procedente. In entrambi i casi infatti l’irrogazione della sanzione era contraria alla volontà e agli interessi delle vittime, che avevano manifestato la propria intenzione di riprendere i contatti con gli autori delle violenze e chiedevano di accedere a forme di mediazione.

Per approfondimenti vedi CALÒ R., Vittima del reato e giustizia riparativa nello spazio giudiziario europeo post Lisbona, 2011, in penalecontemporaneo.it.

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quadro, il quale stabiliva di rendere la dovuta dignità alla vittima, oltre a garantire i diritti e gli interessi giuridicamente protetti, riconoscendole un ruolo effettivo ed appropriato nel processo penale e riservando un trattamento specifico alle vittime vulnerabili. Il punto focale è quello di capire se l’obbligo degli Stati di riconoscere i diritti e gli interessi giuridicamente protetti della vittima imponga di tenere conto del suo parere quando le conseguenze penali del procedimento potrebbero compromettere gravemente e direttamente l’esercizio del suo diritto al libero sviluppo della personalità e della vita privata e familiare e se di conseguenza sia permesso alle autorità nazionali non prendere in considerazione la libera volontà della vittima qualora essa si opponga all’imposizione o al mantenimento di una misura di allontanamento oppure se detta misura debba essere adottata in ogni caso, tenuto conto della specifica tipologia dei reati in questione136. Si chiede poi ai

giudici di Lussemburgo di chiarire se il diritto della vittima di essere compresa, menzionato all’ottavo ‘considerando’ della decisione quadro, debba essere interpretato come un obbligo positivo per le autorità nazionali, competenti a perseguire e sanzionare i comportamenti violenti, di consentire che la vittima esprima le proprie valutazioni, riflessioni ed opinioni in merito agli effetti diretti che potrebbero derivare sulla sua vita dall’irrogazione di pene all’aggressore con cui essa intrattiene una relazione familiare o uno stretto legame affettivo e inoltre se l’art. 8 della decisione quadro, laddove dispone che gli Stati garantiscono un livello adeguato di protezione alle vittime di reati, debba essere interpretato nel senso che esso consente

136 È necessario in tali circostanze valutare se l’aggressore sia un familiare, se venga o meno constatata una situazione oggettiva di rischio di reiterazione del reato e se sia accertato un livello di competenza personale, sociale, culturale ed emotiva tale da escludere la sottomissione della vittima all’aggressore.

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l’imposizione generalizzata e tassativa di provvedimenti di allontanamento o del divieto di comunicazione a titolo di pene accessorie in tutte le fattispecie di reati intrafamiliari, in ragione della specifica tipologia, oppure se la menzionata disposizione imponga di procedere caso per caso ad una ponderazione che consenta di individuare il livello adeguato di tutela, tenuto conto dei vari interessi in gioco.

L’art. 8 si occupa del diritto alla protezione di vittime e familiari soprattutto in caso di ritorsione o recidiva da parte della vittima. A parere dei giudici spagnoli i diritti riservati alla vittima si spingerebbero fino al punto da incidere sulla decisione in ordine all’infrazione della pena accessoria inflitta al partner.

La Corte di giustizia ritiene invece che per quanto debbano essere riconosciuti alla vittima il diritto di partecipare al procedimento, di esprimere pareri, di raccontare i fatti e fornire elementi di prova, laddove quest’ultima si esprima sulla pena da infliggere all’imputato, una simile valutazione non potrebbe mai sostituirsi a quella del giudice, il quale ha ampia discrezionalità sulla misura da applicare e sull’entità delle pene da irrogare. La sanzione di allontanamento obbligatoria di durata minima, prevista dall’ordinamento penale di uno Stato membro a titolo di pena accessoria, può essere disposta nei confronti degli autori di violenze commesse nell’ambito familiare, anche quando le relative vittime contestino l’applicazione della sanzione stessa. Inoltre l’adeguatezza della protezione da garantire alle vittime di reati commessi nell’ambito familiare, non può tradursi, in casi di reati minori, nell’imposizione, senza eccezioni, della misura di allontanamento, adottata senza previa valutazione, caso per caso.

L’art. 8 comma 1 è, sì, volto a garantire un livello adeguato di protezione alle vittime, con particolare riguardo alla sicurezza e alla tutela della vita privata, ma solo nell’ipotesi in cui le autorità competenti ritengano che esista “una seria minaccia di atti di ritorsione o prova certa di un serio intento di intromissione nella

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sfera della vita privata”. Si tratta, ad avviso della Corte, di una misura di tipo pratico e preventivo diretta a far sì che la vittima del reato sia tutelata nei confronti dell’autore del fatto criminoso anche nel corso del procedimento penale, affinché la sua partecipazione non risulti compromessa da rischi per la sicurezza e la vita privata.

Inoltre il diritto della vittima ad essere sentita previsto dall’art. 3 della decisione quadro deve essere adeguatamente inteso, alla luce della ratio della disposizione che è esclusivamente quella di garantire che la persona offesa possa partecipare effettivamente al procedimento penale, fornire elementi di prova ed essere interrogata solo per ciò che è strettamente indispensabile al procedimento stesso.

In definitiva dall’analisi dei giudici della Corte di giustizia emerge un panorama normativo in base al quale gli artt. 2, 3 e 8 della decisione-quadro devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che una sanzione di allontanamento obbligatoria di durata minima, prevista dall’ordinamento penale di uno Stato membro a titolo di pena accessoria, venga disposta nei confronti degli autori di violenze commesse nell’ambito familiare, anche nell’ipotesi in cui le relative vittime contestino l’applicazione della sanzione stessa.

Le disposizioni sono volte a garantire che la vittima possa effettivamente prendere parte al procedimento penale in modo adeguato, senza che il suo parere rappresenti un’imposizione per il giudice. A tal riguardo, si deve rammentare che la tutela penale contro gli atti di violenza domestica che uno Stato membro garantisce esercitando il proprio potere repressivo è volta a proteggere non solo gli interessi della vittima come questa li percepisce, bensì parimenti altri interessi più generali della collettività. Ne consegue che l’art. 3 della decisione quadro non osta a che il legislatore nazionale preveda pene obbligatorie di durata minima, in particolare quando debbano essere presi in considerazione altri interessi oltre a quelli propri della

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vittima. Infine, si deve rilevare che l’obbligo di disporre una misura di allontanamento, conformemente al diritto sostanziale oggetto della causa principale, non ricade nella sfera di applicazione della decisione quadro e conseguentemente, non può, in ogni caso, essere di per sé valutato alla luce delle disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

La Corte si esprime anche sul tema della mediazione, in particolare sull’interpretazione dell’art. 10, se consenta o meno l’esclusione generalizzata della mediazione nei procedimenti penali relativi a reati intrafamiliari in ragione della specifica tipologia degli stessi o se invece si debba consentire la mediazione anche in questo tipo di procedimenti, procedendo caso per caso alla ponderazione dei vari interessi in gioco. Anche il ricorso alla mediazione viene previsto per una serie tassativa di reati dove non sembrano rientrare quelli relativi ai reati a sfondo sessuale e afferma che gli Stati hanno discrezionalità nell’individuare le tipologie di reato cui è possibile applicarla, potendo escluderla per i reati commessi nell’ambito familiare, tenuto conto della particolare natura dei reati in questione purché la scelta sia sorretta da criteri oggettivi.137In verità, il

fatto che l’accesso alla mediazione debba corrispondere all’interesse della vittima contrasta con l’idea per cui è stata creata ovvero l’imparzialità o pari considerazione di tutte le parti. È la natura dell’interesse sotteso da proteggere a creare l’esclusione del ricorso alla mediazione, tra i quali il diritto alla vita e all’integrità fisica.

Le norme in esame, artt. 2, 3, 8 e 10, enunciate nella Decisione quadro, sono state cristallizzate e meglio specificate nella Direttiva 29/2012/UE. Qui infatti oltre a ribadire la necessità di

137PISAPIA A. La protezione europea garantita alle vittime della

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trattare con rispetto e dignità la vittima del reato, viene ribadita la necessità di permetterle di fornire elementi di prova e di essere sentita solo per quanto strettamente indispensabile al processo penale oltre ad un’intensificazione dei servizi di protezione ad essa riservati in tutte le fasi del procedimento penale.

“La pronuncia della Corte di giustizia dà atto di una spiccata sensibilità vittimologica, in quanto se avesse affermato il dovere del giudice di non applicare misure di protezione in assenza della volontà della vittima, avrebbe rinunciato a tutelare individui deboli, accettando l’eventualità che questi ultimi siano soggetti a nuovi episodi di vittimizzazione, con l’ulteriore rischio che la richiesta della vittima non sia il frutto di una libera scelta ma di un atto di sottomissione agli autori dei fatti.”138

Altra decisione di notevole importanza è rappresentata dalla Sentenza Pupino139del 2005. La causa prende avvio in seguito

ad una questione interpretativa pregiudiziale sollevata dal GIP del tribunale di Firenze, nel corso del processo a carico della signora Maria Pupino, maestra di scuola materna, che veniva accusata di maltrattamenti, percosse e lesioni personali nei confronti di bambini di età inferiore a cinque anni.140 Nella

fattispecie, il ricorso alla Corte di giustizia era teso a chiarire se vi fosse un contrasto tra la mancata previsione nella legislazione italiana della possibilità di acquisire la testimonianza dei bambini coinvolti in un procedimento penale tramite incidente probatorio, con gli artt. 2, 3 e 8, n. 4 della decisione quadro 2001/220/GAI, nutrendo di conseguenza dubbi quanto alla compatibilità degli artt. 392, n. 1-bis, e 398, n. 5-bis, c.p.p.

138 VENTUROLI M., La tutela della vittima nelle fonti Europee, op. cit,

p.86 ss.

139 Corte di Giustizia della Comunità europea, Grande Sezione, 16 giugno 2005, causa C-105/03 Sentenza Pupino.

140 Va precisato che la questione non viene sollevata al fine di accertare la responsabilità della signora suddetta ma con l’intento di chiarire lo svolgimento del procedimento e sulle modalità di assunzione della prova.

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Nella causa principale, il pubblico ministero chiedeva al giudice per le indagini preliminari di raccogliere le deposizioni di otto bambini, testimoni e vittime dei reati per i quali la sig.ra Pupino era indagata, attraverso lo strumento dell’incidente probatorio diretto all’assunzione anticipata della prova, sul fondamento dell’art. 392, n. 1-bis,c.p.p, in quanto l’assunzione della prova non avrebbe potuto essere differita sino all’udienza dibattimentale a causa della minore età dei testimoni e della possibile modificazione della situazione psicologica di questi ultimi, nonché di un eventuale processo di rimozione del ricordo. Il pubblico ministero chiedeva anche che si procedesse all’assunzione della prova con modalità particolari previste all’art. 398, n. 5-bis c.p.p , in forza delle quali, nei casi di reati a sfondo sessuale, per i minori di anni sedici141 implicati nel fatto,

l’udienza, qualora risulti necessario ed opportuno, può svolgersi in una struttura specializzata o presso l’abitazione del minore, anziché in tribunale, secondo modalità che tutelino la dignità, la vita privata e la serenità dei minori interessati avvalendosi, eventualmente, di un esperto in psicologia, in virtù della delicatezza e della gravità dei fatti, nonché delle difficoltà connesse alla minore età delle parti offese. Le dichiarazioni testimoniali debbono essere documentate integralmente con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. La Corte è qui chiamata a chiarire se tale circostanza poteva trovare accoglimento dal momento che la deroga all’utilizzo dell’incidente probatorio può avvenire solo per reati a sfondo sessuale e non per il reato di abuso di mezzi di disciplina o lesioni aggravate, come nel caso di specie.142

141 Il comma 5-bis, è stato modificato dall’art.9, comma 1, lett.c), n.2) del D.L. n.11 del 2009, conv. in l. n.38 del 2009, estendendo le modalità di assunzione della prova, ivi esposte, per tutti i minorenni. 142 Il giudice del rinvio sottolinea che esistono tuttavia eccezioni a tale regola, previste all’art. 392 C.P.P., che permettono, su decisione del giudice per le indagini preliminari, l’assunzione anticipata della prova, nel rispetto del principio del contraddittorio, nel corso della fase delle

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Il giudice del rinvio cerca sostanzialmente di stabilire se gli artt. 2, 3 e 8, n. 4, della decisione quadro debbano essere interpretati nel senso che un giudice nazionale debba avere la possibilità di autorizzare bambini in età infantile che, come nella causa principale, sostengano di essere stati vittime di maltrattamenti a rendere la loro deposizione secondo modalità che permettano di garantire loro un livello di tutela adeguato, al di fuori dell’udienza pubblica e prima della tenuta di quest’ultima. L’intento degli artt. 2 e 8, n. 4, della decisione in esame, obbligano ciascuno Stato membro ad agire per garantire alle vittime un trattamento debitamente rispettoso della loro dignità personale durante il procedimento, assicurare che le vittime particolarmente vulnerabili beneficino di un trattamento specifico che risponda in modo ottimale alla loro situazione e a garantire, ove sia necessario proteggere le vittime, in particolare le più vulnerabili, dalle conseguenze della loro deposizione in udienza pubblica, la facoltà di rendere testimonianza in condizioni che consentano di conseguire tale obiettivo e che siano compatibili con i principi fondamentali del proprio ordinamento.

I giudici di Lussemburgo, sancendo per la prima volta, con tale decisione, l’obbligo di interpretazione conforme del diritto interno in relazione non solo alle fonti normative di “primo pilastro”, ma anche a quelle di “terzo pilastro” e ribadendo che Il giudice nazionale è tenuto a prendere in considerazione le norme dell’ordinamento nazionale nel loro complesso e ad interpretarle, per quanto possibile, alla luce della lettera e dello scopo della detta decisione quadro, in modo da non aggravare la

indagini preliminari, attraverso l’istituto dell’incidente probatorio. Gli elementi di prova così raccolti hanno lo stesso valore probatorio di quelli raccolti durante la seconda fase del procedimento. Secondo il giudice del rinvio, tali deroghe ulteriori mirano a tutelare, da un lato, la dignità, il pudore e la personalità del teste parte offesa minorenne, nonché, dall’altro, la genuinità della prova.

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responsabilità penale dell’imputato, hanno affermato con riferimento al caso loro sottoposto che una interpretazione conforme della normativa processuale italiana alle succitate disposizioni della decisione quadro consentirebbe ai giudici nazionali di autorizzare l’incidente probatorio per l’audizione delle vittime minori. L’assunzione anticipata della prova in sede di incidente probatorio risulta essere la modalità da privilegiare, poiché più adeguata, per la tutela della vittima particolarmente vulnerabile.143

Conformemente all'art. 3 della decisione quadro, ciascuno Stato membro garantisce la possibilità per la vittima di essere sentita durante il procedimento, nonché di fornire elementi di prova, e adotta le misure necessarie affinché le autorità competenti interroghino la vittima soltanto per quanto è necessario al procedimento penale. Nessuna delle tre disposizioni della decisione quadro menzionate dal giudice del rinvio prevede modalità concrete di attuazione degli obiettivi da esse enunciati, che consistono, in particolare, nel garantire alle vittime particolarmente vulnerabili un «trattamento specifico che risponda in modo ottimale alla loro situazione», così come il beneficio di «rendere testimonianza in condizioni» particolari, tali da garantire a tutte le vittime un trattamento «debitamente rispettoso della loro dignità personale».

Nel caso di specie un’interpretazione conforme alla normativa processuale italiana delle disposizioni della decisione quadro consentirebbe ai giudici nazionali di autorizzare l’incidente probatorio per l’audizione delle vittime minori. La Corte ha

143 La decisione quadro non definisce la nozione di vulnerabilità della vittima, tuttavia, la circostanza per cui la vittima di un’infrazione penale sia un minore basta per qualificarla come particolarmente vulnerabile, alla luce di fattori quali l’età, la natura e le conseguenze delle infrazioni subite, di modo che sarà garantito l’accesso alle modalità protette di assunzione della testimonianza.

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giudicato conforme il nostro codice di rito al diritto europeo, Le linee argomentative poggiano sulla riconosciuta discrezionalità degli Stati membri di attuare gli obiettivi indicati dalla decisione quadro144, contenuti agli artt 2, 3 e 8, nonché

sulla ragionevolezza della scelta normativa di affidare al pubblico ministero la decisione circa l'opportunità o la necessità di investire il giudice di una domanda di incidente probatorio, anche alla luce della natura di questo istituto «che deroga al principio secondo il quale le prove sono raccolte nell'ambito del dibattimento». D'altro lato, vengono in gioco le garanzie comunque riservate alla vittima che venga ascoltata nella fase del giudizio, in più parti assimilabili a quelle previste