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Vittima di reato ed esigenze di protezione nel prisma del processo penale.

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INDICE

INTRODUZIONE ... 3

CAPITOLO I La vittima del reato: la sua evoluzione e gli asimmetrici contorni della vulnerabilità. 1. Un nuovo soggetto fa ingresso nel “mosaico” delle tutele: il percorso verso l’affermazione dei diritti della vittima di reato. .. 7

2. La vittima del reato: la sua evoluzione nel panorama giuridico. ... 9

2.1 L’indeterminatezza del termine vittima e le definizioni riscontrabili nelle fonti. ... 13

2.2 La vittima vulnerabile... 20

2.3 La vittima vulnerabile nell’ordinamento italiano. ... 26

CAPITOLO II Le fonti sovranazionali normative e giurisprudenziali: i diritti della vittima e in particolare il diritto alla protezione. 1. Tutele e diritti della vittima di reato: l’iter legislativo tra Consiglio d’Europa e Unione Europea. ... 33

2. I punti focali di intervento. ... 42

3. La Direttiva 29/2012/U.E. : “Norme minime in materia di diritti di assistenza e protezione delle vittime di reato”. ... 44

3.1 Diritto all’informazione. ... 47

3.2 Sostegno e assistenza. ... 49

3.3 Prevenzione. ... 51

3.4 La partecipazione della vittima al procedimento penale. .. 53

3.5 Protezione. ... 54

3.5.1 Protezione dal processo. ... 55

3.5.2 Protezione nel processo. ... 57

3.6 La tutela legale e risarcitoria. ... 59

4. La Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. .... 61

5. La Convenzione per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali. ... 70

6. La Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. ... 77

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8.La giurisprudenza delle due Corti. ... 82

8.1 La Corte di giustizia dell’Unione europea. ... 84

8.2 La Corte Europea dei diritti dell’uomo ... 96

CAPITOLO III Breve ricognizione degli strumenti di protezione nell’ordinamento italiano. 1.Premessa. ... 118

2.L’ammonimento del questore... 120

3. La sorveglianza speciale. ... 128

4. Gli ordini di protezione civilistici ... 134

5. L’ordine di protezione europeo. ... 138

CAPITOLO IV Le misure cautelari a protezione della vittima di reato: disciplina e presupposti applicativi dell’ allontanamento dalla casa familiare, ex articolo 282- bis c.p.p. e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, ex art. 282-ter c.p.p. 1.Premessa. ... 147

2. Le misure cautelari: un breve inquadramento normativo. 151 3. Le misure cautelari a protezione dell’offeso: l’iter legislativo. ... 155

4. L’ allontanamento dalla casa familiare: considerazioni di carattere generale. ... 164

4.1 L’esegesi normativa: la prescrizione principale. ... 177

4.2 Le misure accessorie. ... 182

4.3 Il comma sei: le deroghe ai limiti di pena. ... 193

4.4 Il braccialetto elettronico ... 196

4.5 Inosservanza della misura ... 205

5.Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. ... 208

5.1 La “determinatezza” dei luoghi: una questione aperta. .. 220

6. Gli obblighi di comunicazione ... 231

7. Revoca o sostituzione delle misure cautelari. ... 239

8. La misura precautelare dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare. ... 261

CONCLUSIONI. ... 264

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INTRODUZIONE

Il lavoro in esame si prefigge il fine di analizzare le normative più rilevanti in ordine alle vittime di violenza, prestando particolare attenzione al fenomeno della violenza che si consuma in ambito affettivo – relazionale. In un simile

scenario, dove la violenza viene a rappresentare una species del Genus violenza di genere possono trovarsi coinvolti sia soggetti che condividano la stessa casa familiare, delineandosi così il confine della violenza domestica, sia soggetti il cui rapporto è basato sull’occasionalità degli incontri o di assoluta estraneità. L’intento è quello di individuare le misure di prevenzione e di contrasto da porre in essere per ridurre e combattere simili soprusi, mettendo in risalto gli strumenti di protezione messi a disposizione della vittima da parte dell’ordinamento.

La violenza, che può assumere diverse sfaccettature, spaziando tra quella fisica, sessuale, psicologica, morale ed economica, ha trovato sempre più terreno fertile nel contesto sociale tanto da assumere dei connotati inediti: emerge infatti una “drammatica dimensione di quest’ultima e in particolare dell’allarmante espressione del femminicidio, assurto a crimine pressoché della quotidianità”1.

La vittima viene posta al centro dell’analisi al fine di delineare un quadro omogeneo e coerente in ordine alle normative che la riguardano, funzionale a garantirle un ruolo effettivo e di rilievo nel panorama dei diritti e delle garanzie che per un

1 MANTOVANI F., La violenza di genere sotto il profilo criminologico e penale, in R.I.D.P.P., 2014, p.623. (testo della relazione tenuta al Convegno su “Violenza di genere e femminicidio: diritto vigente?” tenutosi a Firenze il 20 novembre 2013 organizzato dall’avvocatura indipendente).

Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere. Resoconto sommario n. 39 del 6 febbraio 2018. In senato.it

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considerevole lasso di tempo le sono stati negati. Ciò che premeva all’ordinamento, ogniqualvolta si fosse verificato un delitto, non era tanto ripristinare lo status quo della vittima, allo stadio antecedente al verificarsi dell’aggressione e

permetterle così di ricevere giustizia per il torto subito, ma era piuttosto quello di placare l’animo dei consociati, individuando un colpevole, a discapito, talvolta, del corretto e puntuale accertamento. La forma di ricompensa cui poteva aspirare la persona offesa era volta ad ottenere il risarcimento del danno, senza che i suoi diritti personali venissero garantiti. Solo vantando tale pretesa poteva partecipare al processo penale che altrimenti le sarebbe stato precluso 2.

Detenere il senso di civiltà, per uno Stato e per una società, significa anche occuparsi della vittima e del suo ritorno alla normalità, provando a lenire le sofferenze e i traumi che può portarsi dietro, in seguito all’evento lesivo che l’ha resa protagonista.

Un rilevante contributo in tal senso perviene dalle istituzioni Europee, il cui intento è quello di trasmettere e introdurre nei singoli Stati una rinnovata cultura sul modo di considerare la vittima, anche grazie alla previsione relativa ai diritti

informativi che le spettano, in moda da renderla parte attiva a tutti gli effetti nel contesto giuridico e processuale così da assicurarle un ruolo che punti a trasformarla da mero soggetto “sopravvissuto” al reato, e per questo relegato a latere del processo, a “essere vivente” che sia in grado di partecipare personalmente alla ricostruzione dei fatti e al raggiungimento

2 Il modo di intendere la vittima e i poteri ad essa spettanti nel

processo, dipendono indiscutibilmente dalla normativa interna di ogni singolo paese e dalla sua storia. L’ordinamento italiano, fin dagli inizi del secolo scorso ha avuto come modello processuale quello cosiddetto “inquisitorio “, un modello rigido, caratterizzato dalla concentrazione dei poteri nelle mani del giudice istruttore, che finiva per relegare le parti ai margini del processo. Sarà l’introduzione del modello accusatorio, che andrà a riequilibrare i ruoli delle parti processuali, senza però inserirvi la vittima del reato a pieno titolo.

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della verità processuale. Viene inoltre messa in risalto anche la previsione di un sistema integrato di tutele che veda coinvolti gli operatori del contesto sociale preposti all’assistenza, al sostegno e alla protezione della vittima.

Si pongono così le fondamenta per un cambio di prospettiva: il reato passa da “violazione di norme dell’ordinamento penale a lesione di vittime concrete”3. Una volta che il reato sia stato

compiuto e prendendo quindi coscienza dell’incapacità dell’ordinamento di rendere effettiva la funzione general-preventiva della pena, quest’ultimo è chiamato ad individuare dei rimedi tempestivi e concreti da porre in essere. Il processo si accorge di aver bisogno della vittima almeno quanto la vittima ha bisogno del processo nonostante continui ad essere un mero soggetto processale e non una parte a tutti gli effetti. Diviene fondamentale intervenire per tutelare la salute fisica e psichica del soggetto che subisce la violenza, sulla quale inevitabilmente si ripercuotono gli effetti dell’attentato subito ai beni giuridicamente tutelati.

Tali rimedi sono rinvenibili nell’ambito dei service rights4 prima

e del micro-sistema delle misure cautelari poi, dove, in particolare, si ravvisano, l’allontanamento dalla casa familiare di cui si occupa l’articolo 282-bis c.p.p. e il divieto di avvicinamento

3 CORNACCHIA L., Vittime e giustizia criminale, in R.I.D.P.P., 2013,

p.1760 ss.

4 I service rights sono ”strutture che aiutano l’offeso prima, durante e

dopo il processo penale, o al di fuori di questo”. Cosi ALLEGREZZAS., La riscoperta della vittima nella giustizia penale europea, in

ALLEGREZZAS.-BELLUTAH.-GIALUZM.-LUPÀRIAL., “Lo scudo e la spada, Esigenze di protezione e poteri delle vittime nel processo penale tra Europa e Italia”. Giappichelli editore, TORINO, 2012, p. 1 ss.

I service rights devono essere specifici, qualificati e gratuiti e devono operare in sinergia con le autorità preposte alla giustizia penale, che indirizzano la vittima a tali servizi già dal primo contatto, anche se la denuncia di un reato non rappresenta condizione di accesso. Così ALLEGREZZA S., Il ruolo della vittima nella direttiva 2012/29/UE, in LUPÀRIA L., Lo statuto europeo delle vittime di reato, CEDAM, 2015, P.12.

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ai luoghi frequentati dalla persona offesa del reato, come misura accessoria alla precedente o talvolta autonoma, presente nell’articolo 282-ter c.p.p.; provvedimenti questi ultimi utili per scongiurare la reiterazione del reato da parte dell’autore. Recentemente il panorama processuale ha visto l’introduzione dell’articolo 384-bis c.p.p. contenente la misura precautelare dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare. È infine opportuno soffermarsi anche sulle misure di prevenzione presenti nell’ordinamento al fine di evitare alla radice il verificarsi della fattispecie penalmente rilevanti: tali rimedi, che coinvolgono l’ambito amministrativo, civile e penale, si caratterizzano per essere di diversa intensità, di modo che sarà la vittima a intraprendere la strada a lei più confacente con la possibilità di valutare quali saranno le conseguenze per l’autore del reato, anche in vista della delicatezza dei rapporti e dell’ elevato grado di emotività che talvolta si rileva in simili circostanze.

Il fine ultimo delle misure poste a tutela della vittima, a prescindere dalla loro natura resta quello di scongiurare una qualsiasi aggressione a beni giuridicamente tutelati quali la vita, l’integrità fisica e i diritti della personalità nel loro complesso. L ’itinerario che compiremo ci porterà quindi ad analizzare il rinnovato ruolo della vittima nel processo penale, il diritto all’informazione, alla protezione e all’assistenza ad essa garantite, non solo durante il processo penale ma anche prima e dopo la sua conclusione, per provare ad attenuare e scongiurare gli effetti negativi provocati dal reato, aprendo uno spiraglio sulle vie perseguibili per prevenire il verificarsi dell’evento lesivo.

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CAPITOLO I

La vittima del reato: la sua evoluzione e gli

asimmetrici contorni della vulnerabilità.

SOMMARIO: 1. Un nuovo soggetto fa ingresso nel “mosaico” delle tutele: il percorso verso l’affermazione dei diritti della vittima di reato. - 2. La vittima del reato: la sua evoluzione nel panorama giuridico. - 2.1 L ’indeterminatezza del termine vittima e le definizioni

riscontrabili nelle fonti. - 2.2 La vittima vulnerabile. - 2.3 La vittima vulnerabile nell’ordinamento italiano.

1. Un nuovo soggetto fa ingresso nel “mosaico” delle tutele: il percorso verso l’affermazione dei diritti della vittima di reato.

Non prestare la dovuta attenzione “a coloro che soffrono per un delitto” è “la parte difettosa delle moderne legislazioni, colmare questa lacuna sarebbe un’opera di vera civiltà”.5

La consapevolezza della marginalità rivestita dalla vittima del reato nell’ordinamento giuridico italiano, si è fatta sempre più nitida, tanto da far emergere la necessità di colmare una simile lacuna attraverso mirati interventi legislativi. La volontà è infatti quella di aprire le porte del processo e delle tutele ad un soggetto al quale era solo consentito sbirciare dalla serratura. L’assetto base del processo penale improntato sulla struttura triadica, volta a ricomprendere il pubblico ministero, il giudice e l’imputato meritava di essere messo in discussione per allargarsi fino a dare voce anche alla vittima, colei che quel reato, per cui si attiva il processo penale, lo ha subito sulla propria pelle.

5Così asseriva già nell’800 Raffaele Garofalo, esponente della Scuola positiva, come riportato da TRANCHINA G., La vittima del reato nel processo penale, in C.P., 2010, pag. 4051.

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Per molto tempo, lo sguardo è stato rivolto esclusivamente verso l’imputato tanto che aleggiava la convinzione per cui ogni garanzia, come il giusto processo e la sua ragionevole durata fossero rivolte esclusivamente a quest’ultimo, dimenticandosi del suo antagonista naturale, la vittima.

L’iter che ha portato all’affermazione del vittimo-centrismo nasce per mano della Scuola Positiva6. Enrico Ferri, suo

massimo esponente, affermava come “la vittima del reato è un protagonista del processo penale e deve essere messa in prima linea nelle preoccupazioni morali e giuridiche della giustizia.”7

L’ordinamento italiano, in un primo momento, si mostrava disinteressato a puntare i riflettori verso un soggetto relegato ai margini da parte della tradizione e della cultura giuridica di inizi novecento. Ciò che premeva al diritto penale, una volta verificatosi il reato, era individuare il colpevole e assicurarlo alla giustizia per placare gli animi della società, turbati dalla commissione del fatto criminoso, garantendo così la sicurezza e l’ordine sociale, disinteressandosi completamente del soggetto leso dal crimine.

Lo Stato, l’unico in grado di poter dare una concreta risposta punitiva, finiva per impersonificare la vittima del reato, la quale restava sprovvista di una propria identità. Il quadro che si delinea nel ventesimo secolo è quindi quello di una vittima

6 La Scuola Positiva di diritto penale rappresenta una corrente di pensiero molto influente nel delineare gli istituti penalistici, nata con Enrico Ferri. “In particolare, Ferri e Garofalo cominciarono a dare rilievo alla tutela della vittima, sottolineando la necessità di un indennizzo da parte dello Stato ed evidenziando come la vittima contribuisca, in un contesto accentuatamente deterministico, al verificarsi del crimine. In queste riflessioni la vittima rileva però quale indice per individuare i metodi di prevenzione del delitto o per decifrare fino a che punto il delinquente sia pericoloso, non certo in relazione ad una possibile attenuazione della responsabilità del reo”.

Così, MANTOVANI F., Diritto penale, Parte generale 4, PADOVA, 2001.

7 TRANCHINA G., La vittima del reato nel processo penale?”, in D.P.P.,

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quasi ingombrante, un peso per i tessuti sociali e processuali, priva dei diritti della propria personalità, un fantasma nelle dinamiche legislative.

Sono le fonti emanate dall’ Europa che pongono categoricamente le basi per un cambio di prospettiva,

effettuando corposi interventi propedeutici ad armonizzare le normative riguardanti la vittima del reato nei singoli Stati e a farle acquisire uno spazio ben definito nel mondo giuridico. La portata innovativa dei precetti sovranazionali sta nell’intento di intendere il reato nella sua duplice accezione, ovvero come fatto socialmente dannoso e come violazione dei diritti individuali della vittima.

“Alla triade reato - processo penale - tutela dell’imputato se ne contrappone una nuova: reato - sicurezza pubblica -tutela della vittima”8. Viene spontaneo interrogarsi sulla possibile

convivenza di queste due figure; infatti i diritti individuali riconosciuti all’imputato che si sono rafforzati soprattutto con l’introduzione del giusto processo, nel trasmigrare ora verso la vittima non devono essere stravolti o sminuiti. Si auspica la creazione di uno “Statuto europeo delle vittime di reato” che possa rendere la disciplina il più uniforme e lineare possibile in tutti gli Stati, garantendo un elevato livello di tutele alle

vittime.

2. La vittima del reato: la sua evoluzione nel

panorama giuridico.

Se il termine vittima è generico e idoneo per ricomprendere un’ampia gamma di soggetti, in questa trattazione andremo a focalizzare l’attenzione sulla vittima di violenza, avendo

8 LORUSSO S., Le conseguenze del reato. Verso un protagonismo della vittima nel processo penale?, in D.P.P., 2013, p.881 ss.

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particolare riguardo alla vittima “vulnerabile”. La violenza assume diverse sfaccettature sulle quali spesso si creano definizioni contrapposte e poco concordi, il dato certo è la sua stabile presenza nelle diverse epoche storiche. In molteplici contesti sociali si registra da sempre una radicata supremazia dell’uomo sulla donna ravvisabile nella sfera economica, lavorativa, sessuale e psicologica. I ruoli nel contesto sociale sono sempre stati ben definiti, complice la tradizione che vedeva come protagonista il pater-familias, nelle cui mani si concentravano i poteri, finendo così per detenere il monopolio dei diritti. Ciò portava ad una disuguaglianza coniugale effettiva e reale che si traduceva in abusi fisici e verbali,

minacce o violenze perpetrate a danno della parte più debole. È questo il disegno di una società patriarcale che ha coltivato la tradizione dell’inferiorità della donna, sintomatica di un contesto culturale discriminatorio, privato del principio di parità tra i due sessi.

Nonostante il panorama culturale abbia dato segni di apertura ad un cambio di prospettiva9, gli atti di violenza sulle donne,

sui bambini o sui soggetti definiti “vulnerabili”, in relazione a variabili come l’età, il sesso o la fragilità innata, non sono cessati, ma anzi ci scontriamo con una realtà preoccupante che necessita di interventi più stringenti al fine di salvaguardare la vita e l’incolumità di tali individui.

Le violenze, spesso, nei contesti familiari scaturiscono per futili motivi quali odio, disprezzo, frustrazione, piacere o senso di possesso sulla vittima, nonché in seguito alla volontà di uno

9 Con una sentenza del 1969, la Corte Costituzionale, ha stabilito

l’uguaglianza tra i coniugi accorciando le distanze sull’uguaglianza registrate negli anni precedenti, specie nelle fattispecie penali, dichiarandone l’incostituzionalità. Fino agli anni ’70, la violenza consumata in ambito familiare veniva considerata secondo natura e declassata a percosse o lesioni. Con l’emanazione della l. n. 66 del 1996 il legislatore ha introdotto la violenza sessuale come delitto, a prescindere dall’ambito in cui si vada a cosumare.

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dei due coniugi di intraprendere un percorso di separazione dal partner.

Si fa sempre più strada la convinzione in base alla quale ”quando una donna divide la casa con un uomo, a prescindere dal rapporto affettivo che vi intercorre, in talune circostanze è esposta ad un pericolo per la conservazione della propria integrità psicofisica e della propria dignità”10, pericolo che si

ravvisa soprattutto tra le mura domestiche, luogo che dovrebbe rappresentare l’emblema della sicurezza e protezione per

antonomasia.

L’ingresso nelle mura domestiche per molto tempo è stato vietato al diritto: lo Stato non si infiltrava in questa sfera così intima e privata, di modo che i diritti, laddove esistenti,

venivano assicurati in modo diverso a seconda del soggetto cui erano indirizzati. La donna più che mai finiva per vederseli frantumare davanti agli occhi. Sarà poi l’arrivo della carta Costituzionale a rimettere i diritti e i doveri al loro posto, almeno formalmente, pur lasciando evidenti lacune nella disciplina e applicazione sostanziale. Opera proseguita successivamente dalle istituzioni sovranazionali prima e nazionali poi, le quali hanno cercato di rendere giustizia e protezione alla persona offesa dal reato, riconoscendole inoltre una posizione ben delineata e definita all’interno del processo penale, puntando così a riaccendere quei riflettori tenuti spenti per molto tempo dal legislatore nazionale. Fin dal codice penale del 1865 la vittima veniva lasciata ai margini del processo, come se la sofferenza che il delitto le aveva apportato fosse un aspetto trascurabile, che riguardasse solo ed esclusivamente la sua interiorità, estraneo agli interessi dell’ordinamento prima e del processo dopo.

10 LEOTTA C.D., Femminicidio, in Digesto delle discipline penalistiche, Aggiornamento VIII, 2014, p. 248 ss.

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Se in un primo momento l’apporto che la vittima doveva dare a quest’ ultimo era meramente testimoniale per raggiungere la verità processuale, la prospettiva cambia quando si insinua il pensiero in base al quale la vittima serve al processo nello stesso modo in cui il processo serve alla vittima, poiché avendo riguardo alla sofferenza subita dalla stessa, è proprio

attraverso tale strumento che può ricevere una concreta risposta al fine di ottenere ristoro per il danno subito. La mera presenza della vittima al processo rappresenta già di per sé un modo per avere una rivalsa in relazione al danno subito. “Il giudizio inoltre deve essere motivo di soddisfazione alle ragioni e alle sofferenze delle vittime, dei loro familiari e spesso dei gruppi esponenziali che se ne fanno carico, distorcendo la logica che ispira l’accertamento della responsabilità penale in funzione della pace sociale”11.

Dalla vittima di parte della famiglia, clan o tribù, si passa a un’immagine universalistica basata su parametri socialmente uguali per tutti ossia i diritti umani,12 abbandonando la

consuetudine che costringeva la vittima, mancando il supporto dello Stato a farsi giustizia da sola.

Ritagliarle lo spazio che le spetta è un dovere prima morale e poi giuridico di cui il legislatore in primis è chiamato a farsi carico, tenendo in debita considerazione il torto subito dalla vittima, i pregiudizi fisici (danni alla persona), psichici (sofferenza e stress), materiali (danni alle cose o perdita di guadagno) e sociali (offese all’onore e al decoro). L’attenzione dovrebbe oltrepassare le esigenze di tutela della collettività, focalizzandosi sui singoli e specifici interessi della vittima, avendo riguardo non solo ai pregiudizi materiali e fisici subiti

11 CORNACCHIA L., Vittime e giustizia criminale, op.cit., p.1775 ss. 12ALLEGREZZAS.,La riscoperta della vittima nella giustizia penale

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dalla stessa ma incorporando anche i pregiudizi emozionali o psicologici come la perdita di dignità, sicurezza, felicità o autostima così da rendere il meno possibile traumatiche, in fase processuale, la reminiscenza dell’ evento, l’esposizione ad attacchi personali sulla sua credibilità e moralità in funzione delle ragioni della difesa, il potersi ritrovare faccia a faccia con l’imputato, ma anche la ritualità talora fredda e distaccata della procedura, le intimidazioni o minacce provenienti da imputato, dai suoi complici o dall’ ambiente circostante.13

2.1 L’indeterminatezza del termine vittima e le

definizioni riscontrabili nelle fonti.

Quello di “vittima” è un concetto dai contorni poco definiti, avvolto in un groviglio di indeterminatezza. Con il termine Vittima si intende “chi soccombe all’altrui inganno e

prepotenza, subendo una sopraffazione, un danno o venendo comunque perseguitato e oppresso “, “chi è costretto a subire le imposizioni altrui, a essere succube di altri”.14 Termine di

derivazione criminologica, che proprio per l’imprecisione che lo caratterizza, manca del rigoroso tecnicismo abitualmente richiesto dal diritto. Numerosi testi riportano delle definizioni, con il limite di non essere riusciti a coniarne una

universalmente riconosciuta, valevole in ogni realtà spazio-temporale.

Andando a ritroso nelle fonti, una sostanziosa definizione la si rinviene nella Dichiarazione dei principi base della Giustizia

13 BELLUTA H., Un personaggio in cerca d’autore: la vittima

vulnerabile nel processo penale italiano, in ALLEGREZZAS.-BELLUTA H.-GIALUZM.-LUPÀRIAL., Lo scudo e la spada Esigenze di

protezione e poteri delle vittime nel processo penale tra Europa e Italia. Giappichelli editore, TORINO, 2012, p.95 ss.

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per vittime di crimini e abusi di potere adottata dall’ONU nel 198515: qui la parola vittime indica ”quelle persone che, sia

singolarmente che collettivamente, abbiano subito dei danni, ivi compreso il ferimento sia fisico che mentale, la sofferenza emotiva, la perdita economica o l’indebolimento sostanziale dei loro diritti fondamentali, attraverso atti o omissioni che violano le leggi contro il crimine, in vigore negli Stati membri, ivi

comprese quelle leggi che prescrivono l’abuso criminale di potere.” Tale definizione appare molto ampia e atta a

ricomprendere anche le violazioni di beni a carattere collettivo, oltre alla circostanza per cui il danno patito non debba

necessariamente derivare direttamente dal reato, consentendo di riferirsi non solo alle vittime dirette ma anche a coloro che hanno subito il danno indirettamente.16

Di notevole importanza appare poi la definizione contenuta nella Decisione-quadro 220/2001/GAI17. L’Articolo 1 apre il

sipario disegnando la vittima come “la persona fisica che ha subìto un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti o

omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro.”

15 Dichiarazione dei principi base della Giustizia per Vittime di Crimini e di Abusi di Potere Votata con la Risoluzione n:40/34 del 29 novembre 1985 dell’Assemblea Generale.

16 Art.2“Una persona può essere definita vittima, in base alla presente dichiarazione, anche in mancanza dell’identificazione, dell’arresto, del perseguimento o della condanna dell’autore materiale del reato e indipendentemente dal fatto che ci sia qualche grado di parentela tra l’autore e le vittime. Il termine “vittima comprende pure, ove del caso, la famiglia e i parenti stretti o i dipendenti della vittima e le persone che hanno subito un danno nell’intervenire nel tentativo di soccorrere le vittime in pericolo o di evitare una eventuale vittimizzazione.”

17 Decisione quadro del 15 marzo 2001, n.220/GAI relativa alla

“posizione della vittima nel procedimento penale”, pubblicata nella G.U.C.E. 22 marzo 2001, n. L 82. Entrata in vigore il 22 marzo 2001

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È questa una delle enunciazioni di vittima che prende spunto da insegnamenti della vittimologia, in ragione della

valorizzazione delle conseguenze psichiche dell’illecito. In vittimologia, infatti, la definizione di vittima sarebbe

riconducibile a “qualsiasi soggetto danneggiato o che abbia subito un torto da altri, che percepisce se stesso come vittima, che condivide l’esperienza con altri cercando aiuto, assistenza e riparazione, che è riconosciuto come vittima e che

presumibilmente è assistito da agenzie/strutture pubbliche, private o collettive”.18

Tale definizione esclude le violazioni di beni a carattere

collettivo, in più il danno patito deve derivare direttamente dal reato, riferendosi alle sole vittime dirette. Guardando alle peculiarità dell’ordinamento italiano, la definizione di vittima dovrebbe aprirsi fino a ricomprendere la persona offesa e la persona danneggiata del reato: ciò è permesso grazie alla mancanza di un espresso richiamo nella decisione quadro, al legame che deve intercorrere tra il pregiudizio patito e la titolarità del bene giuridico leso che combinato con la presenza di un richiamo espresso ai danni materiali, permette di

ricomprendere anche chi abbia subito le conseguenze derivanti dal reato ma non sia al contempo il titolare del bene giuridico leso da quest’ultimo.

La proposta iniziale19, prima dell’approvazione definitiva della

decisione, avrebbe dovuto ricomprendere nella definizione predetta anche i conviventi more uxorio e i partners registrati, dando così valore alle convivenze di fatto, volontà che non ha in seguito trovato terreno fertile. Il successivo step dell’Unione

18 Definizione a cura di C.VIANO Emilio, in VENTUROLI M., La tutela della vittima nelle fonti europee, in D.P.C., p. 86 ss.

19 Art.2 della proposta di Direttiva COM(2011)275 def. Del 18 maggio 2011

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Europea è la Direttiva 2012/29/UE20, dove il concetto di

vittima viene inteso in una duplice accezione:

1) “Una persona fisica che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo o perdite economiche che sono stati causati direttamente da un reato”.

2) “Un familiare di una persona la cui morte è stata causata direttamente da un reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona.”21

“Per familiare si intende il coniuge, il convivente more uxorio, i parenti in linea diretta, i fratelli e le sorelle e le persone a carico della vittima”. La direttiva riconosce quindi la famiglia di fatto, permettendoci di scorgere un quid pluris rispetto alla

definizione delle Decisione-quadro precedente: si aprono le porte della tutela anche alle vittime indirette e lo si fa in modo esplicito, mostrando una similitudine con la definizione data dal documento dell’ONU. Viene specificato però che gli Stati membri possono stabilire delle procedure per limitare il numero dei familiari ammessi a beneficiare dei diritti previsti dalla Direttiva, tenendo conto delle circostanze specifiche di ciascun caso e determinando quali familiari abbiano la priorità in relazione all’esercizio dei diritti suddetti.

Il Consiglio d’Europa, altra fondamentale istituzione europea, non si fa trovare impreparato nel dare il proprio contributo in ordine alla definizione di “vittima”: a tal proposito risulta di particolare rilievo la definizione che si rinviene nella

Convenzione sulla “prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”, firmata a

20 Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio che istituisce “norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato” e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI. Pubblicata nella G.U.U.E. 14 novembre 2012, n. L 315.

La presente direttiva è entrata in vigore il 15 novembre 2012. È stata recepita in Italia con in D.lgs.15 dicembre 2015, n.212. 21 Art. 2 lett.a), lett.b) Direttiva 2012/29/UE.

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Istanbul nel 2011, dove si afferma all’articolo 3 che con il termine “Vittima si intende qualsiasi persona fisica che subisca gli atti o i comportamenti di cui ai commi a) e b)”, dai quali si ricava che per vittima si intende chi ha subito una violazione dei diritti umani e atti di violenza suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, oltre alla coercizione o privazione arbitraria delle libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata.

L’analisi della norma in questione mette in risalto ancora una volta il riferimento alle persone fisiche, andando così ad escludere dai suoi contorni la persona giuridica22.

Un’ulteriore definizione la si ricava dalla regola 85 RPE, testo collegato allo Statuto della Corte Penale Internazionale. Qui vittima è “ogni persona fisica che abbia sofferto un danno a seguito della commissione di un crimine di competenza della Corte”, definizione che ricomprende anche le persone

giuridiche, salvo abbiano subito un danno diretto.23

Il danno richiesto per mettere a fuoco il termine vittima, non è necessariamente diretto ma può essere anche indiretto, fatta eccezione per le persone giuridiche per le quali deve essere diretto. Il danno deve in ogni caso essere personale cioè

22 “Il legislatore europeo ha potuto legittimamente introdurre un

sistema di tutele a favore delle sole persone fisiche dal momento che queste ultime si trovano in una situazione oggettivamente diversa da quella delle persone giuridiche, data la loro maggiore vulnerabilità e la natura degli interessi che soltanto le violazioni commesse nei confronti delle persone fisiche possono pregiudicare, come ad esempio la vita e l’integrità fisica.”

Sent.Eredics CdGUE, 21 ottobre 2010, C-205/09,§ 30. Sent. Dell’orto CdGUE, 28 giugno 2007, C-404/07§ 60. La persona giuridica infatti non ha insita nella sua natura la possibilità di provare sentimenti, dolore, sofferenze fisiche o psichiche, dato incontrovertibile e sufficiente per escluderla dalla giurisprudenza della Corte EDU, nonostante sembri più una scelta normativa che giuridica.

23 MELONI C., Vittime e giustizia penale internazionale, in LUPARIA L., Lo statuto europeo delle vittime di reato, CEDAM, 2015, p.51.

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personalmente sofferto dalla vittima. Per danni si intendono quelli fisici, psicologici e materiali.

È la categoria delle presunte vittime che diventano effettive laddove vi siano basi ragionevoli per ritenere reale la

commissione del fatto.24 Le vittime anche in base alla suddetta

regola sono soggetti, non parti processuali, assumono tale qualifica solo per ottenere il risarcimento del danno o l’adozione di misure speciali protettive ma possono così produrre prove a sostegno delle loro istanze.

C’è un’eccezione riscontrabile all’articolo 68 dello Statuto della CPI: Le vittime infatti a certe condizioni possono presentare le loro osservazioni o richieste davanti ai giudici in ogni stato e grado del procedimento, con modalità stabilite dagli stessi nel singolo caso.

La Corte Europea dei diritti dell’uomo definisce vittima “colui che ha subito la violazione dei diritti garantiti dalla

Convenzione EDU, firmata a Roma nel 1950, ed è termine che rappresenta la qualifica sostanziale, lo status che legittima il ricorso alla corte EDU”. Definizione quanto mai incerta che la stessa Corte ha poi ampliato affiancando al concetto di vittima diretta, anche quello di vittima indiretta o potenziale. La vittima diretta può rivendicare direttamente un proprio diritto, anche se in mancanza di un concreto pregiudizio da far valere in sede di riparazione della violazione, quella potenziale denuncia semplicemente un pregiudizio causato dalla violazione di un diritto che fa capo a una terza persona.

La vittima ai sensi dell’ art. 5, par. 5 CEDU è colei che “ha subito una detenzione o un processo ingiusto senza

24 Per fare un esempio, per i crimini kenioti la corte ha suddiviso due categorie di vittime: coloro che vogliono presentarsi personalmente davanti ai giudici nel procedimento e coloro che partecipano alla procedura e le cui richieste e osservazioni sono presentate da un common legal rappresentative.

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contemplare i diritti processuali della vittima in un fair trial.”25

Norma prevista a tutela del soggetto che abbia subito una detenzione o un processo ingiusto, con la conseguente possibilità per il soggetto leso in suo diritto, di ricorrere alla Corte EDU.

Il quadro che ne emerge, avuto riguardo alle fonti maggiormente significative sul tema, è caratterizzato da definizioni per lo più astratte, che non circoscrivono

dettagliatamente l’ambito dei soggetti da ricomprendervi. Per arginare questa lacuna sono state create molteplici categoriedi vittime così da rendere concreti ed effettivamente tangibili gli interventi normativi. Se da un lato esistono dei tipi criminali forti delle loro caratteristiche connaturate ormai etichettati dalla nostra società tra i quali vi rientrano l’immigrato clandestino, il pedofilo o il terrorista, i c.d. tipi d’autore,

dall’altro esistono le supervittime che incarnano l’essenza della vulnerabilità, senza necessità di essere configurate o inserite in qualche ambito particolare: bambini vittime di reati sessuali, donne vittime di reati sessualmente orientati, le vittime “collettive” (gruppo etnico, sessuale o mafia e terrorismo) e la vittima “debole”.26

Esistono quindi diverse tipologie di vittime e ad esse

corrispondono diversi modelli di tutela: vittime disabili, vittime di terrorismo, vittime della criminalità organizzata o

economico-finanziaria, di disastri ambientali ma soprattutto, per il nostro ambito di interesse, vittime minori e donne vittime di reati a sfondo sessuale.27

25 ALLEGREZZA S., La riscoperta della vittima nella giustizia penale europea, op.cit., p. 6

26ALLEGREZZA S., La riscoperta della vittima nella giustizia penale europea, op.cit., p. 12.ss.

27LORUSSO S., Le conseguenze del reato. Verso un protagonismo della

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2.2 La vittima vulnerabile.

Una considerazione a parte merita la cosiddetta vittima vulnerabile, concetto di recente conio, rinvenibile in svariate fonti legislative per il quale non esiste una definizione

normativa, al punto che la mancanza di tassatività finisce per rendere vaga e astratta la definizione. Questa specifica

categoria che si affaccia nel panorama giuridico nasce dalla primaria esigenza di offrire una tutela calibrata sul minore d’età nel processo, data la necessità di metterlo a proprio agio in un contesto per lui inconsueto, per poi essere

successivamente estesa anche ad altri soggetti. Con l’aggettivo vulnerabile si intende il soggetto che può essere ferito,

attaccato, leso o danneggiato; una persona debole,

eccessivamente sensibile, fragile. La specificazione vulnerabile vuole quindi evidenziare la presenza di alcuni soggetti

particolarmente deboli cui l’ordinamento è chiamato a dare una risposta rassicurante e più consistente, in termini di tutela giuridica. Quello di Vittima vulnerabile che assurge alla categoria di supervittima28,” è un concetto di relazione che

ruota intorno alla qualità di un soggetto rappresentata dalla peculiare esposizione a un pericolo di volta in volta

determinato, quindi la vulnerabilità ,efficacemente descritta come predisposizione di un soggetto a ferirsi e a essere ferito, finisce per dipendere dalla tipologia della minaccia”.29 La

28 Quello di supervittima sarebbe un concetto che non apparirebbe

funzionale alla considerazione della loro peculiare sofferenza ma sarebbe strumentale alla repressione di crimini di cui è possibile mostrare ai cittadini l’odiosità, rispetto ai quali si può facilmente motivare un inasprimento sanzionatorio. È quanto sostenuto da CORNACCHIA L., Vittime e giustizia criminale, op.cit, p.1760 ss.

29 GIALUZ M.,Lo Statuto europeo delle vittime vulnerabili,,in Lo scudo

e la spada, Esigenze di protezione e poteri delle vittime nel processo penale tra Europa e Italia, Giappichelli editore, TORINO, 2012, p. 60 ss.

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minaccia varia molto a seconda della prospettiva da cui si osserva ma, ad ogni modo, deve essere garantita alla vittima una effettiva protezione dalla vittimizzazione primaria,

secondaria o ripetuta.

Un’altra importante definizione, calibrata sul minore d’età, descrive la vittima vulnerabile come quel soggetto che “non ha raggiunto l’età della maturità sessuale ai sensi della

legislazione nazionale e quando il reato è commesso ai fini dello sfruttamento della prostituzione altrui o di altre forme di

sfruttamento sessuale anche nell’ambito della pornografia, ai soli effetti penali sostanziali, mentre è qui contenuta una distinta nozione di vittima vulnerabile ai fini processuali, ovvero se il fatto è stato commesso ricorrendo a violenza grave o se ha provocato un danno particolarmente grave alla

vittima”.30

Il punto di arrivo sarebbe la creazione di uno “Statuto europeo della vittima vulnerabile” ma la mancanza di riferimenti

tassativi nei vari testi ne impedisce di fatto la realizzazione. Un passo in avanti nella definizione di vittima vulnerabile viene fatto nel momento in cui vengono coniati due criteri: oggettivo e soggettivo.

La vittima vulnerabile dal punto di vista soggettivo ricomprende quelle caratteristiche intrinseche del soggetto che denotano

30 Decisione-quadro “sulla lotta alla tratta di esseri umani”, del 19

luglio 2002/629/GAI, all’art.3-comma2/lett b)-c).

La decisione agisce su un doppio binario di tutela: ex ante e ex post. La tutela ex ante si esprime andando a prescrivere una serie dettagliata di comportamenti da cui si trae profitto dalla condizione di vulnerabilità psico-fisica delle persone, considerando inoltre irrilevante l’eventuale consenso della vittima in presenza di uno dei comportamenti tipici che costituiscono sfruttamento ai sensi della decisione quadro. Le sanzioni penali dettate devono poi essere “effettive, proporzionate e dissuasive” ma non devono essere inferiori a 8 anni di reclusione nel massimo edittale, se il reato ha messo in pericolo la vita della vittima, Per la tutela “ex post” sono previste solo misure a carattere processuale: lo svolgimento delle indagini o l’esercizio dell’azione penale sono svincolate da una denuncia o accusa formale delle vittime.

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una fragilità psichica o fisica. Tale criterio si modella quindi su quelle disabilità fisiche o intellettive, frutto di una fragilità interna al soggetto, non provocata da dinamiche esterne. Dal punto di vista oggettivo la vulnerabilità deriva da fattori estrinseci, da dinamiche che il reato fa scaturire nei soggetti che lo subiscono, quindi deriva dalla tipologia della condotta posta in essere, dalla natura e dalle circostanze del reato, le quale generano comportamenti atti a suscitare una situazione di fragilità nella vittima.

Il primo criterio è fatto proprio dal legislatore italiano, il secondo lo si ritrova in altri ordinamenti. Entrambi gli aspetti sono utili perché cercano di circoscrivere le condotte che possono determinare la vulnerabilità.31

Il concetto di vulnerabilità viene esposto in maniera più dettagliata all’articolo 22 della Direttiva 2012/29/ove si richiede una valutazione individuale, che tenga conto delle “caratteristiche personali della vittima, del tipo o della natura del reato e delle circostanze del reato”. Le indicazioni

sovranazionali imporrebbero ad ogni Stato membro di effettuare “tempestivamente una valutazione individuale, conformemente alle procedure nazionali, per individuare le specifiche esigenze di protezione e determinare se e in quale misura trarrebbero beneficio da misure speciali nel corso del procedimento.” Questo anche e soprattutto nell’ottica di evitare e prevenire possibili manifestazioni di vittimizzazione

secondaria e ripetuta o di intimidazione e di ritorsioni.

Le innumerevoli difficoltà che già si incontravano nel dare una definizione di vittima, si accentuano ulteriormente quando si parla di vittima particolarmente vulnerabile. In questo nucleo vi rientrano il minore vittima dell’abuso e dello sfruttamento sessuale o di tratta di esseri umani e la donna vittima di

31 VENTUROLI M., La tutela della vittima nelle fonti europee, op.cit, p.86.ss.

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violenza sessuale e domestica32. In queste ipotesi sembrano

coesistere le ragioni soggettive, derivanti cioè dalla condizione della vittima e quelle oggettive ossia connesse al reato, tanto che la vulnerabilità sul piano processuale discende

direttamente dalla vulnerabilità sul piano sostanziale. Collegato al concetto di vulnerabilità è quello di vittimizzazione

secondaria: fragilità rispetto ai pericoli derivanti dal

procedimento penale, dai suoi meccanismi interni e dai soggetti che vi sono coinvolti, timore di subire reiterare condotte

violente ad opera del proprio aggressore e rivivere i traumi lasciati dal fatto lesivo commesso. Non di rado proprio al fine di evitare una reminiscenza dell’evento lesivo, si registra una sorta di iperprotezione nei confronti della vittima che finisce per andare a emarginarla, come potenziale testimone, dal processo e dalle ordinarie modalità di formazione della prova; questo accade anche perché, in ragione della vulnerabilità e fragilità riscontrabili in conseguenza del pregiudizio subito e in ragione dello stato psicologico in cui si trova, la ricostruzione dei fatti da quest’ultima rilasciata deve passare al vaglio del giudizio di attendibilità. La vittima può inoltre essere esposta a episodi di vittimizzazione ripetuta, proveniente dallo stesso autore del reato o da un gruppo criminale in un dato periodo.33

La valutazione individuale vuole soffermarsi sulle vittime che hanno subito un danno a motivo della gravità del reato o per reati innescati da pregiudizio o discriminazione potenzialmente correlati alle loro caratteristiche personali, alle vittime che si trovano particolarmente esposte per la loro relazione e

dipendenza nei confronti dell’autore del reato. Qui vi rientrano le vittime di criminalità organizzata, del terrorismo, della

32 GIALUZ M.,Lo Statuto europeo delle vittime vulnerabili, op.cit., p.60 ss.

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violenza di genere o nelle relazioni strette, della violenza o dello sfruttamento sessuale, dei delitti contro la libertà familiare, della condizione di debolezza della persona, minori e infermi. La vulnerabilità del soggetto quindi va valutata in concreto, caso per caso, con una diagnosi personalizzata che prenda come parametri la gravità del reato e il grado di danno subito dalla vittima.A tale valutazione deve partecipare la vittima tenendo conto dei suoi desideri, compresa anche la sua volontà di non avvalersi delle misure speciali. Laddove poi cambiassero gli elementi alla base delle valutazioni individuali, gli Stati sono chiamati ad aggiornarli.

Non si prospetta l’idea di una elencazione tassativa volta ad indicare i soggetti da ricomprendere nella categoria della vulnerabilità, poiché ogni soggetto ha delle caratteristiche intrinseche che lo rendono un unicum, diverso da ogni altra persona ed è necessario evitare che possano restare esclusi soggetti legittimati ad esservi ricompresi. Evitare la

standardizzazione del fenomeno è un punto focale perché laddove fosse prevista, finirebbe per escludere soggetti sottoposti a fenomeno di violenza ma non riconducibili alle categorie predisposte quali adulti o soggetti non infermi fisici o mentali, non appartenenti a categorie svantaggiate.34 Essendo

plurime le ragioni che caratterizzano la vulnerabilità come il sesso, l’età, le condizioni psico-fisiche e la tipologia dei delitti, si ricollegano ad essa diverse forme e gradi di tutela assicurati alla vittima. Si passa da livelli di protezione per il gruppo più fragile, costituito dal soggetto minorenne o maggiorenne infermo di mente, al livello meno elevato di protezione per le personalità meno vulnerabili dei soggetti maggiorenni e psicologicamente maturi, in ambo i sessi, ritenuti in grado di sostenere comunque l’impegno dell’esame incrociato

nell’attuazione del contraddittorio, pur beneficiando della

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riservatezza e dell’assenza di pubblicità proprie dell’assunzione anticipata della prova dichiarativa nell’incidente probatorio. Norme ancora più dettagliate, per l’alto grado di vulnerabilità cui sono esposti questi soggetti, si prevedono poi per le vittime di violenza sessuale, per cui le audizioni “ salvo il caso in cui siano svolte da un p.m. o da un giudice, se la persona offesa ne fa esplicita richiesta, possono essere svolte da una persona dello stesso sesso della vittima, se ciò non pregiudica il

procedimento penale”35.

Le vittime durante il processo possono avvalersi di misure per evitare il contatto visivo con gli autori dei reati, anche durante le deposizioni, ricorrendo a mezzi adeguati tra i quali figurano le nuove tecnologie di comunicazione. È poi premura

generalizzata evitare domande non necessarie sulla vita privata della vittima che non abbiano alcun nesso logico con il reato e poter svolgere infine l’udienza a porte chiuse.36

La Direttiva 29/2012/UE indica rigidamente le specifiche esigenze di protezione: le audizioni della vittima devono avvenire in locali appositi o adatti allo scopo ed effettuate da operatori adeguatamente formati. È premura precisare che siano effettuati, ogni volta ve ne sia bisogno, dalle stesse persone salvo esigenze particolari contrarie alla buona amministrazione.

La possibilità di beneficiare di particolari misure di protezione nel procedimento penale è accentuata per i minori di età37: in

35 Art.23, lett d) direttiva 29/2012 UE.

LORENZETTO E., Audizioni investigative a tutela della vittima, in pealecontemporaneo.it, 2016,p.15.

CONIGLIARO S., La nuova normativa europea a tutela delle vittime di reato, una prima lettura della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio., in penalecontemporaneo.it, 2012,p.6. 36 Art. 23 direttiva 2012/29/UE.

37 Decisione-quadro 2004/68/GAI del Consiglio “relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile”.

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tali circostanze infatti, per le audizioni del minore vittima del reato, come si evince dall’art.24 della direttiva 29/2012/UE possono essere utilizzati accorgimenti ulteriori quali le registrazioni audiovisive da utilizzare come prova nel

procedimento, strumento esteso anche ai soggetti maggiorenni infermi di mente particolarmente vulnerabili. Per i minori sprovvisti di rappresentanza deve essere nominato un

rappresentate speciale ed hanno inoltre diritto alla nomina di un proprio legale in caso di potenziali conflitti con i titolari della potestà genitoriale.

In caso poi di incertezza sull’età, il soggetto si considera minore.

2.3 La vittima vulnerabile nell’ordinamento italiano.

Il quadro normativo italiano in ordine alla vittima vulnerabile appare estremamente frastagliato, rendendo così la sua ricostruzione impresa di non poco conto, per lo più volta a delineare un soggetto debole che necessita di protezione quando è chiamato a testimoniare.

Partendo dalla riforma dei delitti contro la libertà sessuale del 1996 fino ai più recenti interventi legislativi, si riscontrano disposizioni disomogenee che sistematicamente richiedono l’intervento dell’interprete per essere decifrate. È l’articolo 90-quater38 c.p.p. rubricato “Condizioni di particolare

vulnerabilità”, che si occupa direttamente della vittima

38 Articolo inserito dall'art. 1, comma 1, lett. b), D.Lgs. 15 dicembre

2015, n. 212. ,sull’ “attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che

istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro

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vulnerabile e va a recepire le indicazioni contenute nella Direttiva 29/2012/UE.

L’articolo sopra citato individua un regime differente di assunzione delle dichiarazioni andando così ad allargare il cerchio per il riconoscimento di uno status processuale

speciale. La vulnerabilità è slegata da presunzioni e tassatività ,venendo individuata di volta in volta ed essendo desumibile dall’età, dallo stato di infermità o deficienza psichica della vittima, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. La condizione di vulnerabilità viene valutata analizzando il modo in cui è stato commesso il fatto, ovvero se esso sia avvenuto con violenza alla persona, con odio razziale o se sia riconducibile ad ambiti della criminalità organizzata o di terrorismo anche internazionale, di tratta di esseri umani, se abbia finalità di discriminazione e se la persona offesa sia affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato.

Se prima le vittime erano costrette a testimoniare alla presenza del loro aggressore, eccezion fatta per i minori di anni sedici, il procedimento cambia con la novella apportata dal d.lgs. 212 del 201539 il quale, avendo riguardo alle persone offese che si

trovino in uno stato di particolare vulnerabilità, estende loro quelle cautele che fino a qui erano previste solo per le vittime di predeterminate tipologie di reati. In ordine all’istituto

dell’incidente probatorio, il legislatore al comma 1-bis dell’art. 392 c.p.p. ne ha prevista una nuova forma, coniando così l’incidente probatorio atipico, il quale si estende ad ipotesi diverse rispetto a quelle classiche40, e che va a trovare

39Gli articoli che compongono il decreto in esame sono tre ed è il

primo di questi ad intervenire sul codice di procedura penale, coniando i nuovi articoli 90-bis,90-ter,90-quater, 143-bis c.p.p. e modificando gli artt. 90,134,190-bis, 351, 362, 392,398 e 498 c.p.p. 40 L’art. 392 c.p.p. stabilisce che l’incidente probatorio può essere adottato nel corso delle indagini preliminari su richiesta del p.m. o della persona sottoposta alle indagini, quando vi è fondato motivo di

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applicazione nei casi in cui si proceda per i delitti tassativamente elencati tra cui vi rientra il delitto di

maltrattamenti, atti persecutori e delitti a sfondo sessuale, attivato su richiesta del p.m., della persona offesa o di quella sottoposta alle indagini. È possibile procedere all’assunzione della testimonianza in incidente probatorio di persona

minorenne, maggiorenne in stato di vulnerabilità o nei casi in cui la persona offesa versi in condizioni di particolare

vulnerabilità, a prescindere dall’età o dai reati per cui si procede41.

L’art. 398 c.p.p., in ordine a luogo, tempo e modalità particolari attraverso cui procedere all’incidente probatorio, al comma 5-bis, oltre a prevedere un’elencazione tassativa di reati42,

stabilisce che il giudice, ove fra le persone interessate all’assunzione della prova vi siano minorenni, determina particolari modalità di assunzione della prova quando le esigenze di tutela della persona lo rendano necessario. L’udienza può svolgersi anche in luogo diverso dal tribunale, ovvero presso strutture specializzate di assistenza o

nell’abitazione della persona interessata, con la specificazione che le dichiarazioni testimoniali devono essere integralmente documentate con mezzi di riproduzione fonografica o

audiovisiva. Tale circostanza è stata estesa, a norma del comma 5-ter, anche ai soggetti maggiorenni che versino in

ritenere che la persona della quale deve essere assunta la testimonianza non potrà essere esaminata nel dibattimento per infermità o grave impedimento o quando per elementi concreti e specifici vi è fondato motivo di ritenere che la persona sia esposta a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità, affinché non deponga o deponga il falso.

41 Tale ultima novità è stata inserita dall’art. 1, comma 1, lett h) del d. lgs., n. 212/ 2015.

42 Elencazione alla qual è stato aggiunto anche il reato di maltrattamenti in famiglia, ex art 572 c.p., dal d.l.n.93 del 2013,conv. in l. n. 119 del 2013.

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condizione di particolare vulnerabilità, mentre il comma 5- quater stabilisce che quando occorra procedere all’esame della persona offesa che versi in condizione di particolare

vulnerabilità si applicano le modalità protette indicate nell’art. 498, comma 4-quater c.p.p.43.

In merito all’art. 498 c.p.p., rubricato “Esame e controesame dei testimoni”, la novità, la si rinviene al comma 4-quater in cui viene eliminato il limite oggettivo che permetteva l’utilizzo delle modalità protette, durante l’audizione della vittima vulnerabile, soltanto per i reati indicati al comma 4-ter. Con la riforma qualora infatti, occorra procedere all’esame di persona in stato di particolare vulnerabilità, si procede, a prescindere dal fatto di reato, all’adozione di modalità protette ovvero l’esame schermato dal vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico, qualora la persona offesa o il difensore ne facciano richiesta. Il comma quarto stabilisce inoltre che l’esame del minore viene effettuato dal presidente, il quale può avvalersi dell’ausilio di un familiare dello stesso o di un esperto in psicologia infantile.

La riproduzione audiovisiva delle dichiarazioni rese dalla persona offesa particolarmente vulnerabile è ora consentita anche al di fuori delle ipotesi di assoluta indispensabilità. Il nostro ordinamento in seguito alla sentenza n. 63 del 2005 della Corte Cost.44 ha previsto la possibilità di utilizzare le

misure protette per l’acquisizione della testimonianza anche

43 Il D.l. 14 agosto 2013, n. 93 “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”, pubblicato nella Gazz. Uff. 16 agosto 2013, n. 191, aggiunge il comma 4-quater all’art.498, sostituito dal d.lgs. 212 del 2015.

44 C. Cost 29 gennaio 2005, n.63, pubblicata in G.U. serie speciale 2 febbraio 2005, n. 5.

CANZIO G., “La tutela della vittima nel sistema delle garanzie processuali: le misure cautelari e la testimonianza “vulnerabile”, in D.P.P, 2010, 8, p.985.

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per la persona maggiorenne particolarmente vulnerabile. Scendendo nel dettaglio la Corte, chiamata a pronunciarsi in merito, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art.398, comma 5-bis45 c.p.p., “Provvedimenti sulla richiesta di incidente

probatorio”, “nella parte in cui non prevede che il giudice possa provvedere nei modi ivi previsti all’assunzione della prova ove fra le persone interessate ad essa vi sia un maggiorenne infermo di mente, quando le esigenze di questi lo rendano necessario ed opportuno“46 e dell’art. 498, comma 4-ter47 c.p.p.,

“nella parte in cui non prevede che l’esame del maggiorenne infermo di mente vittima del reato sia effettuato, su richiesta sua o del difensore, mediante l’uso di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico.”48

A detta della Corte, appurato che il minore non può essere equiparato all’infermo di mente ai fini della testimonianza nel

45Articolo modificato dal d.l.23 febbraio 2009,n.11” Misure urgenti in

materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonche' in tema di atti persecutori”, pubblicato in GU Serie Generale n.45 del 24-02-2009 in cui le parole “ vi siano minori di anni sedici viene sostituita da “vi siano minorenni” “quando le esigenze di tutela del minore” con “esigenze di tutela delle persone” e viene inoltre aggiunto il delitto di atti persecutori. Mentre il d.l D.L. 14/08/2013, n. 93 “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”.Pubblicato nella Gazz. Uff. 16 agosto 2013, n. 191, aggiunge il delitto di maltrattamenti in famiglia. 46Corte Cost., Sent. n. 63 del 2005, in cortecostituzionale.it.

47Il d.l 23 febbraio 2009, n. 11 “Misure urgenti in materia di

sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”, pubblicato nella Gazz. Uff. 24 febbraio 2009, n. 45, ha modificato l’art. 498, comma 4ter, aggiungendo le parole: «ovvero del maggiorenne infermo di mente vittima del reato» e ha aggiunto all’elenco il delitto di atti persecutori ex art 612-bis per l’utilizzo delle modalità protette nello svolgimento dell’esame. Il d.l 14 agosto 2013, n. 93 “Disposizioni urgenti in materia di

sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”,pubblicato nella Gazz. Uff. 16 agosto 2013, n. 191, aggiunge all’elenco il reato di maltrattamenti in famiglia.

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procedimento penale, appare chiaro che alla luce del principio della dignità e tutela della persona desumibile dall’art.2 della Costituzione, laddove il giudice procedente ritenga in concreto che vi sia un pericolo di pregiudizio per la personalità del teste infermo di mente, possa adottare le modalità protette volte a prevenire ed escludere tale pericolo, in più data la personalità particolarmente fragile che caratterizza il soggetto chiamato a testimoniare in processi per reati sessuali, appare ancora più idoneo il ricorso alle modalità protette di assunzione della prova menzionate dalle norme in esame, ogni qual volta il giudice ne riscontri in concreto la necessità e l’opportunità. Conclusione deducibile anche dall’art. 3 della Costituzione, il quale non avallerebbe un trattamento diseguale tra minore e infermo. Elemento questo che farebbe da collante anche per evitare potenziali e conseguenti fenomeni di vittimizzazione secondaria.

Già la sentenza della Corte Costituzionale n.283 del 1997, pronunciatasi in ordine alla salvaguardia della personalità del teste, imponeva di estendere al maggiorenne infermo di mente il ricorso alle modalità protette di assunzione della prova testimoniale, contemplate dalle norme menzionate, quando il giudice ne riscontrasse in concreto la necessità o l’opportunità. Il soggetto particolarmente vulnerabile chiamato a testimoniare in un procedimento penale, spesso su fatti e circostanze legati alla sua intimità e connessi a ipotesi di violenze subite, si trova ad essere esposto più di altri ad influenze e condizionamenti esterni suscettibili di tradursi in un’esperienza fortemente traumatizzante e lesiva della personalità, motivo per cui adottare certe accortezze in ordine alle modalità “protette” di assunzione della prova con riferimento a luogo, ambiente, tempo, assistenza delle persone che conoscano il teste o esperti, nonché modi concreti di procedere all’esame, non contrasta con esigenze proprie del processo ma anzi contribuirebbe ad assicurare la genuinità della prova,

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potenzialmente pregiudicabile laddove venisse assunta con le modalità ordinarie.49 L'apprezzamento in concreto delle

condizioni e delle circostanze che richiedono il ricorso all’utilizzo di siffatte speciali modalità deve essere rimesso all’organo giudicante, avuto riguardo al caso di specie.

49Corte Cost.18 luglio 1997, n. 283, pubblicata in G.U. serie speciale 6 agosto 1997, n.32. Concetto espresso poi anche nelle sent.n. 114 del 2001 e n.529 del 2002.

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CAPITOLO II

Le fonti sovranazionali normative e giurisprudenziali:

i diritti della vittima e in particolare il diritto alla

protezione.

SOMMARIO: 1. Tutele e diritti della vittima di reato: l’iter legislativo. tra Consiglio d’Europa e Unione Europea. – 2. I punti focali di intervento. - 2.1 I punti focali di intervento. – 2.2 La Direttiva 29/2012/U.E.: norme minime in materia di diritti di assistenza e protezione delle vittime di reato. – 2.3 Diritto all’informazione. – 2.4 Sostegno e assistenza. -2.5 Prevenzione. – 2.6 La partecipazione della vittima al procedimento penale. – 2.7 La protezione. – 2.7.1 La

protezione dal processo. – 2.7.2 La protezione nel processo. - 3.9 La giustizia riparativo-conciliativa. – 2.8 La tutela legale e risarcitoria. – 3. La Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. - 4. La Convenzione per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali. – 5. La Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. - 6. La violenza: definizioni sul tema. - 7. La giurisprudenza delle due Corti.

1. Tutele e diritti della vittima di reato: l’iter

legislativo tra Consiglio d’Europa e Unione Europea.

La tutela della vittima di reato è un tema molto sentito da parte degli organi sovranazionali, tra i quali spiccano l’Unione

Europea, il Consiglio d’Europa e le rispettive Corte di giustizia della Comunità Europea e Corte europea dei diritti dell’uomo. Il Consiglio d’ Europa a voler rappresentare la Grande Europa e l’Unione Europea la Piccola Europa, sono due pilastri

sovranazionali che inevitabilmente vanno ad incidere, con i loro atti normativi, sul lavoro del legislatore nazionale, il quale è chiamato ad attuare o applicare il diritto proclamato dalle stesse. Il Consiglio d’Europa, in particolare, è un organo che si

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prefigge lo scopo di tutelare i diritti fondamentali dell’uomo, mentre l’Unione Europea è un’organizzazione internazionale a carattere politico e economico, un organo ”super-partes ” che vigila e tenta di indirizzare gli ordinamenti nazionali a legiferare sulle diverse tematiche che va ad affrontare, in modo da

uniformare le normative interne ai singoli Stati. Interventi sempre più frequenti del legislatore europeo riguardano la vittima del reato, e pur utilizzando gli organi in questione mezzi diversi50, i fini che mirano a raggiungere possono dirsi

omogenei, volti ad esaltare e rinnovare il ruolo della vittima nel contesto culturale e giuridico.

I fini che si prefiggono i due “pilastri” sono volti ad accrescere i diritti da riservare alla vittima e a garantire una maggiore partecipazione nel processo.

Il Consiglio d’Europa inizia ad occuparsi della vittima con la “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” del 1950 e i suoi protocolli

addizionali51, la Carta sociale Europea52 , la Risoluzione

n.(77)27 sul “Risarcimento alle vittime di reati violenti”53, La

50Il Consiglio d’Europa lavora tramite Raccomandazioni, le quali non

hanno un contenuto precettivo ma semplicemente precisano le indicazioni sui doveri positivi degli Stati membri in tema di giustizia penale e attraverso le Convenzioni, ossia accordi tra più soggetti con i quali vengono regolate materie di interesse comune. L’ Unione

Europea invece opera tramite Direttive e Decisioni, strumenti più penetranti rispetto a quelli utilizzati in precedenza, soprattutto per quanto riguarda le direttive self-executing, le cui norme sono

direttamente applicabili negli ordinamenti, atti più penetranti rispetto alla Decisione -quadro.

51Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà

fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952.Ratificata ed eseguita con l. 4 agosto 1955, n. 848.

Pubblicata nella Gazz. Uff. 24 settembre 1955, n. 221.

52 Adottata a Strasburgo il 3 maggio 1996. Ratificata con l. 9

febbraio 1999, n. 30, pubblicata nella Gazz. Uff. 23 febbraio 1999, n. 44, S.O.

53 Adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 28 settembre 1977.

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Raccomandazione n.(85) 4 sulle “Vittime di violenza in ambito familiare”54, volta ad incoraggiare gli Stati ad adottare misure

tali da prevenire la violenza in ambito familiare nonché idonei strumenti di protezione delle vittime. La Raccomandazione n.(85)11 su “La posizione della vittima nell’ambito del diritto penale e della procedura”55 rappresenta il primo statuto della

vittima nel processo penale, inviando il monito agli Stati di prevedere a livello legislativo e operativo una serie di misure a tutela della vittima, in tutte le fasi del procedimento.

La Raccomandazione n. (87)21 sull’ “Assistenza alle vittime e sulla prevenzione della vittimizzazione” del 198756, la quale si

sofferma in particolar modo sulla circostanza per cui non essendo più possibile evitare l’evento pregiudizievole una volta verificatosi, lo Stato deve predisporre una serie di norme utili ad evitare episodi di vittimizzazione secondaria.

La Raccomandazione n. (06)8 in tema di “Assistenza alle vittime del crimine”57 con lo scopo di aiutare le stesse nell’accesso alla

giustizia evitando di sottoporle a ulteriori pregiudizi a causa delle procedure.

La Convenzione sulla “Lotta contro la tratta di esseri umani” del 2005, la Raccomandazione sulla “Protezione delle donne dalla violenza” Rec(2002)5, la Raccomandazione del Comitato dei Ministri agli stati membri relativa “all’assistenza alle vittime del reato” del 2006, la Raccomandazione sulle “norme e

meccanismi per la parità tra le donne e gli uomini” CM/Rec

54 Approvata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 26 marzo 1985.

55 Approvata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 28 giugno 1985

.

56 Adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il17 settembre 1987.

57 Adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 14 giugno 2006.

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