Nulla sembra più privato del momento in cui una coppia si prepara ad accogliere il primo figlio; eppure in questa scelta personale vi sono in gioco sia significative ridefinizioni simboliche e materiali dei corsi di vita, sia variabili a livello istituzionale, sociale e culturale (Naldini, 2015). Penso ad esempio ai modelli di riferimento per la divisione del lavoro di cura, opportunità e vincoli nell’accesso alle risorse pubbliche, orientamenti valoriali su ciò che è meglio per il bambino.
Naldini nel testo che ha curato nel 2015, riporta riflessioni teoriche e risultati empirici di una ricerca quanti- qualitativa sui processi e meccanismi sociali che spiegano le scelte e le decisioni dei futuri genitori e dei neo-genitori, rispetto a divisione del lavoro tra famiglia e mercato durante la transizione alla genitorialità. Riporto in questa sede alcune riflessioni emerse che ritengo utili e
45
attinenti al mio lavoro di ricerca sulla genitorialità in un contesto di immigrazione; anche se il testo a cui faccio riferimento è frutto di una ricerca condotta con persone italiane, i risultati ricavati sono indipendenti dalla provenienza dei soggetti e trasversali a tutte le persone che si apprestano a divenire genitori.
Uomini e donne che si apprestano a diventare genitori lo fanno a partire dal loro inserimento in un contesto sociale e culturale definito da norme, valori e orientamenti che incoraggiano certe attività o certi “modi di sentire”, specifici per genere. Naldini inoltre pone l’attenzione anche sul “lavoro emotivo” che uomini e donne devono affrontare; in particolare la transizione alla genitorialità è caratterizzata da intrecci complessi tra ciò che i soggetti pensano di dover provare (regole del sentire), ciò che vorrebbero provare (motivazioni) e ciò che cercano di provare (lavoro emotivo), (Hochschild, 1979). Con questa prospettiva, indagare su come donne e uomini si preparano alla nascita, significa ricostruire i costrutti emotivi attorno ai quali si struttura la transizione alla genitorialità e capire il ruolo del contesto in cui gli individui agiscono come attori senzienti consapevoli delle emozioni che provano.
Se ci soffermiamo all’esperienza delle madri, emozioni, corpo e mutamento sono le parole più ricorrenti. Sappiamo che il lavoro di ridefinizione del sé inizia per loro durante la gravidanza e continua in modo costante fino al parto e per tutto il primo anno di vita del bambino.
La ricerca della Naldini mette in evidenza come i vincoli materiali, istituzionali e culturali pesano, sia nel rendere poco praticabili comportamenti innovativi, sia nel rinforzare sul versante femminile, la visione dell’insostituibilità della madre (la madre deve rimanere il più possibile con il figlio). Con ciò lei afferma che i “childcare arrangements” pianificati e agiti, risultano fortemente influenzati dagli ideali relativi a ciò che si ritiene essere il meglio per il bambino: “che spinge le donne ma anche gli uomini verso razionalizzazioni che attingono ai repertori della «naturalizzazione» per ricomporre gli equilibri di una coppia che si percepisce come «paritaria»” (Naldini, 2015: 224). Il richiamo alla natura, al corpo, all’istinto soprattutto quando si affronta l’allattamento è costante e viene usato per giustificare le “differenze naturali” tra uomini e donne, tra lavoro e famiglia, nei primi anni di vita del bambino. “Il repertorio discorsivo del «bene per il bambino» nasce da quella cultura della genitorialità che coniuga l’idea che i figli stanno al centro, con l’idea della vulnerabilità degli stessi. Essa mostra la forza della costruzione sociale del genere, perché assume la potenza di una norma sociale con precise regole del sentimento che influenzano gli stati emotivi e richiedono un continuo riallineamento per sentirsi «buoni genitori»” (ibidem, p. 218).
46
Parlando della genitorialità dei giorni nostri la Naldini dimostra che c’è una trasformazione del se,
come e quando si diventa genitori, riferendosi alla scelta consapevole dell’avere un figlio e del
fatto che questa scelta viene fatta sempre più in là nel tempo, riferendosi agli italiani intervistati nella sua ricerca. In più aggiunge come sia cambiata la sostanza e il significato dell’essere genitori.
Dai genitori non ci si attende più un’attività di accudimento e accompagnamento alla crescita, ma molto di più; il genitore deve avere una serie di capacità e attenzioni da cui dipendono lo sviluppo emotivo, cognitivo e fisico del bambino, tanto più se questo bambino è stato voluto e cercato, tanto più sembra richiedere attenzione e dedizione. Per cui da una «buona madre» ci si aspetta un grande ammontare di tempo, energie e risorse materiali sul figlio, che risulta contraddittorio con l’imperativo di essere tutti al lavoro, per molte ore al giorno. Questa nuova cultura della genitorialità (Naldini, 2015) richiede intensità e opera a diversi livelli. A livello di identità individuale, la maternità e paternità possono costituire una base solida su cui costruire la propria identità. A livello sociale troviamo molti studi di esperti che vanno definendo nuovi codici comportamentali che il buon genitore dovrebbe conoscere e rispettare. Il risultato però sembra ambivalente: da un lato si riconosce il genitore come onnipotente, da lui dipende il benessere del figlio; dall’altra il genitore è incompetente e necessita della guida degli esperti (Faircloth e Murray, 2015).
Questa crescente attenzione all’allevamento dei figli da parte di esperti e dei policy makers dimostrata con interventi di sostegno alla genitorialità, coincide con una nuova visione dell’infanzia che mette al centro il bambino come soggetto vulnerabile e bisognoso di attenzioni; e dall’altro coincide con la definizione delle incompetenze genitoriali che finiscono per far sentire i genitori sempre “sotto giudizio” (Faircloth e altri, 2013).
La transizione alla genitorialità avviene dentro una costruzione sociale di essa, è permeata cioè dai contesti economici, culturali e istituzionali dove concretamente avviene. Muta il mercato del lavoro e la sua connotazione di genere, con nuove interdipendenze tra lavoro remunerato e non, tra mondo del lavoro e famiglia. In particolare per le donne il tema della conciliazione lavoro e famiglia è una questione scottante e viva. Da una forte convergenza tra l’istruzione e le esperienze di vita di uomini e donne, si passa ad una forte differenziazione di genere quando nascono i figli. Studi sociologici recenti parlano di una “ritradizionalizzazione” dei ruoli di genere in famiglia e sul mercato del lavoro, che tendono a persistere nelle successive fasi della vita (Grunow et al., 2007, Fox, 2009). Alcuni studi pongono l’accento sulle disuguaglianze di genere dopo la nascita del primo
47
figlio, evidenziando che ancora oggi, certo in modo diverso rispetto al passato, l’esperienza del diventare genitori ha implicazioni diverse per uomini e donne, perché differenti sono gli investimenti praticati e attesi nel lavoro per il mercato e per la famiglia. Gli studi internazionali sui cambiamenti nelle relazioni di genere tra famiglia e lavoro hanno messo in luce un forte divario tra atteggiamenti e comportamenti; cioè se uomini e donne desiderano e si auspicano una maggiore parità di genere, poi nei fatti non è facile realizzarla e metterla in pratica. A tal proposito si parla di rivoluzione “incompiuta” (Gerson, 2010), la gran parte delle trasformazioni hanno riguardato la femminilizzazione del lavoro remunerato, ma non la maschilizzazione del lavoro famigliare (Naldini, 2015). Resta ancora un tema da affrontare e studiare, Naldini lo ha fatto nella sua ricerca, chiedendosi da dove parte il processo di costruzione sociale della genitorialità oggi in Italia; quale è il ruolo degli esperti e delle generazioni precedenti, ma anche dei servizi e delle politiche sociali nella formazione della cultura della genitorialità.
48
4. LA RICERCA: DOMANDE E METODOLOGIA
Con questo capitolo entro nel vivo della mia ricerca, definendone le domande iniziali e i metodi di indagine. Dopo aver esplicitato le domande che mi hanno accompagnato in questo percorso, cerco di descrivere brevemente che cosa è l’intervista qualitativa e come ho strutturato la traccia da usare durante le interviste. Per quanto riguarda il campione di ricerca ho indicato quali siano stati i criteri di reclutamento delle intervistate e successivamente ho spiegato le caratteristiche del campione; poi ho descritto come è stata condotta l’intervista semi-strutturata. Infine ho riportato la tecnica utilizzata per l’analisi del materiale empirico raccolto e alcune brevi considerazioni etiche in merito alla conduzione e analisi delle interviste.