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PSICOLOGIA DELLA GENITORIALITA’

La psicologia e la psicopatologia dello sviluppo, in seguito al contributo della Infant Research (Stern, 1985; Belsky e Jaffee, 2006; ecc.), hanno dato nuovo impulso alle teorie psicologiche della personalità, considerando l’esperienza soggettiva sia del bambino sia del genitore all’interno dello specifico contesto in cui la relazione si sviluppa. Inoltre si è messo in luce l’importanza di considerare anche gli stati emotivi e affettivi dei genitori, le rappresentazioni mentali del Sé, basate sull’esperienza relazionale passata, ma soggette a cambiamenti e modifiche sulla base dell’esperienza attuale di genitorialità (Cowan e Cowan, 1992; ecc.).

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Durante la gravidanza, il feto e l’ambiente circostante entrano in relazione tramite la madre. Il bambino cresce all’interno della madre, influenzandola e venendone influenzato a sua volta, e la madre interagisce allo stesso tempo con il contesto socio-affettivo in cui è inserita. Con la nascita poi, ogni azione del genitore influenza il sistema sensoriale in crescita del bambino; è in questa fluidità costante che viene a costruirsi il legame di attaccamento (Tambelli, Odorisio, Mancone e Vismara, 2008).

A partire dalla teoria dell’attaccamento alcune ricerche hanno spiegato come la relazione mamma- bambino influenza lo sviluppo della personalità (Kobak, Cassidy e altri, 2006), prendendo in considerazione tre livelli di analisi per spiegare i percorsi evolutivi: l’organizzazione dell’attaccamento, la qualità della cura, il contesto di caregiving, e come essi interagiscano tra loro. Già Winnicott (1956) con il concetto di “preoccupazione materna primaria” e con le osservazioni sui primissimi stati mentali, per la prima volta ha messo in evidenza come la relazione madre- bambino prenda origine nelle fasi precedenti la nascita nel coinvolgimento affettivo che la mente del genitore sviluppa per il bambino atteso. Bowlby (1969/1982) andando oltre, ha descritto il comportamento di attaccamento del bambino e la corrispondenza del cosiddetto sistema di accudimento del genitore che, in risposta ai segnali di attaccamento del bambino, manifesta una serie di comportamenti tesi a promuovere la prossimità e il benessere del bambino. L’attivazione del sistema di accudimento varia in funzione di stimoli sia interni (stato fisico del caregiver, presenza di ormoni, credenze culturali) che esterni (ambiente circostante, condizioni fisiche del bambino, comportamento del bambino). I sistemi comportamentali di cure materne sono mantenuti secondo Bowlby (1980), da sistemi rappresentazionali che selezionano ed elaborano le informazioni: i modelli operativi interni. Questi modelli forniscono indici accurati sui modi in cui la donna affronta l’esperienza della gravidanza e della maternità, organizza ed elabora le proprie informazioni, affetti, ricordi e pensieri, nonché i comportamenti.

La transizione alla genitorialità intesa come processo psichico attraverso il quale un uomo e una donna diventano genitori, si fonda sullo spazio che i futuri genitori costruiscono nella loro mente per contenere l’idea di un figlio e l’immagine di sé come madre o padre. I soggetti che ritroviamo in questo processo psichico sono la madre come donna adulta, la bambina che è stata, i genitori che ha avuto, il figlio che si immagina, e in egual modo il padre come uomo adulto, il bambino che è stato, i genitori che ha avuto, il figlio che si immagina. In questo senso l’esperienza della

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maternità e paternità è permeato da una ridefinizione di sé e dell’altro, modificando per sempre le relazioni e la vita personale dei futuri genitori.

La genitorialità è fondata su un equilibrio complesso, sempre da ristabilire, fra diversi tipi di investimento: investimento narcisistico e investimento genitoriale e investimento coniugale (Monti, Agostini, Cantagalli,Fagandini, 2008). I processi biologici e psicologici sembrano tuttavia dispiegarsi attraverso percorsi diversi nell’uomo-padre e nella donna-madre, per entrambi si parla di crisi maturativa, di passaggio evolutivo da figlio a genitore, ma se la paternità è costituita da una rappresentazione psichica, la maternità ha anche una parte sensoriale e fisica in cui il bambino abita il corpo della madre. Il figlio è concepito nella mente paterna, ma abita nello spazio fisico della madre, la quale sente il figlio nel suo corpo e lo pensa nella sua mente. Questo spazio fisico e mentale necessita in primo luogo del sostegno del partner, a lui spetta il compito di sostenere il percorso della gravidanza, poi la relazione madre-bambino e successivamente i processi di individualizzazione e separazione dalla madre. In secondo luogo necessita di un ambiente supportivo, di una responsabilità sociale. A tal proposito Delassus scrive: “fino a poco tempo fa la maternità è stata quasi sempre collettiva. La madre faceva parte di un complesso che non era costituito solo dalla famiglia, ma anche dal contesto e dall’ambiente. Attualmente la maternità tende a diventare individuale se non solitaria. (…) gli impegni richiesti dalla maternità possono difficilmente pesare sulle spalle di una sola persona, aggravando in questo modo le condizioni della maternità si contribuisce a provocare un maggior numero di disfunzioni materne” (Delassus, 1995: 190).

Il passaggio dalla gravidanza alla maternità reale è legato alla separazione biologica del parto; è un transitare dalla maternità sognata alla maternità reale. Le modalità con cui avviene il travaglio e il parto vengono ricordate per anni, in modo spesso intenso, è per questo verosimile pensare che questo momento incida molto sulla relazione mamma-bambino, soprattutto se si verificano condizioni diverse da quelle immaginate.

Il parto è un evento complesso ricco di significati da un punto di vista emotivo ed affettivo, deve perciò svolgersi in un luogo pensato e contenuto dalle persone che vi partecipano. Marinopoulos afferma che “operare per la nascita significa lavorare per la nascita dei padri, delle madri e dei bambini. Significa prendersi cura della nascita della famiglia” (Marinopoulos, 2006: 170).

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Con il cambiamento della struttura sociale e famigliare e con il progressivo affinamento delle tecniche di intervento in ostetricia, l’ospedale è diventato il luogo dove nella maggioranza dei casi si nasce, ma il trionfo della medicalizzazione, porta spesso al misconoscimento della complessità psichica dell’evento gravidanza- nascita. “è importante sottolineare sempre che le parole del personale medico nei reparti di ostetricia e di tutto il personale, hanno un’importanza enorme, un peso straordinario. Le comunicazioni affrettate, meccaniche, contraddittorie possono essere deleterie, l’uso delle parole attorno alla nascita è fondamentale, perché rimangono impregnate nella mente dei genitori” (Monti, Agostini, Divizia, Chattat, Fava, 2005: 79).

Comprendere le rappresentazioni genitoriali significa “ripensare, osservare, ascoltare, favorire lo sviluppo del senso di intimità e interiorità, tenuto conto che sono le emozioni a dare significato alle esperienze, in quanto fonte di informazione sulla propria identità, sui propri bisogni personali e sulle azioni necessarie a soddisfare tali bisogni” (Monti, Agostini e altri, 2008: 56).

Dare uno spazio alla realtà psichica, oltre quella fisica, è un processo che va sostenuto e favorito. Ancora Marinopoulos dice che “curare le future madri richiede tecnica, sorveglianza, garanzie mediche. Ma per prendersi cura di loro è indispensabile aggiungere a tutto questo la parola. Parlare alle madri, sostenerle nell’espressione di un dire emotivo nuovo, a volte perturbante, è indispensabile nelle nostre prese in carico. È uno strumento al tempo stesso terapeutico e di prevenzione” (Marinopoulos, 2006: 157).