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La distribuzione differenziale della vulnerabilità

Nel documento Vulnerabilità. Etica, politica, diritto. (pagine 37-42)

Brunella Casalin

3. La distribuzione differenziale della vulnerabilità

La rimozione della vulnerabilità ontologica e dell’apparte- nenza a una comunità ecologica globale è legata, quindi, alla costruzione di confini arbitrari che hanno a lungo lavorato, e continuano tuttora a lavorare, al servizio di alcuni confini fondamentali: quello dell’umano dal resto del mondo animale, della cultura dalla natura, del pubblico dal privato, della men- te dal corpo, del cittadino che gode della pienezza dei diritti dall’apolide o da colui che vive in una condizione di cittadi- nanza dimidiata. E se tutto ciò accade è perché quella rimozio- ne lavora al servizio della fictio del sé sovrano e proprietario – innanzitutto su se stesso e di se stesso, sul proprio corpo e

del proprio corpo –, costruito come opposto al soggetto dipen-

dente, vulnerabile e bisognoso di cure. Questi confini, come vedremo, non poggiano solo sulle forme in cui è costruita la conoscenza e l’ignoranza, e quindi solo su dinamiche cogniti- ve, ma anche su dinamiche affettive che investono le emozioni suscitate da determinati corpi o situazioni. Si tratta di confini che hanno consentito al soggetto moderno di coltivare l’illu- sione della propria invulnerabilità e, al contempo, di attribuire la vulnerabilità a particolari individui e gruppi. Possiamo leg- gere questo processo come una forma più o meno consapevo- le di «accumulazione delle opportunità» («opportunity hoar- ding») operata dai gruppi maggioritari, per dirla con Tilly32,

la quale produce, di fatto, una distribuzione differenziale della precarietà, o della vulnerabilità – come osserva invece Judith Butler33. In questo regime di allocazione differenziale, la vulne-

rabilità cessa di essere una caratteristica costitutiva dell’umano e diventa un suo tratto negativo, stigmatizzante, che storica- mente giustifica, tra le molte altre cose, forme di paternalismo, di sfruttamento, di colonizzazione, di discriminazione e di de-

32 C. Tilly, Durable Inequality, University of California Press, Berke- ley-Los Angeles, 1998.

vastazione dei gruppi maggioritari nei riguardi di quelli mino- ritari.

Per tenere conto della differenza fin qui evocata tra la vul- nerabilità “ontologica” e la vulnerabilità “prodotta” attraverso la sua distribuzione differenziale, in Frames of War Butler di- stingue tra «precariousness» e «precarity»34. Entrambi i termi-

ni sono stati correttamente tradotti in italiano con «precarie- tà». La «precariousness», tuttavia, è quella forma di vulnerabi- lità universalmente condivisa da tutti gli esseri viventi, che ha a che fare con la loro natura corporea, incarnata, che li rende bisognosi di cibo e di riparo, così come vulnerabili all’altro, nonché alla possibilità di essere feriti, o uccisi. In virtù del cor- po, che, per Butler, è «sinonimo di “mortalità”, “vulnerabilità”, “azione”»35, gli animali umani sono esposti gli uni agli altri fin

dalla nascita e hanno bisogno di costruire con gli altri reti di supporto nei riguardi di questa comune condizione. L’espo- sizione all’altro rende vulnerabili alla violenza (fisica e mora- le) come al contatto e alla carezza: per Butler – come anche per Adriana Cavarero36 – la vulnerabilità non richiama solo

la dimensione negativa della ferita, del danno, della mancanza di potere, ma anche quella positiva della cura e dell’amore. La nostra stessa sopravvivenza dipende dall’organizzazione poli- tica di condizioni sociali che garantiscano interdipendenza e prossimità. È la nostra esposizione all’altro a costituire il prere- quisito per le emozioni più profonde e importanti della nostra vita.

Il legame istituito dalla «precariousness» non è volontario e consensuale, ossia non passa dalla mediazione di un mo- mento di volontà e di deliberazione. La «precariousness», scri- ve Butler, «precede il contratto, e spesso è cancellata da quel-

34 Ivi.

35 J. Butler, Fare e disfare il genere, cit., p. 58.

36 Cfr. A. Cavarero, Orrorismo. Ovvero della violenza sull’inerme, Fel- trinelli, Milano, 2007; Ead., Inclinazioni. Critica della rettitudine, Raffaello Cortina, Milano, 2014.

le forme di contratto sociale che dipendono da un’ontologia di individui di volontà»37. In qualche misura, proprio perché

l’ontologia dell’umano è costitutivamente relazionale e socia- le, e l’essere non è mai definitivamente scindibile dall’altro, nonché dalle norme sociali o dalle strutture politiche e sociali storicamente date, noi non conosciamo mai questa vulnerabi- lità ontologica («precariousness») se non nelle forme della sua distribuzione differenziale, sociale ed economica («precarity»). La vulnerabilità è quindi universale nella forma della «preca- riousness», eppure, al tempo stesso, parcellizzata nelle forme della «precarity». Gli individui, infatti, si trovano a esperire in termini differenziali questa vulnerabilità, «che non può essere pensata propriamente al di fuori dell’operazione differenziale del potere e, nello specifico, al di fuori dell’operazione diffe- renziale delle norme di riconoscimento»38. Come sintetizza ef-

ficacemente la stessa Butler ne L’alleanza dei corpi,

potremmo vedere la questione in termini genericamente esi- stenziali: siamo tutti precari, a causa della nostra esistenza irri- ducibilmente sociale, del nostro essere corpi che dipendono gli uni dagli altri per avere riparo e sostegno e che, in quanto tali, sono sempre esposti al rischio di divenire senza stato, senza tet- to e indigenti, qualora le condizioni politiche non garantiscano giustizia e uguaglianza. Per quanto io affermi tutto ciò, sto però sostenendo anche qualcos’altro, e cioè che la nostra precarietà è in larga parte dipendente dal modo in cui sono organizzate le re- lazioni economiche e sociali, nonché dalla presenza o dall’assen- za di infrastrutture di sostegno e di istituzioni sociali e politiche. E dunque, non appena questo assunto viene articolato in termini specifici, cessa di essere esistenziale. Di più: proprio perché tale assunto deve essere articolato in termini specifici, possiamo dire che esso non è mai stato solo esistenziale39.

37 J. Butler, Frames of War, cit., p. XXVI, trad. mia. 38 J. Butler, Vite precarie, cit., p. 65.

È interessante sottolineare che, per Butler, non sono le “diffe- renze” (fisiche, cognitive, culturali, economiche, razziali ecc.) a determinare la diversa esposizione alla vulnerabilità. Quelle stesse “differenze”, piuttosto, sono esse stesse effetto, e conti- nua concausa, della distribuzione differenziale della vulnera- bilità – al punto che ci è pressoché impossibile stabilire il con- fine tra ciò che conta come “differenza” e ciò che conta come “massimizzazione della vulnerabilità”, “abiezione”, in ultima analisi, aperta “diseguaglianza”. Butler, infatti, attribuisce l’e- sperienza differenziale della vulnerabilità tanto agli effetti di specifiche reti di istituzioni sociali e politiche, quanto agli ef- fetti delle norme sociali e regolative, di schemi percettivi e di intelligibilità, nonché di strutture affettive storicamente varia- bili, attraverso i quali esperiamo noi stessi, i nostri corpi e le relazioni tra i nostri corpi e quelli degli altri. Alla costruzione di queste strutture emotive e percettive contribuiscono oggi in modo fondamentale anche le rappresentazioni mediatiche, il cui fine consiste spesso nella creazione di particolari stati af- fettivi. La rappresentazione mediatica della vulnerabilità non è che uno degli strumenti attraverso i quali viene esercitato il contemporaneo biopotere. Grazie al modo in cui funzionano i nostri schemi percettivi ed emotivi per lo più tendiamo a ri- muovere il carattere universale della vulnerabilità per attribu- irla e distribuirla in modo differenziale, così che alcune vite sono riconosciute come degne di essere vissute, mentre altre non ricevono lo stesso riconoscimento, non sono riconosci- bili o riconosciute come vite, non sono ritenute degne di lut- to e di pianto, e per questo più facilmente diventano oggetto di violenza, più facilmente rimangono prive di protezione e cura. Le norme regolative che sorreggono i nostri schemi per- cettivi, emotivi e cognitivi diventano così – per Butler come per Sedgwick, Tronto e Plumwood – i mezzi mediante i quali si giustifica socialmente quella che Young chiamerebbe una

«gerarchia dei corpi»40, dalla quale dipende la distribuzione

diseguale di riconoscimento e di risorse e che, quindi, costi- tuisce una questione tanto simbolica, quanto materiale. Al mantenimento di questa gerarchia dei corpi contribuiscono non solo argomenti e discorsi “razionali”, ma anche le nostre emozioni: gli oggetti verso i quali si dirigono disgusto ed em- patia, per esempio, non sono immuni dal perpetuare forme di diseguaglianza attraverso la reificazione o la sentimentalizza- zione dell’Altro – come ha sottolineato nei suoi lavori anche Martha Nussbaum41. Questa distribuzione differenziale della

vulnerabilità che agisce mediante processi di alterizzazione (“othering”) è ciò che Butler chiama «precarity». I processi di precarizzazione e di alterizzazione sono parte essenziale del- le dinamiche difensive messe in atto per allontanare la pau- ra della vulnerabilità, dinamiche che sempre contengono una dose di violenza simbolica o materiale nei confronti dell’Altro e si sostengono sulla base di particolari infrastrutture affetti- ve. Questi processi assumono caratteri variabili e storicamente determinati, ma strategie di distribuzione differenziale della precarietà sono sempre messe in atto, secondo Butler, quan- do si tratta di governare una popolazione: le attuali politiche neoliberiste, ad esempio, contribuiscono a creare nuove forme di vulnerabilizzazione e precarietà attraverso la retorica della scelta individuale, la conseguente attribuzione all’individuo della responsabilità per la “propria” condizione e il progressi- vo smantellamento della rete di protezione sociale fornita dalle istituzioni del welfare. Chiamato a essere imprenditore di sé e responsabile delle proprie “scelte”, in un contesto in cui il ne- oliberismo erode tuttavia le possibilità stesse di autosufficienza

40 I.M. Young, Le politiche della differenza, cit.

41 Cfr., ad es., M.C. Nussbaum, L’intelligenza delle emozioni (2001), a cura di C. Giorgini, Il Mulino, Bologna, 2009; Ead., Nascondere l’umani-

tà. Il disgusto, la vergogna, la legge (2004), trad. it. di C. Corradi, Carocci,

Roma, 2007; Ead., Political Emotions, Harvard University Press, London- New York, 2013.

economica e sociale, l’individuo rimane sentimentalmente at- taccato a questo ideale, di fatto irrealizzabile, subendo così un disfacimento psichico dettato da uno stato di ansia crescente e di «fallimento morale»42.

4. Il soggetto incarnato, relazionale e vulnerabile tra re-

Nel documento Vulnerabilità. Etica, politica, diritto. (pagine 37-42)