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La vulnerabilità come criterio di gestione del rischio e come “caratteristica di gruppo”

Nel documento Vulnerabilità. Etica, politica, diritto. (pagine 185-192)

Dolores Morondo Taramund

2. La vulnerabilità come criterio di gestione del rischio e come “caratteristica di gruppo”

Per poter illustrare il significato della nuova proposta del- la vulnerabilità come fondamento per la teoria dei diritti, e le sfide che ciò comporta, farò riferimento brevemente alla con- cettualizzazione della vulnerabilità che possiamo trovare nei casi in cui l’uso di questo concetto vanta una storia più lunga. In questi ambiti la vulnerabilità è normalmente intesa come un criterio operativo: questo approccio è legato al concetto di gestione del rischio, alla massimizzazione dell’impatto e dell’ef- ficienza di risorse limitate, alla possibilità di prevedere deter- minati rischi o di minimizzare i danni quando le minacce o i pericoli (hazards) diventano reali. Ad esempio, il rapporto del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) 2014,

Sustain Human Progress: Reducing Vunerabilities and Building Resilience, che introduce il concetto di vulnerabilità umana,

comincia riferendosi al concetto tradizionale, usato per descri- vere il rischio di esposizione e la sua gestione. Il concetto di vulnerabilità può diventare meno astratto quando «si scompo- ne in chi è vulnerabile, a cosa e perché»18.

18 UNDP, Sustaining Human Progress: Reducing Vulnerabilities and

Building Resilience, Human Development Report 2014, disponibile in: http://

www.undp.org/content/dam/undp/library/corporate/HDR/2014HDR/ HDR-2014-English.pdf.

In questi usi di vulnerabilità, i soggetti vulnerabili sono gli Stati, i settori economici o industriali, le regioni geografiche, gli ecosistemi, la società in generale o diversi segmenti della popo- lazione19. L’idea di vulnerabilità è presentata in due dimensio-

ni: una esterna, relativa all’esposizione al rischio, e una interna, concernente la capacità di farvi fronte20. Tradizionalmente si

è capito che la vulnerabilità produce un (maggior) bisogno di protezione e, da qualche anno, si sta rafforzando l’idea di resi- lienza (resilience), intesa come la capacità di affrontare i rischi e di adattarsi e/o recuperare quando i danni siano occorsi.

Questa concettualizzazione della vulnerabilità funziona quindi come un calcolo della probabilità che il danno abbia ef- fettivamente luogo, mediante una messa in conto dei fattori di rischio, dei tipi di danni, della capacità del soggetto di resistere o reagire. In base a questo calcolo si delineano e si stabiliscono le strategie di protezione, e si valutano la loro portata, la loro opportunità, la loro efficienza, ecc.

I gruppi vulnerabili sono dunque quelli che presentano una più alta probabilità di subire un danno e che, se lo subiscono, sono maggiormente incapaci di reagire. Questo tipo di calcolo, insieme alla logica emergenziale che domina molti ambiti in cui questo concetto di vulnerabilità viene utilizzato (come, ad

19 Si noti che, a differenza di quanto segnalato nell’introduzione di que- sto lavoro riguardo alla Corte Europea di diritti umani, una ricerca del ter- mine “vulnerabilità” nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unio- ne europea restituisce risultati riconducibili a questa concettualizzazione. Si tratta, prevalentemente, della vulnerabilità di alcuni settori produttivi o segmenti del mercato europeo a fenomeni di dumping o ad altre forme di concorrenza sleale. Si veda, ad esempio, la sentenza del Tribunale del 7 Aprile 2016 nelle cause riunite C-186/14 P e C-193/14 P, ArcelorMittal

Tubular Products Ostrava a.s. e altri contro Xinyegang Hubei Steel Co. Ltd,

e Consiglio dell’Unione europea contro Xinyegang Hubei Steel Co. Ltd, sul

dumping nel settore siderurgico.

20 C. Churruca, Vulnerabilidad y protección en la acción humanitaria, in M.C. Barranco Avilés - C. Churruca Muguruza (a cura di), Vulnerabili-

esempio, la gestione di calamità naturali o l’intervento uma- nitario), producono sia strategie di protezione, sia strategie mirate a rafforzare la resilienza. Queste strategie prendono in considerazione innanzitutto il gruppo determinato, le sue ca- ratteristiche e i suoi comportamenti, e mettono in relazione la vulnerabilità che questo gruppo presenta con quegli elementi che lo distinguono da altri gruppi che non sono vulnerabili o che non lo sono in questa misura. La protezione offerta può passare attraverso meccanismi di riduzione del rischio o di ri- duzione dei danni. Ad esempio, dopo un disastro naturale, si possono migliorare le condizioni sanitarie nei campi profughi, intraprendere campagne di vaccinazione, distribuire alimenti, ecc., al fine di prevenire le epidemie. Si possono anche realiz- zare campagne mirate a rafforzare le capacità dei soggetti di affrontare le calamità; sempre in base all’esempio fatto, in quei campi profughi si può offrire una formazione sui metodi di potabilizzazione dell’acqua, di manipolazione degli alimenti, o campagne mirate a donne incinte o a madri di bambini piccoli, ecc.

Tra i limiti che sono stati individuati in questo approccio basato sui “gruppi vulnerabili”, cioè sui casi in cui la vulne- rabilità è concepita come una caratteristica di determinati gruppi, si possono segnalare i rischi di stereotipizzazione e di stigmatizzazione, e il diniego o la riduzione della capacità e dell’autonomia personali di coloro che compongono questi gruppi. Questo approccio alla vulnerabilità giustifica il fatto che i membri di questi gruppi siano posti sotto tutela, favoren- do così i rischi di dipendenza indotta. Inoltre, questo modello individua una “norma” ( il soggetto “normale” non vulnerabi- le) rispetto alla quale i soggetti considerati come marginali, di- pendenti, patologici, insomma non uguali, sono rappresentati come “devianti”21. Tali rischi sono accentuati quando – come

21 M.A. Fineman, Equality, Autonomy, and the Vulnerable Subject in

nel caso della politica europea dei diritti umani – la vulnera- bilità non agisce come un vero e proprio calcolo, come una valutazione contestualizzata, ma funziona attraverso liste di “gruppi vulnerabili” stabiliti a priori22.

3. La vulnerabilità come condizione umana

Le difficoltà e i problemi che comporta l’approccio alla vul- nerabilità come una caratteristica di alcuni gruppi sociali ha spinto la dottrina europea (e forse anche le istituzioni?) a ri- chiamare le tesi di Martha Fineman relative alla vulnerabilità come condizione umana23.

In generale, possiamo dire che Martha Fineman si oppone alla concettualizzazione della vulnerabilità come caratteristi- ca particolare di alcuni gruppi. Questo modo di concepire la vulnerabilità porterebbe, secondo Fineman, a considerare gli individui appartenenti a gruppi vulnerabili come degli “altri”, dei soggetti dipendenti, incapaci, patologici rispetto al sogget- to “normale”, cioè a quella creatura della fantasia liberale che si presenta come invulnerabile24 e che è il soggetto di diritto per

antonomasia. Invece, sarebbe più corretto e utile comprendere

European Court of Human Rights, cit.; M.C. Barranco Avilés - C. Churruca

Muguruza (a cura di), Vulnerabilidad y protección de los derechos humanos, cit.

22 J. Abrisketa et al., Report on the Assessment of Consistency in the Pri-

oritization of Human Rights throughout EU Policies, cit.; M. Mustaniemi-

Laakso et al., The Protection of Vulnerable Individuals in the Context of EU

Policies on Border Checks, Asylum and Immigration, cit.

23 Cfr. M.A. Fineman, supra. Cfr. inoltre M.A. Fineman, The Vulner-

able Subject: Anchoring Equality in the Human Condition, cit.; M.A. Fine-

man, Equality, Autonomy, and the Vulnerable Subject in Law and Politics, cit.

24 Secondo Fineman, la dicotomia tra soggetti normali (invulnerabili) e gli “Altri” vulnerabili è uno dei punti più insidiosi della concettualizzazio- ne della vulnerabilità come caratteristica di alcuni gruppi (M.A. Fineman,

supra) ed è stata criticata dalla dottrina (A. Timmer, A Quiet Revolution: Vulnerability in the European Court of Human Rights, cit., p. 162).

la vulnerabilità come una condizione universale, permanente e inerente agli esseri umani25. Fineman giustifica questa con-

cettualizzazione sulla base della nostra inevitabile corporeità: il corpo umano ci espone, universalmente e inevitabilmente, alla morte, alla malattia e alla possibilità di soffrire danno. A differenza del soggetto autonomo della teoria liberale, gli esseri umani in carne ed ossa sono vulnerabili in quanto dipendono da altri, e questa caratteristica è insita nel nostro corpo e nel nostro ciclo di vita.

Fineman afferma che, dal momento che questa concezione della vulnerabilità si adatta meglio agli esseri umani realmente esistenti, essa offre una base migliore per progettare e realizza- re le istituzioni e le politiche, nonché promuovere società più egualitarie26.

Tuttavia, e dato che l’obiettivo principale della critica di Fineman sono il concetto di uguaglianza della teoria libera- le e il diritto antidiscriminatorio basato su quel concetto27, la

sua teoria sulla vulnerabilità come condizione universale non è sufficiente a fungere da base alternativa per la produzione di una società più egualitaria. Nella vita reale, infatti, non tutte le persone sono ugualmente vulnerabili, anche se tutte sono vulnerabili in qualche modo. Mentre il concetto di vulnerabi- lità come condizione universale mette in luce la fallacia dell’i- dea del soggetto autonomo, esso non può, da solo, fare a meno dell’idea di uguaglianza: la sua efficacia critica non raggiunge l’universalismo della formula di indifferenziazione che presie- de all’idea di parità di trattamento e al diritto antidiscrimina- torio.

È per questo che Fineman si affretta a spiegare che «dal momento che ci si trova in modo diverso all’interno di una rete

25 M.A. Fineman, The Vulnerable Subject: Anchoring Equality in the

Human Condition, cit., p. 8.

26 Ead., supra.

27 Ead., The Vulnerable Subject: Anchoring Equality in the Human

di rapporti economici e istituzionali, le nostre vulnerabilità variano in grandezza e potenza a livello individuale. Innegabilmente universale, la vulnerabilità umana è anche particolare, è vissuta in modo univoco da ciascuna persona ed è fortemente influenzata dalla qualità e quantità delle risorse che abbiamo o che possiamo controllare»28. La consapevolezza

che nessuno può evitare completamente la vulnerabilità è ciò che ci spinge ad avvicinare le istituzioni sociali allo scopo di fronteggiarla.

La diversa collocazione sociale di ogni individuo fa sì che la vulnerabilità sia tanto una esperienza particolare, quanto una condizione universale. La prima caratteristica, l’esperienza in- dividuale, permette a Fineman di utilizzare questo concetto per sfidare il principio di uguaglianza, introducendo la diversità, la varietà e la complessità delle singole esperienze di vulnerabilità come alternativa alle tradizionali categorie di disuguaglianza/ discriminazione. La seconda, la condizione universale, le per- mette di presentare la vulnerabilità come una fondazione al- ternativa delle istituzioni e dei diritti.29

28 Ivi, p. 10.

29 Qui posso occuparmi soltanto della sfida all’uguaglianza, ma vorrei far notare che questa concezione della vulnerabilità interpella non solo il principio di uguaglianza, ma anche quello di solidarietà. In Europa i si- stemi di protezione sociale e lo Stato sociale (che è ciò a cui Fineman si riferisce con l’espressione responsive State) non sono emersi a partire della considerazione della vulnerabilità universale degli essere umani, ma a cau- sa di combinazioni variabili tra forme di paternalismo statale e movimenti democratici e di democratizzazione guidati dall’idea di dignità. Un’idea, questa, che sebbene ai giorni nostri si presenti prevalentemente come una caratteristica inerente agli esseri umani in quanto tali, nell’epoca in cui era alla base di quei movimenti era un ideale di giustizia sociale che mirava a combattere la miseria delle condizioni di esistenza delle classi più povere, specialmente degli operai. Cfr. D. Morondo, Diritti e giustizia nella giuri-

sprudenza europea: la questione del dumping sociale, in A. Cantaro (a cura

di), Giustizia e diritto nella scienza giuridica europea, Giappichelli, Torino, 2011, pp. 236-247. Lo sviluppo dei diritti sociali come universali (all’interno della propria giurisdizione) e l’obbligo dell’azione dello Stato tendente alla

La giusta funzione dello Stato sarebbe perciò quella di “ri- spondere” (the responsive State) alla vulnerabilità della condi- zione umana: «considerando la vulnerabilità che condividia- mo, è chiaro che gli esseri umani hanno bisogno gli uni degli altri, e che dobbiamo strutturare le nostre istituzioni per ri- spondere a questa realtà umana di base»30. Anche se né lo Sta-

to, né le società umane sono in grado di eliminare la vulnerabi- lità, essi possono ridurla, mitigarla e compensarla. A tal fine, le istituzioni creano sistemi che assegnano agli individui risorse e possibilità di accesso alle opportunità. Fineman, seguendo Peadar Kirby, chiama tali sistemi «assets» e identifica cinque tipi di «assets» che le istituzioni possono conferire: «assets» fisici, umani, sociali, ecologici o ambientali, ed esistenziali31.

Con l’insieme di questi «assets» gli individui costruiscono la loro «resilienza». La resilienza è, per Fineman, «ciò che dà agli individui le risorse e le competenze per riprendersi dai danni, avversità e disgrazie che accadono nella vita»32.

In aggiunta a questa idea di resilienza, e in linea con le for- mulazioni che si possono trovare negli approcci alla gestione dei rischi, Fineman fa riferimento a un’altra dimensione della vulnerabilità, che ha origine e sviluppo differenti. Infatti, una parte della dottrina che si è occupata del soggetto vulnerabile e della vulnerabilità come condizione umana sostiene che l’en- fasi sugli aspetti negativi della vulnerabilità (rischio, lesioni, esposizione) produce una comprensione riduttiva di essa33. La

vulnerabilità ha una capacità generativa: è la nostra comune

loro protezione e garanzia risponde ad un’esigenza che, a differenza della vulnerabilità di Fineman, non è né universale né individuale, ma collettiva.

30 M.A. Fineman, The Vulnerable Subject: Anchoring Equality in the

Human Condition, cit., p. 12.

31 Ead., supra.

32 Ead., “Equality and Difference. The Restrained State”, Alabama Law

Review, 66, 3 (2015), pp. 609-623, p. 613.

33 E.C. Gilson, The Ethics of Vulnerability. A Feminist Analysis of Social

Life and Practice, Routledge, New York-London, 2014, in particolare pp.

condizione di esseri vulnerabili che ci porta a stabilire legami e relazioni tra di noi, a costruire istituzioni in cui cercare soste- gno per affrontare i rischi e le avversità34.

A differenza del diritto antidiscriminatorio sviluppatosi sulla base della teoria liberale dell’eguaglianza, la reazione del «responsive State» di fronte alla vulnerabilità umana non è li- mitata dai “gruppi di identità”, ma li trascende per assumere la complessità e la multidimensionalità delle singole esperienze.

Nel documento Vulnerabilità. Etica, politica, diritto. (pagine 185-192)