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La vulnerabilità come mancanza di protezione

Nel documento Vulnerabilità. Etica, politica, diritto. (pagine 192-198)

Dolores Morondo Taramund

4. La vulnerabilità come mancanza di protezione

Sia Fineman, sia chi ha applicato la sua teoria a diversi con- testi, in relazione sia alle politiche pubbliche, sia alla giurispru- denza europea, intende questa teoria della vulnerabilità come una nuova teoria dell’eguaglianza sostanziale35.

Infatti, come ha avvertito la stessa Fineman, questa concet- tualizzazione della vulnerabilità come condizione umana non è che una base teorica per sostenere il punto centrale della sua teoria della vulnerabilità, che sta nel prendere il posto del di- ritto antidiscriminatorio di stampo liberale, che lei considera giustamente un meccanismo inefficace nella lotta contro la di- suguaglianza e l’ingiustizia sociale. Come alternativa, Fineman propone il “responsive State”, che assicura agli individui, attra- verso l’accesso alle istituzioni e alle opportunità, l’accumula- zione di risorse su cui ognuno costruisce la propria resilienza, la propria capacità di affrontare la vulnerabilità. Questo ridi- mensionamento della centralità del concetto di vulnerabilità è significativo, perché mette l’azione dello Stato (“responsive”)

34 M.A. Fineman, supra.

35 Ead., The Vulnerable Subject: Anchoring Equality in the Human

Condition, cit.; Ead., supra; L. Peroni - A. Timmer, Vulnerable Groups: The Promise of an Emerging Concept in European Human Rights Convention Law, cit.; A. Timmer, A Quiet Revolution: Vulnerability in the European Court of Human Rights, cit.; M. Mustaniemi-Laakso et al., The Protection of Vulnerable Individuals in the Context of EU Policies on Border Checks, Asylum and Immigration, cit.

al centro della teoria di Fineman sull’uguaglianza sostanzia- le. Ciononostante, penso che alcuni dei limiti e delle difficoltà nel rapporto tra la teoria della vulnerabilità come condizione umana e l’idea di uguaglianza, soprattutto quando si vuole tra- scendere il quadro liberale di eguaglianza come principio di trattamento individuale indifferenziato, risiedano proprio nel- la formulazione di vulnerabilità fornita da Fineman.

Queste difficoltà possono essere ricondotte allo status on- tologico che Fineman attribuisce alla vulnerabilità (condizione umana) e alla mancanza di una più approfondita analisi che chiarisca il salto dal livello universale della vulnerabilità (la condizione umana) all’esperienza individuale.

Innanzitutto, va rilevato che la nozione finemaniana di vul- nerabilità si riferisce a fenomeni e aspetti della vita molto ete- rogenei tra di loro. Nella sua formulazione iniziale – l’esposi- zione alla morte, alla malattia e all’infortunio – la vulnerabilità non è nemmeno una condizione distintamente umana; essa è, in realtà, una condizione che condividiamo con tutti gli orga- nismi viventi e, nel caso del danno fisico, anche con oggetti inerti ma dotati di massa fisica. A questa formulazione iniziale si aggiunge successivamente tutta una serie di “vulnerabilità”: relazionali, economiche, sociali, arrivando persino – per ana- logia – alla vulnerabilità delle istituzioni.

Nella sua formulazione minima, la nozione di vulnerabilità è quasi ridondante: gli esseri umani sono vulnerabili alla mor- te perché sono mortali. Nella sua formulazione finale, com- presi tutti i tipi di rischi fisici, psicologici, economici, sociali, ambientali (persino istituzionali), la vulnerabilità non è sem- plicemente una condizione degli esseri umani. La possibilità di soffrire la disoccupazione, la povertà, la violenza, gli effetti della corruzione politica o dell’inquinamento ambientale non hanno un rapporto con la nostra fisicità come ce l’hanno la morte o anche la dipendenza dagli altri in vari periodi della nostra vita.

La prima questione da considerare, quindi, per quanto ri- guarda la vulnerabilità – o meglio, quelle forme e ambiti della vulnerabilità che possono interessare la teoria e la pratica dei diritti – è che le cose a cui siamo vulnerabili non sono la ra- gione per cui siamo vulnerabili a quelle cose. Sussumere tutti questi fenomeni sotto una “condizione ontologica dell’umani- tà” avrebbe l’effetto, diametralmente opposto alle intenzioni di Fineman, di naturalizzare l’ingiustizia sociale.

Brunella Casalini36 ha utilizzato il concetto di precarietà

(precariousness) di Judith Butler, equivalente alla dimensione universale della vulnerabilità di Martha Fineman, per esami- nare la relazione tra il piano ontologico e il piano individuale della vulnerabilità, che in Butler corrisponderebbe alla preca-

rity. Per Casalini, essendo la nostra ontologia in gran parte so-

ciale, e dato che il nostro essere è sempre esposto agli altri, ai regolamenti sociali e alle strutture politiche e sociali esistenti in ogni momento, non possiamo conoscere la precarietà onto- logica (precariousness), se non attraverso le forme della preca- rietà individuale (precarity)37. Nelle parole di Butler, vulnera-

bilità e condizione umana non possono essere adeguatamente pensate «al di fuori di un campo differenziato di potere e, nello specifico, al di fuori della funzione differenziale delle norme di riconoscimento»38. La distribuzione differenziale delle vul-

nerabilità si realizza quindi attraverso i processi che creano i soggetti vulnerabili come soggetti «altri»39.

Questa riflessione implica uno spostamento della nostra attenzione dalla vulnerabilità come condizione universale ai “campi di potere” differenziati e differenzianti, e ai conseguen- ti “processi di costruzione” degli altri (vulnerabili).

36 B. Casalini, supra. 37 Ivi.

38 J. Butler, Precarious life: The Powers of Mourning and Violence, Ver- so, London, 2004, p. 44.

È in questa zona intermedia tra l’universalità della nostra vulnerabilità e i risultati particolari delle dinamiche di potere e dei processi di costruzione degli altri che si trovano le chia- vi per discutere la disuguaglianza e l’ingiustizia sociale; ed è pertanto sempre in questa zona di passaggio che si possono superare gli stretti margini della concezione liberale dell’ugua- glianza. Tuttavia, questo passaggio, a mio avviso, non riceve una spiegazione soddisfacente nella formulazione della vulne- rabilità di Fineman.

Inizialmente, i due livelli – universale e particolare – del- la vulnerabilità sono stati semplicemente giustapposti: «[i] nnegabilmente universale, la vulnerabilità umana è anche particolare»40. Ne Il soggetto vulnerabile e lo Stato responsabile,

il rapporto tra i due livelli è descritto invece come un parados- so41. Tuttavia, un paradosso è una contraddizione apparente;

la nostra analisi del rapporto tra questi due livelli dell’univer- salità non può accontentarsi di quest’apparenza, tanto più se, come in questo caso, nel passaggio da universale a particolare si trovano proprio quei sistemi di potere e quei processi di at-

40 M.A. Fineman, The Vulnerable Subject: Anchoring Equality in the

Human Condition, cit., p. 10.

41 Ead., supra. La natura paradossale del concetto è stata utilizzata an- che per spiegare le fluttuazioni prodotte dagli usi ambivalenti e instabili del termine nel diritto europeo o nella politica dell’UE. Sul punto, ad esempio, L. Peroni, A. Timmer, Vulnerable Groups: The Promise of an Emerging Con-

cept in European Human Rights Convention Law, cit.; A. Timmer, A Quiet Revolution: Vulnerability in the European Court of Human Rights, cit. In un

recente discorso, Fineman sembra mettere fine a questa caratterizzazione paradossale, spostando il peso della sua analisi sul concetto di resilienza: la vulnerabilità sarebbe unica, universale e costante, senza variazioni indi- viduali; ciò che varia individualmente, e ci fa sentire gradi e forme diverse della vulnerabilità, è la resilienza di ciascuno (Workshop on Vulnerability

and Social Justice, Università di Leeds, 17-18 giugno 2016). Il concetto di

resilienza richiede una crescente attenzione all’interno del dibattito sulla vulnerabilità; mi riservo perciò di approfondire in altra sede l’esame delle sue implicazioni e della sua relazione con il concetto di uguaglianza sostan- ziale sul quale è costruita la teoria della vulnerabilità nel campo dei diritti.

tribuzione/costruzione degli “altri vulnerabili” che sono l’o- biettivo ultimo della critica all’uguaglianza formale da parte di Fineman.

Credo che una buona parte del paradosso stia nell’enfa- si che questa concettualizzazione della vulnerabilità pone sul corpo umano. Lourdes Peroni e Alexandra Timmer giustifica- no questa scelta facendo riferimento all’etimologia della vul- nerabilità: vulnus, ferita42. Ritengo tuttavia che un riferimento

al senso figurativo, e non solo letterale, del termine potrebbe produrre un risultato molto più ricco; un risultato che, inol- tre, risolverebbe l’aspetto paradossale del rapporto universale/ particolare.

In questa linea di ragionamento, il senso figurativo del ter- mine “vulnerare” significa “causare offesa o danno alla reputa- zione o stima sociale di qualcuno”, e anche “violare o offendere una regola o principio”. L’aggettivo “vulnerabile” ha dunque due significati: a) possibilità di essere vulnerato, violato od of- feso (come le regole, i principi, la giustizia, la reputazione e la pubblica stima); e b) debolezza, esposizione, l’essere indifesi (ad esempio, il punto vulnerabile di un piano, di un esercito o di un argomento). È interessante notare, infatti, che il senso figurativo di “vulnerabile” non è collegato al corpo: esso è im- materiale e sociale, e si rapporta a strutture sociali.

Anche l’analisi della corrispondente negazione della vul- nerabilità getta una luce diversa sulla natura paradossale del peculiare rapporto universale/particolare, se consideriamo il senso figurativo del termine. Invulnerabile sarebbe l’opposto della vulnerabilità universale secondo Fineman; l’invulnerabi- lità sarebbe la condizione ontologica degli dei e di alcuni eroi, così come la vulnerabilità è la condizione ontologica degli es- seri umani. La pretesa di invulnerabilità del soggetto del diritto liberale è quindi l’obiettivo primario della critica delle teorie

42 L. Peroni - A. Timmer, Vulnerable Groups: The Promise of an Emerg-

della vulnerabilità. Tuttavia, non essere vulnerabili non impli- ca necessariamente l’essere invulnerabili: non è vulnerabile chi non è indifeso o privo di protezione davanti all’avversità. Non essere vulnerabile significa che si possono affrontare le avver- sità. Questa non-vulnerabilità non è assoluta (come nel caso dell’invulnerabilità ontologica), ma si muove in una gradazio- ne variabile di capacità di far fronte alle avversità. Inoltre, essa è relazionale: in definitiva, siamo tutti vulnerabili, ma siamo più o meno vulnerabili o non-vulnerabili soltanto in relazione ad altri che lo sono più o meno di noi.

Un’analisi che non si arresti all’apparenza paradossale della vulnerabilità dovrebbe rispondere con maggiore incisività del- la teoria di Fineman a quella componente relazionale: anche se siamo tutti vulnerabili, non siamo tutti ugualmente vulnerabi- li. Se vogliamo fare della vulnerabilità un concetto operativo per spiegare le cause della (più alta) probabilità e frequenza con cui certi gruppi subiscono danni e, altresì, per contribuire alla trasformazione o eliminazione di quella situazione, dob- biamo spostare l’attenzione verso le condizioni sociali (in sen- so lato) che creano, perpetuano, o prevengono l’esposizione al rischio e/o la riduzione del danno. Dobbiamo anche esaminare il rapporto che queste condizioni (istituzioni, relazioni e strut- ture) hanno con diversi gruppi in relazione a determinati dan- ni o al rischio di subirli. Vale a dire, si dovrebbe concentrare l’attenzione sulla ripartizione differenziale della vulnerabilità tra i gruppi sociali.

La vulnerabilità – o meglio, la vulnerabilità oggetto di inte- resse per la teoria e la pratica dei diritti – sarebbe, quindi, non una condizione dell’essere umano dipendente dalla sua corpo- reità, ma la condizione di mancanza di difese di alcuni gruppi sociali di fronte a determinati rischi, perché non hanno la co- pertura di quei sistemi, istituzioni e reti che la società fornisce ad altri gruppi non (ugualmente) esposti. Questi ultimi, d’altra parte, non sono invulnerabili. Ciò che li rende non vulnerabili,

a differenza di membri di gruppi vulnerabili, non è uno status mitico degli dei e degli eroi (l’invulnerabilità, appunto), ma la possibilità/capacità di difendersi e proteggersi.

5. Chiavi di lettura del rapporto tra eguaglianza e vulnera-

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